REINCARNAZIONE E RINASCITA NEL BUDDHISMO

buddismo

VINCENZO PIGA

REINCARNAZIONE E RINASCITA NEL BUDDHISMO

Non si può affrontare il tema della reincarnazione e della rinascita in ambito buddhista senza partire da due premesse. La prima riguarda il cosiddetto “nobile silenzio” che il Buddha ha sempre mantenuto nei confronti dei problemi di ordine metafisico, compreso il quesito se avremo o no un’altra vita dopo la nostra morte (1). A questo silenzio il Buddha ha dedicato due famosi insegnamenti. In entrambi rispondeva a domande metafisiche di suoi discepoli. La risposta è stata: «Ho sempre detto che il mio insegnamento riguarda prima di tutto la sofferenza, in cui tutti sono coinvolti e da cui tutti cercano di liberarsi e, sulla base delle mie esperienze, ho potuto scoprire che è possibile liberarsi dalla sofferenza e ho indicato il sentiero che conduce a questa liberazione. Problemi come quello se l’Universo è finito o infinito, eterno o transitorio, oppure se c’è un’altra vita dopo la morte non sono mai stati e mai saranno affrontati dal mio insegnamento. Perché si tratta di problemi al di là delle nostre capacità di comprendere, tanto è vero che anche le persone più sagge danno ri-sposte diverse: chi sostiene che il mondo è infinito ed eterno e che c’è un’altra vita dopo la morte; e chi sostiene il contrario. Ma nessuno può dare la prova delle sue opinioni. È molto più utile interessarsi della nostra condizione attuale, riconoscere la sofferenza, scoprirne le cause, trovarne i rimedi». Per meglio chiarire il suo pensiero, il Buddha è ricorso ad una parabola: la parabola dell’arciere. «Facciamo l’esempio di un arciere che in battaglia viene colpito da una freccia avvelenata. I suoi compagni accorrono per estrargli la freccia e salvargli così la vita. E immaginiamo che l’arciere li fermi e dica loro: “Prima di togliermi la freccia, mi dovete dire com’era quello che me l’ha scagliata: se era alto, basso, magro, grasso, di pelle chiara o di pelle scura e com’era vestito”. Evidentemente, prima di trovare risposta a quelle domande, quell’arciere sarà morto avvelenato». Il Buddha dunque ha raccomandato ai suoi discepoli di non perdere tempo con questioni metafisiche e di occuparsi invece della propria

1) Leggere, al proposito, la precisazione di Aldo Mastroianni nell’intervento successivo.

mente, hic et nunc, per liberarla dalle contaminazioni che portano sofferenza. Poi, a mente serena, con un più alto grado di esperienza e di saggezza, si potrà anche affrontare il problema della reincarnazione. Esattamente, però, il buddhismo non parla di reincarnazione, ma di rinascita. Ed è questa la seconda premessa da fare. La reincarnazione comporta il trasferimento di una personalità (o meglio: la sua anima, il suo spirito) da un corpo a un altro, in una specie di trasmigrazione. Dire, ad esempio, che Giuseppe Garibaldi si reincarna, significa che ci sarà un nuovo Giuseppe Garibaldi con un nuovo corpo. Questo non è concepibile per il buddhismo, il quale afferma che un individuo è l’insieme di due diverse parti: un corpo e una mente. Cambiare corpo significa diventare un’altra persona. Il corpo, con la morte, si separa definitivamente dalla mente, avviandosi a un processo di decomposizione che lo porterà a confondersi con altri elementi materiali. La mente, invece, in quanto energia sopravvive alla morte e potrà o realizzare la definitiva liberazione dalla vita, entrando nello stato mentale chiamato Nirvana (ma questo succede, di rado, solo per persone che in vita abbiano raggiunto i più alti livelli spirituali); oppure, cosa più frequente, spinta da una forza intrinseca chiamata forza karmica, la mente rinascerà con un altro corpo. Ma il nuovo individuo non è più quello di prima, perché il suo corpo è diverso: se prima era maschio, può rinascere femmina; se prima era europeo, può rinascere africano; addirittura, se prima faceva parte del genere umano, può rinascere come animale. Tutto dipende dalla forza karmica presente nella mente e questa forza karmica è il risultato delle azioni (in sanscrito: karma) compiute dall’individuo durante la vita o le vite precedenti. Ad azioni positive corrisponderà una rinascita fortunata; ad azioni negative, una rinascita infelice. Toccherà una sorte o l’altra, secondo il buddhismo, non per l’intervento di qualche giudice divino, ma soltanto come automatica conseguenza delle azioni compiute durante la vita. Chi rinasce, quindi, non è la persona di prima, ma un altro soggetto. Si fa l’esempio della candela: immaginiamo una candela accesa che sta per consumarsi. Con la sua ultima fiamma, si accende una nuova candela che, evidentemente, non è quella di prima, ma non è nemmeno una cosa completamente diversa, perché la sua fiamma deriva dalla precedente candela. E un discorso molto sottile, che può essere compreso e assimilato soprattutto con lunghe riflessioni, quelle appunto che i buddhisti fanno con la loro principale pratica spirituale: la meditazione. Per comprendere meglio questo punto, bisogna tenere presente che il buddhismo nega l’esistenza nelle persone di qualunque cosa che abbia un carattere permanente. In noi tutto è temporaneo: come non è immortale il corpo, non è immortale nemmeno l’anima o, per usare il termine buddhista, la mente: che comprende tutti i fenomeni psichici, razionali ed emotivi, tanto che si parla anche di mente-cuore. Un individuo è per il buddhismo l’aggregazione provvisoria di diversi elementi (gli skandha), materiali (il corpo) e psichici (le sensazioni, la volontà, le percezioni, la coscienza, l’amore, l’odio, ecc.). Questi elementi hanno tutti la stessa sorte: nascono, vivono, si trasformano, muoiono. Non c’è nessuna cosa che rimanga identica in due momenti consecutivi. Panta rei , tutto scorre, aveva detto il filosofo greco Eraclito, contemporaneo del Buddha. Nel nuovo corpo, che si forma con l’amplesso dei genitori, entra una energia mentale, composta di molteplici elementi psichici, ognuno dei quali, condizionato dal karma, è costituito da una serie di impulsi, paragonabili alle onde elettriche e l’ultimo impulso della precedente esistenza produce il primo impulso della nuova esistenza, che — unito alle altre componenti psichiche — forma un fascio di energie psichiche che costituiscono la nuova mente. Ricordando l’esempio già fatto: la fiamma della candela che sta per spegnersi dà vita alla fiamma della nuova candela, che non è la stessa di prima, ma non è nemmeno completamente diversa. Il trait d’union tra le diverse vite è in genere chiamato continuum mentale, cioè un flusso che unisce un’esistenza all’altra, composto di parti in continuo cambiamento, come fossero un fa-scio di onde magnetiche. È come l’immagine di una cascata: sembra una massa d’acqua uniforme, ma in realtà si tratta di miliardi di goccioline che arrivano e se ne vanno. Così è la mente: un insieme di fenomeni psichici che continuamente si formano e svaniscono, come le nubi nel cielo. Al di là di questi singoli fenomeni, c’è il vuoto. Le tradizioni buddhiste non danno tutte la stessa importanza al problema della rinascita. Nello Zen e nelle scuole Theravada del sud-est asiatico si dà molta più importanza alla consapevolezza del presente, all’immergersi momento per momento nell’azione o nello stato mentale che si sta compiendo, per averne piena coscienza. Il buddhismo tibetano, invece, si è sempre molto interessato a quanto succede nella morte e nella rinascita. Il Libro tibetano dei morti descrive con molti dettagli questi eventi, individuando le otto fasi di quella che chiamiamo agonia e le vicende extracorporee dell’energia mentale, fino alla nuova nascita, preceduta da uno stadio intermedio di alcune settimane, tra la morte e la nuova vita, che viene chiamato bardo.

Ma c’è anche chi — come il vietnamita Thic Nhath Ilanh, uno dei più grandi maestri buddhisti in Occidente — mette in discussione l’idea stessa di nascita e di morte, sostenendo che si tratta di termini impropri perché la nascita sembra indicare il passaggio dal nulla all’essere e la morte il passaggio inverso dall’essere al nulla. E non è questo il processo reale, perché, in entrambi i casi, si tratta più esattamente di nuova manifestazione: una gallina assimila alimenti che, in parte, si manifestano come uovo e l’uovo, se fecondato, si manifesta in gallina; questa, quindi, non viene dal nulla, ma da un uovo, e, a sua volta, potrà manifestarsi in un altro uovo e questo, se fecondato, in una nuova gallina e così via. Un fiore non viene dal nulla, ma si manifesta dal seme di un altro fiore; e non torna al nulla ma si trasforma in humus che a sua volta produce nuove manifestazioni di fiori. Bisogna inserire il concetto buddhista di rinascita in questa visione generale della interdipendenza di tutti i fenomeni, superando l’errata concezione di fenomeni separati, con una propria esistenza intrinseca. Nessun oggetto esiste autonomamente, ma solo in dipendenza da altri oggetti, in un rapporto di causa ed effetto che lega tra di loro tutti i fenomeni interni (della nostra mente) e tutti i fenomeni esterni (del mondo che ci circonda, dalle cose più vicine fino alle più lontane formazioni del cosmo). L’idea buddhista di rinascita contribuisce a rinsaldare il nostro legame con la natura e con tutti gli esseri viventi. In epoche passate, ognuno di noi può avere avuto rapporti con qualsiasi altra persona vivente o vissuta e questo concetto deve indurci a considerare gli altri non come estranei, ma come amici e familiari, rafforzando quella fraternità e benevolenza che, secondo il buddhismo, in un tempo più o meno lontano, simbolicamente indicato come l’avvento di Maitreya, il futuro Buddha, potranno estendersi a tutto il pianeta e offrire a tutta l’umanità, anzi, a tutti gli esseri viventi, un’era di pace.

This article has 1 Comment

  1. Mi piace la concezione di familiarità fra le persone.peccato che si fermi allo stato terrestre e non faccia un salto di qualità e non sappiamo vedere oltre il segno la Presenza di Dio in tutte le cose e che tutto fa tendere a lui

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *