UNO SCOOP REDAZIONALE

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    Questo testo è a cura di Carlo Adriani allora Vice presidente del CIP e si riferisce ormai al lontano 1990. Da parte nostra abbiamo fatto le necessarie variazioni al testo postando il nome intero di Andrea (Entità “A”) e altre piccole variazioni che non intaccano per nulla l’eccezionalità di un dialogo sincero e di grande valore documentale, come appare dcl tutto evidente dopo quasi tre decenni dal momento il cui Corrado Piancastelli esce dal suo lunghissimo anonimato iniziato nel 1946.

                                                   Aurelio Peretti e Marcello Carraro

   

    Corrado Piancastelli il sensitivo dell’Entità Andrea quest’anno (si riferisce all’anno 1990 Ndc) compie sessant’anni e si lascia intervistare per la prima volta rilasciando stupefacenti dichiarazioni sulla medianità e sul destino della parapsicologia.

A cura di Carlo Adriani

    Questa è la prima intervista rilasciata dall’anonimo medium dell’Entità A (Andrea) da quando iniziò la grande trance a incorporazione nell’ormai lontano 1946. Tanto persistente anonimato troverà in questo esclusivo colloquio una sua razionale spiegazione. Quest’anno il medium compie sessant’anni. L’anonimato così tenace e incrollabile accresce l’interesse e la curiosità intorno a questo grande sensitivo che ora mi accoglie in uno studio che gli amici comuni trovano semplicemente affascinante con i manifesti che tappezzano il soffitto e i libri che fra poco riempiranno anche il pavimento.

D. — Sessant’anni sono una data traguardo di qualche cosa? gli chiedo.

C. P. – «Una data impegnativa — ribatte quieto. Impegnativa perché ho la coscienza di trovarmi al limite di un bivio. Non è solo un limite di età, ma di coscienza e di responsabilità rispetto all’intero quadro della stessa parapsicologia. Col passare degli anni penso alla parapsicologia in maniera diversa da come si poteva pensarla per esempio fino agli anni settanta. Oggi sono consapevole che se la parapsicologia non registra sostanziali cambiamenti perde completamente il rapporto con la modernità e rischia di regredire al più bloccato manierismo magico. Ti sembrerà strano che proprio io, medium dell’Entità Andrea, parli così, ma non riesco ad accettare completamente questo rapporto magico con i detentori del potere, cioè i medium, i sacerdoti, i veggenti e gli estatici ascoltatori dell’occulto. Penso, invece, ad un rapporto di scambio di cui la trance è una mediazione, un luogo straniante da cui partire per un viaggio collettivo, una esperienza fuori del comune ma fatta in comune».

D. – Forse puoi dire queste cose perché manifesti l’Entità Andrea, cioè il più imponente fenomeno di trance a incorporazione che sia mai capitato in parapsicologia, sia per la qualità del messaggio e sia per gli studi scientifici realizzati sulla tua stessa medianità. Proprio per questo, pensi di vedere la parapsicologia in maniera diversa da noi perché hai un rapporto privilegiato con l’Entità Andrea?

C. P. – «Per forza di cose ciò che vedo e sento io non lo puoi vedere e sentire anche tu allo stesso modo. Ma in questo non trovo nulla di particolare. Ognuno di noi vede le cose esclusivamente dal proprio punto di vista e non da quello altrui. Però è vero che ho un rapporto privilegiato con Andrea e, secondo me, anche con la morte. Per quanto riguarda l’Entità Andrea si tratta del mio Spirito-guida che è anche un vero Maestro col quale faccio i conti continuamente perché Andrea è una presenza emblematica della mia vita da quando sono nato. In un certo senso Aandrea è come la mia doppia anima, il guru, ma anche il conflitto d’identità, il sempre-presente che spesso rifiuto, esorcizzo, simbolizzo, metaforizzo, poetizzo. Con Andrea ho un incontro-discorso difficile. Si svolge su più piani e la medianità, quella che si manifesta a voialtri, è solo uno dei modi con cui Andrea si rapporta al mondo».

D. – Non c’è dubbio che l’intervista si rivela assolutamente insolita rispetto ai canoni della parapsicologia classica. Abbiamo un medium che, per esempio odia la definizione di medium e respinge il concetto passivo di tramite nel senso restrittivo.

C. P. «La medianità, così come io la vivo, è una modalità culturale del mio esistere, non strumentale. È una modalità della creatività anche perché io credo che la creatività sia sempre un atto paranormale, quindi medianico. In questa accezione io amo definirmi un poeta e non un medium» .

D. – Infatti hai scritto e scrivi anche poesie. E hai scritto anche tante altre cose diverse dalla tua grande medianità. Perché si è verificata questa dicotomia del tutto singolare nella storia della medianità e dei grandi medium?

Chiunque avesse avuto la sola metà della tua potenza medianica l’avrebbe sbandierata ai quattro venti e si sarebbe auto-gratificato nel successo. Tu invece ti sei letteralmente eclissato nel silenzio.

C. P. – «Mi chiami ad un discorso difficile, molto difficile perché vi sono zone oscure anche per me. Ho sempre fatto anche un discorso di identità, ma non solo quello. In qualche modo c’entra anche una sorta di separazione dal mondo che, paradossalmente, cammina insieme al coinvolgimento, nel senso che io amo il mondo e amo i piaceri del mondo. Cioè io non amo atteggiarmi a mistico, ma una parte di anima mistica forse è presente: e come se, amando il mondo, potessi però anche farne a meno. Questo fatto lo spiegherò un’altra volta. Ora voglio dirti che, tutto sommato, non penso di aver avuto grandi scelte. Poiché l’Entità Andrea non si è manifestata solo nel corso della mia trance a incorporazione, ma ha avuto con me un rapporto telepatico e di guida costante nel tempo, io avevo solo due possibilità: restare vittima, per tutta la vita, della sua influenza nel senso di costituirmi e di crescere in subordine alla medianità cioè essere pubblicamente il magico medium di Andrea — oppure rafforzare la mia identità autonoma per far crescere una mia personalità indipendente».

D. — Chiunque di noi avrebbe considerato un onore possedere una medianità come la tua e un fenomeno come questo dell’Entità Andrea.

C. P. – «Non è mai un onore dipendere da qualcuno o da qualcosa in modo così totale. Di fronte alla potenza del messaggio di Andrea, al suo assoluto carisma e alla sua grandezza fenomenica, io avrei corso il rischio reale di essere, si, il grande medium dell’Entità Andrea, ma rispetto a me stesso, di fronte al mio specchio privato, io sarei rimasto il tramite passivo di un grande fenomeno. Non è una reazione di superbia, ma di consapevolezza che anch’io sono uno spirito che collabora in maniera consapevole allo svolgersi del fenomeno medianico. No, nessuna presunzione, ma solo la coscienza di esistere anch’io: un «me» che presta il corpo ad Andrea, ma che contemporaneamente non interferisce né vuole essere interferito. Oggi fra Andrea e me esiste un intenso rapporto e per paradossale che possa apparire a voi, c’è collaborazione e accordo. Penso che così facendo io abbia garantito l’autonomia di Andrea da me. In pratica se è vero che non mi sono fatto suggestionare da Andrea, anche Andrea non è stato suggestionato da me. In un certo senso i patti sono sempre stati mantenuti, benché i rapporti fra me e Andrea siano inimaginabilmente stretti così come possono essere, mi pare, fra un quadro e il suo pittore: due interfacce, autonome si capisce, ma con punti di contatto che reclamano una intelligenza di interpretazione più alta, credo, da non banalizzare come fanno quasi tutti, nella concezione del medium e la sua guida. Vedere così le cose significa impoverire il fenomeno e farlo scadere allo spiritismo di maniera, alla povertà di una concezione kardechiana; purtroppo la maggior parte della gente, compreso gli studiosi, la pensano in quest’ultima maniera e, secondo me, sono totalmente fuori dalla verità. L’Entità Andrea è, naturalmente, il mio Maestro come lo è per tanta altra gente. È il mio guru e, in un certo senso, la voce della mia poesia. Non chiedermi come. Non lo so. Non lo sa nessuno. «Andrea» è un simbolo di tutto questo: è il senso della creatività dell’uomo perché in questa chiave simbolica e metaforica Andrea è sempre stato nel mondo perché tutti gli uomini hanno una voce misteriosa che parla nell’interno. Tuttavia, contrariamente alla metafora, Andrea esiste veramente e questo è l’aspetto più rivoluzionario nel rapporto fra l’Uomo e l’Altro. Possiamo discutere per ore sulla origine di Andrea; qualunque spiegazione è contemporaneamente giusta e sbagliata. Resta il fatto, al di là delle teorizzazioni, che Andrea rappresenta una ben definita identità — o entità, il che è la stessa cosa — che a nome proprio proclama la sua disappartenenza dalla natura del corpo. Qualunque cosa si possa dire di Andrea egli resta colui che proclama Andrea, una visione cosmica anzi cosmologica di sé stesso. Perciò ho sempre ritenuto molto banali coloro che discutono sulla natura di Andrea senza tener conto di questa traslazione mentale del gioco simbolico e metaforico, coloro cioè che vogliono indagare e stabilire la natura di Andrea, l’identità del soggetto cioè. È chiaro che l’identità è una cosa diversa da quella che ha un nome e un cognome».

D. — C’è una visione quasi biblica dell’identità che tu stai definendo.

C. P. «E se rifletti profondamente non è così?

Tutti quanti noi, per il fatto di avere un’anima abbiamo dentro il nostro essere una dimensione biblica di noi stessi ma non ce ne accorgiamo perché il corpo ha totalmente invaso il cervello. Solo il medium, ha la capacità di non chiudere le finestre attraverso le quali c’è la voce di un altro universo. Non è un merito avere queste finestre. Io non ho fatto nulla, mi pare, per essere nato come sono, almenché non sia stato scritto da qualche parte; ma ciò non entra nella capacità del discorso che stiamo facendo. In ogni caso mi sembra evidente che il medium libera l’immaginario collettivo perché separa e nel contempo riconnette, il mondo dell’interno con un mondo «altro» di cui si tenta, materialisti o spiritualisti, l’attribuzione».

D. — Questa concezione da te esposta in tutti i punti precedenti, mi pare che rivoluzioni parecchio la vecchia mentalità metapsichista di un medium servo sciocco di una entità.

C. P. – «Da che mondo è mondo i medium sono anche stati profeti e sacerdoti. Solo nel mondo contemporaneo si vuole separare il fenomeno tecnico della trance da quello più ampio di una catarsi che sblocca la persona all’ascolto degli Dei. Così facendo indubbiamente si procede scientificamente, ma si perde il meglio. Tra l’altro avrei parecchio da dire su tutti questi presunti studiosi scientifici che non sanno neppure cosa sia e dove si trovi il metodo scientifico. La scienza mi sembra un termine ombrello con il quale ci si sciacqua la bocca senza aver capito niente».

D. — Pensi che un giorno la gente, gli amici, i lettori, potranno conoscerti per quel che sei?

E poi perché tanto rigoroso anonimato?

C. P. «Sto scrivendo un libro  (“Il sorriso di Giano” Ndc) faticosissimo in cui spiego il rapporto fra Andrea e me, le cose che ci siamo dette, i nostri conflitti ma anche la nostra unione al di là delle trance medianica. Questo libro sarà firmato col mio nome e cognome, così finirà una volta per tutte questo anonimato che dura da quasi cinquant’anni. Comunque con l’anonimato ho protetto il mio lavoro, la mia famiglia, i miei figli da una società metapsichica costituita da poche persone serie e da moltissima gentaglia tipo maghetti da quattro soldi, indovini, guaritori da strapazzo, cartomanti, parapsicologi da operetta e virtuosi dell’ignoranza elevata a scienza. Non avrei corso il rischio di essere identificato — in quanto medium — con questa società di malaffare della cosiddetta metapsichica?

    Oggi sono molto più forte anche sul piano sociale. Sono uno scrittore, un parapsicologo a tempo pieno, non dipendo economicamente dal denaro della parapsicologia e non ho più tentazioni. Oggi c’è una storia anche di ricerca a cui sono stato sottoposto e mi pare che ci siano prove scientifiche uniche al mondo. Nessuno può dubitare di me e io stesso non posso dubitare di me. Oggi vedo il mio stesso fenomeno come un contrassegno della poesia che mi porto dentro. Credo nella medianità come ad una forza che ci contraddistingue dalla natura: cioè credo che siamo uomini in quanto, essendo una forza spirituale, non apparteniamo interamente alla Natura come vorrebbero farci credere i neuroscienziati.

    Se poi, contemporaneamente, produco anche un fenomeno che diventa visibile, cioè appare come la voce di Andrea e con questa modalità divento anche la voce di una grande speranza per tutti noi e per tanta gente infelice, allora ben venga anche questa modalità spettacolare della medianità, allo stesso modo come si profumano d’incenso le chiese o suonano le campane sui campanili. In un certo senso ho una idea letteraria della parapsicologia e inoltre credo fermamente che esiste il linguaggio di una parapsicologia bassa, fatta di comunicazioni, di fenomeni e di raccontini da focolare e poi esiste una parapsicologia alta, fatta di intuizioni, di creatività, di contatti interiori con percezioni che non hanno linguaggio».

D. — Detto così non si rischia di pensare alla medianità in senso quasi religioso o filosofico?

C. P. – «Ma con una grande differenza, benché la relazione non abbia niente di ingiurioso. Quando appare, in questi fenomeni delle grandi trance a incorporazione o di ispirazione — perché è la stessa cosa — una presenza come quella dell’Entità Andrea, ci troviamo di fronte ad un fenomeno simile alla nascita della filosofia, alle rivelazioni e alle profezie. Infatti Andrea non problemizza o ipotizza, ma afferma, sic et simpliciter, che appartiene ad un altro mondo; dunque adopera il linguaggio dei profeti, cioè una propulsione rivelatoria. Le religioni affermano attraverso le voci dei profeti: l’Entità Andrea è essa stessa la voce».

D. — Ti senti privilegiato da tutto questo?

C. P. – «Per quasi cinquant’anni ho rinunciato al mio ruolo di sensitivo di Andrea e quindi non ho goduto della gratificazione, se così posso dire, connessa; tranne che nel piccolo cerchio degli amici del CIP che, ovviamente, sanno chi sono. Comunque mi sento diverso, perché negarlo?

Però anche responsabilizzato al massimo perché mi viene riconosciuto un carisma e dunque mi si chiede aiuto e consiglio anche perché Andrea vive con me. Quindi vivo questa responsabilità e anche tutte le incertezze di un occhio mio interiore che vede un altro mondo ma che razionalizza continuamente per non perdersi. Ci pensi cosa sarebbe stato di me, se mi fossi lasciato andare, se mi fossi abbandonato senza controllo alla follia lucida della separazione dal mondo, cioè allo stadio del contatto con un’altra dimensione?

Chiunque conosce l’ambiente lo può capire bene: medium come santoni, lestofanti dappertutto e soprattutto fissati di mente, piagnoni, paranoici. Invece la medianità, quella vera, è una qualità da difendere e proteggere con grandissima cura perché è una merce delicata e deperibile. In questo mi ha molto aiutato l’anonimato e anche il piccolo gruppo del CIP che lo ha rispettato».

D. — Rifaresti, se potessi deciderlo tu, l’esperienza di medium di questo livello?

C. P. –  «È comunque un’esperienza che condiziona. Non puoi passare sotto silenzio nemmeno imponendoti l’anonimato. Molti aspetti della medianità sono sicuramente deprimenti, come quando sai che la gente ti pensa allo stesso modo come pensa ai maghi o ai portatori di magia. Lo so che molti si sentirebbero gratificati anche da questo: io no. Nel senso che, considerando la medianità un dono, non mi riesce di accettare i bassi limiti della gran parte delle persone. E questo è un mio difetto. Tuttavia come negare il piacere sottile di avere un potere, ma anche di dare pace e speranza a migliaia di persone, tutte quelle che, per esempio, hanno letto i libri di Giorgio di Simone sull’Entità A sapendo che questo grande Maestro parla attraverso di me?»,

D. – Dunque l’anonimato potrebbe finire col libro che stai scrivendo?

C. P. – «Penso di si. Il fatto è che non mi pare giusto che la mia vita passi senza che nessuno sappia che sono io il medium di Andrea. Oggi mi sembra di vivere l’anonimato come un tradimento a me stesso. Forse divento vecchio ma penso che nessun altro avrebbe tollerato questo anonimato per tanti anni. Intorno a me vedo che tutti cercano di fregiarsi dei titoli più inverosimili e più inutili… Vorrei riprendermi una parte della mia vita, la mia identità di sensitivo. Comunque il libro rappresenterà un contributo notevole alla stessa ricerca parapsicologica; mi auguro solo di riuscire a scriverlo. Non sarà un libro aneddottico come i tanti.

    Sarà un libro senza racconti di fantasmi o storie da salotto o testimonianze fasulle mitizzate dal tempo e in ciò potrei deludere e non essere capito. Il mio è un libro di vita scritto da un sensitivo-parapsicologo che non può dimenticare di sentirsi e definirsi anzitutto uno scrittore. Devo riuscire a coniugare il linguaggio scientifico con quello letterario e al momento è questo il mio problema».

D. — Qualcuno potrebbe chiederti bruscamente: ma tu credi nell’Aldilà?

C. P. – «A questo qualcuno non saprei cosa rispondere, perché la mia posizione è molto particolare. All’inizio dell’anno è morta mia madre e io ho potuto parlare con lei fin quando non è stata sepolta. Molto spesso per casa mia si sentono rumori, porte che si aprono e si chiudono, oppure appaiono volti e si possono ascoltare passi. Queste cose me le riferiscono mio figlio e mia moglie. In un certo senso io sembro protetto da una sorta di schermo protettivo, per cui è difficile che veda o ascolti qualcosa. D’altra parte è come se avessi una medianità attiva più che passiva cioè posso entrare in un’altra dimensione solo se lo voglio. In questo modo non posso essere posseduto da nessuno e in questo senso alludo allo schermo protettivo. Guai se fossi esposto alla raffica dei contatti, se cioè la medianità del mio tipo fosse una sorta di microfono aperto continuativamente a queste forze atipiche. Naturalmente quando accadono fatti particolari come le comunicazioni emotivizzate, tipo quella con mia madre ancora sul letto di morte, mi interrogo molto sul reale significato della mia esistenza. Dobbiamo noi credere che esiste un Aldilà, oppure sono loro — quelli che definiamo spiriti — che devono convincersi che c’è un al di qua?

    Credo che un’altra dimensione esista, poiché io stesso vado e vengo attraverso una zona che non posso definire col linguaggio comune e credo che in questa dimensione noi ci saremo, appena morti, ma non credo che esistano i fantasmi della letteratura, cioè non credo che possano essere concettualizzati: in qualche modo questi fantasmi costituiscono una parapsicologia bassa che non ci porterà da nessuna parte. Naturalmente io sento continuamente quelli che voi chiamereste i «fantasmi» e non hanno la voce dei fantasmi, le figure dei fantasmi, i bisogni dei fantasmi: hanno, se proprio lo vuoi sapere, la levità delle piume sospese nell’aria e a volte, quando li incontro, mi sfiorano senza toccarmi e parlano senza linguaggio e senza suoni. Se questi segnali a volte diventano una struttura di suoni e di sintassi ad un alto grado di organizzazione, come nel caso dell’Entità Andrea, ciò è possibile a prezzo di una falsificazione che lo Spirito di Andrea deve operare in maniera da potersi trasformare nell’Entità di Andrea quale noi la percepiamo col nostro apparato sensorio e intellettivo. Capisci bene che ciò accade a prezzo di una materializzazione che non rende ad Andrea alcuna giustizia, ma seguendo la sua stessa dottrina ora sappiamo che questo è anche il nostro destino. Ciascuno di noi, vivendo, maschera il proprio spirito nel ghigno ripetitivo della statica e limitante natura umana e persegue modelli che non hanno nulla di universale. Da ciò la crisi esistenziale continua vissuta come lacerazione fra bisogni profondi e bisogni di superficie. Anche questa è una lezione di Andrea che, più spesso di quanto sembri o la gente è disposta a capire, è un feroce accusatore di gran parte della parapsicologia che si pratica o si persegue. E già questo, secondo me, rende Andrea del tutto unico e irripetibile».

D. – «Ma anche tu sei allineato come lui, a quanto pare! ».

C. P. – «Se tutti leggessero Andrea nella trasparenza dei filtri e con autentica partecipazione culturale, capirebbero che questo è il futuro della parapsicologia; uscire, cioè, dal tipo di magia passiva per diventare attiva ricerca del sé interiore e raggiungere i luoghi abitati dall’Anima».

    Termina qui questa eccezionale intervista la quale è paradossale rispetto ai tradizionali canoni con cui siamo abituati a concepire un medium che, nella fattispecie, è quello dell’Entità Andrea, cioè uno fra i più grandi sensitivi viventi. Un uomo che, per altri versi, vive la terra senza ieraticità, anzi ama il bello, la buona cucina, le donne, la convivialità a cui tiene molto, l’amicizia, la musica che è quasi sempre presente quando scrive e lavora. E poi ama il mare, la pesca, le buone trattorie di campagna. Ma è l’uomo della metamorfosi, un enigma di cui lui stesso cerca disperatamente di dipanare il groviglio per capire quanta parte di cielo e quanta di terra è nei nostri corpi. Lui è nel pieno di questo groviglio poiché è nella zona di possibile mediazione e traduzione, nel luogo attraverso il quale vanno e vengono le voci di sempre, quelle che gli uomini, dalla notte dei tempi, cercano di catturare per credere e sperare.

                                                                                                                                                                                                                  CARLO ADRIANI

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