LE OPPOSIZIONI FEDE E RAGIONE

LE OPPOSIZIONI FEDE E RAGIONE

I teologi (per esempio Karl Barth in Nein! Antwort an Emil Brunner, Múnchen 1934) si oppongono violentemente ad una teologia naturale perchè nella presunta conoscenza naturale di Dio non si riconosce «l’unico vero Dio, trino, creatore del cielo e della terra che ci giustifica in Cristo e ci santifica per mezzo del suo Spirito». Per Barth quel Dio, che può essere conosciuto in virtù della ragio-ne naturale, non è niente più che una delle «creazioni del fantasticare filosofico dell’uomo».

La teologia (o relazione) naturale sostiene che nella persona, nella responsabilità della coscienza e nella somiglianza tra l’Io profondo e Dio, è presente una conoscenza naturale di Dio stesso. Dunque l’uomo naturale sembra essere a conoscenza di Dio bcnchè razionalmente non possa nè precisarlo nè descriverlo.

Appare chiaro che lo scontro teorico trova in queste decise con-trapposizioni la sua più esplicita chiave di rottura. L’inconciliabilità sembra radicale: da una parte c’è una teologia rivelata (ma, a sua volta, quanto fantastica?) e dall’altra una teologia istintiva radicata nella matrice dell’uomo il quale è portatore e espressione di un’Anima. Qualsiasi mistico e qualsiasi poeta o qualsiasi folle può fare rivelazioni; non è invece più difficile che sbagli la Natura?

Pertanto, contrapporre rivelazione a ragione e rivelazione a Natura, è innanzitutto una contrapposizione metodologicamente impossibile; inoltre si persevera nell’errore di voler cercare la verità attraverso il dogma che, nella sua intrinseca significanza, è una dichiarazione fondata sul nulla imposta come verità.

E’ evidente che la fede è una funzione della coscienza: ma si tratta di una funzione personale che non si può eleggere a sistema nè si può trasmettere o insegnare. Farne un principio logico significa non aver capito che la soggettività è una realtà diversa dalla generalizzazione oggettiva, nè aver capito che la soggettività è un dato esclusivamente individuale e personale che non ha – nè può avere, per fortuna – una valenza sociale, pubblica e didattica. Se si adottasse ancora questo principio che per secoli ha dominato il mondo, i singoli continuerebbero a prevalere sulle masse, a dominarle ed a metterle in catena in nome dell’obiettività dei dogmi.

Nè persuade il presupposto che potrebbe esistere un’analogia tra partenze diverse e che, dunque, si potrebbe trattare di «momenti di un’unica, intera verità». Certo la filosofia e la teologia pongono le

stesse domande. Ma il filosofo si interroga sulle possibili ipotesi e risposte, mentre il teologo ha già tutte le risposte che non intende mettere in discussione partendo da una tabula rasa, perchè dove non c’è risposta è subentrato il dogma. Questa sorta di conciliazione teorica è, quindi, una falsificazione. Per superarla, la teologia rivelata dovrebbe concedere cittadinanza ad una teologia filosofica, ma ciò non accade. La rivelazione è un dogma che nulla ha da spartire con la filosofia e con la scienza. Il fatto che teologia, filosofia e scienze tendono alla verità non li pone su una piattaforma comune, ma solo verso un orizzonte comune. Il teologo non può ragionare con l’intelletto, questa strada gli è preclusa dalla rivelazione e dalla fede: egli non ha la capacità laica di fronteggiare le opposizioni poichè parte dal preconcetto pseudo matematico che la rivelazione è l’unica verità. Il filosofo non può, in tal modo, aprire una discussione perchè la dialettica alla pari presuppone l’azzeramento dei preconcetti. E questo il teologo non lo può e non lo sa fare. L’inconciliabilità è proprio di metodo. Il credente non può interrogarsi sulla natura e sui contenuti della fede trasmessagli da altri ed è tenuto ad obbedire senza filtro critico; il filosofo è proprio all’opposto perchè la filosofia non può accettare nè la tradizione, nè il dogma, nè la passività intellettuale. La filosofia è nuda e libera. L’intolleranza dogmatica diventa, quindi, intolleranza religiosa, che si trasforma nelle lotte di religione ancora presenti in molte vaste parti del mondo.

In nome di quale Dio sono stati e vengono trucidati gli esseri uma-ni? La risposta è tutta nella interrogazione. Questi assassinii sono opera di uomini alienati dal razzismo più becero e da un Ego gonfiato al punto tale da credersi depositari della verità. Chiamando Dio a complice, costoro hanno compiuto e compiono il doppio delitto di uccidere sia i figli di Dio che il Padre stesso nel nome del quale operano.

Chiamo possibile tutto ciò che è perfettamente concepibile e che, di conseguenza, ha una essenza, una idea; senza considerare se il resto delle cose gli permetta di divenire esistente.

Leibniz a Bourguet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *