FELICITÀ E PACE.

FELICITÀ E PACE.

D. – Come si potrebbe definire la “felicità”?

A. – Come considerazione d’insieme e tenuto conto di quanto è stato detto altre volte, su questo argomento (In effetti l’argomento precedentemente è stato trattato da varie angolazioni inizialmente in più parti di comunicazioni riguardo alla “felicità” dello Spirito, in altre il Maestro Andrea tratta la “pseudo-felicità umana, ma la parte importante riguardante la felicità sulla Terra si trova a Pag. 362. – Nota del curatore.), si può dire che la felicità in genere è uno stato dell’animo nel quale sono riconoscibili alcuni segni, alcune marcature, cioè essa è la conseguenza di qualcosa di cui si ha perfetta conoscenza. In tale condizione la felicità appare una modalità dei sentimenti, una lievitazione dei sentimenti, qualcosa di un po’ abnorme, nella quale tuttavia sono riconoscibili le ragioni della felicità stessa.

Direi che la felicità è piuttosto un sentimento, uno stato d’animo dell’uomo vivente, a livello psichico; e che la felicità può essere anche di origine spirituale, cioè nei segni materiali si possono riconoscere anche ragioni spirituali; pertanto la felicità è appannaggio sia dell’alto che del basso sentimento.

Tuttavia essa è soprattutto un moto della psiche, proprio in considerazione dell’alto e basso sentimento che può essere da essa qualificato. Al limite, è felice il delinquente quando gli va bene una rapina, un omicidio, un delitto. Dal suo punto di vista ciascuno è felice in base alle proprie qualità, ai propri desideri e alle modalità di realizzazione di questi desideri. Non è dunque pace, la pace è un’altra cosa; prova ne sia che la felicità è caduca, passeggera; essa finisce nel momento in cui si esaurisce la spinta emozionale che la originò, e nascono allora nuovi impulsi, nuovi bisogni, nuovi desideri. L’individuo abbandona la vecchia felicità, si ricrea un mondo di crisi, d’infelicità, dal quale esce un’altra “felicità”, magari diversa qualitativamente o con segni diversi. la pace invece è un moto dello Spirito che può esistere anche in Terra, perché in essa pace non sono riconoscibili certe marcature, quelle che volgarmente chiamereste soddisfazione per la cosa adempiuta o ricevuta. La pace è una condizione di abbandono, un raptus informale nel quale non esistono segni precisi o, anche se esistono, essi non hanno importanza fondamentale. La pace è una direzione dello Spirito, è una maniera dello Spirito di affondare in qualcosa di inespresso e inesprimibile, qualcosa che lo attornia o che ha dentro e di cui non sa per chiari segni l’inizio, la fine, o la definizione. Non è una condizione di felicità, ma di benessere interiore che non porta null’altro di praticamente valido se non la condizione stessa dell’essere in quella situazione, e in essa lo Spirito per così dire si bea, è cioè a dire beato, è dunque assolutamente in tranquillità sia dentro di sé, sia con il mondo che lo circonda.

Che qualche volta ci sia sovrapposizione tra pace e felicità ciò può accadere, ma non accade mai che la felicità possa essere scambiata per pace, perché la pace è fondamentalmente diversa. Ma lo Spirito può non saperlo, non riconoscerlo; la pace è il coronamento di una vita, di una esemplarità, è, come dire, una condizione tutta propria dello Spirito il quale, in un determinato momento, ritrova un’identità tra le proprie matrici originarie e la matrice universale; allora lo Spirito sente di essere parte della comunità, partecipante, attivo, concluso e completo dell’universalità, a qualunque livello si trovi la propria evoluzione. Egli non farà altro che combaciare di volta in volta con quella parte dell’universale che gli è confacente e proporzionata, e quando questo rapporto si pone, lo Spirito e in pace; anche se la sua condizione è negativa, cioè anche se egli è “inevoluto” dal punto di vista umano, non è questo che ha importanza. Cioè lo Spirito non raggiunge la pace solo quando raggiunge la grande evoluzione; lo Spirito è sempre in pace, essa è il suo contrassegno, egli si pone fuori della pace, cioè fuori della regolarità, quando, esercitando il suo arbitrio, il suo intelletto e la sua volontà, può o finisce col contraddire questo rapporto. Egli si pone allora in una forma autonoma nei confronti dell’Universo e da questa autonomia nasce una sua intellettualità, non direi anarchica ma addirittura autarchica, cioè nel suo significato proprio di superamento o di salto nei confronti del cammino da fare. Egli allora cade, allora può inciampare, può svolgere tutta una serie di attività che lo pongono momentaneamente fuori della regola, ed egli in ciò è arbitro, è libero e sovrano.

Egli dunque perde così questa pace, dopo la riconquista e tornerà in quella pace proporzionata alla sua evoluzione. Pace non è conoscenza. Quando dunque lo Spirito risolverà i suoi problemi di conoscenza potrà avere nuove spinte, nuove possibilità di autonomia, di libertà, nuove possibilità di errori da cui poi si rialzerà per riconquistare nuovamente la pace.

In effetti, però, lo Spirito è fondamentalmente sempre in pace, cioè la pace è il modo di essere dello Spirito; e ciò è conforme alla regola e al principio universale che Dio non dà male, non dà male neppure nel momento in cui, creando uno Spirito, lo fa “tabula rasa”. Sembra che in tale condizione “esterna” Egli lo abbia fatto infelice, mentre l’infelicità non esiste, perché lo Spirito è in pace dall’inizio, cioè fin dall’inizio egli è armonizzato con gli elementi più semplici della struttura universale. Da tale unione, da tale armonia nasce già reale e autentica la pace. Che poi, durante il cammino, debba perderla, ciò è – direi – nel principio stesso della libertà di cui Dio volontariamente ha fatto dono allo Spirito. Questa dunque mi sembra la distinzione fondamentale che deve essere fatta tra la pace e la felicità.

D. – Ma da incarnati sentiremo sempre la pace a livello della felicità? Come si può sentire la pace distinta dalla felicità?

A. – Sulla Terra ciò non ha molta importanza, forse non c’è nemmeno questa distinzione. Vedete, l’infelicità umana è di tipo tutto diverso. Voi siete infelici per un cumulo di ragioni in genere tutte materiali, quindi si tratta d’una infelicità psichica o a livello dell’anima, a livello dell’evoluzione, ma non a quello spirituale. Sì, a livello spirituale potete anche avere insoddisfazione, voi potete avere anche questa sovrapposizione tra pace e felicità, ma ciò non ha importanza, in Terra.

D. – Però tra la pace e l’essere paghi, soddisfatti internamente per cose non materiali…

A. – Ecco, bisogna chiarire. In fondo l’essere pago è già una forma di felicità. la felicità bisogna vederla nelle sue sfaccettature più varie, nelle sue forme più complesse. Io però non so veramente come si possa essere soddisfatti in Terra per qualcosa, cioè non mi sembra che voi abbiate delle cose così ben definite e definitive di cui poter essere totalmente soddisfatti. Si può essere contenti, per esempio, di un proprio lavoro che è andato bene, un lavoro anche intellettuale, spirituale, oppure di un episodio della propria vita, qualcosa di cui si possa essere contenti, bene, se naturalmente questa soddisfazione ha marcati segni di spiritualità; e non si può certo essere soddisfatti per aver fatto danaro. Ma un’azione veramente interessante, utile e complessa, bene, ciò fa già avvicinare alla pace.

D. – Quando una persona è impegnata nella realizzazione di un programma, man mano che realizza qualcosa di questo programma avverte qualche gioia e, comunque gli vadano le cose, è soddisfatta quando si è impegnata veramente e seriamente: è serena. Ora, questo “essere sereno” corrisponde alla pace dello Spirito?

A. – Guarda, questo svolgersi programmato degli eventi in maniera più o meno perfetta può in molti casi corrispondere a una soddisfazione anche a livello animico, cioè è un programma dello Spirito che si esegue, un programma dell’anima, quindi che si trasmette allo Spirito, e possono aversi echi di una pace interiore, ma io sarei molto prudente nel parlare di Spirito. Lo Spirito ha ben altre cose da fare e da pensare, direi, che non l’esecuzione di un dettagliato programma di carattere umano, in definitiva bisogna anche stabilire se questo svolgersi degli eventi non determini soltanto un’eco di carattere subconscio, di attese inconsce, quindi di livello ancora psichico; in tal caso la relativa felicità o il sentirsi pago non è altro che uno stato psichico e non spirituale. Dovrebbe trattarsi di un programma così ambiziosamente elevato dal punto di vista spirituale da far sospettare veramente che lo Spirito c’entri in qualcosa. Però è chiaro che se una vita viene svolta ordinariamente secondo programmi e scadenze prestabilite o occasionalmente sorte che si adempiono bene, lo Spirito, il quale poi in fondo è il primo responsabile ed è colui al quale vanno poi le esperienze, può stabilire un ritmo di sufficiente tranquillità.

Però vorrei aggiungere questo, e forse è bene che lo sappiate. Durante il periodo della vita sulla Terra lo Spirito non avverte tutte queste reazioni di carattere spirituale: pace, felicità eccetera… Durante il periodo della vita lo Spirito è un po’ come “sospeso”, “sospeso” come qualcuno che attende di fare i conti, e in lui non passano – se non attraverso l’anima – le emozioni e i fatti di natura umana; egli è un po’ attore e molto spettatore di ciò che sta accadendo: le somme le tirerà dopo. Io ho visto pochi spiriti ricevere in maniera marcata e definitiva alcuni contrassegni della vita che stavano svolgendo; in genere lo Spirito resta un po’ in sospeso, non partecipa mai totalmente alle vicende emozionali della vita, se ne rende un po’ estraneo; un po’ perché non può essere toccato direttamente per sua natura, un po’ perché, prudentemente, non si lascia coinvolgere da aspetti esteriori, e un po’ perché il tutto deve filtrarsi attraverso l’anima, cioè attraverso un processo direi “metabolico”, ma del tutto naturale, cioè meccanico, stabilito a priori dalla legge di Dio, per cui le esperienze gli passeranno certamente e definitivamente, ma dopo. I giudizi vengono dati a conclusione del ciclo vitale, almenché non vi siano fatti evidentissimi e marcati che passino immediatamente nello Spirito, altrimenti egli aspetta di fare il bilancio dopo. Ecco perché molti fatti della vita non interessano al momento lo Spirito dell’uomo che vive, ma gli interessano certamente dopo. Naturalmente possiamo avere il caso di spiriti che partecipano per missione direttamente alle esperienze della vita, in questo caso essi sono coinvolti subito da ciò che stanno per fare, specialmente quando si tratta di fatti gravi e importanti.

D. – Un atteggiamento positivo verso i problemi spirituali non può evidentemente provenire solo dal complesso animico, ma deve avere un’origine spirituale, altrimenti si dovrebbe dare un valore spirituale anche all’anima, come propria qualità.

A. – La tendenza verso gli studi spirituali dimostra in maniera abbastanza netta che esiste, non direi neppure un interesse dello Spirito, ma che esistono dei legami tra voi e il vostro Spirito, tra voi coscienti e il vostro Spirito superiore, maggiori di quelli che hanno normalmente gli altri. Questo legame porta al vostro Spirito il fatto di compartecipazione in maniera più rappresentativa e più vicina alla vita sulla Terra. Poiché esiste, così, una presenza più incisiva dello Spirito, da ciò deriva istintivamente una tendenza verso tutto ciò che è di carattere spirituale, per conseguenza logica; ovunque lo Spirito partecipa più attivamente esiste una tendenza per le cose spirituali.

D. – Quindi si scambia la causa per l’effetto, in questo caso?

A. – Sì, in realtà.

D. – In queste condizione, dopo la morte le fasi di transizione dovrebbero essere superate quasi dall’inizio, data la partecipazione dello Spirito alle esperienze…

A. – Certamente. Coloro i quali sono preparati a queste cose, al momento della morte svolgono le varie fasi con maggior rapidità, e superano così molte situazioni, mentre altri impiegano più “tempo”. Quando lo Spirito s’inserisce nella vita dell’essere umano vi sono indubbiamente delle variazioni anche nel complesso animico, ma è difficile stabilire a questo punto se siano tali variazioni a comportare un avvicinamento dello Spirito o se lo Spirito ha deciso delle modifiche, è difficile e si possono verificare tutti e due i casi, ammenoché non esista una predeterminata missione dello Spirito il quale, sin dall’inizio, predispone un complesso animico come gli pare e piace, come per esempio il Cristo e tanti altri. Dunque, dopo la morte il complesso animico assume un ruolo secondario, cioè in realtà lo Spirito si “ritrova” molto più presto con la sua coscienza di Spirito e le esperienze della Terra non hanno più tanto bisogno di lavoro di trasformazione perché ciò già avvenne durante la vita. Le esperienze in fondo filtrano allora meglio, più presto, ed è il caso dello Spirito più vicino alla vita umana, quando vi partecipa di più.

Nei grandi santi, nei grandi ispirati, lo Spirito partecipa in misura molto notevole ed è logico, lì non c’è più una questione di traduzione del messaggio che deve arrivare allo Spirito, il messaggio arriva subito o quasi. In quegli individui, in fondo, è già lo Spirito che si manifesta, pur essendo uomini la potenza, la saggezza, la grandezza di un uomo spiritualmente sano e maturo voi gliela vedete già negli occhi, egli è già uno Spirito che parla.

 

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