PERCHÉ NON SI PUO DIMOSTRARE, COL METODO SCIENTIFICO, LA NOSTRA INTERIORITÀ
La meccanica quantistica si basa sulla cosiddetta interpretazione di Copenaghen che fu elaborata da Bohr e da Heisenberg alla fine degli ormai già lontani anni venti. E, tuttavia, un modello ancora seguito. Henry Stapp, dell’Università della California (S. Matrix, Interpretazion of Quantum Theory, in Physical, D3, 1971) chiarisce questo modello cominciando a stabilire che la fisica di Copenaghen divide il mondo fisico in un sistema osservato (l’oggetto) e un sistema osservatore (il soggetto che studia). Sembra una cosa ovvia, ma questo principio ha capovolto l’intero materialismo causazionale! Ora, il sistema osservato può essere di qualsiasi tipo, un atomo, un processo atomico, una struttura pensante, mentre quello osservatore è non solo costituito dall’apparato tecnico-sperimentale (cioé dalle macchine e dalla strumentazione di rilevamento), ma può comprendere uno o più osservatori umani: inoltre i dati ottenuti passano attraverso l’interpretazione del soggetto umano anche nei casi in cui viene usato il computer.
Tuttavia la difficoltà nasce dal fatto che il sistema osservatore della strumentazione viene giustamente descritto coi termini della fisica classica, ma nello stesso modo viene descritto sia il sistema osservato (l’atomo e la struttura pesante nel caso si analizzi il cervello) che l’osservatore, mentre noi sappiamo che con il linguaggio e con la fisica classica non possiamo descrivere ciò che è al livello atomico e tanto meno il soggetto umano che osserva. «Ma non c’è modo per sfuggire a questo paradosso — dice Fritjor Capra (Il Tao della fisica, Adelphi, 1975) — poiché il linguaggio della fisica classica è soltanto una affinamento del nostro linguaggio quotidiano ed è l’unico che abbiamo per comunicare i nostri risultati sperimentali».
Del resto la polemica fra metodo scientifico e ricerca urnanistica è vecchia e cominciò, contemporaneamente alla rivoluzione scientifica, con Cartesio. Oggi la maggior parte degli studiosi tenta di ridurre l’interiorità umana (ed, in particolare, la sfera cosiddetta spirituale) ad una reazione dei neuroni. Tuttavia non esiste alcuna dimostrazione che la sfera soggettiva e spirituale sia prodotta da interazioni chimiche e biolettriche. In realtà trattare l’interiorità col metodo scientifico è un errore di metodo, poichè questo metodo può solo studiare ciò che è soggetto al principio di causa-effetto, cioè la cosiddetta materia dura. Eccles addirittura definisce «superstizioso il metodo materialistico di ridurre la spiritualità ad espressione di attività neuronale.
E in conclusione, mentre possiamo sicuramente dimostrare (e sostenere) che è attraverso il cervello che si manifesta ciò che chiamiamo pensiero, non è possibile a nessuno sostenere che il contenuto del pensiero provenga interamente dal cervello: vi sono, del pensiero, frange superiori che non si possono ridurre al rapporto causa-effetto. In altre parole le differenze fra la Natura e la Mente superiore sono tante e tali da renderne estremamente ardua la loro promiscuità e correlazione.
In un recente articolo il teologo (e saggista politologo) Gianni Baget Bozzo (Repubblica, 17-6-94) chiama in causa anche i teologi che si interessano poco dell’Anima. «Dovrebbe essere il loro maggiore problema — scrive Baget Bozzo. Ma essi hanno assunto come principio che legittimo è solo quel pensiero che non contraddice le scienze occidentali. Con l’accettare questo limite, essi fanno della teologia una mera storia delle dottrine e annullano il fondamento del loro oggetto. È questa una silenziosa rivincita dell’anima».
C.P.