Le proiezioni mentali come espressione del sistema “mentale”

Le proiezioni mentali come espressione del sistema “mentale”

In un passato recente, molti neuroscienziati si sono prefissi l’obiet-tivo di modulare la relazione mente-cervello come esito di un proces-so biochimico unitario che riconducesse l’una all’altro come due di-stinti aspetti di un’unica, identica realtà. E’ questo il contenuto della teoria dell’identità, sostenuta, tra gli altri, da Gerald Edelman (12), e, per contro, aspramente contestata da John Eccles tanto nel celebre The Self and Its Brain (1977) (13), scritto in collaborazione con Popper, quanto nel più recente How The Mind Controls Its Brain (1993). Senza entrare nel dettaglio delle tesi sostenute da Eccles, ritengo tuttavia che da esse si possano cavare le seguenti conclusioni: 1. La mente è certamente resa possibile dall’attività neurocerebrale,

12 cfr. al riguardo: G.M. Edelman, The Remembered Present. A Biologi-cal Theory of Consciousness, Basic Books, New York 1989. Questo libro, uno dei più importanti contributi di Edelman alla decifrazione della relazione mind-body, è oggetto di una serrata disamina in How the Self Controls It.s. Brain, Springer Verlag, Berlin — New York — London — Tokyo 1993, pp. 33-36. Per una prima conoscenza del punto di vista di Edelman si veda: Sulla materia della mente (Briht Air, Brilliant Fire, On the Master of the Mind, New York 1992), trad. it. di E. Frediani, Adelphi, Milano 1993. Per la teoria dell’identità si veda il classico: H. Feigl, The ‘Mental’ and the Physieall Uni-versity Minnesota Press, Minneapolis 1967. 13 cfr. l’edizione italiana del libro: K. R. Popper, J.C. Eccles, L’Io e il suo cervello, 3 voli., trad. it. di G. Mininni (I) e di 13. Continenza (III), Armando, Roma 1991.

ma, proprio sotto il profilo neurobiologico, si manifesta come alcun-ché di decisamente distinto dal cervello sul quale agisce mediante unità elementari, biochimicamente pensabili, che Eccles chiama psi-coni (un termine che contrappunta la distinzione, e insieme la pari di-gnità e importanza, dai neuroni); 2. Proprio perché in linea di ipotesi e di evidenza osservazionale, gli psiconi sono, se non immediatamente apprezzabili, certo visualiz-zabili, esattamente come è legittimo parlare di un sistema neurocere-brale, lo S.N.C., parrebbe legittimo far discorso di un sistema mentale, le cui unità di base sono, per l’appunto, gli psiconi; 3. Caratteristica primaria di questo sistema è la sua duplice specu-larità: il sistema è speculare al cervello, di cui costituisce, per così di-re, l'” ombra”, rea è anche, e soprattutto, speculare a se stesso. Il sistema mentale è speculare al cervello, ín quanto i contenuti mentali, decodificati, vale a dire ricondotti alle operazioni neurocere-brali che li hanno posti in essere, costituiscono lo specchio in cui è possibile intravedere le modalità e le sequenze dell’attività neurocere-brale. In effetti, sotto il profilo osservazionale e mercé l’ausilio di esperienze mirate, il ricercatore, esaminando un contenuto mentale, è in grado di mettere a fuoco i centri e le modalità di produzione dell’at-tenzione, dell’intenzione, dell’apprendimento, della memoria, della ri-flessione, ecc., degli elementi cioè che costituiscono, insieme, l’alone e il fondamento di qualsiasi contenuto mentale. in questo senso il cer-vello è rispecchiato nella mente. Tuttavia, nel mentre l’indagine empirica può certamente mettere a fuoco le modalità di produzione del contenuto mentale, non può tutta-via evidenziarne in termini di elementi neurobiologici le componenti, non può, in altre parole, illustrarle altro che con un linguaggio discor-sivo, in altre parole al di fuori di qualsiasi prospettiva biochimica. Un atto di pensiero, per esempio la riflessione da me condotta sul discor-so che sto scrivendo, può essere ricostruito come la sintesi di opera-zioni neurocerebrali, ma il suo specifico contenuto — il discorso in sé —non è suscettibile d’essere rispecchiato. Ne consegue che se la mente è lo specchio del cervello, non ne riproduce tuttavia l’immagine, riflet-tendone unicamente l’ombra. Paradossalmente persino una tavola che, in un manuale di anatomia cerebrale, riproduca fedelmente e le strut-ture e le aree di produzione dell’attività mentale, non è affatto un’im-magine del cervello, giacché in essa mancano gli eventi neurobiologi-ci che siano in grado di riprodurre esattamente, riscontrandoli in ter-mini biochimici, tutti gli atti o eventi mentali che hanno permesso all’autore della tavola di costruirla. Come dire, in altre parole, che il cervel-lo illustrato nella tavola non ci restituisce l’immagine dell’organo ma ri-flette solo la sua ombra, proprio perché la tavola è l’esito non già di un’o-perazione unicamente neurocerebrale, ma anche e soprattutto mentale. L’impossibilità di operare il riscontro empirico del quid che costi-tuisce il nucleo del contenuto mentale, talché, come si è detto, questo è soltanto l’ombra, non l’immagine di un evento neurocerebrale, scatu-risce dal fatto che il quid in questione non è un evento neurobiologico, pur essendo reso possibile da tina nuvola di eventi neurobiologici, ma un evento mentale o, se si preferisce, una componente di un processo o sistema mentale. Il sistema mentale è inoltre speculare a se stesso. L’autospecularità consiste nel fatto che il quid dei contenuti mentali prodotti riflette l’in-tero processo che l’ha posto in essere. Stavolta, tuttavia, non si tratta di un’ombra, ma di un’immagine nitida e fedele, anche se richiede una certa attenzione per essere colta in pieno. Restando nell’esempio pri-ma proposto — la tavola che riproduce l’anatomia del cervello — l’im-magine che noi ne abbiamo non è tanto l’illustrazione veridica dell’or-gano (restando semplicemente quale ombra) quanto l’insieme dei quid, scientifici che hanno portato l’autore di un testo di anatomia neuroce-rebrale a costruire la tavola. E’ questa immagine, in qualche modo, una sintesi storica, un momento della storia della cultura delle neuro-scienze, che è suscettibile di essere ricostruita senza difficoltà. In que-sto senso l’autospecularità dei contenuti mentali è semplicemente quella che noi chiamiamo cultura e che Popper definiva Mondo 3, va-le a dire l’universo delle idee e dei libri (14). In quanto proiezione del quid dei contenuti mentali, la cultura co-stituisce: a) un’ulteriore amplificazione del sistema mentale che lo rende ir-raggiungibile dalla morte del singolo cervello; b) una memoria vivente dei processi che l’hanno posta in essere; c) la chiave dell’autonomia del sé e rispetto alla cosiddetta realtà esterna e rispetto al cervello, di cui il singolo individuo vivente può operare il controllo;

14 Un’eccellente spiegazione del come pervenne all’idea dei Mondi 1, 2, 3 è fornita dallo stesso Popper in: La ricerca non ha fine. Autobiografia in-tellettuale The Unended Quest, 1974), trad. it. di D. Antiseri, Armando, Roma 1976, pp. 192 e segg.

d) una serie di figurazioni con la quale il sé rappresenta la propria autonomia. In che cosa consistono queste figurazioni? Si tratta di archetipi an-tichissimi, che la civiltà umana conosce come Dio e creazione di tutte le cose dal nulla, l’uno e l’altra saldati in un nesso saldissimo dall’idea dell’immortalità dell’anima. Dal punto di vista della loro eventuale testabilità, queste figurazio-ni sono altrettanto “false ” quanto la sfinge o il drago, dal momento che non è possibile individuare un oggetto di cui siano l’immagine fe-dele, esattamente, come tutti sanno, non è possibile fornire prova del-l’esistenza di Dio. Invocare questa falsità è tuttavia improprio. Proprio perché non so-no immagini, ma figure, ci si deve chiedere non già che tipo di riscon-tro empirico possano avere, ma se il sé possa farne a meno. A quanto pare non può farne a meno, nel senso che il sé, creando queste figure, non fa altro che proiettare, facendone contenuti culturali, perciò stesso irragiungibili dalla morte del singolo cervello, la propria autonomia, l’autonomia del sistema mentale che, questa sì, è un dato reale e testa-bile empiricamente nel senso che le unità degli eventi mentali o psico-ni non sono confondibili con i neuroni. E’ certamente possibile definire Dio e la creazione dal nulla “super-stizioni” e tali sono se vengono assunte quali elementi di una religio positiva che indubbiamente “lega” — tale è del resto l’accezione origi-naria di religio — e impedisce la ricerca spregiudicata. Sono tuttavia “superstizioni” in un altro senso, quello intrinseco alla parola latina superstitio, che è il calco fedele del termine greco epistème, cioè della parola che indica “ciò che sta sopra alla conoscenza” e la rende possi-bile. “Dio” e “creazione dal nulla” sono forme di epistème, proiezioni del sistema mentale di cui denunciano l’autonomia. Ecco chiarito, spero, il senso della mia argomentazione. Essa si po-ne come il progetto di una nuova metafisica, che, operando il disse-questro di contenuti appropriati dalla teologia delle grandi religioni monoteistiche, invita a vederli e ad indagarli quali mere proiezioni del sé o sistema mentale.

Franco Voltaggio

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