CONTATTI MENTALI CON SPIRITI DISINCARNATI. PARTECIPAZIONE SPIRITUALE ALL’ESPERIENZA DELL’INCARNATO.
D.: Come mi avevi predetto il tipo di contatto che riesco a percepire con X è cambiato. Questo livello in cui percepisco questa cosa, se ovviamente me la confermi, è un po’ un livello pari a quello dove dovrebbe trovarsi lo Spirito guida?
A.: Lo Spirito guida è una presenza-assenza, in fondo, per voi mentre intendere e collocare qualcuno che non c’è più sulla Terra nel proprio spazio progettuale è la dimensionegiusta. Naturalmente non dovete aspettarvi che questa presenza venga a costituire una ripetizione del soggetto quand’era in vita, perché quando si muore si cambia.
Oltretutto si perde quella base caratteriale di cui parlavamo, e si raggiunge una capacità diversa anche di contatto che a molti sfugge. Quando una persona significativa per la propria vita, in senso affettivo, psicologico, quello che sia, viene a mancare nella vita, bisogna ritrovarla nella progettualità, perché in qualche modo voi continuate a dargli vita a quella persona che vi ha lasciato, e a questo Spirito che è diventato, continuate a dargli vita perché si inserisce un’altra volta in un circuito.
Ora può darsi che non ne abbia bisogno, se non ne ha bisogno se ne va da solo, non resta certo legato a voi per motivi sentimentali.
Una progettualità che poteva anche non esserci in vita e che si viene a riconquistare dopo: può darsi che in questo modo voi risparmiate a quello Spirito per esempio una ulteriore incarnazione, perché è come se prestaste la vostra mente ad una esperienza per la quale avrebbe dovuto incarnarsi e che gli evitate se lo accogliete dentro di voi. Allora la modalità dell’approccio è proprio quella dell’accoglienza. Io ti accolgo e tu continua liberamente ad essere un soggetto autonomo.
Naturalmente se io lo so, se io ti sento, se io ti percepisco, sono arricchito anche dall’affettività di questa cosa che accade, che in Terra ti ho amato, ti ho stimato, ti ero amico o quel che sia, ma indipendentemente da ciò io ti offro la mia mente perché tu possa utilizzarla come credi. Per la verità devo dire che questo è un atteggiamento che dovrebbe essere coerente e presente non solo quando si tratta di una persona cui abbiamo voluto bene in Terra, ma sempre.
Per esempio, quando si fa una esperienza di tipo materiale, di tipo psicologico, richiamare a sé quasi aprendo un canale affinché anche altri assenti apparentemente possano utilizzare l’esperienza. Molte volte lo Spirito lo fa da solo anche se non glielo chiedete.
D.: Questo tipo di atteggiamento amplifica o è soltanto una cosa per me, poiché lo Spirito lo fa comunque questo?
A.: Lo Spirito lo fa comunque quando può, però se è richiamato attentamente, si rafforza la sua presenza nel soggetto, per cui voi diventate portatori di una esperienza multipla di cui molti si possono arricchire. Questo é un vero principio di fraternità, perché voi date il vostro corpo e la vostra mente e la vostra disponibilità ad altri, di utilizzare questo veicolo e completare una esperienza o farne una nuova o comunque partecipare.
In quel momento voi diventate un gruppo, e diventando un gruppo adempite alla funzione universale di riverberazione, di accoglimento, ed è una cosa molto positiva.
D.: E’ una cosa molto bella, non l’avevi mai detto.
A.: Questo naturalmente vale per tutti i tipi di esperienza, dovrebbe valere anche per esperienze che vi appaiono negative, se a quel punto non scattasse in voi un meccanismo un po’ perverso del “mal comune mezzo gaudio”, come usate dire, perché anche in una situazione dolorosa, se voi riconoscete che la situazione dolorosa é dipesa da voi, dal vostro carattere, dal modo di essere, e l’avete già analizzata, voi invitate altri a parteciparvi per distanziarsene. Cioè: “guarda che quello che io sto soffrendo è una cosa che si potrebbe evitare benissimo, quindi state attenti, perché nella mia situazione si può soffrire, ma si può anche non soffrire se si hanno strumenti adeguati”.
Cioè fare in modo che l’accoglienza non sia soltanto per renderli partecipi, ma anche per attirarli per poi allontanarli: “guardate che io sono un cattivo esempio per come si dovrebbe vivere”.
D.: E si diventa così un buon esempio?
A.: Certo. Lo Spirito osserva, percepisce, capta, sente e se ne fa una esperienza che poi utilizzerà o non utilizzerà, questo non é affar vostro.
D.: Nel momento in cui si fa questa operazione consape-volmente, al di là di questa esperienza che comunque apre un canale ad altre anime, facendola consapevolmente questa esperienza si amplia?
A.: Certo.
D.: Perché tu hai detto ” diventate un gruppo” ?
A.: Certo, si amplia.
D.: Nel momento in cui questo Spirito usa la mia mente, poiché a me capita di essere consapevole che la mia sofferenza é dovuta a come io mi vivo le cose e che se riuscissi a cambiare in questo non soffrirei, nel momento in cui questo Spirito comunque usa la mia mente, come è possibile farglielo capire?
A.: Voglio aggiungere una cosa, altrimenti sembra soltanto un gioco. Quando io dico far partecipare o rendere partecipi, non dovete prendermi alla lettera, non significa esattamente che voi invitate degli esseri sconosciuti nella vostra vita e nei vostri comportamenti (anche se per me andrebbe benissimo, però); per evitare che subentri un processo di alienazione, questo deve essere un atteggiamento, non deve essere una richiesta specifica, è il vostro atteggiamento che si apre alla partecipazione, alla compartecipazione, voi non dovete chiamare nessuno, non dovete evocare nessuno, dovete avere soltanto un atteggiamento di intrusione altrui che diventa esperienza vostra e voi esperienza dell’altro. È questa disponibilità che attrae; non è che dovete letteralmente pensare: venite a me quanti ne siete, più ne siete meglio è, no, non è questo, perché sarebbe una situazione alienante.
È l’atteggiamento di apertura, il sapere e il dover sapere veramente che ogni volta che voi fate qualche cosa che è significante, che è conoscitiva, voi non siete soli e che siete disposti a dividere, a spezzare il pane con gli altri, che ci siano o non ci siano non è affar vostro controllarlo, e nemmeno saperlo, è importante l’atteggiamento della condivisione, della compartecipazione, dell’apertura, dell’uscita dalla solitudine con cui compite un qualsiasi atto o dalla chiusura del vostro ambito familiare delle quattro mura, e di aprirvi come Spirito affinché tutti possano partecipare.
È quindi un problema di atteggiamento, di condivisione, di apertura, di sensibilizzare qualsiasi cosa a compartecipare all’ esperienza che state facendo.
Quando vi siete disposti così non ci sarà più bisogno di offrirvi e di chiedere, perché diventerà un fenomeno del tutto normale e naturale, aprirsi agli altri.
D.: È come mettere la propria esperienza al servizio di un’altra persona con cui si condivide una serie di cose: ho fatto questa esperienza, bene o male a qualcosa servirà se c’è comunque una empatia e un discorso interiore tra le due persone. Come dire che posso non fare questa esperienza direttamente, ma come uomo servirmi dell’esperienza di un altro per capire meglio. È qualcosa di simile?
A.: Sì, qualcosa di simile.
D.: È possibile assimilare questo concetto con quello di cui si parla, cioè di griglie morfogenetiche alle quali noi ci uniamo quando un pensiero collettivo ci unisce, cioè unisce questo (a livello di pensiero) e quello che hai detto a livello più alto, di obiettivi spirituali?
A.: La partecipazione ad un pensiero collettivo oppure, sì, una collettività che entra nel nostro pensiero. Poi in fondo è lo scambio fra sé e gli altri, tra il soggetto e il collettivo, quindi il passare da una esistenza individualistica ad una esistenza sociale in cui la collettività c’é e ciascuno ne fa parte.
D.: Un concetto che ho letto e mi ha interessato dice che per ogni essere umano che si risveglia, il suo risveglio riecheggia in moltissimi altri Spiriti.
A.: Sì, ogni soggetto che si risveglia, per usare questa metafora, illumina e serve anche gli altri, perché ogni soggetto risvegliato diventa una sorta di calamita, diventa un referente, un faro che si accende.
D.: È questa la strada che hai voluto rischiarare dicendo questo concetto?
A.: Sì.
D.: Quello che dicevi mi sembra essere alla base del culto dei morti, dell’antenato, in qualche misura.
A.: Degli antenati?
D.: Del personaggio significativo col quale ti sei incontrato.
A.: Soltanto direi che in mitologia, in fondo, si tratta di un contatto che è simbolico, qui invece è reale, qui siamo proprio in un contesto di realtà, perché é vero che il soggetto risvegliato diventa un faro, ma un faro reale però per altri esseri spirituali, e quindi non si tratta soltanto di una riverberazione di una memoria, di un processo storico che ripesca il mito e riunisce più generazioni fra di loro, qui si tratta di una vera e propria attività.