RAPPORTI TRA: EVOLUZIONE – VOLONTÀ – EQUILIBRIO – DIO

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    L’evoluzione e, quindi, la crescita dello Spirito va spiegata strettamente in termini di equilibrio della sua struttura.

    “Lo Spirito tende automaticamente all’equilibrio”. È questa tendenza all’equilibrio che rappresenta la base dell’evoluzione. Perché l’evoluzione finisce con l’essere proprio un equilibrio che si forma partendo da un determinato punto e raggiungendone uno seguente.

    Nel momento in cui è emanato e comincia il suo cammino evolutivo, lo Spirito si squilibria, perché tende verso qualcosa che è ancora ignoto.

    Ma questo squilibrio fa scattare automaticamente la tendenza all’equilibrio, che lo porta a raggiungere un nuovo equilibrio e così via: questo continuum di attività è chiamato evoluzione. Tuttavia questa tendenza all’equilibrio lo Spirito non l’avverte come volontà, ma come un bisogno di tornare all’equilibrio.

    In altri termini, la tendenza all’evoluzione non nasce dal bisogno di raggiungere Dio, ma da una necessità della struttura dello Spirito che di volta in volta deve ritrovare il proprio equilibrio (CDA 3/1986 pag. 78).

    Ma solo in una fase successiva e più avanzata, lo Spirito si rende conto di tutto questo, e poiché finisce col tendere non soltanto all’equilibrio, ma ad una conoscenza amplificata (direi quasi risonante dell’universo), ecco che il problema di Dio si ripresenta; ma egli, analizzando, sa o giunge a sapere che l’aspirazione a Dio resta soltanto un bersaglio, e che in realtà le tappe mediate di questa evoluzione sono date da questi equilibri che si scompongono o si ricompongono; egli poi riconosce che in questo montaggio (e quasi smontaggio di se stesso), la conoscenza si amplia e che questo avvicinamento a Dio è un avvicinamento ideale che si trasforma in una più amplificata conoscenza di Dio stesso. (CDA 3/1986 pagg. 78-79).

  “Così la pace, l’equilibrio si conseguono assolvendo al proprio impegno verso la crescita interiore” (CDA 6/1986 pag. 210), ed in questo processo di crescita continua, ci accorgiamo che tutto è nella nostra interiorità e che “in questa interiorità vi sono i punti di congiunzione con Dio”. Nel momento in cui si amplia il nostro quadro evolutivo di riferimento, si amplia automaticamente la conoscenza di Dio, perché Esso è in noi stessi, ma noi non siamo Dio”. (CDA 1/1986 pag. 25). In questo senso è da intendersi il processo evolutivo che si spinge verso un Dio infinito, autentica Forza dell’Universo.

    Il lettore si renda ben conto, a questo punto, che il Maestro svincola lo Spirito dalla dipendenza del ritorno o della contemplazione al Padre. Dio resta indubbiamente il modello e il Signore dell’Universo, ma lo spirito riacquista dignità ed autonomia poiché Dio non è un padrone del mondo nel senso oppressivo del giudice inesorabile presentatoci dalle religioni, ma semplicmente il Creatore a cui lo Spirito e la coscienza umana alzano i pensieri riconoscenti e devoti del figlio verso il padre.

    Tutto il resto, dice il Maestro, è un mistero per tutti e dunque nessuno abbia l’arroganza e la pretesa di definire Dio a propria “immagine e somiglianza”: almeno non in Terra. La riconoscenza e la devozione net confronti di Dio per Andrea non sono parole vuote, poiché devono significare l’uso equo della legge e il rispetto dell’ordine giusto insito nella creazione, anche perché, come il Maestro dice nel capitolo seguente, noi non abbiamo mai lasciato la “casa del Padre” e tutta la nostra esistenza si svolge in essa (anche questa di uomini), anche quando ce ne dimentichiamo.

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