D.: Vorremmo riprendere il discorso sul tema “libertà e coscienza critica” e ti chiediamo di parlarci del rapporto tra libertà e conoscenza in relazione al fatto che ci siamo incarnati per realizzare un programma conoscitivo, ma dobbiamo fare i conti con la trappola in cui noi ci troviamo.
A.: Certo, per lo Spirito è ogni volta una bella avventura, come suol dirsi, avvicinarsi ad un corpo umano e cominciare un segmento di progetto.
È una bella avventura perché da libero lo Spirito si riduce ad un fantoccio nelle maglie di una mente e, dopo, quando lascia il corpo, quando riprende quella sua libertà, si accorge di averne spesa poca di libertà nel corso della sua vita, o di aver subito in qualche modo una pseudo libertà del corpo, quando ciò gli è stato concesso.
La trappola, come ormai la stiamo definendo, è subito pronta a ghermirci al momento dell’ingresso nel mondo, ci ghermisce con le sue definizioni, con le sue regole prefabbricate, con gli obblighi e le costrizioni dovute alla circolarità del sociale, con le regole, i tabù, le cose che ben sapete. Entrare in questa trappola significa per lo Spirito comunque fare una esperienza che io chiamerei addirittura il tentativo di liberazione, perché l’esperienza fondamentale diventa conoscenza e superamento, e dunque liberazione dalle catene, ove è possibile – e non lo è quasi mai -perché vi sono esseri che fanno esperienze intense, ma egualmente, pur conoscendole e riconoscendole, continuano a restare nell’ambito di questa trappola.
Quali sono i limiti e gli obblighi di un essere spirituale che decide di vivere l’esistenza corporale ?
Lo Spirito traccia il suo programma liberamente: parlando da essere spirituale posso assicurarvi, garantirvi che tutte le scelte sono libere, ma condizionate tuttavia a quell’unico fondamentale fattore che è l’evoluzione che lo Spirito possiede: lo Spirito non può essere libero aldilà del suo limite, non può concepire una libertà maggiore di ciò che egli è, ma questo gli basta.
Non sono sempre necessarie libertà utopiche; se vi si desse la libertà di potere andare dove volete, ma voi con i vostri piedi non potete andare oltre una ragionevole distanza, e se comunque tutte le distanze si equivalgono, voi potete considerarvi totalmente liberi anche in un territorio comunque limitato, perché di una libertà oltre i vostri limiti non sapreste cosa fare.
Abbiamo sempre fatto degli esempi piuttosto banali ma efficaci: in un grande o grandissimo recinto qualsiasi animale domestico si sente libero, e più l’animale è libero, cioè naturale, più ha bisogno di recinti più ampi; ma io suppongo di poter dire che anche una tigre è completamente libera in una giungla e non ha bisogno di tutto il mondo.
Dunque, poste queste condizioni, lo Spirito decide liberamente ciò che deve fare, o almeno ciò che gli sarebbe necessario fare, e ciò che comunque farà nelle fasi successive, anche se dovesse fallire l’obiettivo corporeo. Una volta stabilito un programma questo acquista immediatamente liceità, vale a dire che è eticamente perseguibile, perché come abbiamo già detto altro volte, viene vietata qualsiasi esperienza che, pur liberamente scelta, dovesse propositivamente impedire l’esercizio della libertà ad altri simili: dunque nessun essere spirituale sceglie, ad esempio, di venire in Terra per uccidere altri simili.
La decisione deve essere etica, e questo vuol dire che deve essere conforme alla legge evolutiva. alla natura dello Spirito e alla legge universale. Se queste tre fasi sono rispettate, il programma dello Spirito deve essere considerato in piena liceità, dunque eticamente perfetto.
Questa premessa è necessaria affinché non si creda che lo Spirito scenda in Terra in un corpo a casaccio e che le sue esperienze siano mosse da fatti occasionali, legati strettamente alle incarnazioni, o che accadano avvenimenti casuali. Certo, nel corso della vita ci sono anche le casualità, ma per quanto riguarda lo Spirito che programma e progetta c’è il pieno rispetto di tutto queste clausole.
Qui avviene una cosa che vi apparirà strana, ma che è in linea con la Legge: stabilita la perfezione del progetto rispetto ai canoni, stabilita la piena liceità e dunque il diritto dello Spirito di perseguire quel modello, stabilito che quel modello di progetto è conforme alla sua evoluzione e quindi risponde ad una necessità che non è solo oggettiva di quello Spirito ma è oggettiva all’esistenza di tutti gli Spiriti, l’essere che persegue un programma del genere non compie alcuna trasgressione, anche se da quel programma dovessero provenire eventuali danni agli altri.
Esiste una liceità del percorso, salvo le varianti, ed è in questo gioco delle varianti che si inserisce il libero arbitrio, ossia la libertà. Supponiamo che la vita progettuale di uno Spirito parta, si dispieghi; essa non può prevedere tutti gli incroci con le altre vite e quindi, fatalmente, possono verificarsi, nel corso della vita, situazioni tali da creare dei problemi, ma noi stiamo parlando di Spiriti che si incontrano e le cui progettualità sono in esecuzione; non stiamo parlando delle sovrastrutture, quindi, non commettiamo l’errore di mescolare le sovrastrutture con la struttura.
Può darsi quindi che due strutture di vita si incontrino e creino attriti per cui se si applicasse interamente il programma così come è stato deciso, qualcuno dovrebbe venir meno al suo diritto di libertà. E in questa fase che nasce l’opzione del giudizio, e cioè della volontà del soggetto di poter apportare varianti per migliorare l’incontro con gli altri esseri spirituali. Qui la sua libertà profonda diventa capacità critica di valutazione dei fatti e delle necessità, con la decisione di apportare modifiche a quello che è il programma sostanziale.
Dal punto di vista del mentale l’uomo può non accorgersi di questo; a volte se ne accorge, ad esempio nei casi in cui la sua azione profonda, scevra da notevoli sovrastrutture, incontra situazioni verso le quali deve modellarsi, ritirarsi, ripiegare o aggirare gli ostacoli; allora è qui che è la vera libertà, perché è una libertà suppletiva a quella che già ci fu nello scegliere il programma e cioè, comunque, la capacità dello Spirito di adattarsi ai programmi altrui in maniera da non creare situazioni di conflitto a livelli delle progettazioni evolutive, quindi a livello dell’incontro con altri esseri spirituali.
Diverso è il discorso delle sovrastrutture. Nel corso della vita questi progetti originari sono ricoperti, ammantati da sovrastrutture: il soggetto non si muove più come uno Spirito ma come una mente che è il risultato dell’interazione tra l’organismo e l’ambiente sociale, con tutte le regole di un ambiente sociale, regole che sono difformi da quelle dello Spirito. È vero che parte delle regole potrebbero essere piegate al progetto, alla natura o all’evoluzione dello Spirito, ma perché ciò accada bisognerebbe che emergessero queste qualità profonde dell’individuo, che invece non emergono quasi sempre, o emergono in una maniera generica, innaturale e, quindi non vengono riconosciute; il soggetto si costruisce soltanto con le regole, con le sovrastrutture, diventa un elemento del modello del mondo, e così facendo, la natura progettuale viene a mancare e a non coincidere più con la natura sociale.
Il dramma della libertà è il dramma di una struttura, lo Spirito, che viene soverchiata dalla struttura ambientale e corporea, e non riesce più ad uscire da se stessa. Il problema quindi della libertà in Terra è un problema che deve essere posto, a mio avviso, in questi temimi: l’essere vivente deve naturalmente optare per una parte del sociale, perché vive nella società ed il corpo non potrebbe vivere se non cedesse al sociale; l’uomo, il cittadino, il soggetto. l’individuo mentale non potrebbe resistere a lungo in una società completamente avversa. Il problema del discopimento della propria natura interiore resta il problema principe, ma il punto che vorrei sottolineare è questo: si può anche dare a Cesare quello che è di Cesare, a condizione però che chi sta dando a Cesare ciò che è di Cesare riconosca e sappia che sta effettuando una operazione di sudditanza, necessaria per sopravvivere, ma che resta di sudditanza, per cui deve limitarsi a dare a Cesare soltanto l’indispensabile, soltanto il necessario per vivere e sopravvivere in una società organizzata.
Io facevo degli esempi, ma credo che il fondamentale possa esser questo: voi avete il dovere sociale di obbedire alle leggi di uno Stato perché ci vivete e quando vi siete incarnati il vostro impegno etico comprendeva comunque l’obbedienza alle minime regole sociali che consentono ad una umanità, ad una civiltà, di restare organizzata, con determinate regole, che sono reciproche ed utili per tutti, ma non avete alcun dovere di obbedire alle regole private, salvo quelle che vi date. Esiste dunque un momento pubblico dove dovete a Cesare quel che è di Cesare, esiste un momento privato in cui non dovete più nulla a Cesare, non dovete più nulla alle norme più o meno codificate che impongono i comportamenti nella vostra coscienza interiore. Potete mettere a tacere la coscienza interiore in nome di una coscienza collettiva alla quale dovete ciò che è dovuto, ma guai, come accade quasi sempre, se nella coscienza personale, cioè nella vostra soggettività profonda, entrano le regole del mondo, perché la soggettività profonda è quella cosa che appartiene alla vostra anima e sulla quale ha diritto soltanto Dio, se vogliamo parlare di diritto. In questo senso, la separazione tra il pubblico ed il privato diventa la separazione fra Dio e il mondo, tra l’anima e la mente, tra ciò che è mio e ciò che è nostro collettivamente.
È vero che l’uomo coraggioso non fa differenza tra il pubblico e il privato, aggiungerò; questi uomini coraggiosi però si chiamano gli eroi, i rivoluzionari, i filosofi, quelli veri naturalmente, si chiamano coloro che, come profeti, iniziatori, propulsori, danno linfa a movimenti e si ribellano. Può essere l’arte, può essere la poesia, possono essere le espressività profonde che rivoluzionano il contesto storico e mostrano appieno la libertà dello Spirito che risulta affiancata alla progettualità. Essi, sì, si muovono anche secondo una progettualità statica, ma hanno recuperato anche la libertà dello Spirito e quindi si muovono come Spiriti che inseguono in un progetto anche una successiva utopia; dunque, sono poi quelli che sopravanzano a volte queste collettività umane che obbediscono soltanto a Cesare e non hanno null’altro da fare nella vita se non il compito dell’obbedienza.
La libertà, intendiamoci, è disubbidienza, è uscire dalle regole, è opporsi, è rifiutare, è dunque andare avanti anche incuranti di ciò che accade, perché la libertà è sempre un atto profondamente etico di tipo universale. Non mi si venga a dire che l’uso della libertà possa poi ledere i diritti degli altri: a volte può accadere, ma io voglio sottolineare che quasi sempre, gli uomini che tendono ad essere liberi, lo fanno in ambienti che la libertà la nominano soltanto, ma di cui non c’è nessun uso. La libertà è un bene per cui lottare, da conquistare, da mantenere, da conservare. Libertà significa che io ti do il diritto di parola, che ti faccio parlare, ti faccio muovere, ma sempre che tu abbia la libertà di muoverti, di parlare, e non usi la parola soltanto per dire scioc chezze, o ti muovi credendo di essere libero.
La libertà va condivisa, ma deve essere espressa, e gli uomini non sono liberi, e se non lo sono credo non abbiano neppure il diritto alla parola, perché non farebbero altro che ripetere pedissequamente il ruolo, le regole, i tabù del mondo, e in tal modo non esprimerebbero non soltanto alcuna libertà, ma neppure alcuna intelligenza.
Il senso di questo discorso vuol essere questo: che agli uomini bisogna restituire la libertà. Ma in che modo? Insegnando loro quello che ho detto prima: adeguarsi a certe regole del mondo ma non estendere le regole del mondo alla libertà soggettiva, conservarsi l’atto critico, sviluppare una coscienza che elabora, lavora, si oppone, critica, inventa, una coscienza creativa, elaborativa. Quando l’uomo ha tutto questo ha il diritto alla parola; ma se non ce l’ha, non ha questo diritto perché non ha nulla da dire: è vero che gli uomini si esercitano parlando, ma io credo che il mondo si parli troppo addosso e gli uomini non facciano nulla per loro stessi.
Dunque: creazione di un punto di partenza per la libertà sviluppando la creatività, l’opinione, il senso critico; parlare per sé, da sé, abolire e cancellare le citazioni, essere se stessi col proprio discorso interiore, liberarsi dunque dalla sovrastruttura, dalle catene, dai modelli insegnati dai genitori, dagli insegnanti, dalla cultura del mondo ed usare la cultura per elaborarne un’altra, la cultura dell’opinione personale, il punto di partenza di ragionamenti; rendere esclusivo a sé il proprio discorso, non entrare dunque nella piattaforma comune in cui tutti gli uomini parlano come un coro dicendo la stessa cosa. Appena sentite gli uomini dire sempre e tutti la stessa cosa, allora dovete sempre pensare che lì c’è un condizionamento generale perché nessuno è in grado di fornire una sola opinione personale.
La coscienza di cui stiamo parlando, di cui alcuni di voi si stanno occupando, la coscienza critica, è l’atto che riconosce l’appartenenza all’anima, allo Spirito, è lì quando il soggetto è inchiodato al suo dubbio, alla sua riflessione, alle sue posizioni, alla propria negazione, quando il soggetto è nel dubbio, nell’attesa della risposta, quando si consuma la notte e il giorno per trovare una soluzione ad un problema perché non vuole la soluzione degli altri: lì è in atto la forza della libertà; altrimenti no, siete come le pecore dei greggi, e avete bisogno di un pastore con un bastone ed i cani che latrino intorno per tenervi dentro al cerchio. È questo a cui si è ridotta l’umanità, e più passa il tempo e più io dal mio privilegiato osservatorio di essere spirituale vedo queste restrizioni di libertà, vedo che sempre di più escludete la vostra parte soggettiva per vivere più comodamente – come dite – nel sicuro alveo delle vostre regole dove siete rispettati, ossequiati, dove vi chiamano signori e signore, dove insomma esistono regole che pian piano vi trasformano in numeri perfettamente sostituibili, sicché tra voi e altri non c’è differenza; potete ben morire e rinascere perché nessuna traccia avete lasciato né a voi stessi, né agli altri.
Ecco, esercitando questo tipo di libertà non vì è subito commisto il piano della conoscenza ? E l’uomo che lotta, medita, riflette, si consuma, si ribella. trasgredisce – e dunque è un uomo vivo – che diventa un essere spirituale che si muove nel mondo con tutte le sue proprietà interne; un uomo del genere merita rispetto e invece accade il contrario: questi uomini sono i più negletti, i più combattuti, sono considerati dei folli, degli antisociali semplicemente perché scelgono vie alternative.
Per capire il profondo senso di tutto questo, capire che libertà e conoscenza camminano insieme – certo non parliamo della conoscenza scolastica, ma dell’altra conoscenza – uomini che si muovono in questa direzione hanno bisogno naturalmente anche del sostegno evolutivo, questo va detto.
Intendo dire che solo una evoluzione che comincia ad essere accentuata è in grado di produrre il senso della libertà sicché, a ben guardare, la maggioranza degli esseri umani non ha questa evoluzione. Però, la vita in Terra è anche una esercitazione e dunque già ora inculcare questo significa dare allo Spirito un grande contributo. È un po’ come quando dite: bisogna dare buone norme ad un bambino affinché crescendo abbia già queste norme dentro di sé. La stessa cosa è per lo Spirito: se noi diamo occasioni di riflessione, spunti di discussione, stimoli perché nasca l’idea della libertà, in successive vite ed in successive incarnazioni, quegli Spiriti si gioveranno di ciò che hanno acquisito ora.
Dunque, se è vero che pochi risponderanno all’appello della libertà anche se tutti comunque avvertono il bisogno della libertà – salvo a capire di quale libertà vogliono parlare – è ben vero però che soltanto da una evoluzione in poí è possibile che il soggetto realizzi la sua libertà, perché sono necessarie nello Spirito e per lo Spirito una serie di capacità, di cognizioni e di valutazioni della realtà che soltanto chi è già venuto molte volte o comunque ha una evoluzione più ampia, e in grado di capire, di recepire e di trasmettere. La libertà che è nello Spirito è proporzionata al grado di evoluzione; questo significa che il grado di evoluzione agisce anche all’interno di un corpo umano, ma limitatamente a quella evoluzione; dunque la spinta può non essere molto forte in soggetti che non siano ancora sufficientemente evoluti.
Tuttavia il dovere sociale, come lo è in fondo per tutti coloro che hanno lottato per la libertà, è di dare il senso e l’idea della libertà, far si che la fiaccola, la memoria della libertà non si spenga. Ecco perché continuano ad esserci eroi in qualsiasi momento storico dell’umanità e qualsiasi evoluzione l’umanità abbia raggiunto, perché gli eroi stanno a dimostrare che esiste la possibilità che ci sia la libertà.
Voi spesso confondete la libertà soltanto con degli elementi molto comuni e cioè con le libertà sociali e politiche, perché dite: gli uomini sono liberi, possono dire quello che vogliono, possono scrivere quello che vogliono, possono andare dove vogliono, nessuno dice nulla, possono circolare tranquillamente, dove c’è una relativa democrazia. Ma questa non è la libertà. Muoversi, parlare, scrivere, andare dovunque va bene. Ma per andare dove ? Scrivere. Per scrivere che cosa?! Parlare. Parlare di che cosa?! Il punto è ciò che è dietro: non basta essere liberi di muoversi se non si sa dove andare, liberi di fare se non si sa cosa fare, o liberi di parlare se non si sa cosa dire.
Quindi, il problema non è concedere la libertà, ma esercitare gli uomini al suo uso, ad essere liberi, a manifestarsi senza l’oppressione delle ideologie, senza i condizionamenti culturali. Libertà significa imparare a distinguere, a discrimi nare, assimilare ma non farsi coinvolgere, tener presenti le informazioni e saperle elaborare liberamente variandole in maniera flessibile secondo l’esperienza. secondo la circostanza, secondo le mete. La flessibilità, la tolleranza, la pazienza, il rispetto per gli altri, l’ascolto consenziente, sono tutte caratteristiche della libertà. Allora, imparare queste e tante altre cose significa attuare in sé il principio della libertà: io sono libero non soltanto per me, ma lo sono anche per gli altri perché consento loro di muoversi ed essere liberi come me. La libertà non può essere un arbitrio personale, deve essere fonda-mentalmente etico e per esserlo deve comprendere lo stesso rispetto per la libertà altrui. Allora il senso generale diventa una libertà di utilità collettiva, uno sprone, un significalo collettivo.
Io voglio per me ciò voglio per te e voglio per te ciò che vorrei per me. In questa reciprocità si gioca l’etica, e soprattutto la giustizia; poi, all’interno di questo cancello ci si può muovere con etiche, con giustizie o a volte con compromessi paralleli, ma sostanzialmente significa questo: io posso, devo essere libero, in maniera totale e proporzionatamente alla mia evoluzione, e tu devi essere altrettanto libero proporzionatamente alla tua evoluzione che devi capire da solo, che devi esprimere da solo, che devi cercare e trovare da solo. Ciascuno deve trovare il suo punto di equilibrio e quindi, alla fine, il discorso ritorna sempre alla conoscenza di sé. Partendo da quel punto e trovato il proprio epicentro, lì nasce il principio dell’etica e della giustizia, perché a quel punto si è acquistato il diritto a se stessi e dunque il diritto alla libertà, conseguenziale al ritrovamento di se stessi.
Se non si sviluppano questi dati, se non appaiono queste realtà, è possibile che qualsiasi uso di libertà o di conoscenza diventi arbitrio o ignoranza.
É sempre importante riportarsi al concetto della conoscenza. Nessuno può essere portato in una ampiezza di libertà superiore alle proprie forze, è chiaro: non si può consentire ad un bambino piccolo di essere libero in una radura che abbia un raggio di 200 chilometri, perché il bambino morirà; il bambino sarà tenuto via via che cresce, prima in uno spazio di un metro e poi gli si allargherà l’area dí perlustrazione, è chiaro.
Dunque, la saggezza consiste nello sviluppare negli altri una libertà proporzionale: come si fa? Bisogna smontare, letteralmente disattivare i meccanismi dei condizionamenti inutili, delle fantasie inutili, delle religioni inutili, delle prescrizioni inutili, e puntare tutto sullo sviluppo e sulla crescita della persona, in maniera che la libertà diventi una libertà matura e non soltanto un’altra sovrapposizione, un altro anello della trappola: perché coloro che credono di usare la libertà per la quale non sono dotati, di cui non hanno capacità, sono destinati alla distruttività perché non sanno cosa fare, si muovono come dei ciechi ín una foresta abitata da belve e saranno prima o poi sbranati. Importante è dunque corazzarsi, armarsi, cioè avere gli strumenti per poter possedere la libertà.
Un popolo va educato, le famiglie vanno educate alla libertà! La crescita di un popolo significa riorganizzare la scuola, il corpo insegnante, i filosofi, i politici, affinché tutta la vita sia destinata ad un processo di crescita!
Che si diano subito gli strumenti ai bambini, ai ragazzi, ai giovani affinché crescano nella conoscenza di sé, principalmente, perché la vita voi la svolgete oggi, e la conoscenza la dovete avere per oggi, cioè per il tempo per cui siete esseri viventi! Tenendo conto di queste condizioni parliamo di una libertà teorica e non di una libertà pratica. Certo, nell’ambito delle sovrastrutture le libertà sfumano, si confondono: quindi siete pieni di paure, di rimorsi, di complessi di colpa, siete insomma nella trappola che conoscete e conosciamo. Allora, il primo riconoscimento è quello della funzione della vita, del perché siete al mondo: siete al mondo per vivere, per sperimentare, siete al mondo per fare cosa, per essere soltanto animali di una mandria obbediente per la quale appunto occorre il famoso pastore? Sì, tutto sommato, sì, tanto più che avete anche creati i pastori: avete bisogno di guide, di maestri, avete bisogno che qualcuno vi illumini perché da soli non sapete trovare la strada, perché siete vittime di un sistema generale e collettivo che vi rende così. Ecco perché il discorso della libertà è un discorso importante, difficile, anche duro se vogliamo, ma gli estremi sono più o meno quelli che ci siamo detti questa sera.
D.: Il comportamento molto sovrastrutturato, magari nell’ambito sociale, familiare di una persona, dovuto a fattori educativi, non potrebbe rientrare in un progetto spirituale, in un fatto karmico, per mettere alla prova altre persone ? Allora l’altro interlocutore fino a che punto ha il diritto di modificare un comportamento sovrastnaturato se questo rientra in un progetto?
A.: Ti rispondo subito: nessun comportamento sovrastrutturato rientra in un progetto dello Spirito, nessuno! Perché lo Spirito è un essere libero che si incarna per svolgere un programma: qualsiasi sovrastruttura è un impedimento, sempre, non esiste nessuna giustificazione! Non si può assolutamente partire in un discorso da una premessa del genere che renderebbe la vita fatalistica!
Invece la vita non è fatalistica, ed è anche molto più semplice di quello che appare. Possiamo anche rappresentarci ín modo figurativamente molto semplice quest’anima che entra, si modella con una mente e cerca di passare dall’altra parte! Quale è quest’altra parte? E il mondo, essere al mondo, entrarvi, entrare in contatto con l’esperienza del mondo, e quando l’anima passa attraverso questa mente si accorge di trovare tutte le porte chiuse, e deve forzarle per scardinarle. Intanto, mentre avviene questo tentativo la mente bellamente e tranquillamente si sta confrontando col mondo. La mente, prodotto del mondo, del cervello, è un aspetto del cervello; e succede che mentre si confronta vada in crisi.
È normale che tutte le menti vadano in crisi, crisi che possono essere le più banali, quelle esistenziali, crisi di dolore, di dolore del mondo – cioè anche con tutte le reattività tipiche del sociale e del corpo – una malattia, un incontro d’amore, una delusione, l’ignoranza, uno scontro di generazioni, una qualsiasi lotta familiare… La mente da sola non ce la fa a dare risposta al mondo e, senza che coscientemente lo sappia si rivolge al proprio interno, ovvero alla sfera interna del soggetto che intanto si è costituita; la coscienza, l’inconscio, cercano di dare risposte e cercano a loro volta di manifestarsi nel mondo, ma a loro volta non ce la fanno, perché sono anch’essi prodotto del mondo; hanno bisogno di avere dentro una dimensione interiore etica che soltanto l’anima può dare, ma l’anima non riesce a passare, non riesce a trasmettere.
Questa lotta morale diventa spesso una lotta mortale; l’anima ha bisogno di essere aiutata e se il soggetto utilizza la coscienza del mondo per cominciare un’analisi, può darsi che a livello razionale (perché tutto sommato c’è l’inconscio e perché tutto sommato l’anima c’è a contatto con l’inconscio) può darsi che reclami una dimensione interiore presente nel mondo, e quindi può darsi che qualche porta cominci ad essere scardinata.
Ed allora il problema diventa un conflitto tra struttura (l’anima) e sovrastruttura (la mente), un conflitto in cui l’anima arriva col suo progetto e anche, come dicevo prima, con la sua utopia di libertà e cerca di trasmettere tutto questo all’osservatorio finale, che e il corpo, la mente, che agisce praticamente nel mondo; a volte ci riesce, più spesso no, più spesso il soggetto si ammala, nel senso esistenziale del termine, perché perde se stesso: la perdita d’identità, la depressione profonda, la solitudine esistenziale, il non orientamento nel mondo e in se stessi, il dramma soggettivo del non essere che attanaglia la maggioranza degli uomini è dovuto a questa difficoltà per la diversità tra lui corpo e un’anima che cercano una via di conciliazione.
Ricordiamoci però che questo è il meglio che potevamo trovare noi Spiriti, cioè questi corpi quali voi siete e noi abbiamo avuto. Meglio di ciò non c’è, e allora dobbiamo adattarci, ci adattiamo, però non mi si venga a dire che può darsi che convenga che vi siano le sovrastrutture perché è proprio una cosa che io Spirito non voglio. Aggiungo però che nel corso dei millenni, dal primo approccio dello Spirito al corpo, si è utilizzata la sovrastruttura perché diventasse una esperienza della materia, pur con tutte le valenze negative della materia: è vero che lo Spirito utilizza la sovrastruttura per conoscerla e dunque per conoscere che cosa è anche la materialità della sovrastruttura e quindi ormai l’incarnazione e l’evoluzione del terrestre s’incardina su questa presenza della sovrastruttura, ma credetemi, lo Spirito avrebbe sempre bisogno di una mediazione, di una sovrastruttura diversa, non così chiusa come è diventata e si è sedimentata col passare dei secoli. Avrebbe bisogno, per dirla con un termine improprio, di un abito più leggero, quindi di una sovrastruttura più duttile.
D.: Penso che la creatività sia la massima espressione di libertà di un uomo, e che essa per essere degna di tale nome debba esplicarsi necessariamente al di fuori di qualsiasi vincolo. Questo cozza col pensiero contemporaneo che ci avverte che non bisogna fare della libertà un mito senza riferirsi ad un preciso quadro di norme etiche morali, sociali e politiche. Come si può conciliare la creatività da una parte e il vincolo dall’altra ?
A.: Certo la conciliazione è difficile, però bisogna chiedersi: stiamo parlando di una etica sociale o di un’etica della coscienza? Perché le due cose non coincidono, non possono coincidere: una è l’etica della sovrastruttura, come abbiamo visto, e l’altra è l’etica dello Spirito, due mondi che fra loro non sono sovrapponibili e che si rendono compatibili a malapena attraverso tutti conflitti di cui abbiamo parlato poc’anzi; quindi, si tratta di due etiche diverse.
Io come Spirito devo dirti, come dicevo poi all’inizio del mio intervento, che se l’atto coincide con lo Spirito è un atto etico, perché coincide col programma, con una volontà, con un bisogno spirituale, e allora isoliamo solo questa parola bisogno.
Ciò che coincide con un bisogno spirituale è sicuramente etico; in una società che dà valore allo Spirito però, in una società umanistica. Certo in una società umanistica che concepisce la presenza dell’anima, l’esistenza di Dio e di una logge morale o di una legge etica, non si può parlare della legge etica senza che questa legge si incarni nel soggetto che è l’anima o Dio, perché altrimenti stiamo parlando di parole; ma se parliamo di concretezza, una legge morale è una legge che deve esplicarsi attraverso un vivente di cui riconosciamo lo Spirito, altrimenti il discorso non ha senso: parleremmo di Legge morale, per indicare quale legge morale, etica? Di quale etica stiamo parlando, dell’etica degli uomini? L’etica degli nomini non esiste, esistono le leggi degli uomini non l’etica dell’uomo; l’etica appartiene allo Spirito, non all’uomo. Quindi, facciamo questo chiarimento fondamentale: l’etica è una qualità, una funzione, una proprietà di un soggetto astrattizzato, rispetto alla materia, che per convenzione si chiama Spirito, anima o Dio. Senza questa presenza non c’e’ etica, ci sono norme che non sono etica, sono norme, punto e basta.
Quando invocate l’etica sappiate che state invocando la proprietà astratta dello Spirito, cioè state facendo un discorso ontologico a fronte dì un discorso sociologico. Le due cose possono stare insieme ma non si possono sovrapporre, perché l’etica appartiene come significato allo Spirito ed alla materia appartengono le leggi, le regole.
Non direte quindi che una applicazione è etica, se non nel senso che è giusta; ma la giustizia in questo senso è matematica più che essere etica; diventa etica quando si riconosce valenza spirituale al soggetto, che è un soggetto di diritto, quindi ad una norma che per tale ragione diventa anche norma etica, e questo perché stiamo parlando di un diritto che è fondato su un principio umanistico.
Altrimenti non esiste etica, esiste una giustizia che è un ordine ben preciso: tu lavori e io ti pago, tu devi lavorare 10 ore al giorno ed io ti pago per 10 ore al giorno, non puoi lavorare 9 ore e mezza, perché io ti pago per 10. In questo non c’è etica, c’è un rapporto matematico esatto: io ti dà tanto e tu mi dai tanto.
Posso anche chiederti un particolare impegno, ma più l’impegno si astrattizza più il rapporto si trasforma da matematico ad etico: allora ti chiedo anche della qualità, e tu uomo mi dai anche una qualità che è tua, mi dai, cioè le tue proprietà spirituali, intellettuali; allora tu non mi stai dando soltanto il tuo lavoro, ma mi stai dando anche la tua anima, cioè la tua partecipazione al mondo, che diventa una partecipazione etica, che non si può pagare, perché è una proprietà di te, Spirito, di te, anima.
Allora con questo discorso della libertà dobbiamo ogni volta stare bene attenti a non confondere i piani e bisogna credere e dire che i due diritti, le due etiche, le due libertà sono abbastanza in conflitto; si sanano soltanto in una società umanistica più che umana, una società in cui si applichino sia le regole formali del mondo, sia quelle profonde dell’individuo, da cui poi nascano concetti di rispetto, di ordine, di dare, di avere; diventano, queste, tutte espressioni di una etica spirituale e in più materiale.
Ecco perché voi non potete pensare di trasformare una società in un ente materialistico: una società di uomini non potrà mai essere ridotta a questo, perché finanche negli inevoluti di cui abbiamo detto poc’anzi, che sono alle prime incarnazioni e che non posseggono conoscenza, evoluzione, anche in costoro c’è un’anima, dunque c’è una interiorità che pone immediatamente una questione di etica soggettiva.
Il soggetto che vi è di fronte non è soltanto un soggetto fisico, è comunque un soggetto in cui fondamentalmente c’è un’anima la quale è sovrastata interamente dal corpo, ma c’è e dunque va rispettata, per il solo fatto che è là che aspetta che qualcuno la vada a liberare. Potrà essere la vita, potrà essere l’esperienza o potrà essere la morte, ma questo è ciò che deve fare il soggetto.
D.: Per te etica e libertà indicano la stessa cosa ?
A.: Sicuramente: la libertà è un principio che contiene in sé intrinsecamente la prima natura del divino, quella della libertà. Lo Spirito, nel momento ìn cui è stato emanato da Dio è diventato libero, perché è fuoriuscito da una massa di controllo ed è diventato un individuo; diventando un individuo lo Spirito è stato immesso nell’infinito, in cuì può muoversi come vuole e come crede per sempre nell’eternità.
Dunque, il primo atto è stato insito nella natura di Dio ed è stato un atto di libertà perché Dio, nell’espellerci da sé, ci ha fatti liberi, non ci ha tenuti più legati alla sua massa, anche in termini fisici. Togliendoci dalla sua massa ci ha trasformati in soggetti con la libera capacità di orientarsi e vivere.
Ecco perché il primo atto intrinseco alla creazione, dunque alla creatività, è stato l’atto di libertà a doppio segno: libertà in Dio e libertà in noi che siamo nati. Quindi la libertà è effettivamente l’elemento fondamentale dello Spirito. Ecco il perché della nostra continua lotta alle sovrastrutture, della nostra condanna per le sovrastrutture, perché noi continuamente parliamo come esseri spirituali e dobbiamo parlare così, altrimenti il nostro diventerebbe un insegnamento chiesastico, dove si prescrivono le cose.
Nella libertà non c’è nulla da prescrivere, perché la libertà è un atto fluente della vita, è dunque la massima aspirazione a cui tutti dovrebbero tendere.
Certo, noi abbiamo una libertà che è intrinseca alla nostra natura come Spiriti, poi la useremo secondo l’evoluzione: è chiaro che la libertà è un potenziale; io sono libero di fare quello che voglio, ma non potrò fare più di ciò che posso pensare, questo è evidente; quindi c’è un limite, ma non è un limite mio, è un limite del principio, io il limite non l’avverto. Questo credo che sía facile da capire.
Voi potete pensare tutto quello che potete e sapete pensare, di più non sapete fare, quindi voi non vi sentite privati di qualche cosa; poi, man mano che realizzate, pensate altro, e potete allargare questo discorso all’infinito: la capacità di pensare l’avete, ma non potete andare oltre, ma questo oltre io vi assicuro è talmente lontano che nessuno avverte alcun limite in questo concetto.
Nel momento in cui ciascuno di noi viene osservato può apparire con i suoi limiti evolutivi, ma stiamo parlando dei potenziali, stiamo parlando di ciò che siamo potenzialmente, e quindi potenzialmente la nostra è una libertà assoluta.
Poi entriamo in questa prigione corporea e qui, quando ci incarniamo, incominciano un po’ i nostri guai. Sono naturalmente guai che diventano esperienza, guai nel senso umano del significato, la Terra ci dà una mano nel capire i meccanismi universali, poi compiamo sbagli, errori, anzi le nostre vite sono piene di errori, non fa nulla: se un errore ci serve a capire, a modellarci, a farci diventare più intelligenti, più attenti, più conoscitori della vita – non sto dicendo più furbi, sto dicendo più attenti e più intelligenti – se l’errore ci serve a questo, noi apprendiamo anche come schivare alcune esperienze superflue e puntiamo a quelle principali. Voi vivete invece con le regole completamente opposte: evitate le esperienze, i guai, cercate subito di raggiungere tutte le tranquillità umane e sociali, e cioè a voi piace stare nel gregge, il gregge vi dà la sicurezza poiché c’è qualcuno che lo spinge.
D.: Riprendendo il discorso sull’etica dello Spirito, pensavo che etica dello Spirito sia anche assecondare questo processo dinamico di conoscenza della struttura della materia: questa è l’etica che poi l’anima passa al cervello ?
A.: Certamente, e sappiamo che la finalità dell’incarnazione è tutta in questo, cioè realizzare l’esperienza della materialità che consente di ricavare dalla materia una serie di informazioni e di trasformazioni spirituali, quindi certamente assecondare anche la vita del corpo, proprio per provocare continue esperienze.
D.: Quando si parlava della libertà: misurare la izostra capacità di essere liberi può venir fuori dall’osservarci nell’essere garanti della libertà altrui essendo tolleranti, propensi ad aiutare gli altri a fare ciò che desiderano anche se ci costa sofferenza o se può essere contro i nostri progetti: questa può essere la misura delta nostra capacità di essere liberi.
A.: Certo, ma per accettare la libertà degli altri bisogna raggiungere una grande maturità, un grande equilibrio spirituale: significa aver capito il concetto della libertà, perché poi questo, nell’ambito della sovrastruttura significa abbandono di una serie di stereotipi, come quello del possesso, dei meccanismi della proprietà, della gelosia, dei meccanismi psicologici, economici, affettivi che rendono ciascuno di voi schiavo di situazioni, degli altri, etc.
La libertà implica poi sul piano operativo tutta una serie di operazioni. Chi le fa o chi le accetta negli altri mostra di aver capito la lezione della libertà.
Quando si comincia ad esercitare la libertà o ad accettarla negli altri, si passa attraverso fasi di scompensi, di sofferenza, di lotte, di incomprensioni. Bisogna capire, farsi capire, darsi delle giustificazioni, capire le motivazioni degli altri e le proprie, significa, in pratica, lavorare con la propria coscienza, con la propria anima, con la propria psicologia. con le proprie nevrosi, con le proprie angosce e patire, significa incontrare tutte queste cose; ma diventare persone mature implica sempre questo lavoro.
Una persona è matura quando ha superato – parliamo dí maturità interiore, spirituale – tutte queste fasi; possiamo dire che è matura, che è diventata saggia quando riunisce in sé la tolleranza, la comprensione, la disponibilità, quando ha eliso da sé il possesso e tutti quei turbamenti che rendono la vita una trappola per sé e per gli altri.
D.: E si ritorna cosi anche all’etica dello Spirito.
A.: Si ritorna all’etica dello Spirito.
D.: Prima hai fatto cenno alla società umanistica: è difficile vedere i tratti di una società umanistica nel mondo contemporaneo. Tu vedi la possibilità della costituzione di una società veramente umanistica? E compito nostro mirare a costruirla, ed è possibile?
A.: Sì, certo che è possibile. È un po’ il concetto di una civiltà, di una società ideale, umanistica; comunque, è tracciabile. Naturalmente è un problema evolutivo, però, perché una società umanistica non dovrebbe a mio avviso essere costituita con troppe regole. E perché non si abbiano molte regole occorre una altissima percentuale di cittadini maturi e qui è la difficoltà, perché allora occorre un governo il quale miri alla crescita dei soggetti e non alla crescita di modelli sociali ed economici che non tengono conto del singolo soggetto. Quindi dovrebbero essere eliminati i grossi presidi capitalistici, i grossi poteri e le concentrazioni di potere, dovrebbe essere ridistribuito il territorio se-condo parametri etici e di giustizia, dovrebbero essere eliminati i concetti di possesso e di proprietà, perché questi ledono l’etica della giustizia; quindi, eliminazione delle ingiustizie sul piano sociale ed educativo ed invece utilizzo della risorsa umana, vale a dire trasformare gli individui in propulsori di se stessi. Quindi, il completo rifacimento della scuola, ad esempio, della famiglia, la completa abolizione di tutte le ideologie che trasformano gli uomini in servi delle ideologie stesse, lo sviluppo dell’educazione dell’anima, dunque una trasformazione profonda che trasformi tutti gli uomini in sacerdoti, in pratica, e non che ci siano sacerdoti per tutti gli uomini, affinché ciascuno possa trovare il proprio Dio dentro di sé, così come è tenuto a trovare la propria anima. Quindi, una educazione, una cultura che inglobi in sé il senso religioso e sacro dell’esistenza perseguito attraverso molti modelli anche opzionali, affinché la grande varietà degli uomini possa ritrovarsi in un processo di crescita.
Una società umanistica non vuol dire una società che abbia non solo una cultura umanistica, ma che abbia anche una mentalità umanistica, il che significa lavorare affinché ciascuno ritrovi la matrice della propria individualità e soggettività e cresca come un essere spirituale che dimora provvisoriamente nel mondo e la cui fondamentale esistenza è una esistenza spirituale.
In questo senso una società umanistica ha certamente qualcosa di utopico, ma si fonda anche su fatti concreti, possibili e percorribili, e che soprattutto si sarebbero potuti percorrere da secoli se invece non fosse esistita una politica antiumanistica che consiste nel concentrare i poteri fuori dagli uomini e soltanto in determinate famiglie del mondo, cioè in situazioni speciali. Naturalmente a tutto questo dovrebbe seguire una economia completamente rinnovata, in cui ciascuno avesse per sé anche qualcosa in più di ciò che gli abbisogna, ma questo naturalmente significa entrare in una dimensione concettuale alla quale l’uomo è completamente disabituato, e per far questo occorrerebbe veramente un rinnovamento totale della specie umana e un aumento nell’evoluzione.
Con una evoluzione cosi com’è attualmente non ce la fareste mai a fare una cosa del genere, e diventerebbe una dittatura umanistica, non un vero umanesimo. Certo una dittatura umanistica si potrebbe fare, ma le dittature umanistiche sono state quelle implicite nelle politiche socialistiche del vostro mondo, che non potevano essere intese perché erano fuori della storia, e sono ancora fuori della storia, con questo tipo di evoluzione degli uomini; ma certamente l’ideale di giustizia, quindi di una distribuzione diversa delle risorse e soprattutto di una socialità e di un rinnovamento del soggetto, dell’individuo, certo sono le cose da perseguire, che fra l’altro farebbero parte anche degli ideali cristiani, se questi fossero stati condivisi in senso umanistico e non fossero invece rimasti, purtroppo per voi, soltanto modelli sulla Terra.
D.: Poco tempo fa tu ci indicavi la minaccia di una irreversibilità addirittura, quindi sembra proprio una utopia assoluta raggiungere queste cose.
A. : Certo, mi rendo conto che è una utopia, in nome della quale, per chi l’ha perseguita c’è stata la morte, l’allontanamento. Chi volete che si metta a predicare la parità, l’eguaglianza fra gli uomini, chi volete che lo faccia?
Quei poveretti che lo hanno fatto sono morti in croce o in qualche altra maniera simile alla croce. Sì, resta una utopia chiaro però una cosa, che la cultura deve essere fatta anche di utopia, guai se non esistesse l’utopia!
L’utopia è anche poesia, è anche arte, è costruzione di un modello diverso, quindi ben venga una santa utopia, sono d’accordo, anche se sappiamo che non è possibile raggiungerla. Qualcuno lo potrà fare nella sua sfera privata, nella sua solitudine esistenziale, costruirsi la propria isola, la propria utopia, facendo attenzione però a non passare da una fase di utopia ad una fase di malattia, perché l’utopia a volte rasenta la follia: ecco perché ìo raccomando sempre una utopia attiva, e nen passiva.
( Dalla CDA n. 3 del 2003 )