Judith HooperlDic Teresi (1) 1) da «L’universo della mente», Bompiani, 1987
ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
«Sta sognando ora», disse Tweedledee. «E cosa pensi che stia sognando?» Alice rispose: «Nessuno lo può sapere». «Perché? Sogna te! esclamò Tweedlelee, battendo le mani con aria di trionfo. «E se cessasse di sognarti, dove pensi che ti troveresti tu?» «Dove sono adesso, naturalmente», disse Alice «Proprio no!» ribattè Tweedledee sprezzantemente. «Tu non saresti in nessun luogo. Perché tu sei semplicemente una specie di cosa nel suo sogno!» «Se il Re dovesse svegliarsi», aggiunse Tweedledum, «tu ti spegneresti…burn!…proprio come una candela!» «Nemmeno per sogno!» esclamò Alice indignata. «Inoltre, se io sono soltanto una specie di cosa nel suo sogno, mi piacerebbe sapere che cosa siete voi…» «Idem», disse Tweedledum… «Io sono vera!» disse Alice, e si mise a piangere
Lewis Carroll. Dietro lo specchio
«Il sogno del Re Rosso è una sala degli specchi metafisica. Alice, essendo una pragmatista di sette anni e mezzo, adotta la posizione «realista-ingenua» del senso comune: Io sono vera!» Alice accetta tutto ciò che percepisce, compreso il russante Re Rosso, come oggetti solidi in un mondo solido. Essa «sa» di essere una creatura reale, senziente, di nome Alice, esattamente come Descartes sapeva di essere un «io» pensante. Tweedledee e Tweedledum, d’altra parte, sono discepoli del vescovo Berkeley, per cui tutti i fenomeni materiali erano solo «specie di cose» nella mente di Dio, il Grande Sognatore Lassù in Cielo.
La difficoltà per Alice consiste nel fatto che nulla di ciò che può fare, neppure le sue lacrime «reali», salate, possono liberarla dalla sua dolorosa posizione esistenziale. Essa viene informata di essere solo una finzione nel sogno del Re Rosso, e nessuno può dimostrare che non sia così. Inoltre, il suo intero mondo dello specchio — Re, Tweedledee e Tweedledum, e il personaggio onirico della stessa Alice — esiste in un sogno di Alice. (Di qui la sua replica: «Se io sono soltanto una [tale] specie di cosa… mi piacerebbe sapere che cosa siete voi…») Nel racconto dello specchio, il problema di chi sogna e di chi è sognato riecheggia all’infinito.
«Una sorta di regresso infinito è implicato qui nei sogni paralleli di Alice e del Re Rosso», scrive il filosofo-matematico Martin Gardner nella sua edizione commentata di Alice nel Paese delle meraviglie. «Alice sogna il Re, che sogna Alice, che sogna il Re e cosi via, come due specchi posti l’uno di fronte all’altro, o quell’assurda vignetta di Saul Steinberg in cui una grassa signora dipinge un’immagine di un’esile signora che dipinge un’immagine della grassa signora che dipinge un’immagine dell’esile signora, e cosi via sempre più in profondità nelle due tele».
Il lettore (che è un realista del senso comune) dirà forse che questo è un gioco per filosofi stanchi del mondo. Io so di esistere, e fuori di noi c’è un mondo sulla cui esistenza noi tutti concordiamo, e tutti — tranne forse la povera zia Sadie, che è scesa dalla culla vent’anni fa e da allora in poi ha sempre ricevuto cartoline da Enrico VIII per il giorno di San Valentino conoscono la differenza fra i sogni e la realtà.
Se io sbatto contro una porta vera mi faccio un bernoccolo in testa, ma una porta nel sogno può essere cosi inconsistente che io posso passare attraverso di essa come un fantasma. Inoltre il mio sogno è il mio proprio cosmo privato, mentre tu e io e il giardiniere vediamo che il mio prato ha bisogno di essere liberato dalle erbacce.
Eppure, come attestano gli onironauti di Stephen La Berge, esistono differenze chiare e palpabili fra un sogno (in cui volare e manipolare in qualsiasi modo il tempo e lo spazio) e la «realtà», con le sue crude e ineluttabili leggi fisiche.
Ma consideriamo il dilemma di Chuang-tzu, il filosofo cinese (contemporaneo di Platone) che sognava di essere una farfalla, e poi si svegliò e chiese a se stesso: «Sono un uomo che sogna di essere una farfalla o una farfalla che sogna di essere un uomo?» «Chuang-tzu, come Alice, si trovò di fronte alla possibilità che la comune vita di veglia, e non il sogno, potesse essere l’interludio irreale. Si dà il caso che questa sia una dottrina che il popolo senoi della Malaysia, che attribuisce più importanza ai sogni che alla «vita reale», considera un vero articolo di fede. Molte culture vedono nei sogni una realtà separata — parallela al nostro normale mondo di veglia — nella quale si può comunicare con gli dèi, gli spiriti e gli antenati defunti.
Va bene, rispondete, ma che dire del fatto che noi tutti da svegli percepiamo lo stesso mondo? In realtà, non sperimentiamo necessariamente proprio lo stesso mondo (il tuo «nero» e il mio «nero» possono essere del tutto diversi), ma siamo d’accordo su un numero sufficiente dei suoi caratteri fisici per poter costruire una «storia» coerente.
Fin qui tutto bene. Ci rimane però ancora la possibilità sconvolgente che quest’intero universo, dagli strani oggetti celesti noti come buchi neri sino ai non meno bizzarri quark, sia un grandioso «sogno» collettivo.
Forse noi lo percepiamo come lo percepiamo solo perché il cervello dell’Homo sapiens è costruito come è costruito. Ricordiamo come Ron Siegel attribuisse la somiglianza di tutte le visioni peritanatiche ai circuiti neurali comuni agli esseri umani. Nello stesso modo, potremmo rifiutare come un’allucinazione di massa anche la «realtà»? Forse un cervello divino, o un cervello extraterrestre che fosse passato per un’evoluzione diversa dalla nostra, «costruirebbe» un universo differente. Se i delfini del dottor Lilly potessero dirci come funziona il loro mondo, lo troveremmo simile o diverso dal nostro?»
H/D.T