Riconoscere la propria interiorità è difficile
«…L’Anima divina, ciò che oltrepassa il corpo e dentro la quale si cela lo Spirito, non è cosa che possa essere riconosciuta se non attraverso un lungo interiore cammino.
Non esiste alcuna possibilità di vedere, di sentire o di capire, senza attraversare quello che Cristo chiamava il deserto, e cioè la via che può essere a volte dolorosa, a volte pietosa, a volte anche felice. Non è possibile accedere alla convinzione interiore, alla persuasione interiore, senza il logorio della ricerca personale.
Eppure nonostante un interrogare che è secolare, la via è sempre stata la stessa. Allora mi è stato chiesto: ma perché Dio non dà prove certe della sua esistenza? Perché Dio non assicura gli uomini che Egli c’è? Perché, in qualche misura, non consola direttamente attraverso un qualsivoglia modo di apparire, di farsi ascoltare dall’uomo?
lo credo che Dio di segni ne abbia sempre dati, ma l’uomo è sempre partito dal presupposto che gli sia dovuto, in qualche modo, tutto quello che, invece, è soltanto la conseguenza di un lavoro interiore, in quanto il segno, il segnale di altre esistenze viene all’uomo dal superamento della materia, cioè dal superamento della concezione che lo lega al mondo della natura. D’altra parte non vi si chiede l’abbandono di questa concezione materiale, perché essendo uomini vivete la condizione della Terra e quindi, quella della materia, ma vi si chiede di aprire almeno una parte di voi stessi al beneficio della illuminazione, della conoscenza, del dischiaramento.
Sulla Terra muoiono continuamente esseri umani, ogni momento, in ogni istante. Non ricorrerò ad immagini trite, ma certo devo ricordarvi che in pochi minuti muoiono centinaia di persone, di qualsiasi età, sesso, razza, credenza, religione, e nel contempo altri vengono. Voi stessi siete nel mezzo di questa nascita e di questa morte.
Voi vi chiedete sempre, quando le persone muoiono, perché sono morte. Non chiedete mai di quelle che nascono perché sono nate.
Eppure le due domande si equivalgono, nel senso che il significato che appare sullo sfondo è lo stesso: qualcuno si aggiunge, qualcuno viene sottratto; voi stessi siete assoggettati a tutto questo. Potreste voi essere morti e quelli che sono già morti essere ancora vivi, ed essere loro a porsi la stessa domanda del perché essi sono vivi e gli altri, invece, sono morti. Ad essi io direi le stesse cose che sto dicendo a voi in questo momento.
La presenza dello Spirito nel corpo (e, dunque, la presenza dell’essere vivente sulla Terra) è soltanto funzionale allo Spirito.
Noi cioè ci incarniamo e viviamo sulla Terra utilizzando i corpi perché questi servono a noi Spiriti… Nasciamo, ci incarniamo, facciamo le esperienze che abbiamo prescelto e stabilite per il tempo della nostra vita umana, per poi ritornare, lasciando i corpi, così come voi lasciate di sera gli abiti sporchi, strappati e usati.
La vita fisica è un prestito, è un’occasione di esperienza, è un tempo temporalmente breve o brevissimo; entro questi momenti alcuni se ne vanno prima, altri dopo, così come alcuni vengono prima ed altri vengono dopo: quelli cioè che non essendo ancora nati sono in attesa di venire tra voi sapendo che dovranno poi morire.
Il senso di questo discorso è di farvi riflettere sulla impossibilità da parte dell’uomo di fermare, di bloccare lo Spirito, cioè di vederlo come si possono vedere le cose della natura. Lo Spirito non appartiene alla natura, almeno non nel senso consueto della natura, e dunque va ricercato su un altro piano, e quando si trova quel piano (che è interiore) allora entrate nella convinzione, nella certezza, nella sicurezza di possedere a livello di percezione, ma anche a livello di intelligenza, questa cosa che è il senso della vostra immortalità, cioè di possedere questo Spirito immortale dentro di voi.
Voi siete presi dai dubbi nelle mille occasioni della vita, quando avete i grandi dolori, quando meditate, quando sembra che la scienza dimostri tutto con la materia e che, dunque, lo Spirito, le filosofie, le metafisiche, le religioni, la religiosità siano poste in un canto, che il senso della vita si riduca al ridicolo, o alla banalità degli atti quotidiani. Siete presi dal tormento che il senso della vita sia tutto sulla vostra Terra e che, dunque, poi, dopo la morte, chi lo sa se tutto quello che «A» o altri profeti, maestri, fondatori di religioni dicono, esista veramente… E io ho risposto che, certo, diventando Spiriti voi diventate un’altra cosa, certo non avrete più una vostra identità sociale come la conoscete oggi, non avrete un nome ed un cognome, non avrete più la parola, la voce, la storia che si lega soltanto ai corpi, alla società.
Avrete, però, soprattutto quello che voi oggi intuite e desiderate nel vostro essere interiore e che ora non sapete riconoscere.
È la parte apparentemente diversa che coincide con la parte migliore e autentica di voi, quella che voi oggi non potete manifestare perché siete presi dal ritmo delle cose quotidiane, dal ritmo della società, del mondo, delle leggi umane.
Le qualità interiori che percepite non le manifestate: sono i segni dell’amore, della riconoscenza, le intuizioni del bene e dell’amicizia o le intuizioni dell’altruismo: percezioni tutte interne che a volte avvertite e che non riuscite a decodificare.
Questo soprattutto sarà il vostro Spirito, questa è la parte che sopravviverà, cioè la parte che non è stata tradotta nel linguaggio dell’uomo: lì è lo Spirito.
Certo appariranno le diversità e vi sembreranno sconosciuti financo gli esseri spirituali perché fatti così diversamente da voi, cioè da come li immaginavate da uomini. Ma ricordatevi che anche voi, oggi, in quanto viventi, avvertite che le vostre percezioni ed intuizioni migliori sono quelle che avete dentro e che, anche se non riuscite a portarle fuori, le percepite a livello di bellezza interiore, di desiderio, di ineffabilità, di non scritto, di non linguisticamente esposto: sono questi i segni del vostro Spirito.
Il vostro Spirito non è nelle parole che definiscono lo Spirito.
Il vostro Spirito è nel senso della vostra profondità, quella che percepite in quei rari momenti in cui riuscite a sentirvi, ad autopercepirvi. Ed allora, entro queste linee, voi e noi creiamo la lunghezza d’onda; entro queste linee io percepisco voi e voi potete percepire me, perché il contatto spirituale avviene quando si decodifica la persona e di questa persona si intuiscono altre tracce, altri segni, altri segnali.
Voi non avete per noi un nome ed un cognome, non siete maschi e femmine, alti e bassi, grassi o magri, belli o brutti, giovani o vecchi. Voi non siete il vostro linguaggio, le parole che dite, la lingua che usate, il vocabolario che possedete, la vostra cultura o la vostra ignoranza, il vostro carattere buono o cattivo, angosciato o felice, sadico o masochista. Voi non siete tutto questo, questa non è la vostra realtà.
La vostra realtà è un’altra; è costituita da quelle linee che non sapete definire, ma che dentro di voi riconoscete. Ad un’autoanalisi profonda, ad una vera meditazione su voi stessi, non vi riconoscete per le cose che ho elencate poco fa, ma per il senso del vostro possedimento interiore, per il senso di pienezza del vostro Io: vi riconoscete perché vi percepite, perché sentite di essere, cioè di possedervi, di conoscervi.
Il vostro Spirito, in un certo senso, è come se apparisse negli atti e pensieri mancati.
Questi pensieri mancati, che non sono diventati lingua, parola, vocabolario, comportamenti, cioè la parte autentica, interna, vera, questo è il vostro Spirito: uno Spirito che è intraducibile sul piano della Terra, ma che pure esiste dentro di voi.
Questo è ciò che sopravvive e, proprio su queste linee portanti voi incontrate quelli che se ne sono andati prima e anche quelli che sono ancora sulla Terra.
Il contatto in questo modo si universalizza, perché c’è un incontro di sostanze e non di forme, un incontro di percezioni e di intuizioni più che di parole.
Ecco perché noi diciamo sempre che non esiste sostanziale differenza tra voi e noi e tra voi ed i vostri trapassati; l’unica differenza, è purtroppo costituita dai corpi, ma dico contemporaneamente che i corpi, questi corpi, ci servono per poter svolgere le esperienza che avevamo deciso di fare.
In questo modo, se è vero che voi non riuscite a fare questa operazione di decodificazione, cioè a ritrovare la vostra interiorità, la vostra individualità, il vostro senso del superamento del tragico della materia (per entrare nel regno della tranquillità interiore e percepire altre solidarietà interiori), è anche vero che se voi riusciste a fare questo, allora diventereste come noi e noi su questo piano vi incontreremmo. In caso contrario saremo sempre divisi… La parola Spirito potete scriverla su una lavagna, in latino o in greco, in italiano o in inglese, ma resta sempre una scritta che significa Spirito. Il senso non è sulla lavagna non è nella parola Spirito scritta su una lavagna: il senso è altrove. Ed allora, quando voi pensate Dio o Spirito, pensate soltanto al loro segno grammaticale, o date un senso alle parole, cioè pensate anche agli altri attributi, alle qualità, all’astrattezza concreta, cioè alle qualità che denotano e connotano la parola Spirito o la parola Dio?
La connotazione e la denotazione sono il senso che voi date alla parola, il significato profondo che è accompagnato dalla percezione di ciò che la parola definisce, perché ogni esistenza si chiude e si riconosce — per voi uomini — soltanto con le parole, con la parola, con una parola. Ma la parola non è la cosa, la parola è soltanto il segno, la connotazione, il senso (convenzionale) che stiamo dando alla cosa.
Vi sto aiutando a capire come dovete pensare, come dovete pregare, come dovete riconoscere lo Spirito, i vostri cari, i vostri affetti, i vostri rapporti.
Non sono le parole, dunque, ma ciò che la parola definisce e ciò che è stato definito: quella è la verità, quello è il senso, quello è l’esistente.
La parola è una convenzione, una immaginazione creativa, un formalismo, un linguismo, un segno su una lavagna.
Ecco, dunque, che quando voi parlate di fede dovreste capire che cosa si intende per essa». (Racc. Lez. 17-1-1990).
Quando la vita viene osservata nella superficie è molto più facile credere che non esista una alternativa; l’alternativa c’è perché è già in voi, ma per trovarla bisogna che ci sia un lavoro personale a volte duro poiché nulla cade dal cielo. Infatti io non posso darvi una fede, ma solo aiutarvi a ragionare o anche a non ragionare, cioè abbandonarvi al vostro interno per capire cosa succede oltre il corpo ma attraverso un corpo… Io vi spingo continuamente ad entrare in questo laboratorio che elabora, che controbatte, che può anche avere i suoi dubbi, che ricerca consensi all’intemo di un discorso e, dunque, prove che non siano neppure i fenomeni dello Spirito sulla natura, ma che sia lo Spirito a risvegliarsi all’interno della natura; cioè che siate voi, in quanto Spiriti incarnati, viventi in un corpo, a riconoscervi come tali, cioè a definirvi come esseri che comunque sopravvivono, perché questa sopravvivenza non si lega soltanto alle metafisiche o alle religioni, ma al profondo convincimento che la propria appartenenza, il proprio riconoscimento è al di là del linguaggio che afferma, al di là delle teorie». (Lez. cit.)