I CASI INDAGATI DA IAN STEVENSON A SOSTEGNO DELLA REINCARNAZIONE

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SILVIO RAVALDINI

I CASI INDAGATI DA IAN STEVENSON A SOSTEGNO DELLA REINCARNAZIONE

John Gaiter Pratt (1), autore del saggio Parapsicologia come scienza, chiedendosi se la reincarnazione è un problema scientifico, così precisa: «La domanda che compare nel titolo di questo capitolo sarebbe apparsa strana e completamente fuori luogo persino ai parapsicologi, se fosse stata posta all’inizio dell’anno 1960. Tuttavia, ancora prima che quell’anno trascorresse, era stato compiuto un passo importante per far mutare quella situazione. Il dott. lan Stevenson, medico e direttore dell’Istituto di Neurologia e Psichiatria dell’Università della Virginia, pubblicò due saggi, che riesaminavano gli scritti di vari studiosi sul problema della reincarnazione dall’antichità ai nostri giorni. L’indagine comprendeva anche alcuni casi studiati, secondo un procedimento che soddisfaceva i requisiti essenziali per uno studio scientifico… Così la breve descrizione degli studi sulla reincarnazione, ora presentata, giustifica una diretta risposta alla domanda posta all’inizio del capitolo. Sì, la reincarnazione è un problema scientifico. Come altri argomenti di ricerca, questo deve essere attivamente affrontato da quegli scienziati che sentono lo stimolo verso questo particolare tipo di studio. lan Stevenson ha dimostrato di essere qualificato per questo tipo di lavoro. Egli ha molti punti a suo vantaggio, molti dei quali oggi contribuiscono in modo indispensabile alle sue ricerche. Per ora non penso di unirmi a loro, ma, come scienziato, sono molto soddisfatto che questo lavoro sia stato compiuto» (2).

Stevenson ha dedicato buona parte della sua vita a questa indagine ed ha scelto di lavorare sui casi di ricordi spontanei di un’esistenza precedente poiché ritiene che altri ricordi indotti in modo diverso (ipnosi, suggestioni, droghe, riti, sogni) siano poco attendibili perché

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1) 1910-1979 — Uno dei maggiori parapsicologi contemporanei america-ni, professore del dipartimento di psichiatria nell’Università della Virginia dal 1964.

2) John Gaither Pratt, Parapsicologia come scienza, Armenia Editore, Milano 1976, pagg. 184 e 200. Ian Stevenson, Reincarnazione, 20 casi a so-stegno, Armenia Editore, Milano 1976.

soggetti a venir suggestionati o creati in qualche modo dall’esterno. La caratteristica fondamentale della ricerca di Ian Stevenson è stata proprio quella di aver voluto impostare lo studio della reincarnazione (e quindi della sopravvivenza) con procedure scientifiche. Il suo metodo consiste, in sostanza, in due fasi. Nella prima si opera la raccolta accurata delle informazioni sui casi di asseriti ricordi di vite precedenti, con il ricercatore che si reca sui luoghi, per intervistare la persona che asserisce di avere quei ricordi, nonché tutte le altre persone che sono coinvolte nell’episodio (familiari, vicini di casa, autorità del luogo, ecc.). Nella seconda fase si svolge una ricerca documentaria sull’identità e la storia dell’individuo (ormai morto) cui si fa riferimento nei “ricordi”. Anche in questa fase è indispensabile raccogliere informazioni dirette da chiunque possa darle, indipendentemente dalle persone coinvolte nell’esperienza dei “ricordi incarnativi”. Successivamente si opera un confronto tra i “ricordi” e la vera storia dell’identità “precedente”. Fa parte di questo confronto anche il portare il bambino nei luoghi dove dice di essere già vissuto e controllare ulteriori dichiara-zioni, con il riconoscimento di oggetti e persone familiari all’identità precedente. Si possono tentare in questa fase piccoli “tranelli”, chiedendo al bambino se ricorda la tale o la talaltra persona o cose relative all’identità precedente (ma in realtà del tutto estranee) e vedere come reagisce. Infine, si opera uno studio su molti di questi casi, per estrarre dall’insieme delle vicende i fattori comuni o quelli più e meno frequenti, nonché per formulare ipotesi di lavoro da verificare su nuovi casi.

Dall’esame singolo e cumulativo di centinaia di vicende di apparenti “ricordi di vita precedenti”, Stevenson e i suoi collaboratori hanno tratto alcuni elementi fondamentali:

1) — la maggior parte dei soggetti che dicono di avere questi ricordi comincia a farlo a un’età inferiore a 3 anni, ma ovviamente superiore a 1-1,5 (3);

2) – a mano a mano che l’età aumenta, diminuisce la probabilità che si abbiano questi ricordi; cioè il numero dei bambini con ricordi di 4 anni è meno di quello di 3, quello di 5 anni è meno di quello di 4 e così via (4);

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(3) Stevenson Ian, Bambini che ricordano altre vite, Edizioni Mediterra-nee, Roma 1991 — Mills A., Journal of Scientific Exploration 1989, vol. 3: pagg. 133-184. (4) Matlock, Journal of the American Society for Psychical Research 1989.

3) — a mano a mano che l’età aumenta, i bambini iniziano ad avere ricordi sempre meno numerosi, e verso i 6-7 anni cominciano a dimenticare porzioni sostanziali di quello che sembrava ricordassero (5);

4) – solo una parte dei bambini con ricordi è in grado di riconosce-re davvero le persone e le cose relative all’identità precedente (6);

5) — il maggior numero di casi di ricordi riguarda persone già vissute e decedute di morte violenta o comunque improvvisa (7);

6) — i ricordi relativi a persone decedute per morte improvvisa o violenta sono, in media, più vividi di quelli su persone morte in tarda età o per cause naturali (8);

7) — a volte i bambini con ricordi hanno sul corpo segni, impronte o anomalie che sembrano conciate alle cause di morte dell’identità precedente (9);

8) — vi sono casi in cui i bambini con ricordi mostrano conoscenze concettuali e capacità pratiche inspiegabili con l’educazione ricevuta (10);

9) — l’ambiente familiare dei bambini con ricordi reagisce con atteggiamenti di rifiuto o di accettazione, a seconda dell’ambito socio-culturale nel quale si producono questi casi (11);

10) — la qualità dei ricordi dei bambini che vengono assecondati è sostanzialmente identica a quella dei bambini che vengono scoraggiati dalle loro famiglie (12);

1 1) — i familiari delle persone morte alle quali si riferiscono i ricor-

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(5) ved. nota 3.

(6) ved. nota 3.

7) Cook E.W., Pasricha S., Samararatne G., Win Maung, Stevenson Journal of the American Society far Psychical Research 1983, vol. 77: pagg. 45-62 e 115-135.

8) ved. nota 7.

9) Stevenson I., Journal of Scientific Exploration 1993, vol. 7: pagg. 403-416.

10) Stevenson I., Journal of Scientific Exploration 1990, vol. 4: pagg. 243-254. Haraldsson E, Houtkooper J.M., Proceedings of the Presented Pa-pers to 38th Annual Convention of the Parapsychological Association, 1995, pagg. 122-131.

11) Mills A., Haraldsson E., Keil J., Journal of the Society for Psychical Research 1994, vol. 88: pagg, 207-219.

12) Stevenson I., Journal of the Society for Psychical Research 1990, vol. 56: pagg. 82-90.

di reagiscono di solito con scarso entusiasmo nei confronti di queste dichiarazioni, ma a volte accolgono con affetto i bambini, riconoscendo in loro la personalità e le conoscenze del loro congiunto defunto (13);

12) – di solito fra i ricordi che affiorano nei bambini e l’evento di morte della persona ricordata intercorre un intervallo di tempo di pochi anni o solo di pochi mesi (14);

13) – non vi sono differenze significative tra i ricordi dei casi che trovano corrispondenze e quelle dei casi che non si riesce a verificare (15).

Per chiarire le condizioni che presiedono al verificarsi del fenomeno, prendo ad esempio il secondo fra i venti casi importanti investigati da Stevenson: il “caso Jasbir”. Cercherò di riferirlo nei suoi aspetti fondamentali, anche se sarò costretto, a trascurare completamente tutto il lungo, paziente ed accurato lavoro compiuto dall’Autore per l’esame e il controllo dei fatti e delle testimonianze, attraverso due sopralluoghi e l’interrogatorio di ventun testimoni (16).

«Nella primavera del 1954 — scrive Stevenson Jasbir, di tre anni e mezzo, figlio di Sri Girdhari Lal Jat, di Rasulpur, distretto di Muzaffarnagar, Uttar Pradesh, morì, come si credeva, di vaiolo. Il padre di Jasbir si recò da suo fratello e da altri uomini del villaggio proponendo loro di assisterlo nella sepoltura di suo figlio “morto” (17). Siccome era notte tarda gli consigliarono di posporre la sepoltura al mattino successivo. Alcune ore dopo avvenne a Sri Girdhari Lal Jat di notare un qualche movimento nel corpo di suo figlio che a poco a poco tornò completamente in vita (18). Passarono alcuni giorni prima che

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13) Stevenson I., Cases of the Reincarnation type. Vol. 1. Ten Cases in India. Charlottesville 1975. Stevenson I., Cases of the Reincarnation type. Vol. Il. Ten cases in Sri Lanka, Charlottesville 1977. Stevenson I., Journal of the Nervous and Mental Disease 1983, vol. I71: pagg. 742-748.

14) ved. nota 13.

15) ved. nota 7.

16) Il caso fornisce un quadro che illustra 39 fatti, testimoniati, verificati e commentati,

17) (Nota dell’A.): «Sebbene i cadaveri degli adulti siano, dagli inclú in India, cremati, i corpi di bambini sotto l’età di cinque anni sono generalmente inumati in una buca. I corpi di persone morte di malattia infettiva, come il colera ed il vaiolo, non sono bruciati ma seppelliti o gettati nei fiumi».

18) (Nota dell’A.): «Chiesi ai valligiani di Rasulpur quali erano i loro me-todi per accertare l’avvenuta morte. Essi si basano sulla cessazione del respi-ro, l’apertura della mascella ed il raffreddamento del corpo».

il bimbo potesse di nuovo parlare ed alcune settimane prima che egli potesse esprimersi chiaramente. Una volta riacquistata la padronanza della parola, mostrò una notevole trasformazione nel suo comportamento. Dichiarò allora che era il figlio di Shankar, del villaggio di Vehedi, dove desiderava andare. Non voleva mangiar nulla in casa dei Jat, col pretesto che egli apparteneva ad una casta più alta, essendo un Bramino. Questo ostinato rifiuto di mangiare avrebbe certamente portato ad una nuova morte, se una cortese signora bramina, vicina di casa di Sri Girdhari Lal Jat, non si fosse prestata a cuocere il vitto per Jasbir alla maniera bramina. Questo essa fece per circa un anno e mezzo… Il periodo di resistenza durò meno di due anni. «Jasbir iniziò a comunicare ulteriori dettagli della “sua” vita e morte nel villaggio di Vehedi. Egli descrisse particolarmente come durante una processione nuziale da un villaggio ad un altro aveva mangiato dei dolci avanzati che gli erano stati dati da un uomo al quale egli aveva prestato del denaro. Fu preso da uno stordimento e cadde dal carro sul quale andava, si ferì alla testa e morì alcune ore dopo.

«Il padre di Jasbir mi disse che tentò di nascondere nel villaggio le strane asserzioni di Jasbir ed il suo comportamento, ma esse trapelarono ugualmente. La speciale cottura dei cibi per Jasbir alla maniera bramina, fu naturalmente conosciuta dagli altri bramini del villaggio, ed infatti (circa tre mesi dopo) destò l’attenzione di una donna del loro gruppo, Srimati Shyamo, una bramina nativa di Rasalpur che aveva sposato un nativo di Vehedi, Sri Ravi Dutt Sukla.

Essa in rare occasioni (ad intervalli di parecchi anni), ritornava a Rasalpur. ln una di queste gite, nel 1957, Jasbir la riconobbe come sua zia

(19). Essa riferì l’incidente nella famiglia di suo marito ed a membri della famiglia Tyagi, di Vehedi. I dettagli della sua “morte” ed altri dettagli narrati da Jasbir corrispondevano esattamente ai dettagli della vita e della morte di un giovane di 22 anni, Sobha Ram, figlio di Sri Shankar Lal Tyagi di Vehedi. Shoba Ram morì (20) nel

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(19) (Nota dell’A.): «In India persone senza grado di parantela, ma dello stesso villaggio, possono essere chiamate come parenti. Cosicché una vecchia amica della famiglia poteva ben essere chiamata “zia”, in modo familiare da un giovane dello stesso villaggio».

(20) (Nota dell’A,): «Siccome in molti villaggi indiani non sempre si regi-strano per iscritto- le nascite e le morti, non è stato possibile accertare accu-ratamente l’intervallo fra la morte di Sobha Ram ed il risorgere e la sua tra-

maggio del 1954, nell’incidente di un carro, come raccontato da Jasbir e nel modo descritto, sebbene la famiglia Tyagi nulla sapesse di un preteso avvelenamento e del denaro dovuto a Sobha Ram prima di aver udito le dichiarazioni di Jasbir. in seguito essi ebbero dei sospetti riguardo all ‘avvelenamento. «In seguito Sri Ravi Dutt Sukla, marito di Scrimati Shyamo, si recò a Rasalpur. Ivi sentì raccontare delle dichiarazioni di Jasbir e s’incontrò con lui. Quindi il padre di Sobha Ram ed altri membri della famiglia andarono là, e Jasbir li riconobbe, e correttamente indicò il grado di parentela con Sobha Ram. Poche settimane dopo, in seguito all’investigazione del direttore dello zuccherificio vicino a Vehedi, una persona di Vehedi, Sri Jaganath Prasad Sukla, portò Jasbir a Vehecli, lo lasciò vicino alla stazione ferroviaria chiedendogli di guidarlo al “quadrangle” (21) dei Tyagi. Jasbi fece questo senza difficoltà. Poi egli fu condotto in casa di Sri Ravi Dutt Sukla, e di qua egli lo guidò, per altra strada, alla casa dei Tyagi. Rimase alcuni giorni nel villaggio e dimostrò alla famiglia Tyagi ed altri del villaggio una conoscenza dettagliata della famiglia Tyagi e dei suoi affari. Egli godette assai la sua permanenza a Vehedi e tornò a Rasulpur con grande riluttanza. Da allora Jasbir ha continuato ad andare a Vehedi di tanto in tanto, generalmente per parecchie settimane, o più, nell’estate. Tuttora egli avrebbe piacere di vivere a Vehédi e si sente isolato e solo a Rasulpur. «Nell’estate del 1961 io visitai sia Rasulpur che Vehedi, ed intervistai tredici testimoni del caso. Vi ritornai nel 1964, e ristudiai il caso con nuovi interpreti, intervistando molti dei precedenti testimoni ed alcuni nuovi».

Questa indagine è particolarmente importante non solo perché pog-gia sull’aspetto fortemente indiziario di episodio reincarnativo, cosa

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sformazione nella personalità di Jasbir. Una annotazione scritta nella fami-glia Tyagi, Vehedi, fissa la data della morte di Sobha Ram alle 11 p.m. del 22 maggio 1954. Sfortunatamente la famiglia Jat non ha uguale annotazione scritta della presunta morte e trasformazione di Jasbir. Il miglior testimonio pose tale evento in aprile o maggio 1954, ma non potei avere una data preci-sa e nemmeno una concordanza fra tutti i testimoni riguardo al mese».

21) (Nota dell’A.): «Nei villaggi indiani e nelle città le famiglie ricche hanno, oltre ad una casa, un “quadrangle” che consiste in una o pid stanze coperte adoperate come luogo di adunanza ed una stanza di soggiorno all’a-perto per i membri maschi della famiglia.

Il “quadrangle” pua essere a qualche distanza dalla casa della famiglia».

già di per sè notevole, ma anche sulla caratteristica estremamente rara di “reincarnazione cambio”, cioè di incarnazione di una personalità in un corpo appartenuto sino a breve tempo prima ad una “personalità” diversa. Si deve prendere atto che i casi indagati da Stevenson — ammontanti globalmente a circa 1500 — si sono presentati in diecine di nazioni, fra le quali India, Sri Lanka, Libano, Turchia, Thailandia, Burma ed altre ancora. E’ vero che in alcune di esse la religione corrente contempla la reincarnazione, ma in altre è decisamente contraria. E poi c’è da rilevare il fatto importante che se questi casi, così numerosi, non si riscontrano in alcuni paesi occidentali, non vuoi dire affatto che vi manchino completamente, perché la nostra cultura e la nostra tradizione religiosa non consentono alcuno spazio per certi fenomeni, e quindi, quando accadono, sicuramente rimangono sommersi. Come si è visto Stevenson e i suoi collaboratori hanno fatto riferimento a un atteggiamento scientifico, per tutto quello che riguarda la metodologia di studio di questi casi. Ma la scienza ufficiale — indipendentemente da quanto ha espresso Pratt — non ammette la sopravvivenza non solo come assodata, ma nemmeno come ipotesi di lavoro, perché si occupa soltanto della sfera materiale dell’esistenza e deve conseguentemente eliminare dalla sua prospettiva tutto ciò che si pone al di fuori di quel confine. In un’ottica scientifica, dunque, ipotizzare che i ricordi di una vita precedente siano davvero quello che sembrano non ha senso. Pertanto il suo atteggiamento consiste nel trovare a questi casi una spiegazione che resti dentro i modelli scientifici correnti. Finora sono state proposte diverse spiegazioni, tra le quali:

a) sono i genitori che inducono suggestioni nei figli creando falsi ricordi, a scopi di speculazione o di arrivismo sociale (quasi tutti questi bambini appartengono a ceti sociali inferiori a quelli delle persone “ricordate”, e comunque loro e i familiari diventano piuttosto famosi nei luoghi dove vivono);

b) questi bambini sono più intelligenti, maturi e svelti dei coetanei, e ciò può averli indotti a creare storie di fantasia raccogliendo elementi qua e là (o sulle quali sono stati innestati elementi veritieri da altre persone);

c) i segni congeniti possono aver fatto pensare (ai genitori o ad altri familiari) che si tratti di “impronte” che segnalano una morte violenta precedente e dunque una reincarnazione;

d) parole sparse, sogni, racconti, aspettative manifestate dalle madri durante la gestazione, potrebbero essersi impresse nell’inconscio dei piccoli già prima della nascita o subito dopo, per riemergere in seguito, quando la loro struttura cerebrale/psichica raggiunge un certo grado di maturazione.

Stevenson, seguendo la sua rigorosa impostazione, per lungo tempo ha sostenuto che nessuno di questi casi, neppure quelli più sicuri, fornisce una dimostrazione sicura della reincarnazione (infatti ha sempre parlato di casi “tipo-reincarnazione”), anche se possono rafforzare le convinzioni di chi già crede nella realtà della sopravvivenza e della reincarnazione (22).

Però, col trascorrere del tempo, il suo atteggiamento, le sue convinzioni in merito si sono venute modificando. Pochi giorni fa ho chiesto a Stevenson, che ha quasi ottant’anni, quale è attualmente il suo pensiero in merito alla validità dei casi da lui indagati ai fini dell’ipotesi della reincarnazione. Mi ha risposto allegandomi un trafiletto tolto da un nuovo libro sui “segni di nascita” che vedrà la luce nel 1997. Posso aggiungere che per la stesura di questo lavoro Stevenson mi aveva chiesto la fotocopia del volume di Enrico Carreras: Le impressioni materne. Studio sperimentale sulla genesi psichica di alcune “voglie” e mostruosità, nonché un articolo sulla presunta reincarnazione della figlia del dottor Carmelo Samonà di Palermo, pubblicato a suo tempo sulla rivista Filosofia della scienza. E forse è stato proprio valutando meglio tutto il suo capillare lavoro di indagine sui casi di presunta reincarnazione nonché gli studi e le ricerche trasfusi ín questa sua nuova opera, che lo ha condotto a riconsiderare e a valutare in maniera un po’ diversa questo importante, anche se controverso problema:

«Dovremmo accettare la reincarnazione come l’interpretazione più adatta di quei casi solo se le altre interpretazioni non ci soddisfano. Questa è la mia posizione. Io non credo che le coincidenze, riscontrate in questi casi, tra ferite e “segni di nascita” siano coincidenze casuali; né ritengo che la percezione extrasensoriale, la possessione e le “impressioni materne” siano spiegazioni soddisfacenti per la maggior parte dei casi, anche se possono essere valide per alcuni di essi. Credo perciò che la reincarnazione sia la spiegazione migliore per la maggioranza dei casi, anche se non per tutti. «Questa conclusione comporta il corollario di credere che una forza “psichica” generata da una persona possa influenzare il corpo fisico

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22) Stevenson I., Journal of Nervous and Menta( Disease 1977, vol. 164: pagg. 305-326.

di un’altra. Una tale influenza sembra estendersi al di là. della semplice formazione di anormalità sulla pelle, per comprendere effetti rilevanti su altri organi con conseguenti anomalie congenite».

Se è vero, come è vero, che scienza significa conoscenza, non è detto che per acquisire quest’ultima si debba ricorrere sempre e solo ai metodi tradizionali dell’ortodossia, cioè l’esperimentazione e la ripetibilità dei fenomeni. Infatti vi sono altre vie che possono essere seguite per acquisire ulteriori conoscenze in ogni campo di ricerca, ma soprattutto nel settore specifico dell’ipotesi reincarnazionista. Proprio per questo riteniamo che l’immenso lavoro eseguito da Stevenson su presunti casi di reincarnazione, e quindi sulla sopravvivenza, anche se non è accettato a pieno titolo nell’ambito della scienza, abbia una sua indiscutibile validità. Soprattutto non debba essere considerato a sé stante, ma inquadrato in un contesto più ampio che com-prenda le diverse fonti dell’ipotesi reincarnazionista:

A) le “scritture” delle religioni, sicuramente da non interpretare alla lettera;

B) le varie tradizioni, comprese anche quelle dei popoli primitivi;

C) il pensiero espresso sull’argomento da scrittori, scienziati, filosofi e poeti;

D) le comunicazioni medianiche di alto livello intellettivo, che sul piano di un’alta filosofia gettano nuove luci sulle tante ombre che ancora avvolgono la vera natura dell’essere;

E.) dovremmo prendere in considerazione il problema non ancora risolto dei fanciulli prodigio e tutte le più alte manifestazioni creative dell’uomo, che talvolta raggiungono la genialità, chiedendoci se ciò possa essere esclusivamente attribuito al biologico o se invece non derivi da una “componente” di altra natura.

Si tratta, come si può ben vedere, di binari che talvolta procedono paralleli, ma talaltra si intersecano e si congiungono. In questo ampio contesto si possono cercare quelle verifiche e quelle conferme per avere poi un quadro più ampio e dettagliato di questa tematica, proprio come si fa in una qualsiasi ricerca interdisciplinare. Allora ci accorgeremo che, anche se il problema della reincarnazione non potrà essere completamente risolto — perché nulla nell’ambito della conoscenza può essere definitivamente concluso —, ci accorgeremo che tutti gli elementi di cui saremo in possesso forniranno una serie di dati che convergono come a raggiera verso un unico centro, sì da farci dedurre, logicamente, che il processo reincarnativo possiede un alto grado di probabilità.

Noi del Gruppo di Bologna, in perfetto accordo con il Centro Italiano di Parapsicologia, ci muoviamo seguendo appunto queste direttrici di studio e di ricerca che si potrebbero definire storico-umanistiche. Pertanto riteniamo che il problema della reincarnazione possa essere risolto in senso affermativo perché dopo tante indagini, tanti studi, tante meditazioni, nei quali è trascorsa gran parte della nostra vita, abbiamo raggiunto la consapevolezza, la certezza — indubbiamente soggettive — che la reincarnazione rappresenti una realtà che investe la nostra vera natura di individualità spirituali temporaneamente unite ad un corpo umano al fine di compiere certe particolari esperienze conoscitive a contatto con la materia; esperienze che fanno parte integrante dell’infinita traiettoria evolutiva sulla quale siamo incamminati. E conseguentemente, proprio alla luce di tutto ciò, abbiamo la convinzione che la nostra interiorità, ciò che indichiamo col termine “spirito”, non possa essere, nella maniera più assoluta, qualcosa di statico, ma un “essere” dinamico per eccellenza, anche perché le istanze, le pulsioni che talvolta salgono al livello della coscienza, le manifestazioni di ordine superiore che provengono dalle profondità della nostra “anima”, ci spingono senza sosta verso attività sempre più consone alle più alte aspirazioni dell’uomo. Quindi, anche da questo punto di vista, la reincarnazione la vediamo perfettamente inquadrata nel processo evolutivo-conoscitivo dell’essere, regolata da una delle infinite leggi che devono necessariamente governare l’universo e, conseguentemente, anche gli spiriti e gli uomini. E poi non dimentichiamo che la reincarnazione può darci ragione di un aspetto scottante, ma importante, fondamentale per la vita umana: il male. Se ci guardiamo intorno e posiamo lo sguardo sulle miserie del mondo, ci accorgiamo che proprio la reincarnazione conferisce, a nostro avviso, dignità ed austera nobiltà anche ai poveri derelitti umani che vengono al mondo con tare e deformità fisiche e psichiche congenite; e solo l’intuizione del valore spirituale che è dietro la “crudeltà” del loro “destino” può tramutare in giustizia, armonia ed amore, una ingiustizia, una disarmonia ed una crudeltà che non possono che essere necessariamente apparenti. Chi respinge aprioristicamente la reincarnazione, perché in contrasto con le proprie idee, con i propri studi, con la religione che professa, forse dovrebbe riflettere sulle tante conquiste faticosamente raggiunte, proprio dalla scienza, in ogni campo dello scibile, ma soprattutto sul fatto incontrovertibile che siamo inseriti e viviamo in un universo la cui immensità ci sgomenta; un universo del quale quasi tutto ci è ignoto, mentre il pianeta Terra rappresenta ben poca cosa nella galassia ed è quasi un “nulla” tra i miliardi di sistemi simili al nostro che popolano un cosmo del quale non scorgiamo la fine. E dovrebbe prendere cognizione che, nonostante questo, molti nostri concetti che fanno parte del patrimonio storico-culturale nel quale siamo nati e cresciuti, continuano ad essere ancorati ad un geocentrismo che non ha più ragione di esistere. Tutto intorno a noi è soggetto a continui mutamenti: si trasforma, in un certo senso evolve. E perché mai noi uomini, o meglio, quella componente immateriale che talvolta sentiamo pulsare prepotentemente in noi dovrebbe essere esclusa dall’evoluzione? Perché dovremmo rimanere nell’ignoranza attuale in cui ci dibat-tiamo continuamente? Riflettiamo un momento su tutto questo e ci accorgeremo allora che la reincarnazione — partendo dalle indagini effettuate da Ian Stevenson, integrate dagli studi e dalle ricerche eseguite sulle altre fonti suindicate, e dalle nostre considerazioni ed esperienze personali — potrebbe non essere una semplice teoria, ma una realtà, una strada maestra, calcando la quale si può avanzare verso le più alte aspirazioni del pensiero, al fine di raggiungere nuovi traguardi della conoscenza.

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