21) – ANCORA SULL’” AMORE” DI DIO.
L’”ANSIA” DELL’EVOLUZIONE.
D. – Penso che lo Spirito possa aderire alla legge in quanto la trova giusta, man mano che progredisce nella perfezione di questa legge, ma che possa amarla non credo, perché lo Spirito dovrebbe essere privo di questo sentimento. Così come non mi pare che Dio ci abbia creato per amore.
A. – Naturalmente hai ragione quando, parlando di amore, parli di un sentimento. È chiaro che su questa linea non esiste un rapporto né verso Di, né da Lui verso il creato e le creature (Cioè il complesso che Dio ha emanato – Nota del curatore).
Il fatto che lo Spirito possa far sorgere dentro di sé, non più un sentimento, ma un rapporto armonico e tenace di fedeltà alla legge, questo si verifica quando lo Spirito comprendendo la legge la fa propria e, attraverso di essa, risale verso il Creatore. C’è anche da dire che nello Spirito non esiste l’ansia verso Dio, lo Spirito non è mai preso dall’ansia di salire verso Dio, e l’amore non è inteso mai nel senso umano.
D. – Non vedo perché allora lo si chiami “amore”.
A. – “Amore” è già un termine umano. Ma vediamo che cosa si verifica nello Spirito, analizzando quasi “psicologicamente” la situazione.
Lo Spirito prende possesso di alcune informazioni, di alcune idee, di alcune conoscenze, di quello che sia, durante il suo cammino, durante la sua evoluzione. Trova che queste cose sono giuste, le fa proprie, le usa, ci vive dentro ecc. Che cosa accade? Anzitutto egli riconosce che tutto ciò non è opera propria, che non è opera del caso, e questo lo riconduce all’idea di Dio. A un certo punto come può tutto ciò essere identificato come amore, comunque lo si chiami? Perché nello Spirito la conoscenza delle idee, della legge di Dio, diventa una conoscenza di cui egli non può più fare a meno. In questo senso riconosciamo l’amore per cose o realtà di cui egli non può più fare a meno per cui, se se ne privasse, avrebbe “dolore” (altro termine improprio), ne avrebbe in ogni caso uno squilibrio interiore abbastanza forte. Ora egli intende mantenere questo rapporto con la conoscenza, con le idee, con la ricerca di Dio, perché esso si trasforma dentro di lui, non soltanto in una informazione, ma provoca in lui una precisa “idea di pace”, di benessere interiore, di fiducia nei confronti della realtà che gli è fuori. Perché si accorge che la realtà che egli discopre è vera, autentica, immutabile, potente, eterna, infinita. Questa realtà gli ispira tutta la fiducia possibile, egli sa che essa non gli verrà mai meno; sa che oltre questa realtà c’è Dio che ne preserva l’integrità per l’eternità. Nasce dunque in lui un rapporto di stima, di fedeltà, di insostituibilità nei confronti di questa realtà e di questo Dio che l’ha fatta praticamente, è questo che noi chiamiamo amore, tanto per intenderci, ma che in effetti è un rapporto di fedeltà, di stima, di conoscenza. (Risulta qui particolarmente evidente lo sforzo del Maestro Andrea di rendere, con concetti e parole del linguaggio umano, quella che nello Spirito è invece una condizione di “essere” completamente diversa da qualunque possibilità espressiva umana del piano emotivo e psichico più avanzati, si percepisce cioè l’estrema differenza tra la condizione umana e quella dello Spirito. – Nota del curatore.).
D. – Non è che a un certo momento lo Spirito progredisce perché ne sente la necessità, anche se non sente di dover amare Dio?
A. – Ne sente la necessità. Questo rapporto che però si instaura con Dio e con la realtà è un rapporto naturale che si sviluppa gradualmente e logicamente, non perché Dio lo voglia o perché la legge lo voglia, ma perché lo Spirito stesso, la cui struttura poi è simile a quella di Dio, sente sorgere dentro di sé questa adesione, che può diventare a un certo punto bisogno di colloquio con la realtà e con Dio, cioè diventa un rapporto di tipo dialogico, d’interpellanza verso la realtà e di ricerca della risposta.
Ora, in tutto questo c’è amore? Ma è chiaro che se questo può essere chiamato amore da parte dello Spirito, non ha nulla a che vedere con l’amore di tipo umano; è chiaro che lo Spirito non avrà mai un amore di tipo diverso, di tipo evocatorio, invocatorio, o declamatorio. Cioè lo Spirito non starà lì a onorare Dio con canti, suoni e altre frivolezze del genere. Si tratta di rapporti scarni, essenziali e perciò autentici, privi di ogni sentimentalismo.
Il rapporto di Dio con lo Spirito è invece diverso. Anzitutto perché da parte di Dio non c’è nessun bisogno di questo colloquio, non c’è nessun bisogno di verificare idee, conoscenze e realtà. Per poter tentare di capire un po’ l’amore (tanto per capirci) di Dio verso la realtà, si può ricorrere a un esempio che può sembrare alquanto banale e che può essere questo: voi uomini (il discorso vale anche per lo Spirito) amate ciò che è vostro, per esempio, amate le vostre braccia, le vostre mani, il vostro cuore, il vostro fegato? Non ve la siete mai rivolta questa domanda? In realtà non lo sapete. Ora, pensate che per Dio la realtà non rappresenta altro che una Sua proiezione, in fondo, perché tutto è in Lui e nulla è fuori di Lui. Cioè la realtà in fondo, è come una gamba – tanto per intenderci – un braccio di Dio, e verso questa realtà da parte Sua non c’è un amore nel senso sentimentale della parola, perché non vi è necessità di amare una cosa che è già propria, che è stata fatta da Lui stesso e che non è soggetta a morte, che è eterna, e infinita, e che essendo stata fatta perfetta non ha bisogno né di alcun aggiustamento né di un particolare amore perché si migliori.
Non dovete essere tratti in inganno dalla vostra apparenza e dirmi che non siete stati fatti bene perché soffrite. Questo non conta. Da un punto di vista infinito ed eterno le vostre e le nostre pene non rappresentano assolutamente niente; anzitutto perché non sono eterne, poi perché noi e voi, come spiriti, ci troveremo sempre in quella situazione di cui dicevamo poc’anzi, cioè con una grande pace interiore, partendo dalla quale veramente noi non abbiamo più bisogno di Dio, nel senso del Dio protettore, del Dio misericordioso, del Dio che salva attraverso le opere e le preghiere, perché a quel punto veramente Dio non può più agire su di noi, e noi non abbiamo più bisogno di alcun aiuto. A quel punto veramente noi sentiamo di avere tutto, che Egli ci ha dato tutto, e non nel senso di onnipotenza, ma nell’averci dato tutti i mezzi indispensabili per affrontare qualunque situazione fenomenica, di conoscenza, di idee, di approfondimento ecc. … A quel punto, avendoci Egli già dato tutto a priori (per il fatto stesso di essere noi di struttura divina) che cos’altro dovrebbe Egli darci?
Il punto di vista umano è fallace e provvisorio, e sembra effettivamente che Dio non vi abbia dato niente o niente altro che sofferenze, ma è un fatto soltanto umano, a cui peraltro è già stato posto rimedio in virtù delle compensazioni, dell’utilità della vita…
Ora, dunque, Dio non ci ama, come non ci odia e non direi neppure che gli siamo indifferenti. Egli, avendo predisposto tutto, direi ancora una volta come l’amore, Dio l’abbia già esaurito nella creazione: la creazione è stata il “dare “ di Dio, e in questo, semmai, c’è già stato a priori tutto l’amore.
È chiaro che il nodo centrale della creazione, cioè il momento interiore di Dio, non temporale, nel quale Dio ha trasferito da sé tutto, non sappiamo se sia stato un momento pensato, voluto, oppure, come dicevamo altre volte, se Dio stesso non poteva farne a meno.
Direi, perché non possiamo personalizzare Dio, che è evidente che tutto questo è stata la conseguenza di una straordinaria, infinita situazione interna di Dio, della quale Egli può essere magari anche prigioniero, ma qui, naturalmente, entriamo in una “sezione”, in uno “spaccato” della Divinità in cui è assai difficile andare avanti.
Ciò che dicevamo sull’amore invece è già verificabile, noi lo vediamo nel nostro mondo e un po’ anche nel vostro. Lo vediamo soprattutto nel nostro mondo perché non esiste in esso l’invocazione a Dio, però esiste – e in maniera sempre più marcata e decisa – la tendenza verso Dio, questa tensione non drammatica, mai angosciata, sempre serena nei Suoi confronti. In parte è la ricerca di ulteriori contatti, in parte sono acquisizioni che si hanno via via che si procede. Più idee chiare ha lo Spirito dentro di sé, più sente nascere una grande affinità, un grande afflato, una forte tendenza verso Colui che egli riconosce come Creatore. Ora, questa perfezione così stupenda, di cui non si vede un meccanismo funzionante, si svolge naturalmente secondo un ordine generale che non è sorvegliato da nessuno, perché è già tutto perfetto.
Di fronte a questa situazione fenomenica lo Spirito a volte resta sorpreso quando scopre nuove verità, veramente ammirato man mano che procede e amplia l’orizzonte della propria intelligenza, in base alla quale – operante e complessa – egli valuta ciò che lascia dietro di sé, così come valuta e apprezza ciò che vede davanti a sé, con un uguale e sempre maggiore apprezzamento di Dio.
D. -Perché questa ricerca non è mai drammatica?
A. – Intanto perché lo Spirito con la sua grande intelligenza sa che deve andare avanti per gradi, sa che tutto procede per gradi. Una tensione drammatica lo renderebbe anzitutto infelice, e ciò è stato già escluso a priori. Per lo Spirito non esiste l’ansia.
Naturalmente parlo di spiriti già a un certo livello, mentre possiamo incontrare spiriti ancora “in formazione” i quali sono preda di un’ansia che però non costituisce mai una pena, altrimenti soffriremmo tutti.
D. – Quindi lo Spirito non percepisce questo dramma?
A. – Non avverte proprio la drammaticità della salita, questo gli viene naturalmente dalla sua stessa struttura spirituale. Guai se l’avvertisse; siccome Dio è irraggiungibile soffriremmo tutti veramente in eterno. Poi, la conoscenza avviene sempre per gradi e si sa che si prova la massima soddisfazione quando si raggiunge il massimo dell’ampiezza nel proprio ambito. È quando si tenta di fare salti, di scavalcare certe situazioni, che nasce il dramma per l’impossibilità di acquisire subito conoscenze eccessivamente alte, mentre nell’ambito delle proprie conoscenze ciascuno è felice.
(Pagina bianca non numerata di fine fascicolo. – Nota del curatore.))