MA COS’E’ QUESTO DIO?

Dioblog

(Da: Corrado Piancastelli, Nel segno del Padre (Piccola guida per il credente imperfetto), Monografia CIP, Napoli, 1995, pag. 9-11)

Se esiste una funzione o una forza o una qualità o uno stato di coscienza che ci rende «Io», vale a dire ciò che siamo in questo momento, e se riconosciamo che anche l’altro è nella medesima situazione e ne ammettiamo l’esistenza nonostante la sua assenza, perché non dovrebbe, per gli stessi identici motivi, esistere lo straordinario sognoche chiamiamo Dio?

                                                                                      Corrado Piancastelli

MA COS’E’ QUESTO DIO?

    La domanda «ma cos’è questo Dio» è una di quelle alla quale solo un millantatore o un imbecille saprebbe dare una risposta certa ed esauriente. Una persona equilibrata e saggia, invece, non potrebbe produrre che ipotesi, ambiguità, dubbi, discorsi al limite della iperbole, frammenti e guizzi intuitivi: mai certezze, mai teoremi, e soprattutto nessuna garanzia. Questo libro (Nel segno del Padre), in omaggio all’intelligenza, vuole essere, quindi, solo un discorso a metà che viene costruito come percorso di una mappa della quale non si intravedono né i contorni, né gli accessi, ma solo trasparenze di un bisogno interiore che spinge all’origine del pensiero: che per me almeno, si mostra nella epoché filosofica e nella metafora della poesia. In tale modo l’interrogazione «cos’è questo Dio?», diventa una sorta di «caccia al tesoro» di cui non è strettamente necessario né raggiungere né ritirare il premio, ma solo identificare qualche percorso. Queste prime pagine si presentano allora, con tre frammenti di discorso; “cos’è Dio?” dal punto di vista letterario, la formula del terzo escluso e il principio dell’epoché. Naturalmente tante e tante altre premesse si potrebbero fare: tuttavia, siccome uno dei problemi, trattando un tema di questa grandezza, è quello della semplificazione (ove possibile: e non sempre lo è!) meglio correre il rischio della riduzione che quello che sovrabbondanza che, spesso, anziché chiarire complica la testa specie di chi non fa professione di filosofia (ammesso che la filosofia sia una professione!) o di meditazione (se per meditazione si intende l’abbandono e non certo la concentrazione!)

DUNQUE DIO: ma chi é?

    Siccome nessuno sa chi realmente sia e se realmente c’è, si intende per Dio l’Essere più grande che si possa (umanamente) concepire o sulla base del ragionamento filosofico o sulla fede o su quella di rivelazioni di maestri spirituali. Le prove esposte dalla filosofia, dalla teologia, dalla fede o dalle rivelazioni si dividono in prove:

a) costruite sui fatti d’esperienza e di desiderio: bisogno di perfezione, bisogno di dipendenza, bisogno d’amore, di salvezza, di redenzione, di protezione.

In un certo senso Dio potrebbe essere la proiezione di un desiderio del padre: forse un desiderio che nasce dalla natura interiore del-l’uomo, una natura che reclama un contatto perduto con la nascita e che l’Anima ritrova attraverso il desiderio.

b) fondate su fatti della storia religiosa (consensum gcntium) e su postulati morali: istinto per un bene assoluto, bisogno di una giustizia ultima, coscienza, senso del dovere, necessità di dare una paternità oggettuale alla moralità eccetera.

c) su postulati della ragione come gli argomenti filosofici, cosmologici, fisico-teologico, ontologici, teleologici e l’inconcepibilità del contrario. Circa la natura di Dio ci si sofferma sugli attributi e non sulla sua struttura costitutiva. Questi attributi, da parte dei pensatori, vengono considerati di tipo impersonale (panteismo) o personali (teismo) ed elevati ai più alti gradi superlativi: eterno, onnisciente, giustizia infinita, bontà infinita eccetera. Una visione di Dio che, per esempio, reclama una fede cieca, credenza nei miracoli, oppure contenuti antropomorfici (profili storici e biografici di Dio e della creazione) sono considerati di carattere teologico e non metafisico, poiché la metafisica è trattata dai filosofi (non cattolici) in modo sufficientemente scientifico sul piano logico e non su quello della fede.

    Il problema è, comunque, di una eccezionale complessità perchè, contrariamente all’opinione degli scolastici (teologi che condividono una produzione filosofica teologica e scientifica di origine medioevale, impostata intorno al cristianesimo) di Dio si dovrebbe parlare -senza mai nominarlo – solo per analogia, come sostiene il pensiero orientale specialmente orientato sullo Zen, poiché per via diretta tutto ciò che si afferma sulla natura strutturale di Dio non può che essere falso.

    Secondo lo Zen, infatti, non c’è che il Tao e il Tao è una via: può essere trasmesso ma non può essere ricevuto. Può essere raggiunto ma non può essere visto. Come ha detto Chuang Tzù, il Tao è in una formica, in un coccio, in un escremento. «Il Tao che può essere espresso in parole – diceva Lao Tzù – non è l’eterno Tao».

   Ad ogni buon conto la figura di Dio non esiste in queste filosofie, ma anche nel cristianesimo Dio resta l’Essere di cui non si può parlare. Lo sostengono i principali padri della stessa teologia e il cristianesimo

lo ha dovuto adottare – essendo una religione ritualistica – il credo della Trinità per dare un senso materiale al rituale (non meditativo ma orante) dei propri fedeli.

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