ESPRESSIONE E COMPRENSIONE DELL’ARTE.

4) – ESPRESSIONE E COMPRENSIONE DELL’ARTE.

D. – Sul teatro e sul cinema sono state formulate due teorie nettamente contrapposte. La prima dice che certi spettacoli teatrali o cinematografici a un certo livello artistico sono accessibili solo a una ristretta cerchia d’individui. La seconda dice la stessa cosa, ma aggiunge che quegli spettacoli possono piacere anche alla massa la quale, sia pure impropriamente e per altre ragioni, decreta il successo a un’opera che può aver capito solo in parte, e non nei suoi motivi fondamentali.

A. – Queste due teorie non mi sembrano contrapposte. Perché puoi avere una qualsiasi manifestazione artistica la quale, nel suo nucleo centrale, è valida soltanto per gli eletti e che nei suoi aspetti marginali, o extra artistici, può essere interessante o piacevole per tutta una massa di persone, la quale non individua il nucleo artistico, ma si giova di una recitazione complessiva, cioè si giova degli aspetti extra-artistici.

D. – C’è però un’altra teoria la quale dice che, pur essendo possibile questo fatto, in realtà non è impossibile che la massa decreti il successo a un’opera per motivi autentici, quando l’autore riesca a presentare, a spezzettare quei motivi fondamentali, autentici, al punto tale da farli recepire anche ai meno dotati. Fino a che punto questo può essere vero?

A. – La questione è prettamente umana e quindi posso esprimere un’opinione personale che non ricalca alcun principio di carattere universale, perché è un problema che interessa esclusivamente un aspetto della conoscenza umana limitata alla Terra.

La mia opinione personale, personalissima in questo caso mi suggerisce questo: che l’arte in sé non si propone mai niente, cioè non si propone di comunicare qualcosa agli altri, ma di comunicare qualcosa anzitutto a colui che la fa. La seconda fase che è intimamente connessa alla prima – divulgazione dell’arte – diventa un aspetto marginale per l’artista. Cioè interviene in un secondo momento, quando l’opera è finita, ma finché l’opera è in gestazione l’artista dentro di sé non può preoccuparsi di questo, non gli interessa, il mondo esterno non esiste per lui, ma esiste soltanto un rapporto dialettico tra il sé che è “dentro” e l’opera che vien fuori. Posta così la vera arte, tutto il resto è una conseguenza. Può darsi che capiti nella costruzione dell’arte qualsiasi cosa, dal quadro al teatro, alla filosofia o alla poesia, può darsi che capitino elementi sovrastrutturali che siano di carattere popolaresco, Può darsi, però non è certo, e non sempre accade. Direi però che accade “quasi” sempre che vi siano anche questi elementi che sono gli elementi storici.

Quella sorta di realismo, cioè, che è intorno all’artista e che, in fondo, finisce col vivere nella rappresentazione dell’opera, l’artista se lo porta dentro come figurazione, come movimento, come un tutto, perché egli, appunto come artista, esprime anche quel momento storico. D’altra parte, allorquando avviene l’impatto, per così dire, con gli altri, cioè col pubblico – seguendo la tua notazione sul teatro – accade questo; si verifica anzitutto un fenomeno che io definirei straordinario è cioè che un’opera autentica, che contiene pochi elementi di sovrastruttura, e che quindi in sé si presenta anche sgradevole (o comunque non bene, da un punto di vista popolare) possa esser seguita poco caldamente, mentre essa resta sempre autentica. Perché, pur non essendo accolta con gran calore o con grande comprensione, tra una massa che non capisce e l’opera che è da capire si crea un sottilissimo rapporto che è quasi magico, che non è spiegabile. Cioè a dire, resta comunque un fascino sottile perché, in fondo, anche in colui che è meno preparato a ricevere un’opera d’arte c’è un inconscio, c’è uno Spirito, e a quel livello, confusamente, può agire e può muoversi qualcosa.

È chiaro che, naturalmente, se la sovrastruttura abbonda, l’opera si avvicina di più alla capacità di comprensione del grosso pubblico, con un successo che può essere immediato, rapido. L’opera può essere soltanto sovrastruttura e il successo ugualmente immediato, rapido, ma il declino dell’opera è prevedibile perché in essa non esistono valori eterni. Qui l’”eterno” è in senso terrestre, non in senso universale. Non esistono in essa quei valori perenni, dal punto di vista storico, e l’opera declina in breve volgere di tempo. La mia opinione, comunque, è che l’arte in sé è sempre di pochi. E non è colpa dell’arte se la situazione è questa; è colpa dell’umanità che non è sufficientemente preparata a recepire messaggi più alti. Devo dire che questo (come già dissi una volta) non riguarda soltanto l’arte, ma riguarda tutte le cose. Riguarda anche la religione. Credete forse che il grosso popolo – il popolo di Dio, come diceva Cristo – riesca a capire qualcosa di una pagina di teologia, per esempio? Non ne capisce niente, non può capire niente. Qui non siamo a livello artistico, siamo a livello di teologia, di religione. Oppure che possa capire la filosofia? Ma per capire la filosofia bisogna studiare! Per capire la teologia bisogna studiare, per capire la musica bisogna studiar musica. E perché mai per capire l’arte, invece, non bisognerebbe studiare l’arte? Questo è il punto? Si pretenderebbe dall’arte una divulgazione o una discesa, direi, verso il popolo; però, alla stregua delle altre conoscenze, non si vuole dare a esso lo strumento indispensabile (cioè a dire quello che è il miglioramento culturale) per creare un approccio all’arte. Non è l’arte che deve discendere verso il popolo, ma è il popolo che deve salire verso l’arte. Questa è la mia opinione.

D. – Mi sembra allora di capire, che anche quando sembra che lo spettacolo sia stato recepito dalla massa, nella migliore delle ipotesi, cioè quando l’opera è autentica, agisce molto la suggestione, come fatto magico a livello inconscio.

A. – Vedete, ogni opera d’arte ha diverse possibilità di lettura e di comprensione. Nessuno ha la comprensione totale di un’opera d’arte, neppure l’autore che l’ha fatta. Perché, appunto, vi sono manifestazioni che esulano dalla coscienza dell’autore stesso. Ora, è chiaro che la cosiddetta magia nel rapporto tra l’arte e colui che osserva o guarda, o ascolta, è del tutto individuale. Tu puoi metterti su di un piano di lettura e capire una certa cosa, ma possono sfuggirti altri aspetti, che altri percepiscono. Devo dire, naturalmente, che dipende tutto dalla vostra evoluzione, dalla vostra capacità e, in definitiva, è anche una questione di sensibilità. In realtà accade che, mentre l’artista, lo scrittore, il creatore, lo scrittore di teatro, sono degli individui che hanno molta sensibilità, ciò che fanno viene esposto anche a persone che sensibilità non ne hanno affatto, ed è chiaro che queste persone non potranno mai capire nulla. Non esistono diverse possibilità di fare la stessa opera d’arte. Se un’opera è arte autentica con la A maiuscola ha una sola soluzione: quella che è già stata espressa e non ne ha altre. Cioè l’opera d’arte è sempre irripetibile.

D. – Quando dicevi che l’opera d’arte travalica anche lo stesso autore, volevi dire che travalica la sua coscienza soltanto, oppure che travalica tutte le possibilità dell’autore stesso, anche a livello inconscio?

A. – Ma io direi che lo travalica in toto, senza però escluderlo completamente. Molte volte accade che un autore rivedendo una sua opera dopo dieci anni, vi scopra cose che dieci anni prima non aveva scoperto. Cioè, in fondo, anche per l’autore è una continua scoperta ciò che egli stesso ha fatto.

D. – Vorrei sapere se effettivamente nell’artista ci sono varie possibilità di realizzare un’opera d’arte, oppure se ve n’è una sola, mentre le altre sono apparenze collaterali che vanno quindi scartate.

A. – Nessuno sa ciò che può essere scartato o non, nemmeno l’autore lo può sapere. Ma è chiaro che quando dico che l’opera è irrepetibile, dico che una eventuale ripetizione della stessa “intenzione” può essere realizzata diversamente e diventerà quindi un’altra cosa.

D. – Quindi, all’inizio non ci sono varie possibilità?

A. – Sì, le possibilità ci sono, si tratta di saperle scegliere o di sapersi lasciar guidare dall’istinto.

D. – Se ho capito bene, tu dici che un’opera prima di farla è un po’ come se fosse già stata fatta.

A. – No, l’opera si fa dopo, non si fa prima. Prima esistono tutte le possibilità, o tutte le qualità, o tutte le capacità per farla, ma l’opera si comincia a fare nel momento in cui si comincia a scriverla, o a disegnarla o a colorarla: è in quel momento che comincia. Anzi, talvolta comincia a metà, quando si sta per chiuderla.

L’opera d’arte, o l’arte in sé, è fatta di pochi tocchi, di poche parole o di pochi gesti, e sono quelli che contrassegnano un intero periodo. Questi elementi travalicano un po’ la coscienza dell’autore il quale non lo sa, non se ne accorge o se ne accorge dopo.

L’autore è quasi sempre un po’ in “trance”, e solo alla fine può capire ciò che ha fatto.

D. – Com’è possibile che qualcuno dia più di quanto non abbia? Tu hai detto che, a volte, l’autore trascende se stesso…

A. – Ma l’artista ce l’ha. Ce l’ha “dentro”, solo che l’idea può non arrivare alla

coscienza…

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