
PRESENTAZIONE.
In questo fascicolo l’argomento di più alto interesse è evidentemente quello che riguarda l’evoluzione dell’idea di Dio negli spiriti. È un’altra breve, ma intensa e magistrale trattazione dell’”Entità Andrea” del tema più arduo della conoscenza, non solo umana. Si riafferma il primato di tale idea sia in Terra, nella società umana, malgrado i periodici disorientamenti, sia nello sviluppo dello Spirito, libero dai ricorrenti dubbi dell’uomo.
Il breve dibattito su Davide Lazzaretti ci conduce invece nuovamente nel nucleo della contrapposizione che esiste tra logica umana e “logica” dello Spirito. Un logica, cioè, che lo porta anche in Terra (in casi eccezionali) ad azioni dirompenti rispetto a un “ordine” costituito, statico e costruttivo, e ciò anche a costo di distruggere la scorza umana fisica, travalicata dall’impatto apparentemente anarchico dello Spirito.
Segue una chiara messa a punto del fenomeno telepatico che può aiutarci a renderlo più efficace.
Torna quindi, brevemente, l’annoso problema degli animali e dell’atteggiamento dell’uomo nei loro confronti. Alcune considerazioni dell’Entità Andrea potranno forse stupire qualcuno, romanticamente legato agli animali (soprattutto ai propri animali domestici) ma anche qui è questione di guardare in faccia la realtà. Le considerazioni fatte da Andrea verranno quindi accettate nella misura in cui ognuno avrà percepito e assimilato il fondo del suo pensiero totale (o, almeno della parte a noi giunta). D’altronde, questo significa riferire alle altre creature della Terra un certo discorso già fatto per l’uomo, considerato quale semplice strumento dello Spirito, “ombra” di un disegno vasto. Oltre ogni regola generale, a questo punto è la scelta individuale che conta, secondo la propria evoluzione interiore e il proprio senso della vita e dell’unità del tutto, anche nei confronti degli animali, che convivono con noi in questo mondo di lotta.
GdS
5) – EVOLUZIONE DELL’IDEA DI DIO.
(La comunicazione nel testo originale appare autonoma, non compare cioè una domanda specifica riguardo al tema trattato. – Nota del curatore.)
A. – … L’argomento “Dio” era e resta, indubbiamente, l’argomento principe di ogni discussione, soprattutto oggi che il mondo avverte una grave carenza dell’idea di Dio. Perché vi è stato un passaggio netto, troppo brusco, tra un modulo idealista, romantico, e un mondo prevalentemente tecnologico. In tutto questo a farci le spese è stata proprio la religione, e qui per religione intendo proprio quel corpo di dottrina metafisica che poneva Dio in cima a tutto, ed è così che l’uomo un poco alla volta ha perduto questo ideale. Le colpe sono varie. Certo, a volerle centrare non sarebbe neppure difficile; in ogni caso non esistono delle responsabilità accentuate, particolari. Responsabile è semmai il mutamento rapido, improvviso che si è avuto nel corso della storia; il passare da una civiltà all’altra, cioè a dire alla civiltà tecnologica in cui vivete. E certo, Dio non può trovare agevolmente posto in un mondo dominato dalla fretta, calcolato, programmato dalla macchina e dall’uomo che ovviamente si è reso schiavo di essa in maniera tale che il lavoro invece di affrancarlo, di nobilitarlo, l’ha reso schiavo.
Ora, l’uomo schiavo del lavoro è un uomo, in fondo, che non può più guardare il cielo. Questo, evidentemente, non dipende da una sua colpa, ma semplicemente da quegli assestamenti, da quelle modifiche che si hanno nella civiltà e che sono accaduti anche altre volte. Modifiche che vedono l’uomo impreparato di fronte a una massa di nuove nozioni, di nuovi problemi da affrontare, da risolvere, troppo urgenti perché legati alla vita contingente, perché legati alla sopravvivenza stessa. Tra questi problemi, quelli di natura metafisica non trovano spazio.
Ora, si potrebbe chiedere: quanto durerà tutto questo? Quanto tempo occorrerà ancora perché l’uomo riprenda il suo colloquio con Dio?
Intanto bisogna precisare subito che porre la questione in questi termini è un po’ parlare di utopia, non fosse altro che per il fatto che questo colloquio con Dio non è che l’uomo l’abbia mai avuto, in realtà. Vi è stato un colloquio con tutto un mondo di idee spirituali, vi è stato direi, un colloquio dell’uomo con la filosofia, con i problemi dello Spirito legati talvolta a questa o a quella forma religiosa. Cioè a dire, l’uomo in realtà non ha mai avuto un colloquio chiaro e diretto con Dio. Dio gli è sempre apparso attraverso le vesti delle varie immagini più o meno paludate delle varie religioni, e si è accontentato di sostituti di Dio. Quindi, ecco che anche parlare di un ritorno a Dio può apparire utopistico per un mondo, per un’umanità, che in fondo, con Dio questo colloquio non ha mai avuto, sicché, ecco che occorrerebbe precisare un colloquio con il mondo dello Spirito più che con Dio. Cioè a dire, partecipare alla vita spirituale, renderla viva e attiva anche nel mondo tecnologico, cioè in un mondo in cui l’uomo cammina assieme a problemi di natura tecnica, quindi non più umanistici, o umanistici in un altro senso.
Indubbiamente tutto questo ha portato le varie crisi, crisi in filosofia, crisi nelle lettere, crisi nelle arti, crisi nella stessa nuova psicologia, e tutto questo non sparirà ma si evolverà. Il riconoscimento della funzione primaria spirituale dell’uomo sarà un fatto che avverrà, indubbiamente, perché l’uomo non può vivere a lungo ignorando un’altra parte di sé, cioè a dire quella parte spirituale che, qualunque ne sia l’origine e l’interpretazione, è una parte che esiste nell’individuo: il mondo delle sue idee, il mondo del suo Spirito. Che lo Spirito abbia o no un destino spirituale assoluto è un problema già secondario. Intanto, qualunque sia l’origine e la consistenza dell’essere umano, questo “quid” di natura spirituale – quindi immateriale – esiste, ed esistendo ha le sue leggi. Ora, esse non si possono ignorare a lungo.
Sì, l’uomo apparentemente è forzato, apparentemente sembra inserirsi in un meccanismo sociale che estrania il problema spirituale ma, alla fine dei conti, questo problema spirituale ritornerà pressante, perché in fondo l’uomo la sua felicità non la trova solo nell’organizzazione sociale in cui vi sia una presenza e un riconoscimento di natura etica, di natura dunque spirituale.
Cioè, in fondo, il godimento l’uomo lo trae per vie interne, e l’elemento esterno è solo un elemento sollecitante perché il godimento è una interiorità, una pace che si misura soltanto “dentro” e non in maniera esterna. Tutto ciò che è esterno è provvisorio è come tale non può dare felicità duratura. Ecco che il problema di Dio ritornerà a essere un problema pressante, un problema veramente importante, perché non è un problema che si può ignorare a cuor leggero. Intanto, è un problema che si presenta continuamente quando muore un uomo. Un uomo muore e la prima cosa che si chiedono i sopravvissuti è cosa ne è di lui, se il suo Spirito vive, se egli è finito per sempre. Cioè a dire, il problema metafisico si pone nel momento preciso in cui un essere umano muore e ci si vuol rendere conto di tutto questo. Dunque, fin quando esisterà la morte esisterà questa domanda che sarà presente anche durante epoche materialistiche, perché il materialista soffre nella stessa maniera di colui che è spiritualista, perché il dolore è un fatto indipendente dalla destinazione del morto. Cioè a dire, è un fatto puramente psicofisico; e dunque ecco che ritorna, col problema della sopravvivenza, la possibilità di una giustizia superiore, la possibilità dell’esistenza di Dio. Dunque non si può togliere assurdamente, improvvisamente Dio dai testi, dalle dottrine, da tutte le varie ipotesi che si formano sull’origine e la destinazione del mondo, inquantoché Dio finisce sempre col rientrare, magari attraverso i sentimenti, attraverso i dubbi, attraverso le domande.
La questione non è di credere, ma di porsi il problema. Nell’umanità di oggi manca anche questo. Parlo di indirizzo generale, medio, è chiaro, non è che non se lo pone nessuno, il problema, e anche coloro che pretendono di credere, in fin dei conti sono più suggestionati da dottrine e tradizioni che da una vera e propria fede, sicché il problema generalmente si pone quasi per tutti. È un problema che probabilmente è stato divulgato in maniera esemplificata, in maniera camuffata, e per questa ragione gli uomini non sono più propensi a riconoscere Dio attraverso linee semplici, ma attraverso linee molto complesse, dottrinarie, che finiscono con lo smarrire o addirittura col cancellare e modificare la Sua idea. Ora, direi, che il compito preciso di uno spiritualista, per esempio, debba essere quello di testimoniare con la sua sicurezza e con la sua fede, o non foss’altro che prospettando il problema, perché è un problema di cui si deve parlare e quindi tanto più se ne parla, tanto meglio è. Non è un problema che si può risolvere, e certo non si può pretendere che lo si accetti subito, ma è già tanto se se ne parla. Invece a me pare che non se ne parli neppure e, non parlandone, il problema può lentamente degradarsi sempre di più, e così sarà sempre più difficile riprenderlo.
D. – Ma quale può essere, veramente, un rapporto tra noi e Dio?
A. – Ho già risposto alla domanda con la prima parte della conversazione, cioè, il rapporto che esiste oggi tra l’uomo e Dio. Ora, posso aggiungere ancora questo, e cioè che non è necessario che sulla Terra gli uomini concordino sull’idea di Dio. Cioè, esiste una relatività, indubbiamente della visione Dio; ognuno vede Dio in modo diverso. Questo non significa che Dio sia diverso e molteplice, ma che le possibilità di “lettura” di questa grandezza divina sono infinite. La Sua posizione è una posizione instabile dell’Universo; cioè a dire, la presenza di Dio sfugge a una fissazione geometrica, Egli non è fissabile; da questo punto di vista tutti gli spiriti hanno di Dio un’idea diversa. Averne un’idea diversa, ripeto, non significa che Egli sia diverso, ma che le possibilità di penetrazione di Dio dipendono dall’evoluzione di ciascuno, questo sì. E in questo, indubbiamente, gioca la diversa interpretazione che lo Spirito ha di Dio. Ora, accade talvolta che, per esempio, mi si chieda: quando lo Spirito raggiunge un’evoluzione grande, enorme, veramente enorme, questa idea di Dio tende a precisarsi sempre di più? Tende, cioè a dire, a diventare più circoscrivibile? Lo Spirito puntualizza meglio?
A questo punto la mia risposta suona strana per voi: lo Spirito tanto più sale tanto più sperde l’idea di Dio. Cioè a dire, egli puntualizza meno Dio. Lo puntualizza sempre di meno perché dalla sua posizione enorme egli ha a disposizione un angolo di visione, di penetrazione, che è sempre più grande. Egli, insomma di Dio vede una parte sempre più grande, quindi sempre più dispersiva, sempre più grande. È, indubbiamente, l’idea dell’infinito che diventa veramente più precisa in lui. Ma questo corrisponde a una dilatazione sempre maggiore della realtà divina, mentre lo Spirito che è più in basso (diciamo così, che è meno evoluto) di Dio ha un’idea più rappresentativa, più relativa, quindi effettivamente se la forma, a cominciare dall’uomo, con un’immagine umana. Voi tutti potete immaginarvi molto facilmente il Dio che vi hanno insegnato: un vecchio con la barba e i capelli bianchi. Ora, bene o male, voi questo vecchio ve lo immaginate, potete anche, chiudendo gli occhi, vederlo questo vecchio, indubbiamente, e, quindi, ecco che l’immagine di Dio si restringe sempre di più.
Man mano che invece voi superate queste idee balorde, l’idea di Dio si allarga sempre di più. Ora, io posso aggiungere questo: che nonostante questo allargamento della realtà divina, del Principio di Dio, contemporaneamente aumenta nello Spirito l’apprezzamento di questo Dio, aumenta l’amore per questo Dio. Sfugge cioè la definizione, la definibilità di questo Dio, ma aumenta il rapporto con esso. E perché? Anche qui è logico che aumenti. Lo Spirito amplia il suo infinito interiore; egli, Spirito infinito, si pone in una sintonia migliore con un Dio infinito del quale centra la Realtà infinita, centra cioè il carattere infinito di questa Realtà. Egli, dunque, ha la possibilità di stabilire un contatto più armonico tra il sé infinito che riconosce e valuta, e questa Realtà di Dio, e nasce dunque una sintonia per altre vie che prima era impossibile. Ora dunque, il suo rapporto con Dio aumenta, pur diminuendo sotto il punto di vista precedente, cioè a dire, di quella che è la globalità dell’idea di Dio che invece diventa sempre meno globale, proprio perché essa si sperde come possibilità di definirlo, di collocarlo, di geometrizzarlo. Ora, è evidente che con il “geometrizzare Dio” qui non si vuole intendere che lo Spirito tenti proprio di collocarlo in un ambito finito, perché, lo sa anche lo Spirito piuttosto inevoluto che Dio non è definibile perché ha dei caratteri infiniti. No, voglio dire soltanto che lo Spirito comunque, una volta ampliata la propria conoscenza e raffinata enormemente la propria evoluzione, tenta di Dio una geometrizzazione, collocandola in un’ipotesi d’infinito, cioè a dire una geometrizzazione aperta nell’infinito, ma che resta pur sempre con dei limiti. Ora, il fatto che l’Universo stesso sfugga a dei limiti, che l’Universo stesso non sia collocabile in un piano geometrico, induce lo Spirito a porsi in rapporto con gli attributi di Dio più che con la Sua Realtà, e ciò cambia il bersaglio. Lo Spirito, a un certo punto, si rende conto che Dio, come sostanza non lo potrà mai centrare e allora ecco che egli mira ai suoi attributi, e comincia il percorso degli attributi, in fondo, lui lo sa bene, significa impadronirsi di una parte della Realtà divina. Tanto per cominciare, gli attributi di Dio non sono cose diverse da Dio, e anche questo è difficile da intendere per voi uomini.
Gli attributi di Dio sono Realtà, per voi invece già non lo sono. Quando noi diciamo, come attributi, amore, per voi l’amore è già un fatto irreale. Cos’è l’amore per voi? Sì, voi fate delle leggi, stabilite dei principi, dite: se c’è amore c’è un uomo che ama e un’altra persona che è amata, ma il rapporto di amore non è una cosa che passa da un uomo e arriva a un altro uomo: è un fatto intimo, ciò che si chiama amore. Voi non date una qualità finita fisica dell’amore, all’amore come sentimento, ovviamente, non all’amore in senso fisico. Per Dio invece le cose stanno diversamente. L’amore di Dio è una Realtà, non è soltanto un’espressione sentimentale della mente di Dio, no! L’amore è vero, esiste veramente un amore che ha regole, leggi, principi, perché Dio ha creato il principio dell’amore e avendolo creato quest’amore esiste come realtà, non come poesia, come ipotesi pratica, come manifestazione poetica di un sentimento. Dio non ha sentimenti, è questo il punto. Dio non è un essere sentimentale come l’uomo e come lo Spirito, guai se avesse sentimenti Dio; perché il Suo sentimento commisurato al sentimento definito di uno Spirito o di un uomo, sarebbe soggetto a delle fluttuazioni, e cioè verrebbe meno la giustizia rigida e inflessibile di Dio soggetto a questo sentimento. L’autocautela di Dio sta in questo: che Egli non ha sentimenti, ma ha ugualmente tutto, ha cioè tutti gli elementi che contengono il sentimento, e questi elementi sono Realtà che Egli possiede dentro di Sé, ma che ha dato anche esternamente, affinché gli uomini – gli spiriti – possano usare di questi sentimenti a loro piacimento senza coinvolgere la giustizia universale di cui Egli è l’estremo depositario. E, quindi, per questo, cosa ha dovuto fare nella Sua creazione, nella Sua emanazione? Mettere fuori di Sé, esprimere, manifestare l’amore, per esempio. E allora questo amore è diventato una Realtà con le sue leggi. E questo amore dov’è stato immesso? In una legge sua, la legge d’amore che esiste, una legge di giustizia, una legge di perdono, una legge di carità, che poi lo Spirito intende in altro modo.
Lo Spirito non le intende come leggi, ma come sentimento. E allora parla di sentimenti di carità, di perdono, d’amore ecc. Ma perché esistano questi sentimenti bisogna che esista una legge che codifichi l’esistenza di un sentimento perché, intanto, lo Spirito e l’uomo non creano niente e quindi non avrebbero potuto creare l’amore, se all’amore non corrispondesse una realtà ben precisa codificata da Dio. Ora, siccome lo Spirito questa realtà dell’amore l’interpreta a modo suo, cioè attraverso i suoi sentimenti personali che sono relativi e non garantiscono una giustizia, ecco che Dio ha dato ugualmente questo amore coinvolgendo le leggi relative che essi stessi cooperano a formare con la loro organizzazione universale, sopra le quali resta però sovrana la Sua legge, cioè il Principio che egli detiene. E questo Principio garantisce che le leggi vengano sempre ad applicarsi con giustizia. Ma se fosse Egli, Dio, dispensatore di amore, sarebbe costretto come tutti i dispensatori di amore alle fluttuazioni sentimentali e, d’altra parte, essendo Egli sovrano giudice, ma anche sovrano Padre, il Dio detentore di amore sarebbe costretto a un perdono continuo. Cioè Egli sarebbe costretto, per suo sentimento (se avesse sentimenti), a perdonare sempre, perché essendo infinito amore, è infinita bontà e infinita carità. E, certo, Dio non si sognerebbe mai di far soffrire uno Spirito: e allora Egli cosa ha dovuto fare? Ha dovuto eliminare da Sé questa amministrazione della giustizia, stabilendo leggi che contemplino un’equa distribuzione; perché, d’altra parte, Dio sapeva bene che dando la libertà allo Spirito questi poteva far bene e poteva far male, e che non sarebbe stato giusto premiare tutti quelli che fanno bene e quelli che fanno male. E come poteva Dio evitare questo se Egli, infinito amore per natura, fosse stato costretto, portato a perdonare e a voler bene a tutti? Questo per parlare con un linguaggio molto umano, è chiaro. Non c’era altro modo che liberarsi del “giudizio”: questo giudizio che Egli ha affidato allo Spirito stesso. Sicché l’amore è diventato una legge ben precisa in cui si rispecchia lo Spirito stesso, d in questo modo, ecco che si ricostituisce l’unità di Dio sovrano giudice. Ora, anche lo Spirito molto evoluto percorre solo questi attributi divini inquantoché la sostanza non la potrà mai centrare. E in questo percorrere gli attributi divini egli allarga sempre più il suo orizzonte.
D’altra parte, l’infinito di Dio è appunto infinito, sicché sarà sempre da percorrere. Voi, di attributi ne conoscete ben pochi, conoscete quelli che passano attraverso il vostro cuore e la vostra mente, è chiaro: l’amore, il perdono, la carità, la bontà, l’intelligenza, la volontà; ma Dio non finisce qui, è logico, sarebbe ben poca cosa se si potessero enumerare le qualità di Dio, ed esse non sono enumerabili, appunto. Perché il carattere infinito di una realtà presenta appunto questa difficoltà, di non essere definibile nella quantità, di non essere definibile affatto. Sicché, anche la quantità numerica degli attributi divini non è calcolabile.
D. – Può darsi che, a un certo punto, un altissimo Spirito possa avere la sensazione di confondersi con Dio?
A. – No, vedi, questo non si può verificare. Certo, può, capitare che gli spiriti abbiano di queste illusioni (più che sensazioni) senz’altro momentanee, questo può anche capitare. Ma non bisogna dimenticare che lo Spirito, a qualunque altezza si trovi, conferma sempre la propria individualità, quindi egli sa bene chi è. A un certo punto tu V., a qualunque altezza ti trovi sai bene di essere V., e questo lo saprai sempre, questa è la vera garanzia della sopravvivenza. Tu saprai sempre di essere tu. Se tu non lo sapessi, a un certo punto non vi sarebbero più garanzie di sopravvivenza. La sopravvivenza intanto ha senso in quanto si conserva l’autoriconoscimento. Indubbiamente, sarai trasformato, è chiaro, è logico, non che tu ti riconosca come l’uomo V. che vive in questa città, faceva quel mestiere, quell’attività, no, tu non ti riconosci più così, ma il tuo io, la continuità tra il tuo io e il tuo pensiero, questo ci sarà sempre, in evoluzione sempre positiva.
E questa è l’unica garanzia che abbiamo. Tutti, voi e noi spiriti, ci troviamo nella stessa situazione. Se un bel giorno io dovessi dimenticarmi di essere io, se per una qualche ragione, nella mia evoluzione dovesse scattare un dispositivo che non mi permettesse più l’autoriconoscimento, per me sarebbe la morte. Io sarei morto, sarei morto veramente per sempre. Ora, badate però, voglio aggiungere questo: in realtà questo pure avviene, ma non ce ne accorgiamo, e avviene anche in voi.
Voi chiederete come. Ma voi, oggi, all’età che avete non siete più quelli che eravate trent’anni fa. Quello che eravate quando avevate cinque anni ve lo ricordate più? Non ve lo ricordate più, se non per qualche vago ricordo, quindi già la nostra personalità di bambini di cinque anni è morta, e muoiono così tutte le vostre personalità col passare degli anni. Ora è chiaro che, non è una vera morte, a voler sottilizzare, perché è sempre la vostra personalità che si è evoluta, che è diventata un’altra personalità. Ora questo, vedete, avviene anche per lo Spirito: io non sono più lo Spirito di venti secoli fa, anche se sono sempre lo stesso per la mia qualità, ma la qualità conta fino a un certo punto, è la personalità che conta. Ora io so di essere lo stesso e questa sicurezza, questa certezza mi rassicurano, ma evidentemente io non sono più quello Spirito, tanto che nessuno potrebbe riconoscermi se potesse vedere me, ora e, contemporaneamente, il “me” di venti secoli fa. Direbbe: non è lo stesso Spirito, è un altro, indubbiamente. Ma questo non importa. E questo perché? Perché c’è un’evoluzione nello stesso Spirito, lo Spirito si evolve, si modifica e migliora.
Il miglioramento è anche nella struttura, nelle maggiori possibilità della struttura “spiritica” di cui siamo composti. Ora, è chiaro, la sicurezza che io ho di sopravvivere sempre è questa: che esiste comunque sempre una continuità tra gli eventi: una continuità e una successione logica, sicché può darsi benissimo che io non sia più lo Spirito di venti secoli fa, ma la cosa in me non solo non ha provocato alcun dolore o alcuna morte vera, ma anzi ha provocato un fatto positivo, cioè un miglioramento della mia struttura. Io voglio soltanto dire, però, che questo fenomeno “morte” apparentemente può anche esistere, a voler sezionare uno Spirito; però, poiché tutto si svolge nella stessa struttura, la qualità di cui io sono costituito è la stessa di quella di venti secoli fa, e dunque c’è una continuità e non c’è morte.
D. – Dicevi che l’interpretazione di Dio per lo Spirito dipende dal grado di evoluzione raggiunto, è logico; però ciò è anche soggettivo, cioè dipende dalle esperienze attraverso le quali si è raggiunto quel grado di evoluzione.
A. – Dal tipo di esperienze? Sì, indubbiamente, per cui si può dire che allo stesso grado evolutivo si possono avere delle concezioni differenti. Questo sì. Accade che si abbiano delle interpretazioni differenti, che poi, nella sostanza e nel valore, si equivalgono sempre, e si passa ad altre, e infine si completano. Indubbiamente, giocano molte cose, appunto il tipo di esperienze, il tipo di conoscenze, tante predisposizioni naturali dello Spirito. Gli spiriti non sono degli automi, tutti identici quando sono giunti a una certa evoluzione, ma ognuno conserva la propria autonomia. Allo stesso grado di evoluzione troviamo spiriti completamente autonomi e svincolati dagli altri. Perché si giunge a un grado di evoluzione in diversi modi e per diverse linee, portando bagagli di esperienze diverse.