QUALIFICAZIONE DELLE ESPERIENZE.

20) – QUALIFICAZIONE DELLE ESPERIENZE.

D. – Qual è, secondo te, l’elemento più caratterizzante dell’epoca in cui viviamo?

A. – Potrei dire che è la velocità della vostra vita e il suo accorciamento in funzione di questa velocità. In un certo senso, la difficoltà di approfondire le esperienze fino in fondo: questa ne è un po’ la conseguenza. È quello che abbiamo detto altre volte: in fondo, oggi, nel corso di una vita vi capitano troppe cose e non avete neppure il tempo di meditarle che siete sovrastati dalle altre. Mentre fino a qualche tempo fa (e dall’origine dell’umanità) accadevano poche cose che lasciavano un segno più duraturo perché non avevano il tempo di essere soverchiate da altre. Naturalmente, questa è una delle cose che possono colpire. Si capisce che ve ne sono anche tante altre. Questa mi sembra però la più caratteristica, anche in funzione della vita dello Spirito. Questo dà una certa impronta alla vita, la quale è molto più intensa, ma è anche molto più superficiale. Voi non avete il tempo di rendervi conto delle cose che vi accadono perché sono troppe.

D. – Ma a tutte queste cose non si può pensare nell’aldilà? Voglio dire, è valida solo l’interpretazione di esse durante la vita, oppure i fatti che accadono si possono interpretare anche dopo la morte?

A. – Alcune cose si possono interpretare dopo la morte, senz’altro. Infatti, la fase meditativa dopo la morte serve anche a questo, a ricostruire la propria vita, a chiarire certi suoi aspetti, a capire meglio, cioè a rimediare su certe esperienze, mentre altre le perderete. Dipende da ciò che ha costituito veramente un’esperienza, sia pure minima o superficiale, e da ciò che invece è passato accanto a voi, che avete visto, ma di cui non vi siete impadroniti fino in fondo.

In realtà, voi potreste ovviare a questa “velocità” della vostra vita meditando un po’ sugli accadimenti, il che non fate proprio perché le esperienze si accavallano le une alle altre, e perché non avete un’idea di fondo chiara, non dico voi in particolare, ma in genere. Se l’uomo avesse un’idea chiara e fondamentale, e cioè che la vita umana gli serve in funzione di un’altra vita e che tutto ciò che accade deve andare a far gioco su questa linea della vita, allora tutto diverrebbe un po’ più chiaro e finireste col qualificare le azioni e le cose che vi capitano. Invece non è così. Voi pensate scarsamente o non ci pensate affatto alla funzione della vita. È la mancanza di questa finalità, anche mentale, che rende poi superflue o labili le esperienze che incidono il tessuto dello Spirito. Nessuno di voi vive in funzione della morte e di un’altra vita. Voi vivete così, in funzione di voi stessi, punto e basta. Questo è l’errore fondamentale di tutto il genere umano, allora si capisce che le esperienze passano e che nessuno vi pone mente, perché esse sembrano esaurirsi sulla Terra, mentre, in realtà, se voi pensate diversamente, finireste coll’apprezzarle, probabilmente col soffrire anche un po’ di più, anche perché, in fondo, questa superficialità finisce col lenire un poco le vostre pene…

D. – Alcuni fatti possono lasciare un’impronta anche se non si ha avuto il tempo di poterli approfondire, e ce li ritroviamo nell’aldilà?

A. – Sì, naturalmente. Vi sono fatti, circostanze e cose, che lasciano una ferita, tanto per usare questo linguaggio figurato, che cioè colpiscono lo Spirito, l’immaginazione dell’inconscio, del subconscio. Può darsi che voi non meditiate molto bene per incapacità, per altre ragioni di vita, comunque l’incisione, la ferita rimane…

D. – Ma contano le esperienze in coloro che incapaci di pensare, e che quindi non possono meditare?

A. – Alcune sì, moltissime altre no, naturalmente. Un’esperienza per essere tale deve sempre suscitare un’emozione profonda, intendiamoci; cioè dev’essere filtrata, accettata dalla coscienza… ma, accettata o respinta, non ha importanza, essa deve essere accolta dalla coscienza e deve passare nel profondo dell’individuo. Se questo non avviene, per esempio per una dissociazione mentale, non resta niente.

D. – Quindi una persona può soffrire anche senza capirne il perché?

A. – Questo sarebbe già niente, perché diciamo pure che la maggior parte degli uomini soffre e non sa perché, non sa rispondere a questa domanda. Ma ve ne sono alcuni che soffrono soltanto in senso vegetativo e non sono quindi coinvolti da un problema morale della sofferenza. Parliamo di sofferenza fisica. Colui che è ammalato di mente non ha in realtà neppure una sofferenza fisica, perché si tratta di malattia della mente… Ma il dolore fisico non vale per nessuno, nemmeno per voi che non siete ammalati di mente, intendiamoci. Il dolore fisico non costituisce un’esperienza, almenché non si coinvolga nel dolore fisico un atteggiamento mentale, cioè una ricerca di ordine spirituale, allora in questo caso il dolore fisico si trasforma in un’esperienza di tipo mentale, ma il dolore fisico fine a se stesso non conta niente. Coloro i quali si mettono il cilicio e si stringono di spine la testa non ottengono assolutamente niente, tutto questo non ha valore, a parte il fatto che io ho sempre detto che valgono più le azioni che i gesti e le belle parole. sono sempre le azioni, cioè le esperienze vissute che qualificano lo Spirito: le azioni, le parole, non contano e le sofferenze che uno si impone non hanno senso. L’uomo non sa qual è la finalità del proprio Spirito, finché e vivo sulla Terra non lo sa, quindi non può inventarsele le esperienze, crearsele da solo. Cosa sapete voi per inventarvi le esperienze per esempio portando un cilicio? Voi non sapete niente di ciò che ha programmato il vostro Spirito, perché mai gli date dei supplementi di esperienza senza sapere niente? Lasciate che lo Spirito faccia da solo: egli sa quello che deve fare.

La stessa domanda è stata posta all’Entità B.

D. – Faccio anche a te la domanda che ho fatto al Maestro Andrea. Qual è secondo te l’elemento più caratterizzante del momento storico in cui viviamo?

B. – Secondo il mio punto di vista, a parte le molte cose interessanti che io vedo da voi, cose sfolgoranti, mi sembra che questo periodo, molto ampio, non proprio ristretto ai vostri anni, sia caratterizzato dallo sforzo che sta facendo l’uomo per conoscere la verità di tutte le cose, specialmente confrontandola con quella di secoli non molto lontani in cui addirittura la ricerca era quasi vietata, osteggiata. Il desiderio dell’uomo di conoscere la natura, di conoscerla sempre più, di analizzarla sempre di più. Mi sembra una cosa molto significativa e molto utile, anche per lo Spirito. Perché, sempre secondo una certa teoria dell’Entità Andrea, che mi sembra molto giusta, chi viene in Terra approfondisce molto la materialità, la conoscenza di tutte le cose che siete stati capaci di scoprire. Mi sembra una cosa che contrassegna la vostra epoca, questa ricerca della verità fino in fondo. Anche se è utilitaristica è sempre una ricerca della conoscenza.

D. – Da tutto quello che voi ci avete sempre detto viene fuori una visione della società di oggi (e non parlo delle cose spiritiche e spirituali) abbastanza luminosa, non proprio ottimistica, ma piena di speranza.

B. – Speranza in che senso?

D. – C’è insomma nella società attuale una spinta verso la pace, verso scambio tra le varie nazioni. C’è nella società un miglioramento.

B. – Voi, individualmente siete rovinati, però collettivamente non tanto. Poi c’è un altro fatto: vedete, voi parlate in termini che secondo me sono sbagliati quando dite: c’è una speranza ecc. Ora, in termini di speranza e di avvenire, il discorso è un po’ assurdo, astratto, per una serie di ragioni. Primo di tutto, a voi, del vostro avvenire in Terra, come spiriti non ve ne importa proprio niente. L’avvenire della Terra non v’interessa, come non interessa a noi. Sempre perché coloro che vivono sulla Terra hanno un carattere provvisorio, perché tornano spiriti e per essi non esiste proprio il problema della Terra, questo è il fatto! Quando a questo problema hai tolto importanza cade la questione dell’avvenire, del domani, del futuro. Cos’è questo futuro? Quale futuro? Il futuro della Terra? Ma che importanza ha? L’umanità che verrà dopo? E che importanza ha? Che senso ha l’umanità che verrà dopo? Ma che ve ne importa dell’umanità che verrà dopo? Non ve ne può importare niente! Perché l’umanità che verrà dopo sarà fatta da altri spiriti che comunque devono passare qui, e qui passare i loro guai o le loro esperienze, perché la Terra è una funzione dello Spirito. Questo è il punto, insomma, che sembra cinico, ma non lo è.

D. – In termini realistici è certamente così, ma fino a un certo punto, perché, in fondo, il nostro lavoro lo facciamo anche per fare da anelli…

B. – Prima di tutto, da anelli lo fate involontariamente, siete anelli involontari. Ma diciamo la verità, coscientemente ognuno pensa a se stesso, ognuno lo fa per se stesso, non per creare l’anello. L’uomo sa bene che quando è morto non gliene importa di ciò che succederà dopo. Sì, voi lo preparate soltanto perché questa preparazione è il risultato di un’attività collettiva nella quale, bene o male, vi trovate e nella quale sono stati creati degli pseudo diritti-doveri e quindi svolgete un certo lavoro che resterà per gli altri ma, individualmente, a voi di questi altri non ve ne importa niente. (Qui il discorso – ricordiamo è dell’Entità B – appare duro, al limite di un realismo applicato alle cose umane, anche se la stessa Entità B sa bene che è anche un nostro impegno interiore preparare un migliore futuro per gli spiriti che verranno in Terra. – Nota GdS.).

(A integrazione della nota precedente va comunque chiarito che il senso di “preparare un futuro migliore” deve essere inteso principalmente in senso spirituale, con tutte le sue ricadute anche pratiche. Fondamentalmente deve essere preparato un terreno nel quale gli spiriti incarnati possano trovare una migliore condizione di esperienza, aiutando cioè a eliminare tutti i condizionamenti e le sovrastrutture umane, come anche una migliore e più approfondita e allargata conoscenza della realtà dello Spirito. – Nota del curatore.).

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