Infatti, essere spinti verso Dio infinito, “non vuol dire che lo spirito insegue Dio, perché in realtà noi siamo sempre in Dio, solo che non ce ne accorgiamo”.
Dio non è un Essere che sia da un’altra parte e che noi dobbiamo raggiungere o che tentiamo di raggiungere. Tuttavia noi sappiamo che siamo sempre rimasti in Lui, non ci siamo mai mossi da Lui; da quando siamo stati emanati non abbiamo mai abbandonato il Padre. Dal momento che Dio include tutto, include anche noi, e se ci include vuol dire che noi siamo in Lui; è questa la logica conseguenza. Quindi si tratta solo di un «riconoscimento», non di un passaggio da un luogo ad un’altro» (CDA 6/1987 pag. 254). In questi fondamentali passaggi la lezione del Maestro è talmente alta e stupenda che preghiamo chi legge di non abbandonarla, anche se qualche passaggio è difficile, perché in questo discorso si gioca tutta la partita della nostra eternità. Dice Andrea: «C’è un’altra cosa da dover aggiungere e che riguarda ancora un vostro errore di prospettiva, cioè quello di ritenere che lo Spirito vada sempre verso Dio, e che nella sua evoluzione egli si avvicini sempre più a Lui. È un altro errore di prospettiva: lo Spirito è sempre in Dio, non l’abbiamo mai abbandonato, perché Egli comprende in Sé tutto, quindi comprende anche noi. È quindi un errore di tipo umano pensare che l’atto dell’emanazione sia equivalso ad una espulsione in senso fetale: è una espulsione in senso spirituale, non fetale. Qui si tratta di una gestazione di Dio che resta in Lui per una ragione molto semplice: Egli non avrebbe avuto dove espellerci, non essendovi nulla fuori di Dio, non essendovi un’altra realtà estranea a Dio, ma essendo tutte le realtà in Lui… In senso universale l’impostazione più corretta sarebbe quella, appunto, di ritenersi sempre in Dio e mai fuori di Lui… Ecco allora che il percorrere l’Universo è anzitutto un percorrere «dentro» la nostra interiorità ed è contemporaneamente un percorrere Dio stesso. Allora, di fronte a questa situazione dilatata, già intuitivamente appare chiaro che questo spazio e questo tempo non possono entrarci» (CDA 6/1981 pag. 142). «L’essere sempre esistiti in Dio salva il Principio dell’eternità ma, nel contempo, lascia ammettere che queste forze spirituali, chiamate Spiriti, siano tuttavia entrate nella realtà universale secondo una possibilità di adesione alla realtà che è stata diversa per ognuna di loro. Lo Spirito, una volta emanato da Dio, ha poi la possibilità di poter sintonizzare se stesso con la realtà. Questa sintonizzazione non è contemporanea per tutti gli Spiriti, perché quando lo Spirito penetra nella realtà universale, allora possono crearsi i momenti delle successioni formali: cioè la cronologia spazio-temporale a carattere provvisorio. La distanza tra uno Spirito e Dio è infinita (se di distanza si può parlare, perché una distanza non esiste), perché Dio è infinito e lo Spirito, creatura di Dio, è anch’esso infinito ed eterno. La «distanza», dunque, che divide lo Spirito da Dio, è infinita perché lo Spirito è infinito e Dio è infinito.
Lo Spirito una volta emanato non ritorna più in Dio; non ritornando più in Dio, ed essendo eterno nella sua struttura sostanziale, la distanza fra questo Spirito e Dio sarà sempre infinita. Ed essendo infinita non ha più senso e significato l’aver aderito alla realtà prima o dopo. Dio resterà irraggiungibile per l’eternità, e non essendoci niente da raggiungere, non ha più senso per uno Spirito parlare di “prima” e di “dopo”» (RDX pag. 214). Infatti che senso ha il “prima” e il “dopo” quando si annulla il concetto di tempo e di spazio?
La questione dell’infinito, poi, anche se di difficile comprensione, è una autentica salvezza per tutti noi. Infatti l’infinitezza della realtà ne conferma anche l’eternità. Una cosa che non ha inizio e non ha fine è infinitamente eterna e se così stanno le cose anche noi siamo eterni e la nostra identità cosciente non morirà mai.
Le teorie del Nirvana e del riassorbimento in Dio vengono così completamente confutate, perché «l’immortalità dello Spirito nasce proprio dal fatto che egli possiede una individualità e, se, per una qualsivoglia ragione, venisse a mancare tale individualità, verrebbe a mancare automaticamente l’immortalità; perché l’immortalità è assicurata proprio e soltanto dal carattere individuale della struttura «qualitativa» dello Spirito» (RDX pag. 210 — CDA 5/6 1992 pag. 203), e ciò anche perché «la struttura dello Spirito è fatta di una sostanza che non ha come rappresentatività nessun equivalente nell’Universo» (CDA 6/1981 pag. 138), cioè è autonoma e infinita all’interno del proprio modello unico. Si può solo dire che da un certo livello evolutivo in poi, «la zona interiore ed immaginativa dello Spirito raggiunge una rarefazione tale da confondersi praticamente col Principio generale e vitale dell’universo. Ma «confondersi» non significa fusione, significa raggiungere uno stato di equilibrio con una serie di principi divini o con alcuni aspetti della divinità per cui avviene una sorta di “compenetrazione” (CDA 6/1987 pag. 252). In altre parole, “alcune risonanze dello Spirito si espandono con tale ampiezza da sovrapporsi (mai fondersi), con lo stesso ritmo, ad altre risonanze che provengono da principi divini. Si tratta di sovrapposizione di risonanze che lasciano integra la struttura complessiva dello Spirito e che per quanto ampia possa poi essere questa congiunzione, essa è sempre provvisoria, in base al fenomeno della poliedricità infinita dell’universo e quindi degli infiniti aspetti di Dio” (CDA 6/1987 pag. 253). Così come «penetrare in un aspetto fenomenologico dell’Universo, per lo Spirito può significare vibrare assieme a quella parte di Universo e, vibrando, assorbire (con una comprensione che è tutta intuitiva ed interna) la parte di Universo che ha incontrato» (CDA 3/1986 pag. 81). Pertanto ha ragione chi dice che Dio è già dentro di noi perché la natura dello Spirito è divina e che Dio va disvelato e non trovato come una verità esterna.