Dio è nella nostra interiorità

Dio è nella nostra interiorità

«Occuparsi di Dio può essere solo un grazioso gioco filosofico, almenché non si tenti di parlare di Dio al fine di dimostrarlo: ma sarà un ragionamento viziato comunque per approssimazione, per ipotesi, per iperboli, per metafore o anche per logica. La certezza dell’esistenza di Dio è soltanto la conseguenza di un lavoro di discoprimento interiore. Nonostante la nostra insistenza su questo argomento, pure voi cadete ancora in questa trappola. Ricordate, Dio è dentro di voi: l’unica possibilità che avete e che abbiamo noi esseri spirituali è quella di trovare (riconoscere) Dio dentro di noi. Questa strada è percorribile perché la nostra natura è una natura divina, la nostra stessa sostanza è divina. Possiamo fare questa analisi addirittura fisica, perché andiamo ad esaminare la nostra natura, la nostra struttura, la nostra esistenza: noi siamo una realtà, abbiamo un principio di realtà che è percorribile e che ci consente un’analisi abbastanza accurata della sostanza di cui siamo costituiti. Ad un certo punto questa analisi coinciderà con una conoscenza del divino, dal momento che la nostra è natura divina, poiché siamo stati emanati da Dio. Questa possibilità coincide anche con la nostra evoluzione. Dio non ci viene dato come una definizione che cade dall’alto, ma riconosciuto come conseguenza di una ricerca della nostra natura universale. Conoscendo noi stessi, noi veramente conosciamo Dio. Che poi Dio esista oggettivamente, cioè oggettualmente fuori di noi, questa è una verifica che noi facciamo e che constatiamo, di cui però possiamo soltanto dimostrarne l’esistenza ma non la natura, perché la natura è fuori di noi. Abbiamo bisogno, per riconoscere la natura, del lavoro di introspezione, cioè dell’analisi della nostra soggettività. Però, poiché la nostra natura interiore è infinita ed eterna, come la nostra struttura spirituale, questo lavoro sarà infinito ed eterno. Anche di noi stessi non conosceremo mai tutto, perché il nostro è un tempo infinito. In questo rapporto (che sembra apparentemente paradossale) voi vi chiedete perché come Spiriti non potremo mai conoscere tutto. Perché mai dobbiamo restare ancorati alla provvisorietà, al relativo, perché non ci è dato mai conoscere questo infinito? La risposta è che conoscerlo non sarebbe un bene, perché se dovessimo percorrere ed entrare completamente nell’infinito, saremmo assoggettati a morte. Noi raggiungeremmo il luogo invalicabile della fine dell’infinito, mentre proprio il percorrimento infinito ci garantisce l’eternità del nostro esistere e ci dà la consapevolezza che non c’è morte per lo Spirito, perché è assicurato il percorrimento dell’infinito nell’eternità. Se Dio ci avesse fatti capaci di capire il limite dell’infinito, ci avrebbe reso mortali, e questo francamente non sarebbe stato un bel dono, se dobbiamo esprimerci col linguaggio umano del dare e dell’avere». (Racc. Lez. 15-3-1991). A parte ciò, il concetto di infinito esclude la sua raggiungibilità finale. «Dio non va insegnato, ma cercato, Dio non va amato come una figura alla quale ci si rivolge come verso uno specchio, Dio non è insomma un simbolo. Dio deve diventare quella profonda comunione interiore che talvolta è possibile riscontrare anche nell’uomo, ma che in ogni caso è al di là degli accadimenti materiali con i quali Dio non ha nulla a che vedere. Vorrei che fosse chiaro questo principio, perché da ciò scaturisce un’altra cosa: che in base a questo principio nessuna scienza e nessuna cultura potrà mai dimostrare che Dio esiste o che non esiste, perché nessuna logica o certezza scientifica sposteranno il problema. Ciò perché, effettivamente, l’Universo come natura, allo stato, così com’è dato e così come voi lo potete vedere, non ha bisogno di Dio; di Lui ha bisogno un’altra natura dell’Universo, che poi è quella che non vi interessa sul piano della scienza. Dio è sempre oltre, perché è sempre diverso da ciò che cercate. Egli è utilizzabile, dimostrabile o da ricercare attraverso quel piano dell’interiorità che è in grado, per sua natura divina, di dare certi segnali, certe lontanissime appercezioni più o meno captabili, forse segni indiretti di più lontane realtà. È dunque questa la sola via per raggiungere la zona entro cui Dio comincia ad essere intuibile, la via che è dentro di voi, nella vostra natura più profonda, laddove essa non è più natura nel senso convenzionale.

Allora a questo possono servire i maestri. A farvi capire certe differenze ed a non crearvi l’illusione di poter trovare Dio dietro una qualsiasi immagine, anzi spostando la sua idea centrale quanto più in là è possibile.

Più spostate Dio verso la Terra, più lo fate entrare nella logica delle contraddizioni, nelle possibilità delle negazioni trasformandolo in un Essere che può essere respinto.

Più lo spostate lontano, più ne salvaguardate l’immagine; salvo ad avvicinarsi laddove è possibile, lungo la via interiore… Quando lo Spirito è di fronte a se stesso, quando l’essere incarnato si pone il problema della sua natura, si ritrova di fronte alla sua solitudine, al suo problema di conoscenza, alla religiosità. Allora deve capire che attraversa una quantità di vie materiali che non lo conducono al cuore del problema: soltanto quando si spoglia di tutti i problemi e si abbandona alla propria interiorità, l’uomo comincia a «catturare» qualche segnale della verità.

Più abbandonate la ragione più riconoscete il segno di Dio, perché entrate in un nuovo ordine, in una diversa logica (Racc. Lez. 5-10-1983)

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