Estranei a se stessi — Il luogo dell’Anima

Estranei a se stessi — Il luogo dell’Anima

L’uomo è il pastore dell’Essere (Heidegger) cioè la mente è subordinata ad una interiorità profonda che travalica la coscienza. Detto in altro modo, abbiamo un Io che amministra (o dovrebbe amministrare) il vero programma che ciascuno ha nel proprio interno sin da quando viene al mondo.

L’uomo è, dunque, naturalmente paranormale, come già si è detto. Se ammettiamo di possedere un’Anima autonoma, non prodotta dal cervello e non identificabile nella mente, e se possiamo sostenere che l’Anima precede e segue la vita biologica del corpo, la natura paranormale è implicitamente dimostrata. E una tautologia, ma è proprio così. Naturalmente bisogna apprendere il linguaggio dell’Anima, altrimenti ad essa non sarà mai possibile accedere, finendo col restare, come avrebbe detto Fromm, il nostro linguaggio dimenticato.

Facciamo qualche riflessione.

Questa pagina che stai leggendo è solo un foglio di carta con un grammo di inchiostro? Oppure il foglio esprime il risultato di un pensiero astratto, nato nella coscienza intima dell’autore e che ora si ricostituisce, quasi per telepatia, nella tua coscienza che sta leggendo? La pagina sta ricostruendo un significato, oppure nella tua mente, attraverso i soli occhi, si stanno registrando (con l’immagine del foglio) i soli caratteri di stampa?

Attenzione: tu «hai» una mente? oppure: tu «sei» una mente?

Se rispondi: io ho una mente, chi è quell’io che ha una mente?

Se invece dici che sei una mente, stai dichiarando di essere veramente te stesso, di identificarti così nella tua natura soggettiva.

Di conseguenza, nessuno può dire “io ho un’Anima”, perché nella nostra interiorità non abbiamo una scissione, ma una unità soggettiva, per cui noi potremmo essere un’Anima che possiede un corpo e non un corpo che possiede un’Anima.

Va’ allo specchio e guardati: chi è l’immagine che appare? Chi è l’individuo che stai guardando? Ti riconosci solo perché vedi la tua figura già nota ed amica? Oppure ti riconosci in quanto l’apparizione ha un nome e cognome, fa quel mestiere e vive la vita che vive?

Se lo specchio non riflettesse l’immagine, ti riconosceresti egualmente?

Se chiudi gli occhi non vedi più la tua immagine allo specchio.

Lo specchio è svanito perché gli occhi sono chiusi, oppure sei svanito anche tu? Oppure continui ad avere coscienza di te anche senza vederti?

Se esamini attentamente il tuo corpo, una tomografia del tuo cervello, una radiografia del tuo cranio e una fotografia della tua faccia, ti ritrovi e ti riconosci, oppure ti senti un soggetto che guarda il suo corpo, con la coscienza dell’estraneo?

Se tu non avessi gli occhi per vedere, il tatto per toccare, le orecchie per sentire, l’olfatto per odorare, il gusto per saggiare… se non avessi più le gambe e le braccia… se un chirurgo ti asportasse pezzi d’organo riducendoti a brandelli di carne e ossa per non più di trenta chili, saresti sempre tu?

Se tu non avessi casa, famiglia, un nome e cognome, una nazionalità, se avessi dimenticato finanche il tuo passato, saresti niente o saresti ancora tu?

Quando ascolti musica ti trovi nella tua testa o credi di essere altrove?

Il pensiero e l’amore sono dietro gli occhi? Se avessimo avuto il cervello nella pancia, ora saremmo là?

Solo la malattia ci rende coscienti del corpo, per cui viviamo gran parte dell’esistenza ignorandoci.

E allora, poiché come coscienza non abbiamo percezione di noi, come possiamo affermare, con tanta sicumera, che è la coscienza a rappresentare l’espressione del corpo, se è proprio questo esserci del corpo che non riconosciamo?

Lo stato di coscienza non è il cosciente neurologico, ma il sentirci (e qui sorge il paradosso!) astrattamente ma concretamente “noi” come referente esistenziale e privilegiato dell’essere nel mondo. Non può darsi che la coscienza rappresenti solo se stessa?

La nostra percezione dell’essere nel mondo, qui e ora, sembra, poi, sospesa in un limbo: viaggiamo nel mondo e nel tempo senza radici corporee, come se il nostro corpo appartenesse ad un altro. C’è una spersonalizzazione corporea ma, ciò nonostante, l’appartenenza a noi in quanto soggetti, non viene mai messa in discussione, fatta eccezione per la schizofrenia.

Ciò è semplicemente stupefacente, straordinario. La nostra coscienza di essere nel mondo, è come in levitazione sul corpo: come si può negare che ciò sia il primario fenomeno paranormale della nostra vita?

Ascolta e medita:

  • Dove vanno le sinfonie quando vengono suonate?

  • Dove và l’amore quando l’abbiamo manifestato?

  • La nona di Beethoven è solo un suono fisico come il campanello della porta?

  • Se fossimo nati dal corpo di un’altra madre, saremmo sempre noi?

Rifletti:

Dov’è la tua mente, ora che stai leggendo e ti stai interrogando? Ti senti in qualche luogo del tuo corpo o in un punto fuori della testa o del torace, o in uno spazio che non riesci a fissare e ti sembra di smembrarti perché non riesci a capire più nulla?

Rilassati. E ascolta.

Tu non sei i tuoi sensi o la tua carne e non sei nella tua testa o nel tuo torace. Tu sei esclusivamente dentro la tua identità e più ti abitui a questo isolamento spazio-temporale e più affondi nella radice del tuo spazio interiore, che rappresenta il tuo in sé, la tua identità, la tua Anima.

È questa la procedura. In ciò è la cura per ritrovarsi. Per ritrovarsi bisogna imparare ad entrare nella propria Anima, imparare a parlare di sè con se stesso.

Meditare vuol dire interrogarsi, ma le risposte si possono avere soltanto nei luoghi paranormali della propria interiorità. Attraverso questa procedura chiunque di noi può incontrare il mistero della propria radice profonda e valutare, quasi palpandola come fanno i ciechi quando toccano i volti per riconoscerli, la separazione fra l’Io della mente costruito sui parametri del corpo (dell’ambiente e delle regole politiche e culturali dell’uomo) e l’Io dell’Anima annodato intorno alla vera identità che ci rende unici e irripetibili.

Questo sentirsi coscientemente dentro, nella propria essenzialità ricca di echi e di pienezza del percepirsi e del senso di libertà assoluta, costituisce ciò che viene definita la «soggettività» l’esserci, il ritrovarsi, cioè lo stato in cui si costituisce questa soggettività che rappresenta anche la nostra identità.

Identità e soggettività sono due figurazioni della stessa medaglia e non possono esistere separatamente: entrambe costituiscono la nostra individualità.

Nessun altro, tranne ciascuno di noi separatamente dagli altri, può entrare in questa soggettività, così come nessùno può modificare o alterare l’individualità, perché questa è il perno intorno a cui noi costruiamo la facciata che presentiamo sia a noi stessi che al mondo. Cioè noi nasciamo con una identità strutturata come Anima e la mente la ricopre trasformandola in personalità. La personalità è, complessivamente, una costruzione del mondo: una costruzione che può sostituire ogni libera scelta se la pressione sociale è molto forte. Quasi sempre l’identità e la soggettività sono totalmente sommerse dall’Io sociale. La conseguenza è la perdita di sè e la nevrosi esistenziale quali forme reattive all’imprigionamento dell’Anima.

La personalità, dunque, segue leggi che non coincidono con quelle dell’Anima, per cui l’identità viene persa o ridotta, creando in ciascuno lo smarrimento dell’origine e determinando lo svolgimento di una vita nel quotidiano come estranei a noi stessi, come se un altro camminasse per noi al nostro posto.

Viviamo dimentichi di noi, alienati dalla radice, alienati dall’identità, dalla zona interiore in cui c’è il nostro nucleo vivente, la vera, autentica esistenza cosciente che ci rende unici, irripetibili, eterni, autonomi, divini.

La zona interiore a cui si è fatto finora riferimento, l’imprecisabile punto dove avvengono tutte le più importanti e superiori transazioni interiori, è il luogo dell’Anima.

Da quest’Anima, anche senza la nostra comprensione e volontà, si costituiscono fenomeni paranormali eccezionali per la nostra vita umana (per esempio: la creatività, l’intuizione, la libertà). Essi rappresentano la vera sfida al determinismo materialistico che ci vuole macchine pensanti e prodotto cellulare sia pure ad alta specializzazione.

Il porci come creativi sulla natura è un fenomeno paranormale rispetto al normale che ci vuole come reagenti e come obbedienti: è questa la fondamentale impostazione rivoluzionaria della parapsicologia umanistica.

La parapsicologia umanistica si interessa e studia proprio gli aspetti paranormali dell’uomo legati allo scarto, cioè alle differenze fra il prodotto della mente e alcune realtà superiori. Escludendo dalla mente le funzioni che non possono essere dimostrate dalle teorie neurofisiologiche sul cervello, si isolano, in tal modo, alcuni specifici denotatori che il parapsicologo umanista collega alla realtà dell’Anima, qualificando questa ipotesi con concreti dati di fatto e con una ricostruzione storica e sociologica delle funzioni e dei fini della vita, di importanza sia filosofica che scientifica.

La vecchia parapsicologia, complessivamente fondata sui fenomeni ottocenteschi, viene quindi superata da una paranormalità che non è più (o solo) nei fenomeni fisici che si esteriorizzano nella parapsicologia tradizionale, ma in quelli molto più significativi dei fenomeni che (al contrario) sono interiorizzati.

L’importanza di questa reimpostazione del problema è avvalorata anche dalla constatazione che il mondo paranormale interiore (o mondo dell’Anima) ha un linguaggio completamente diverso da quello della coscienza, per cui lo stesso concetto di Anima è visto in funzione di una sopravvivenza totalmente diversa da quella finora conosciuta o supposta.

Cambiando il linguaggio, cade la visione antropomorfica di un mondo parallelo fatto ad immagine e somiglianza di quello umano.

In tal modo si entra nella vera soggettività la quale è al di là del linguaggio e dello spazio-tempo. Forse si entra anche nella vera sopravvivenza, la quale non potrebbe mai legarsi ad una visione antropomorfica, ma alla soggettività significante della coscienza, cioé al di là del linguaggio quale noi l’intendiamo.

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