L’intuizione ed i processi intuitivi

L’intuizione ed i processi intuitivi

Talvolta si accenna alla pazzia (come condizione contraria ad una struttura logica) perché proprio in questi aspetti dell’espressione umana cominciate a cogliere il discorso della alo- gicità e quindi potete riuscire ad immaginare quale sarà, ad esempio, la risposta o la possibile risposta del vostro interno quando, abbandonando gli schemi della realtà, penetrate sempre più in voi stessi, in un altro tipo di realtà, che è quella interiore, dove soprattutto agiscono le intuizioni, si muovono i processi intuitivi i quali — come si sa — non hanno mai la forma linguistica, ma sono percepiti e basta.

Spesso l’intuizione viene utilizzata, viene chiarita, cioè viene razionalizzata, allora la successiva sarà un po’ più alta e la procedura va avanti così. Se poi non si deve tradurre in un linguaggio razionale, è chiaro che il tutto resta esclusivamente intuito e, d’altra parte, non sempre è necessario razionalizzare l’intuizione, perché se uno ha uno scopo puramente esplorativo, meditativo, di sollievo, di distensione o di conoscenza interiore, non sempre la si può razionalizzare e no sempre è necessario farlo.

Naturalmente, nel linguaggio convenzionale, quando dite «ho la sensazione, ho la percezione», spesso vi riferite a fatti del sensorio, quindi non può esserci questo meccanismo intuitivo.

L’intuizione si produce ogni volta che voi sentite sorgere la risposta, l’afferramento di un’idea, di un concetto, di una verità; però, al di fuori di questa sorta di illuminazione, non sapete tradurre nemmeno a voi stessi ciò che avete percepito. Però di ciò che avete percepito voi siete certi che è la verità; ma spesso quando dite «percepito» intendete qualcosa di più materiale e, naturalmente, si può avere anche fluttuazione tra intuizione e percezione.

…Io sono d’accordo nel ritenere che il discorso interiore presuppone un esercizio. Io mi rendo conto che non è possibile che una persona cominci a parlare o a dialogare all’interno di se stesso se non abbandona le categorie razionali, e lo spazio ed il tempo circostanti. Una volta, quando erano più diffuse (specialmente in Oriente), le tecniche delle scuole religiose o filosofiche, si insegnava appunto a cogliere dentro se stessi una dimensione diversa… È impensabile che improvvisamente una persona si metta seduta e dica a se stessa: «Adesso interrogo la mia interiorità», una cosa del genere è impensabile. Si tratta pur sempre di un discorso che è conseguenza anzitutto di una modalità di vita, di una finalizzazione della vita, cioè dell’adoperare la vita per arrivare a capire ciò che è il mondo interiore…». (Lez. cit.)

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