Comunque, nonostante la trappola, «lo Spirito da tutto questo trae la sua esperienza; talvolta essa è assunta più passivamente, che non da protagonista; certo, nella maggior parte dei casi l’esperienza è piccola e diventa maggiore in situazioni socialmente sfavorevoli, purtroppo. In effetti c’è la possibilità di infrangere la monotonia di un sistema organizzativo vitale come è nella maggioranza delle persone, e ciò è dato soltanto dal dolore, per paradossale che possa sembrare». Cioè, dice Andrea, che il dolore finirebbe, in una situazione statica, con l’assumere un ruolo dirompente ed efficace che comunque spezza una quiete passiva. «Noi sappiamo benissimo — prosegue Andrea — che, in fondo, il dolore non è necessario all’evoluzione, ma in certe condizioni diventa utile, perché è uno degli elementi, forse l’unico, che fa riflettere, che fa meditare, che crea delle discontinuità e che dunque può determinare fattori di maggiore riconoscimento della materia, di migliore capacità di interpretazione di certi fatti, di sopportazione, sofferenza, superamento, di ricerca della guarigione, della pacificazione. Insomma, il dolore diventa un elemento funzionale, almeno all’evoluzione, perché in molte vite sofferte (benché apparentemente modeste), gli Spiriti utilizzano gli schemi della sofferenza per migliorare la conoscenza della Terra, anche perché nella totalità dei casi la sofferenza è umana, cioè è materiale ma non spirituale, anche se investe «conoscitivamente» lo Spirito» (CCA pag. 87). Ma c’è anche un altro e più indiretto meccanismo generante la sofferenza. Su questo ulteriore aspetto il Maestro ci ha anche detto: «Ricordatevi che tanto meno meditate, tanto meno pensate e tanto meno fate intervenire il vostro Io profondo, a tanti più problemi andrete incontro, e ciò per una legge spirituale irrevocabile. Perché se è vero che da una parte c’è un corpo che si muove in maniera autonoma, con la sua piattaforma psichica, dall’altra c’è uno Spirito che pressa sull’inconscio affinché si svolgano le esperienze congeniali al suo programma: solo queste esperienze congeniali non è vero che siano necessariamente dolorose, esse sono il più delle volte, esperienze di osservazione. Spesso lo Spirito viene in Terra semplicemente per osservare, per recepire delle informazioni. E se voi non gliene date, (perché il vostro corpo vegeta allegramente alle volte solo e non si preoccupa di farle passare), lo Spirito presserà tanto, attraverso l’inconscio, da promuovere una serie coordinata di azioni che, sul piano pratico, diventano le cose spiacevoli della vita. Voi questo non lo sapete, non ve ne accorgete, non vi date conto di tutto questo. Lo Spirito, d’altra parte, non ha altre possibilità che semplicemente stimolare l’inconscio; non può intervenire sulla vostra coscienza, perché non ha questo ponte diretto; allora l’inconscio preme ed ecco che nascono stimoli che creano situazioni che possono essere piacevoli o spiacevoli: per esempio anche formazioni nevrotiche e patologiche esistenziali. Nascono cioè un po’ a caso, intendiamoci, sono semplicemente stimoli che lo Spirito invia per ricevere certi messaggi. E, d’altra parte, voi questi messaggi come potete rimandarli allo Spirito?
Attraverso quella digestione dell’esperienza, la quale è l’unica che può tramutarsi in quel famoso «segnale», cioè in quella «traduzione di simbolo» che va allo Spirito» (CDA 1/1989 pagg. 23-24). Insomma meno siamo attivi e più obblighiamo lo Spirito ad uscire allo scoperto con segnali che, sul piano pratico, costituiscono «incoerenze» ciò situazioni di sofferenza che probabilmente eviteremmo se vivessimo più in funzione dello Spirito e meno della quotidianità formale. A completamento sintetico di questo argomento, l’Entità Andrea. aggiunge: «L’attività dello Spirito nel corpo, in applicazione di una legge divina, è solo un vivere; ecco perché, a questo punto, soltanto l’agire implica la verità di una teoria. Anzi l’agire stesso (in un certo modo), conferma la natura extra-umana dell’uomo, in quanto vi è l’introduzione nel ritmo della materia di un elemento in più che consente di agire anche contrariamente a quel ritmo e che, contemporaneamente, conferma il suo principio divino che si isola dal ritmo tipico della materia» (CDA 5/1986 pag. 159) Infine è bene ripetere — come si è accennato prima — che Andrea considera al pari del dolore anche il piacere e la gioia se apportano o sviluppano una riflessione esperienziale.