L’immortalità “circolare” del pensiero in Kant
In uno dei luoghi più pregnanti della Critica della Ragion pura, il par.16 in cui è illustrata la causa della deduzione trascendentale degli elementi, vale a dire la fondazione del processo conoscitivo, leggia-mo: ” L’ “Io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresenta-zioni, giacché se potesse essere rappresentato qualcosa, che non fosse da me pensato, quella rappresentazione sarebbe o per me impossibile o non sarebbe nulla per me. Ora quella particolare rappresentazione che può esser data prima di qualsivoglia pensare, prende il nome di in-tuizione. Ne consegue che tutto il molteplice ha una relazione neces-saria con la rappresentazione “Io penso” in quel medesimo soggetto, in cui sia presentato questo molteplice. Questa rappresentazione è co-munque un atto della spontaneità, come dire che non può essere ri-guardata come appartenente alla sensibilita” (10). Sotto il profilo della storia della filosofia moderna, e, in particolar modo, della filosofia classica tedesca, il par. 16 segna l’atto di nascita
10 cfr. I.Kant, Kritik der reinen Vernunft (1787), ed. a cura di K. Kehrba-eh, Reclam, Leipzig 1877, par. 16 (la traduzione è mia). cfr. anche, I. Kant, Critica della ragion pura, ed. it. a cura di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Laterza, Bari 1949, I, p. 137 (ma v. anche ]a più recente edizione (Bari-Ro-ma 1978) a cura di V. Mathieu, che costituisce una revisione critica della let-tura gentiliana). Per una ricostruzione dell’argomentazione kantiana è ancora utile, a mio parere, quanto sostengo in I filosofi e la storia, Principato, Mila-no 1981, pp. 374-377.
dell’idealismo moderno, vale a dire di quell’ottica speculativa, in cui al pensiero è conferita la natura di un’autodatità assoluta (absolute Selb-stgegebenheit), tale da rendergli possibile la costruzione del suo og-getto, vale a dire la “realtà esterna”, intesa non più come un insieme di cose che vanno scoperte, ma come un set di contenuti che vengono costruiti dall’appercezione pura originaria del sé (tale è la definizione che Kant fornisce dell'”Io penso”). Il mondo non è qualcosa che va scoperto e conosciuto, ma piuttosto ricondotto alla sua matrice origi-naria che è il pensiero e, poiché il materiale conoscitivo sembra pre-sentare una lourdesse, una “materialità” che resiste al pensiero, il pro-cesso della conoscenza, per dirla con Maimon (11), va interpretato co-me un regressus ad infinitum inteso a ricondurre la datità (Gege-benheit) delle cose a momenti della loro pensabilità (Denklichkeit). Dal punto di vista del tema sin qui trattato, Kant ci dice tuttavia qualcosa di più. Il contenuto di quella che lui stesso definisce un’argo-mentazione per assurdo, vale a dire la rappresentazione o enunciato “Io penso” — il testo tedesco suona infatti così: “Das (Satz) Ich denke'” — è, da un lato, un’intuizione, che perciò stesso ricadrebbe nel-la sfera della sensibilità (Sinnlichkeit), dall’altro, tuttavia, è qualcosa che è “prima” di qualsiasi intuizione, giacché per intuire qualcosa oc-corre che il sé o Io avverta (appercepisca) se stesso come pensiero. Ora questa avvertenza, ossia l’appercezione pura originaria a priori “Io penso”, fa del pensiero un’ellisse tendente a una circolarità perfetta giacché il punto di partenza del processo, il pensare le cose che si dan-no, sono qui e adesso, coincide all’infinito con il punto d’arrivo, ossia con l’identificazione della datità con la pensabilità. Si modifica in que-sta prospettiva anche la dimensione spazio-temporale della datità. Se è infatti vero che quel che definisce l’esserci di una cosa è essere “qui” e “adesso”, in un dato spazio e in dato tempo, è però altrettanto vero che il pensiero non solo non può non essere prima di ogni spazio e di ogni tempo, ma anche che lo spazio e il tempo sono semmai mere condi-zioni che permettono al pensiero di fissare un momento della sua atti-
11 cfr. in particolare S. Maimon, Versuch iiber die Transzendental — losophie, Berlin 1790, p.203, cit. in E. Cassirer, Storia della filosofia moder-na (Das Erkenntnisproblem in den Philosophie und Wissenschaft der neue-ren Zeit, Berlin 1910-1919), ed. it. a cura di E. Arnaud, Einaudi, Torino, 1955, III, p. 127 (a Cassirer si deve, come è noto, l’eccellente ricostruzione del pensiero dei postkantiani e di Maimon in particolare: v. al riguardo Cas-sirer, op.cit., III, pp. 114-169).
vità continua, facendo con ciò stesso di sé un pensato. Lungi dall’esse-re le porte da cuí scaturisce il pensiero, il tempo e lo spazio sono le mere modalità del suo processo. Ma se è cosi, allora il pensiero, che non solo si sottrae allo spazio e al tempo ma addirittura sembra pro-durli, è immortale, Da questo punto di vista, il pensiero e l’eternità so-no la stessa cosa e il tempo, che pure sembra scandirne il fluire, è solo una figurazione o, per usare la suggestiva espressione del Timeo, l’im-magine mobile dell’eternità. Lo spessore metafisica della prospettiva kantiana è innegabile, così come è innegabile il rischio che muoversi acriticamente in essa con-duca a una teologia neppure troppo mascherata. Parrebbe infatti che non ci voglia poi molto per identificare il pensiero con Dio e il porre in essere il darsi delle cose nella forma di contenuti di spazio e di tem-po con l’atto della Creazione e, detto per inciso, esiste una possibile lettura dì Kant in chiave teologizzante, da Rosmini ad Heidegger. Tut-tavia, una lettura attenta del par.16 e, ancor più, delle pagine che lo precedono e di quelle che lo seguono, ci consente di pervenire a con-clusioni del tutto diverse che vorrei riassumere così: I. L’ a priori del pensiero viene stabilito sulla base di una riduzione trascendentale, che prende le mosse non dalla realtà esterna ma dalla semplice constatazione che tutto ciò che si conosce è un contenuto della mia rappresentazione o fenomeno; 2. Le cose “viste”, “percepite”, “conosciute” sono, in realtà, mo-menti di un vedere, percepire, conoscere da cui il soggetto che vede, percepisce e conosce non può uscire senza entrare in contraddizione; 3. Sotto questo aspetto il prius del pensiero è, da un lato, una con-dizione reale e concreta, così come reale e concreta è la sua sottrazio-ne allo spazio e al tempo, cioè la sua immortalità, badando bene a ri-guardarla come un’immortalità circolare e non longitudinale: 4. Dio e la creazione del mondo, come il mondo stesso o natura, sono, come Kant chiarisce assai bene nella “Dialettica trascendentale” della Critica della ragion pura, “idee”, cioè visioni che si accompa-gnano all’attività del pensiero, visioni di cui il pensiero pare avere bi-sogno, ma che, nel mentre non amplificano né modificano il processo conoscitivo — giacché sono falsi concetti, in quanto prive di contenuti — possono essere trappole mortali se il soggetto non si avvede d’esser-ne lui stesso l’autore. Ha il soggetto bisogno dell’idea di Dio per con-ferire alla conoscenza finalità e armonia, ha bisogno dell’idea di natura o mondo, perché per il pensiero questo è come uno scenario in cui collocare i fenomeni. Ha bisogno il pensiero di queste idee così come un uomo ha bisogno dello specchio per riconoscere le proprie fattezze, ma, al modo stesso in cui chi vede la propria immagine riflessa non crede certamente che questa sia la causa del suo volto, così il pensiero non deve confondere le proprie proiezioni con se stesso. Può anche, se crede, legittimare la teologia, ma solo a condizione di riguardarla co-me la mera figurazione, talvolta rassicurante ma non di rado inquie-tante, della gnoseologia. Se queste considerazioni introducono alle ragioni e al senso delle proiezioni mentali, quali, in definitiva, ritengo siano le “idee” esposte da Kant nella “Dialettica trascendentale”, credo possa essere utile chiedersi dove esse abbiano origine e se della loro realtà sia possibile trovare qualche supporto evidenziale nelle ricerche più avanzate delle neuroscienze.
Vorrei poter seguire con attenzione ciò che pubblicate. Amo questo argomento e vorrei, nel massimo del rispetto, approfondire la mia conoscenza… Grazie Dell opportunità