UNA STORIA DI INTELLIGENZA

UNA STORIA DI INTELLIGENZA, PIU DEI FATTI, NON PROVA CIO CHE TENTA DI DIMOSTRARE?

Utopia e realtà di una impalcatura ipotetica, percorso funambolico e arduo attraverso il tempo, tentativi e fallimenti per afferrare l’Incomprensibile, il Paradossale, l’Immanifesto, lo Sconosciuto, l’Irraggiungibile, l’Indimostrabile; la storia di questa ricerca mostra anche, oltre lo sforzo intellettuale, il desiderio e il bisogno di raggiungere verità lucide e razionali al di là dell’emotività e della risposta culturale. Ma, come si dice nel titolo, questo immenso dispiegamento di intelligentia non prova che dalla pura materia non potrebbe mai dispiegarsi una simile qualità speculativa? E dunque non conferma proprio ciò che tenta di dimostrare?

Aristotele (sintesi)

La teologia di Aristotele si fonda sulla distinzione tra potenza e atto.

Ciò che è potenziale diventa atto solo sotto l’azione di qualcosa che è già in atto: un corpo caldo si raffredda se viene immesso in una atmosfera fredda.

Per spiegare il moto dell’universo bisogna quindi supporre l’esistenza di un motore primo il quale deve necessariamente essere continuamente in atto altrimenti avrebbe bisogno di un altro ente per essere posto in atto. Pertanto questo primo motore deve essere immmobile, eterno e immutabile, ma perché sia eterno questo primo motore immobile deve essere anche immateriale in quanto l’immaterialità lo preserva dalle trasformazioni e corruzioni delle cose materiali. Ma se ‘e immateriale, nella sua intrinseca essenza questo motore non può essere altro che pensiero. È questa l’opinione di Aristotele. É Dio questo motore primo: immobile, immateriale, pensiero che pensa solamente a se stesso, cioé pensiero di pensiero. (Libro XII, Metafisica)

La contraddizione di Anselmo d’Aosta

La tesi di Anselmo punta al disorientamento e alla contraddizione dell’avversario nel momento in cui comprende il significato dell’e-spressione «ente di cui non si può pensare il maggiore», ma neghi l’esistenza di questo ente.

Comprendendosi il significato di questa celebre frase, sostiene An-selmo, almeno nella mente questo ente deve esistere, ma è assurdo che, pensandolo, esista solo nella mente, dunque deve esistere anche nella realtà. Ma se oltre ad esistere nel pensiero, esistesse anche nella realtà, questo ente, nella realtà sarebbe maggiore dell’ente concepito solo nel pensiero, ma ciò sarebbe una contraddizione. Quindi è necessario ammettere che l’essere di cui non si può pensare il maggiore esista, contemporaneamente, sia nel pensiero che nella realtà. Se invece tale ente non esistesse, sarebbe un ente di cui si potrebbe pensare il maggiore.

Ultima versione di Descartes:

1) Nessuna causa sarebbe sufficiente a produrre Dio se Dio non esistesse e dunque la sua esistenza sarebbe impossibile.

2) Se nel definire Dio si ammette che in lui – e solo in lui – c’è la stessa causa che è responsabile della sua esistenza, allora è possibile che, causalmente, Dio esista.

3) Allora sicuramente Dio esiste.

4) Poichè la causa è interna a Dio stesso egli esiste sempre perché può esistere per forza propria.

Obiezione (che vale anche per Anselmo) di Samuel Werenfels (e altri):

«Forse che la rappresentazione nella mente di una divina immensa potenza porrà a far esistere Dio realmente e formalmente ardi fuori della mente?» (Judicium de Argomentu Cartesii pro existentia Dei perito eius idea. 1699).

E Tommaso d’Aquino:

“Perciò l’essere di cui non se ne può pensare uno maggiore non può non avere l’esistenza: perà nell’intelletto. Ma da ciò non segue che codesto essere esista nella realtà» (Somma Thcologiae).

Ancora Tommaso d’Aquino: Di Dio non possiamo mai sapere cosa sia ma solo cosa non sia (Somma).

Descartes

Cartesio sostiene l’esistenza di Dio con la prova dell’idea innata che noi possediamo intuitivamente al pari dell’innatezza delle essenze della matematica.

Per Cartesio una idea è innata quando sulla base di quella intuizione si può costruire una dimostrazione pervenendo a risultati conoscitivi che non erano nell’idea di partenza. (V Meditazione).

Ma questo ragionamento per dimostrare a priori l’esistenza di Dio non si può considerare efficiente.

Dirà F. Suarez:

«Per dimostrare che Dio esiste, non è sufficiente mostrare che in natura si dà un certo ente necessario, e per sè, se non si prova anche che esso è unico, e tale da essere la fonte di tutto l’essere, dal quale dipendono e ricevono tutte le cose che in qualche modo partecipano dell’essere». (Disp. Met. Disp. XXIX. V).

Scrive Emanuela Scribano:

«Quando dunqee si potrà dire di aver dimostrato che esiste Dio? Solo quando avremo dimostrato le caratteristiche dell’ente incausato, e avremo trovato che esse esauriscono tutte le caratteristiche contenute nel nome di Dio. Questo è possibile farlo in due modi: o a posteriore attraverso l’osservazione dell’ordine e dell’armonia del mondo, ossia utilizzando la quinta via tomista, oppure a priori, ossia deducendo, anche qui sul modello tomista, gli attributi di Dio dall’attributo, dimostrato a posteriori, dell’esistenza incausata». (L’esistenza di Dio, La-terza, 1994)

Tommaso

Dal punto di vista metafisico Tommaso dice che l’essenza è indi-stinta dall’esistenza. Tutto ciò che fa parte della catena causa-effetto ha una esistenza che è separata dall’essenza; ma Dio, se è causa prima e incausata, c costituito da una esistenza che è indistinta dall’essenza.

Vale a dire che l’esistenza di Dio coincide con ciò che Egli è come struttura interiore.

Risponde Arnauld:

«Se si domanda perchè Dio esiste, non bisogna rispondere; per mezzo della causa efficiente, ma solo: perchè è Dio, cioè un essere infinito. Se si domanda qual’è la sua causa efficiente, bisogna rispondere che non ne ha bisogno; ed infine, se si domanda perchè non ne ha bisogno, bisogna rispondere; perchè è un essere infinito, l’esistenza del quale è la sua essenza; poichè solo le cose nelle quali è possibile distinguere l’esistenza attuale dall’essenza, hanno bisogno di causa efficiente» (AT VII, p. 213, cfr. Tommaso, Summ Theologiae

Kant (rispondendo a Tommaso):

«So senz’altro che si viene attratti proprio verso la nozione di Dio, da cui si postula essere determinata la sua esistenza, ma è facile anche accorgersi che tutto ciò è a livello di idee, non di realtà. L’argomentazione procede così: se in un ente sono unite senza di-stinzione tutte le realtà, quell’ente esisterà; ma se sono solamente pensate unite, anche quella sua esistenza rimane a livello di idea. L’asserto dovrebbe formularsi, pertanto, piuttosto così: dal momento che ci andiamo formando la nozione di un ente che chiamiamo Dio, determiniamo tale nozione in modo tale che l’esistenza vi fosse pure inclusa. Se dunque quella nozione preconcetta è vera, è pure vero che Dio esiste. E ciò sia detto per coloro che sottoscrivono l’argomento cartesiano». (Nuova illustrazione dei principi della conoscenza metafisica, in «Scritti precritici»).

Successivamente, nella Critica della ragion pura, Kant definirà ar-bitraria la sola idea a priori di Dio, sconfessando ogni precedente riflessione: «Era qualcosa di affatto innaturale e una semplice invenzione dello spirito di scuola, volere da un’idea arbitrariamente abbozzata, ricavare l’esistenza dell’oggetto stesso ad essa corrispondente [ …]

E Leibniz:

«Le ragioni del mondo si trovano in qualcosa di extramondano, differente dalla catena degli stati o serie di cose, il cui aggregato costituisce il mondo. Pertanto dalla necessità fisica o ipotetica che determina nel mondo le cose che seguono a partire da quelle che precedono, si deve risalire a qualcosa che sia di una necessità assoluta o metafisica [ ….] la cui essenza, cioè, implichi l’esistenza». (De rerum originatione radicali, in «Saggi filosofici»).

Samucl Clarke:

«L’infinità, o immensità, o l’onnipresenza di Dio non possono es-sere provate altrimenti che attraverso la considerazione a priori della natura di una causa necessaria cd esistente per sè. I fenomeni finiti della natura provano, certo dimostrativamente a posteriori, che esiste un ente che ha sufficiente potere e saggezza per produrre e conservare tutti questi fenomeni. Ma che questo autore della natura sia egli stesso assolutamente immenso o infinito, non può essere provato attraverso i fenomeni finiti, ma deve essere dimostrato attraverso l’intrinseca natura di una esistenza necessaria» (Answer to the Seventh Letter, in S. Clarke, A Discotirse, cit.)

CUDWORTH

La diffusa opinione che afferma ipoteticamente l’esistenza di un ente perfettissimo che include nella sua essenza anche l’esistenza, porterebbe alla conclusione che se esiste un tale ente la sua esistenza non può dipendere da alcuna altra causa e quindi questo ente è eterno. (Cudworth, The True Intellectual System). Ma c’è un a priori che è ipotetico e non dimostrato. E c’è, onestamente, anche quest’altra congettura: potrebbe esistere (e lasciamo stare se chiamarlo Dio!) un ente che non sia causato da altro e che abbia in se stesso l’esistenza?

«Tutto ciò di cui possiamo farei un idea nelle nostre menti e che non implichi in alcun modo contraddizione, o esiste attualmente, oppure, se non esiste, è possibile che esista. Ma se Dio non esiste, è impossibile che esista in futuro, perciò esiste…Se Dio non esistesse, e potesse esistere in futuro, allora non sarebbe un ente eterno e necessariamente esistente, il che contraddice la sua idea». (op/cit)

Radicale ed esplicito Leibniz:

«Se definiamo Dio ente per sè, o ente dalla cui essenza segue l’esistenza ne segue questa conclusione memorabile: Se Dio è possibile, esiste in atto….

Poichè Dio è definito anche ente perfettissimo e l’esistenza fa parte delle perfezioni, anche di qui si deduce a ragione che Dio è l’ente la cui essenza implica l’esistenza» «(Demostratio quod Era necessarium existet, si est possibile»).

Leibniz sembra dare per certo che soltanto l’ente perfettissimo sia l’ente necessario:

«…se l’Essere necessario è possibile, esiste [….] quelli che pre-tendono che dai soli concetti, idee, definizoni o essenze possibili, non si possa mai inferire l’esistenza in atto, ricadono in effetti in quello che ho appena detto: cioè negano la possibilità dell’Essere per sè. Ma va notato che questa stessa considerazione serve a mostrare che essi hanno torto, ed a colmare il vuoto della dimostrazione. Infatti, se l’Essere per sè è impossibile, sono del pari impossibili tutti gli esseri che dipendono da altro, poichè essi non esistono se non in virtù dell’Essere per se; sicchè nulla potrebbe esistere. Questo ragionamento ci conduce ad un’altra importante proposizione modale, equivalente alla precedente, e che, unita con quella, completa la dimostrazione.

La si potrebbe enunciare così: se l’Essere necessario non esiste, non v’è alcun essere possibile. A quanto pare, questa dimostrazione non era stata portata tanto lungi, fin qui, ma io ho cercato anche altrove di dimostrare che l’essere perfetto è possibile». (Sulla dimostrazio-ne cartesiana).

Baumgarten:

«Questo mondo ha una causa efficiente extramondana, ed essa (cioè questa causa) è una sostanza necessaria. Quindi la sostanza necessaria è possibile. Se la sostanza necessaria è possibile, è attuale ed eterna. Dunque esiste una sostanza necessaria». (Metaphysica)

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Bisognerebbe, però, tener conto che una «causa» può essere logi-camente possibile, ma non che esista sicuramente. Ciò che è possi-bile non è detto che sia esisterne, perchè ciò che è possibile non necessariamente diventa atto. La possibilità può anche essere niente, finchè non ne è provata l’esistenza che la sottintende.

La linea costante dei ragionamenti intorno a Dio è fondata essen-zialmente sull’interpretazione (e prova di realtà) di una causa prima vista come essenza che implica l’esistenza. Ma sull’identità di questa causa (che i teisti chiamano Dio) non c’è accordo. Con Cartesio e dopo Cartesio il ventaglio si apre sullo scenario dell’ente logicamente necessario e cioè sulla metafisica dogmatica. Come dimostrare che una causa prima sia Dio? Ancora una volta i filosofi alludono ad una esistenza necessaria, contrassegnata dagli attributi di unicità, eternità, infinità, onnipresenza: tutti ricavabili analizzando la nozione di esistenza necessaria. Questa sarebbe una prova a priori le cui intrinseche attribuzioni non è neppure difficile dimostrare. Ma, a parte il fatto che resta indimostrata proprio l’esi-stenza della causa prima, non è detto che essa sia libera e intelli-gente. Se non lo è, questa causa prima sarebbe solo una forza condizionata. Per sorreggere questo discorso bisognerà allora utilizzare le prove a posteriori, per esempio analizzare l’ordine finalizzato dell’universo.

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Poetico e razionale, nel contempo, è l’afflato di William Wollaston:

«Un tale Essere è al di sopra di tutte le cose che sono oggetto della nostra conoscenza e perciò il modo della sua esistenza è al di sopra di ogni nostro concetto. Perchè egli è un ente necessariamente esistente, ma niente di ciò che possiamo comprendere è di tal genere. Non conosciamo alcun essere che non sia possibile immaginare non esistente senza alcuna contraddizione e ripugnanza nella sua natura; non ne conosciamo alcuno, eccetto questo Essere. Infatti, riguardo ad esso, co-nosciamo col ragionamento che ci deve essere un ente di cui non si può supporre la non esistenza con la stessa certezza con cui sappiamo che c’è qualcosa, pur non potendo conoscerlo, nè conoscere come esista». (The Religion of Nature delineatedi London, .1724).

Looke, rispondendo a Cartesio sul principio di causalità, crea un nuovo sconcerto:

«Ogni cosa deve avere una causa [……] questo non è un vero principio della ragione, e neppure una proposizione vera. Al contrario: [ ……] Ogni cosa che ha un inizio deve avere una causa, questo è un vero principio della ragione […. ] L’idea dell’esistenza eterna e l’idea di avere una causa [….] sono incompatibili se riferite alla stessa cosa» (A letter to the Right Rev. Edward Lord Bishop Worce-ster…)

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In filosofia è sempre mancata «un’argomentazione direttamente fi-nalizzata a provare l’unicità di Dio». (E. Seribano, op. cit.).

Waterland:

«Non vi è nessuna contraddizione (….) nel supporre la non esistenza di un Dio: infatti, non vediamo a priori perchè egli deve esistere; non ne vediamo alcuna causa; ma, al contrario, percepiamo che Egli è assolutamente privo di causa»:

( A Dissertation upon the Argoment a Priori).

Hume:

«Le proprietà che rendono necessariamente esistente qualcosa, so-no ora, per definizione, inaccessibili all’intelligenza umana». «Tutto ciò che concepiamo come esistente, lo possiamo anche concepire come non esistente. Non c’è dunque un Essere la cui esistenza implica contraddizione. (Dialogues)

Ma, scrive Cudworth:

«Premesso che senza alcun dubbio qualcosa è esistito dall’eternità, senza inizio, [ …] la sola questione fra i teisti e gli atei […] è se questa cosa sia un ‘ente perfetto o imperfetto».

«Tutte le nature alla cui perfezione manca qualcosa, non esistono necessariamente, ma di per sè possono tanto essere, quanto non essere. Da ciò si conclude che nessuna cosa comprende nella propria natura la necessità di esistere se non quella (nisi neam) che è perfettissima sotto tutti i rispetti [… ] che qualcosa sia esistito naturalmente e necessariamente da tutta l’eternità senza alcun principio. Quel che è esistito eternamente in tal modo deve contenere nella sua stessa natura la necessità di esistere. Quel che c tale per natura, non può non essere perfettissimo (id non potest non perfectissirnum esse). (The True Intellectual System)

Spinoza:

Gli enti finiti non hanno sostanza perchè ciascuno deriva da un al-tro. Solo Dio è causa di se stesso e, naturalmente, è causa anche degli enti finiti. Dio, dice Spinoza, è potenza e produttività infinita ma questa capacità non produce una creazione libera, ma una causalità obbligata, che toglie a Dio ogni autonomia. Supporre che Dio sia un essere che dispieghi volontà, libertà e intelletto, si ponga lfni e programmi e decida quando creare o non creare, cioè dotato di libero arbitrio, è una grossolana proiezione antropomorfica dell’uomo. Dio viene paragonato alla matematica. Questa non ha fini, ma Solo convenzioni necessarie; lo stesso dicasi per la natura, che è meccanicistica. Tuttavia nel Dio di Spinoza la necessità coinciderebbe con la libertà, nel senso che essere libero s’intende ciò che è determinato ad agire dalla necessità della propria natura e non da altro. Secondo Spinoza è libero chi agisce sulla base del proprio bisogno o necessità e non perchè l’atto sia l’effetto di una causa posta fuori di sè.

In questo modo si spiegherebbe come Dio, essenza spirituale, possa aver creato la materia.

Contrariamente all’assioma della compatibilità fra causa cd effetto, Dio avrebbe anche l’attributo dell’estensione, che è propria dei corpi. Una estensione ovviamente infinita e omogenea. Pur essendo panteistica, la teoria di Spinoza pone comunque Dio in posizione privilegiata. E’ vero che ogni cosa è in Dio, ma Dio è distinto dalle cose come una sorta di forza generatrice, di natura naturans.

Tommaso D’Aquino

Tommaso formulò le famose cinque vie dimostrando l’esistenza di Dio:

a) come motore primo;

b) come causa prima;

c) come atto puro perché deve sempre presupporsi un atto per qualsiasi cosa diventi esistenza;

d) come essere necessario nel quale coincidono l’es-senza e l’esistenza;

e) come sommità di una possibile gerarchia degli esseri. Secondo Tommaso, a Dio non si applicherebbe il regresso all’infinito poiché Egli è visto come causa prima e come causa ultima.

Massimario

LE DEFINIZIONI E I RAGIONAMENTI SU DIO NON SONO LA CONOSCENZA DI DIO: INFATTI DI CHE COLORE L L’ARIA CHE RESPIRI?

C. PIANCASTELLI

LO STRANO, LO STUPEFACENTE NON SAREBBE TANTO CHE DIO ESISTESSE DAVVERO; LO STUPEFACENTE È CHE UN TALE PENSIERO – IL PENSIERO DELLA NECESSITÀ DI DIO – SIA POTUTO NASCERE NEL CERVELLO DI UN SELVAGGIO, DI UN MALVAGIO ANIMALE COM’È L’UOMO

IVAN, nei Fratelli Karmazov di. Dostoèvskij

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