FUNZIONE DELL’UMILTÀ CARATTERIALE PER IL MIGLIORANENTO DEI RAPPORTI UMANI. RICONOSCIMENTO DELLA FIGURA DI DIO.

D.: Vorrei che ci parlassi dell’umiltà, della sua funzione per migliorare il nostro carattere e per rendere più sereni i rapporti umani, ma senza che colui il quale pratica l’umiltà possa essere vittima della sopraffazione.

A. : Questo e un po’ più difficile, generalmente in Terra si predica l’aggressività in tutte le sue forme. L’umiltà è una sorta di mansuetudine spirituale, nel senso che è sempre un segno di saggezza, perché l’umiltà è il riconoscimento, da parte di chi pratica questa dote, che intorno a lui vi sono più cose grandi che dentro di sé e che è sicuramente più vasta la conoscenza, la realtà, le verità che sono intorno, che quelle che si può ritenere di possedere e che pertanto la ricchezza conoscitiva è sempre e ancora fuori, più fuori.

Dunque colui che pratica l’umiltà è sostanzialmente una persona la quale è conscia, sa di non sapere; non importa quanto in realtà sappia, generalmente è una capacità di riconoscere questa limitazione anche avanzando spiritualmente, e normalmente voi in Terra dite che più le persone sanno e più, in realtà, quasi sempre diventano umili. Io l’ho sempre constatato, ho esperienza di tanti fratelli che conoscendo veramente tanto, possedendo grandi doti morali, grandi virtù, grande sapienza dicevano continuamente di non avere capito nulla del funzionamento dell’Universo, di non possedere che poche tracce, magari alcune volte sicure, ma pur sempre tracce, brandelli, brani di una sapienza che non riuscivano a trovare.

Sul piano strettamente del comportamento queste persone sono preda dei più forti, sono preda delle persone che caratterialmente sono aggressive, nevrotiche, scomposte, piene di quella arroganza che fa ritenere di possedere un potere, semplicemente perché incontrando persone umili o semplici queste non hanno la volontà di ribellarsi e si adagiano in quella sorta di meditazione interiore, che è la riflessione del non sapere, di sapere poco e dunque non reagiscono caratterialmente.

Naturalmente non sempre accade così. Io ho conosciuto anche esseri i quali, costruiti così, cioè umili nel senso spirituale e della sapienza, hanno potuto avere un carattere sufficientemente forte per reagire almeno sul piano emotivo, che è ciò che io poi consiglio.

In realtà un essere umano, dal punto di vista della Terra, non dovrebbe crescere eccessivamente umile, ma dovrebbe possedere alcuni strumenti reattivi, dovrebbe conquistare alcuni strumenti reattivi, in maniera da potere adeguatamente reagire o fronteggiare varie situazioni nella vita, della vita che non è costituita da scambi alla pari, ma da scambi quasi sempre impari, nel senso che vi sono persone che finiscono con l’essere sopraffatte da altre.

L’umiltà è comunque una dote molto bella; stiamo parlando dell’umiltà del saggio, dell’umiltà del sapiente, non stiamo parlando della falsa umiltà, cioè l’umiltà caratteriale di persone che sono state educate a non reagire, educate formalmente ad apparire o ad essere umili, finti umili, a restare in disparte, a non saper parlare, a non saper dunque fronteggiare situazioni dì realtà; costoro possono apparire umili, ma in realtà sono soltanto vittime del proprio sistema caratteriale.

Io parlo della umiltà del saggio, cioè della umiltà dell’essere evoluto, indipendentemente da ciò che fa, ma appunto da ciò che è, della persona umile, nel senso di colui che ha capito l’essere umano, ha capito le debolezze e anche la forza dell’essere umano, ma se ne trae in disparte, si mette in parentesi, per così dire, anche per lasciare che il mondo eventualmente lo sovrasti, purché resti confinato nella propria riflessività, nella propria attenzione soggettiva, conscio di dovere osservare il mondo, non sopraffarlo e comunque non viverlo in un certo modo.

Una dote molto bella se, come non sempre accade, si accompagna alla semplicità dell’essere, semplicità del mostrarsi, quindi umiltà nel senso nobile più che nel senso dell’umile; umiltà che dunque è una modalità dell’essere, mentre un aspetto deteriore dell’umiltà potrebbe essere soltanto una maniera caratteriale di porsi nel mondo.

Quindi l’umiltà in questa luce e in questa chiave diventa una virtù, una virtù che è appannaggio di una situazione un po’ complicata, perché da una parte c’è sicuramente uno Spirito di buona o di grande evoluzione e contemporaneamente lo Spirito si incrocia con una situazione dell’anima e una situazione della mente, che favoriscono l’incentrarsi di questa modalità caratteriale, così calpestata sulla Terra.

Chiunque opera nel segno e nel nome della libertà attua il fondamentale principio spirituale stabilito nel momento della creazione. Perché il primo atto compiuto da Dio è stato quello di emanare o promanare lo Spirito da sé, di crearlo cioè e negando contemporaneamente il ritorno, lo ha reso libero e non schiavo a sé.

Egli, cioè, nel rendere libero lo Spirito ha compiuto quel gesto universale che gli uomini continuamente devono perseguire: il gesto della libertà; il padre poteva legare a sé il figlio e lo poteva fare in nome della sua divinità, avrebbe potuto promettere il ritorno, la strada del ritorno a sé, ma sapeva che il ritorno sarebbe stato un tramutare il figlio in schiavo, cioè il figlio sarebbe tornato solo per schiavitù, poiché la legge lo avrebbe obbligato a tornare nel grembo del padre e lì sicuramente annullarsi e distruggersi e tornando al padre annullare la creazione.

Invece il primo gesto mentale del pensiero divino è quello di dare al figlio la libertà eterna: ecco perché lo Spirito non morirà mai. Avendo fatto questo Dio ha posto la libertà al primo posto, perché ha dovuto stabilire la salvaguardia di questa creazione, fatta a sua immagine e somiglianza: lo Spirito è di natura divina ed è questo il senso.

Egli gli ha dato la sua conoscenza, ma gliel’ha data potenziale in maniera che lo Spirito la discopra da solo; questo è il secondo atto di sapienza: rendere lo Spirito capace di autodeterminarsi e di autocrescere per l’eternità assicurandogli così una conoscenza progressiva, infinita, eterna, senza impedirgli mai di accrescere il patrimonio della propria conoscenza.

Queste sono due caratteristiche (la conoscenza potenziale e la libertà) che soltanto un Dio infinito, un Dio eterno poteva concepire come atto, tra l’altro assolutamente libero, poiché Dio non era obbligato a far questo.

Eppure la cosa più giusta fu fatta in un momento che noi non conosciamo e non conosceremo mai, ma di cui abbiamo gli effetti dentro di noi, dentro la nostra struttura, un atto, tra l’altro (ancora una volta per riallacciarmi alla domanda) infinitamente umile, poiché vietandosi il ritorno del figlio il padre non vuole essere né ringraziato, né onorato, né venerato come impostazione universale del discorso.

Il Padre, cioè Dio, non crea la corte dei miracoli intorno a sé, non crea la corona delle gemme, non crea il popolo che deve elevare ovazioni a lui: Egli lascia i suoi figli liberi.

Quando io vi parlo di libertà vi sto parlando di questo tipo di libertà che io posso leggere nella struttura della creazione immaginando il Dio che crea, il Padre nostro che crea, perché, benché sia difficile un discorso su Dio pure è un discorso che va fatto, in quanto lo Spirito deve a sua volta avere una meta, uno scopo e cioè quello di percorrere l’infinito, quello di trovare in se stesso il segno di Dio, che è poi il segno del Padre.

Dunque il discorso di Dio non è un discorso estraneo alla creazione oppure, come talvolta voi dite, molto lontano: sì è molto lontano, bisogna andare piano, bisogna andare con parole leggere, bisogna andare piano in modo da non soverchiare il concetto di Dio con parole inutili, ma tuttavia è un discorso che va fatto, va tenuto presente e va tenuto presente anche nella vostra vita; la legge dello Spirito è una legge divina, non è una legge che abbiamo creato noi, ma l’abbiamo trovata nell’Universo, è la stessa legge che proponiamo a voi, sono gli stessi principi presenti in quella che voi definite la dottrina di Andrea, che di Andrea non è; qualunque altro Spirito della mia evoluzione direbbe le stesse cose, con parole diverse, ma direbbe le stesse cose, perché i princìpi sono gli stessi e, sicuramente, Spiriti ancora più evoluti direbbero altre cose, probabilmente con maggiore vigore sino ad arrivare all’esempio di sé ove dovessero vivere.

Tuttavia questi sono i princìpi di cui quello elementare è che lo Spirito si incarna per vivere la materialità, viene in Terra, avendo e possedendo dentro di sé questi principi divini, che dovrebbero manifestarsi in questa incarnazione, che dovrebbero vivere in questa incarnazione e che purtroppo non riescono a vivere perché i corpi sono assoggettati a tutti i limiti, vincoli, paure, fobie, a tutte le cose che voi conoscete sicuramente meglio di me perché le vivete continuamente: le vostre malattie, i vostri acciacchi, la vostra età, le vostre debolezze e soprattutto le vostre menti, i vostri cervelli, le idee fisse sulle verità, che vi sono state inculcate fin dalla nascita e non vi offrono grandi alternative; siete vittime e siete schiavi di ciò che è il prodotto culturale, che vi è stato trasmesso nel corso dei secoli.

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Ma il lavoro va fatto qui perché non potete pensare che la libertà dello Spirito si muova nel lavoro culturale di quelli che vi hanno preceduto. Ciascun essere pensante è un’isola a sé: se vivete conformemente a tutte le regole del mondo voi non vivete la vostra vita, ma vivete la vita delle regole del mondo e facendo cosi impedite al vostro Spirito di essere ciò che è: un soggetto singolo, autonomo, che risponde a se stesso e solo a se stesso di ciò che è o di ciò che non è.

D. : Quando parli di Dio riesci a liberarlo dalle strutture che ci hanno imposto perché noi lo abbiamo conosciuto in altra maniera: o perché la cultura religiosa ce lo ha trasmesso come un essere potente, vendicatore, castigatore, o perché vi sono coloro che, di fronte alle pratiche di potere della Curia e dei sacerdoti della Chiesa cattolica, reagiscono rifiutando questo Dio e magari praticando l’ateismo.

A.: Gli uomini sono stati abituati a non pensare. Devo dire che questo non soltanto in occidente, dove la classe sacerdotale ha impedito praticamente, materialmente, pena I’ abiura, di poter esercitare una libera critica in una libera ricerca, ma questo anche in oriente, nonostante che le dottrine orientali consentissero una maggiore autonomia nella ricerca del proprio sé spirituale; in effetti questo non si è verificato perché la ricerca del sé spirituale è finita anch’essa in mano ai vari sacerdoti delle varie dottrine in cui è distribuita la religione orientale e la maggioranza delle persone (cioè centinaia di milioni di esseri umani) nei paesi dell’Asia, dell’India, della Cina, sono stati talmente poveri da non avere gli strumenti culturali per pensare.

E questo va detto: voglio dire che non si può soltanto colpevolizzare la religione cattolica, ma bisogna colpevolizzare anche le religioni orientali. Non è vero che la massa delle popolazioni orientali sia in grado di elaborare la ricerca dell’interiorità, non è per nulla vero, sicuramente perché sono rimasti in una povertà estrema, in una indigenza tale da dover pensare soltanto a sopravvivere, mal riuscendovi per secoli, perciò verità, procedimenti e procedure filosofiche di ricerca sono rimaste nelle mani di classi sacerdotali e nelle mani dei ricchi.

Da questo punto di vista direi che tutta la popolazione mondiale nei confronti di Dio non è stata in grado di esercitare alcuna ricerca. Il Dio è stato utilizzato dai sacerdoti i quali pensavano e pensano ancora di poter loro decidere sulla definizione di che cosa sia Dio e di cosa non lo sia.

Aver delegato alle religioni la ricerca interiore, la ricerca dello Spirito che ognuno di voi possiede, significa in pratica avere venduto il vostro Spirito alle ideologie culturali. Avendo venduto il vostro Spirito, non siete più in grado di riconoscere la divinità, se non biascicando povere e ingenue parole nelle preghiere che vi hanno insegnato sin da quando siete nati.

Poste cosi le cose, e non c’è alcuna obiezione da fare su queste precisazioni, resta il discorso del recupero di Dio, del recupero di una divinità che oggi per voi non è vero che non stia diventando importante, è importante in quanto che vi trovate di fronte anche a fenomeni di interpretazione fisica dietro ai quali sembra esserci, oggi più sicuramente di ieri, rispetto ai filosofi, proprio quel Dio che avete gettato dalla finestra e che avete sostituito con santi, madonne e santini vari oppure se parlo dell’oriente con maestri, yogi, e altre figure più o meno reincarnate, ma più o meno anche falsificate all’interno di caste sacerdotali indù.

Dunque c’è molta miseria morale all’interno di queste organizzazioni religiose che hanno voluto prendersi il controllo delle anime, e questa è una delle lotte che va fatta, ma non va fatta alle chiese in genere, va fatta alle classi teologiche sacerdotali, più che alle istituzioni in se stesse. Le Chiese devono esserci: gli uomini devono poter entrare nelle chiese, nelle sinagoghe, certo questo per l’uomo medio perché vi sono altri uomini che non hanno bisogno delle sinagoghe, che hanno le chiese dentro il proprio cuore, ma io voglio essere abbastanza largo di idee da questo punto di vista: so che la maggioranza degli uomini non ha la capacità di organizzare tutto questo nel proprio cuore e nelle proprie case e allora pensiamo alle Chiese come luoghi di incontro della gente, come potrebbe essere un qualsiasi altro punto dove le persone si riuniscono, come fate voi quando vi parliamo.

Diciamo che va bene la presenza della Chiesa a condizione che gli esseri umani siano abituati ad affrontare i colloqui e i discorsi così come stiamo facendo noi; io mi, auguro che voi possiate trovare il modo di creare una dialettica, di confutare, discutere, riappropriarvi del dialogo, avendo gli strumenti per farlo. Gli strumenti sono culturali, ma sono anche mentali; occorre abituarsi a parlare, come si faceva una volta col maestro: significava esercitare la propria dialettica, non venendomi a fare delle citazioni, ma operare la pura dialettica delle idee, il contributo di come una persona elabora e pensa, non citando gli altri e quindi facendomi le analisi storiche, ma ragionando con la propria testa, perché questo conta affinché non vi sia una dominazione della cultura, ma vi sia una dominazione dell’intelletto.

Quindi un discorso che parte dalla base dell’essere umano e non dall’alto di una cultura che può essere o sbagliata o confezionata da altri per motivi ideologici di controllo sociale, o altro, come ben sapete. Allora questo va bene: una Chiesa diviene un luogo in cui incontrarsi come incontro di anime e dove si possa riparlare un’altra volta del Padre e riparlare per le vostre anime, per i vostri Spiriti, degli scopi della vostra vita.

Questo fornendo anche gli strumenti, la vita degli uomini, il pensiero degli uomini, come può ciascuno misurarsi con il pensiero degli altri, una cultura, cioè, che non diventi esibizione culturale, ma soltanto modalità di informarsi su quali altre menti abbiano svolto il proprio programma interiore, quindi un modo diverso di insegnare, un modo diverso di dialogare, di compartecipare ad un discorso di crescita spirituale.

Questo potrebbe essere uno dei vostri modelli, a condizione che si eserciti l’umiltà, a condizione che le persone possano parlare sinceramente e non fare esibizioni di cultura. Questo può rispondere anche alla domanda che mi facevi prima; il discorso dell’umiltà diventa quindi un discorso per tutto, che parlino quelli che sanno, ma parlino anche quelli che pensano mentre coloro che non pensano e coloro che non parlano evidentemente non faranno parte di un vostro gruppo.

Amo credere che chi si avvicina ad un discorso sulla crescita, sullo sviluppo, sul recupero dello Spirito, abbia anche la voglia di apprendere, di cambiare, e questa è una cosa che voi potreste fare, ma per la quale occorre anche che vi prepariate; prepararsi significa lavorare, significa incontrarsi, significa volersi bene, significa eliminare dal gruppo le persone che possono non funzionare e selezionare affinché altri possano partecipare.

Il lavoro di gruppo non è un lavoro in cui ci siano soltanto alcuni che sanno e altri che non sanno; se torniamo al discorso dell’umiltà si parte sempre dal non sapere e dal capire da che parte partire per stare insieme; voglio dire che non esistono soltanto schemi già predeterminati, ma deve esistere anche una fantasia che deve lavorare continuamente per rimettere in discussione una serie di cose e valutare l’utilità di altre.

( dalla CDA n. 5/2003)

 

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