D.: Purtroppo a volte ci si ritrova in un risveglio che avrebbe bisogno di strumenti e ci si ritrova con una ignoranza così profonda, radicale, indotta naturalmente dalla società, dalla cultura; a quel punto mi rendo conto che penetrare l’altro ambito, quello dell’apertura, della conoscenza, diventa una lotta dura, a volte improba perché si capisce una cosa e nello stesso momento ne sfuggono altre infinite, proprio perché purtroppo la società e la cultura sono quello che sono, c’é proprio una volontà precisa a lasciare le persone nell’ignoranza, e quindi a volte si vedono anche ragazzi pieni di possibilità, completamente stroncati. E’ proprio un omicidio.
A.: È sempre stato così; peraltro, non c’é niente di nuovo. Ecco perché ora però vivete (a me pare) una stagione che potrebbe essere diversa, quella cioé di poter avere a disposizione la cultura, di potervi appropriare degli strumenti per vivere.
Il fatto è che la maggior parte delle persone vive passivamente perché non ha altri modelli, cioé non ha gli strumenti neppure per capire che esistono altri modelli. Questo é l’aspetto che deve essere cambiato, perché gli strumenti consentono l’interpretazione; gli strumenti non sono necessariamente andare a scuola, leggersi 50 o 100 libri, gli strumenti li avete in voi: la capacità di osservazione, la lucidità nel dare un giudizio su quello che vedete, l’addestramento a saper guardare, a saper pensare liberamente.
Queste cose gli esseri umani ce l’hanno dentro, fin dentro la natura, perché la natura fino a un certo punto si è evoluta quando si è specializzata nell’uomo, cioé ha sviluppato un cervello e aree corticali che da soli sanno già pensare; lo Spirito raggiunge il corpo quando il corpo ha la struttura del pensiero, almeno a livello di possibilità e di capacità, quindi non mi si venga a dire che l’uomo non ce la fa.
L’uomo è una specie evoluta del mondo animale, come corpo. Perché non ce la fa se è già diventato uomo? Se è diventato uomo vuol dire che già c’è stata una elaborazione, una elaborazione fisiologica, cerebrale; gli altri strumenti per poter utilizzare questa capacità sono fuori di lui, ma ciascuno parte dalla capacità che ha, e la capacità voi ce l’avete.
Certo, chi è più intelligente, chi è meno intelligente, ma siete comunque persone già dotate per il fatto soltanto di essere uomini. Allora la capacità di osservare va semplicemente stimolata, ma qui il problema diventa politico.
La capacità di pensare, di elaborare progetti culturali, di osservare il mondo, di decodificarlo, non implica l’andare a scuola, implica soltanto il pensare, e allora se già partiamo da un dato che è strettamente fisiologico, dobbiamo riconoscere che, se questo non avviene, non avviene perché è vero che può esistere intorno al soggetto un mondo, una società che non gli forniscono queste nozioni per sviluppare se stesso; è pur vero però che una civiltà come quella a cui siete giunti, di tipo scientifico e anche di tipo politico, produce in se stessa gli stimoli, perché anche la persona più sprovveduta basta che si guardi soltanto intorno, per vedere come siano decadenti i modelli obsoleti di vita, oppure che c’è la possibilità di avere maggiore ricchezza di informazione e formazione, di cultura e di apprendimento.
Avete la diffusione della scrittura e dell’arte, i libri, i musei, le vostre storie, queste cose sono a portata di tutti, e quando vedo (e devo anche dire vi vedo) che non leggete mai un libro, che non approfondite mai una storia, finanche del mondo dove vivete, che probabilmente non vi spostate neppure dalle vostre case, che vi siete rinsecchiti nelle vostre abitudini quotidiane, io dico che c’è una grande responsabilità anche vostra e non soltanto della società, perché poi è facile dare sempre la colpa agli altri, alla società, bisogna imparare a prendersi le proprie responsabilità che aumentano ogni volta che fate una esperienza, ogni volta che c’è un accadimento, ogni volta che c’è qualcosa che potreste fare e non fate, perché i dolori li avete, le sofferenze le avete, il mondo intorno a voi é un mondo in lamentazione continua, i libri esistono, le informazioni vi arrivano, c’è la diffusione della stampa, dei musei, delle opere, del mondo che si osserva, c’è la possibilità di viaggiare, cos’altro deve esserci per darvi una spinta?
Allora ecco che quando dico c’è una debolezza caratteriale a non voler vedere, a non capire, a volersi beare in quello che si è, in quello che si ha, dico che la responsabilità c’è, ed è individuale. Poi lasciamo stare le responsabilità sociali, politiche, economiche, collettive, quelle stanno lì, non fanno parte di voi, quindi facciamo una netta separazione tra quella che è la responsabilità individuale e quella collettiva, e non facciamo come gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia per non vedere neppure se stessi, non trasferiamo sempre agli altri, perché gli altri siete voi poi in realtà.
Lo Spirito così ragiona, lo Spirito non dice mai: io ho la mia evoluzione e non posso capire, perché lo Spirito non ha soltanto la sua evoluzione, ma anche la sua cognizione; questo senso di responsabilità verso se stesso lo Spirito ce l’ha in modo naturale, come ce l’ha la vostra anima che poi vi trasferisce i complessi di colpa, che vi rende soli, che poi vi porta sofferenza esistenziale!
Allora ancora per l’ennesima volta io nuovamente vi invito a riflettere sul vostro stato e sulla vostra vita, perché è questo il solo modo per affrontare tanti problemi.
Lo so che alcuni lo fanno, io parlo a voi e ai tanti altri che non sono presenti, ma ben precisa deve essere questa centralità del problema: la vostra evoluzione dipende esclusivamente da voi, e nessuno Spirito se la prende con gli altri.
Quando finisce la vita lo Spirito gli altri li ha perduti, ed è solo di fronte alle cose che ha fatto e non ha fatto e alle cose che poteva fare e non ha fatto, e non si crea tante giustificazioni, credetemi, perché a quel punto della propria esistenza, quando il corpo non c’è più, non vale a nulla scaricare sugli altri. Lo Spirito vede solo se stesso, in un contesto di difficoltà, siamo d’accordo, però vede e centra solo il proprio pensiero, il proprio essere, e sa che come essere, come essenza, non ha quello che ragionevolmente avrebbe potuto avere se si fosse mosso in un altro modo, e confrontato con il programma iniziale per il quale si era incarnato: fa la differenza fra ciò che aveva programmato e l’esito finale, alla fine della vita ciò che poi è diventato.
C.P.