IL PERCHÉ DELL’INCARNAZIONE E I “SETTORI” INCONOSCIBILI DELLA REALTÀ.
La lezione che segue non è esaustiva dell’argomento poiché il Maestro ha trattato altre volte e più completamente i “perché” dell’incarnazione. Ma questa volta Andrea ci dice qualcosa di molto diverso, come scoprirete sia dal testo che dal commento finale di Piancastelli. È doveroso premettere che si tratta di una lezione estremamente difficile per cui siamo rimasti a lungo incerti se pubblicarla o meno1. È prevalsa la linea del sì per rispetto a voi tutti che seguite le CDA. Abbiamo pensato che non fosse giusto sottrarvi alcunché, anche a rischio di infastidirvi. Ma vi sono lezioni che bisogna egualmente possedere in archivio e se oggi si riveleranno di difficile lettura può darsi che domani diventino improvvisamente comprensibili2. È accaduto così per noi tutti. In questi casi l’appoggio che vi diamo è quello di commenti più ampi, ma sappiamo che ciò può non bastare. Del resto questo problema delle difficoltà è presente sia a Napoli che a Bologna, vale a dire nei laboratori dove si riceve il materiale di questo Maestro ed è presente nella stessa Entità, poiché spesso si rende conto che non è seguito o capito come si dovrebbe, per cui molto materiale si raccoglie, per così dire, a “futura memoria” mentre altre lezioni probabilmente non ci verranno mai date perché siamo troppo impreparati a capirle.
(Presentazione non firmata. – Nota del curatore.)
D. – Lasciando la Terra, c’è qualcuno o qualcosa che risponda alle nostre eventuali domande? Qualcuno che finalmente ci spieghi le ragioni della vita umana, gli aspetti dell’Universo, le relazioni fra noi e Dio? Ci sarà qualcuno a spiegarci o saremo completamente soli?
A. – Esistono due aspetti generali che fanno capo all’unità divina: il principio di materialità e quello di spiritualità. Ma nessuno ci ha mai detto nulla e tutto è stato dedotto dall’osservazione, dallo studio di sé stessi e dall’analisi della realtà.
C’è da dire che alla deduzione e all’analisi del singolo essere si sovrappone la conoscenza in atto la quale è data da ciò che gli altri sanno o hanno già acquisito nei confronti dell’Universo o di sé stessi. Mentre io e tanti altri spiriti possiamo aver dedotto certe verità attraverso la nostra analisi personale della realtà e di noi stessi, altri erano già arrivati alla soluzione prima di noi. Voglio dire che c’è una soluzione già data, nell’Universo, c’è una risposta già data alla domanda dello Spirito. Tuttavia la risposta già data non rappresenta una conoscenza bensì semplicemente l’acquisizione di un dato che viene “introiettato” dallo Spirito dopo averlo assunto dalla realtà esterna, realtà che va però sempre verificata e analizzata in proprio. Tanto per fare un esempio, quando io mi trovo di fronte a un problema di cui prima non conoscevo l’esistenza, esso mi si svela perché sono arrivato a un preciso momento evolutivo ed è logico che esso mi si ponga. Un problema si pone principalmente come una domanda alla quale devo dar risposta, ma a questa domanda è stato già risposto da altri che, evolutivamente, erano giunti a quel problema: dunque la soluzione è stata già data. Siccome lo Spirito vive in una comunità, cioè in una totalità, in un insieme di altri spiriti, e poiché la sua presenza è in genere al centro di una vasta gamma di valori evolutivi, è chiaro che nell’ambito dell’evoluzione in cui esso viene a trovarsi a quella domanda sia stata già data una risposta. Lo Spirito viene così a giovarsi in prima istanza di una formulazione che risolve la domanda stessa.
Che il meccanismo funzioni all’esterno o all’interno dello Spirito, è una distinzione che si può fare, ma non è eccessivamente significativa. La domanda nasce all’interno dello Spirito e in tale ambito c’è già la risposta, perché lo Spirito potenzialmente la possiede, ma essa viene a sovrapporsi a una risposta che, oggettivamente, fuori di lui è già data da altri. Tuttavia tale risposta non costituisce una conoscenza, perché, come sappiamo, la conoscenza è il risultato di un’operazione che lo Spirito svolge tra sé e la realtà esterna, nella quale oggettivamente è stato posto il problema e da dove è venuta anche la risposta.
Naturalmente la vostra domanda riflette anche un’altra osservazione. Io ho detto che nessuno ha mai scritto nulla nell’Universo (sia una legge o delle risposte a tutte le domande possibili) perché esso come esistenza è qui, cioè è intorno a noi, dentro di noi, perché anche noi siamo Universo (e includo in esso anche l’essere vivente). Noi non siamo un’altra cosa, quindi non si può dire che c’è un Universo separato da noi. No! Noi siamo l’Universo, e nemmeno la sua parte più rappresentativa, ma semplicemente uno dei suoi aspetti, per cui non può farsi una differenza significativa tra noi, spiriti, e una stella, perché “noi siamo” l’Universo con tutto ciò che osserviamo fuori di noi: l’”esterno”, che si svolge davanti alla nostra osservazione è un esterno che ci rassomiglia in maniera sorprendente perché è fatto come noi stessi siamo fatti. In un certo senso non avrebbe molto significato il percorrimento dell’Universo, se esso non servisse a suscitare nello Spirito che lo percorre una serie di stimolazioni che coincidono col risveglio dello Spirito stesso. Quando percorriamo l’Universo percorriamo noi stessi, perché verifichiamo ciò che, congiuntamente e contemporaneamente, è percorso dentro di noi. Tale “percorrimento” ci evolve, ci porta a un altro livello di noi stessi, un livello che affiora sempre dal di dentro e da nessun’altra parte, sicché il processo deduttivo, l’indagine, l’analisi, passano inevitabilmente sempre e comunque attraverso la dialettica interna dello Spirito. Fuori, al di là di noi stessi, non c’è nulla di significativo che non sia già significativo dentro di noi e non ha senso per noi guardare, osservare o analizzare una qualsivoglia realtà universale se essa non è stata prima pensata, supposta, creata, risvegliata dentro di noi. Non ha senso al punto che la realtà oggettiva, fuori di noi, se non ha il suo corrispettivo dentro di noi, passa senza essere riconosciuta e in quel momento inesistente, perché non è utilizzabile. Questo fenomeno non è solo dello Spirito, ma di qualsiasi mente. Qualsiasi essere umano riconosce nella realtà ciò che è stato predisposto e orientato a riconoscere; se non fosse così l’oggetto, l’occasione, la circostanza, l’esperienza gli passerebbe davanti ed egli non se ne accorgerebbe, se la lascierebbe sfuggire3.
Questo riduce alquanto il senso della domanda, (per quanto si possa ridurre un problema del genere). Perché il riconoscimento di una verità avviene per molte vie. Per molte vie cioè si può identificare una realtà, ma prima di tutto bisogna far capo al processo evolutivo di cui dicevo poc’anzi. Nel momento in cui avviene il riconoscimento, la collimazione tra l’idea che è dentro lo Spirito e la corrispondente realtà che è fuori, la certezza che la cosa sia fatta e disposta in un certo modo, è assoluta e costante. Perché è chiaro che la sicurezza di questa assolutezza viene dalla verifica generale dell’Universo che lo Spirito opera costantemente, con la ripetizione, con la quasi sperimentabilità di ciò che viene riconosciuto, nella impossibilità assoluta di riconoscere l’oggetto solo per il contenuto dell’oggetto stesso, cioè per un’idea semplice e utilizzabile in quanto tale e in nessun’altro modo. Voglio dire che se nel campo delle idee è possibile avere l’immaginazione, lo Spirito non procede così: lo Spirito parte da una situazione quasi matematica. Da un determinato livello in poi si sa con assoluta certezza che è pensabile una domanda soltanto se la risposta esiste inequivocabilmente, reale e assoluta. Perché lo Spirito sa che dalla propria interiorità non può essere formulata una domanda che non possa avere una risposta, e, soprattutto, lo Spirito non è in grado di concepire una domanda se non esiste il corrispondente grado evolutivo che consenta la costruzione spontanea della domanda. E poiché il grado evolutivo è un fatto accertato e sicuro, soggetto a una sommatoria geometrica alla quale lo Spirito è abituato e che riconosce (e ne riconosce soprattutto i termini matematici, perché è una verifica che viene fatta a priori e a posteriori nell’Universo), tutta la struttura si muove in questo modo per un’espansione che equivale a un’aggregazione, perché l’espansione dello Spirito è implicitamente un’aggregazione di altri elementi4, è la “grandezza” dello Spirito che si espande (anche se il termine “grandezza” è inesatto, naturalmente, in quanto parliamo di qualità e non di quantità).
Quando la verifica viene calata entro questa struttura che si muove isocronicamente con la realtà universale, non è possibile che ci sia il minimo margine di dubbio o di errore.
Il processo deduttivo a cui talvolta si fa ricorso può, avvenire in una fase precedente, cioè in quella della proiezione dello Spirito; esso si proietta sempre in avanti, formula anche una quantità di “ipotesi di lavoro”, ma esse restano soltanto ipotesi, mentre la certezza è una certezza graduale che si acquisisce in una serie conseguenziale e strettissima di dati. In questa serie un’idea si aggiunge a un’altra, si lega alla precedente e, contemporaneamente, a tutta la struttura, e così via…
Sicché c’è un processo omogeneo di acquisizione stabile ed eterna, e c’è anche l’impossibilità dello Spirito di regredire, di tornare indietro, (di cui abbiamo già parlato in altre occasioni), perché è un processo che si svolge su forze eterne, su idee, su realtà, su microstrutture e macrostrutture eterne, inamovibili, assolute. Ogni espansione/aggregazione dello Spirito si muove su questo doppio piano di acquisizione dell’interiorità, del proprio sé profondo, cioè della propria divinità, e della realtà che è oggettiva, fuori di sé, la cui suddivisione è posta solo in termini operativi, perché – come dicevo all’inizio – comunque e dovunque noi siamo il nostro Universo e non ce n’è un altro; ossia c’è l’”altro” Universo che è quello che ha “risposte” per le quali non possiamo formulare le “domande”, a causa di un’evoluzione che non possediamo ancora. Ma nel momento in cui siamo nella nostra evoluzione, noi siamo quel grado di evoluzione dell’Universo, siamo in quella sezione, in quel livello dell’Universo. Ed è proprio una questione di livelli, sicché alcuni potrebbero addirittura proporre l’abolizione del termine evoluzione e parlare di “livelli”, perché poi la sostanza del discorso è questa: anche se operativamente c’è una evoluzione, in realtà si tratta semplicemente di livelli5.
D. – Livelli conoscitivi?
A. – Anche, ma è non solo questione di conoscenza. È proprio una questione di mutazione della struttura dello Spirito che, ma mano che si evolve, diventa sempre più un’altra cosa, cioè diventa qualcosa in più rispetto ai livelli che si erano manifestati precedentemente. Se voi ponete bene attenzione, intuitivamente, a questa questione dei “livelli”, vi accorgerete che già il concetto di livello non implica un accrescimento, ma uno spostamento di posizione dello Spirito che vi porta più vicino al concetto di non-tempo e di non-spazio, che non il termine usuale di “evoluzione” che implica più “visivamente” un accrescimento e quindi un tempo-spazio legati a questo Spirito.
D. – Quando si dice che lo Spirito, percorrendo se stesso, quindi auto-rivelandosi, percorre l’Universo è come se si dicesse che l’Universo in effetti non esiste oggettivamente come realtà esteriore, ma che esso forse si manifesta come una pura e semplice proiezione dilatata degli stessi livelli qualitativi dello Spirito. È come dire che egli li ritrova in se stesso attraverso un certo processo che non possiamo certo definire in termini umani.
Questo forse ci può aiutare a superare la dicotomia che si presenta sempre tra Spirito è realtà oggettiva esterna.
A. – Io direi che l’Universo rappresenta soprattutto l’aspetto immobile degli stessi principi e forze che sono dello Spirito e di Dio; cioè che esso rappresenta la “materializzazione” o, la “proiezione” di tutto ciò che è statico nella struttura dello Spirito. Qui, naturalmente, bisogna stare attenti, perché per “statico” non intendo immobile in senso stretto, non intendo fermo, intendo semplicemente non soggetto a una evoluzione che possa consentirne la trasformazione in Spirito6.
In un certo senso l’Universo rappresenta gli elementi “grevi” e “materiali” – dove per “materiale” già non s’intende più la materia, ma gli elementi che non hanno una volitività e i caratteri intelligenti propri di quella stessa struttura; altrimenti si creerebbe lo Spirito! Se vogliamo, è l’Universo l’alter ego di Dio e anche dello Spirito. In un certo senso si potrebbe ancora dire che, probabilmente, lo Spirito potrebbe fare a meno dell’Universo. Naturalmente questa è un’affermazione al limite. L’Universo non avrebbe invece alcun senso senza la presenza dello Spirito: anche questo va detto!7
D. – In definitiva è l’Universo che soggiace alla fissità delle leggi, di queste leggi eterne che non cambiano e che quindi mantengono il tutto immobile. Non so se sono riuscito a penetrare lo Spirito di quel che hai detto prima…
A. – Sì, certo, lo Spirito non è però escluso da questa regola generale, perché anch’esso finisce col seguire un determinato principio: anche il suo principio di eternità è immutabile.
D. – Ma mentre lo Spirito, diciamo così, ha un “accrescimento”, il resto dell’Universo non lo ha.
A. – No, l’Universo non si accresce con la stessa modalità qualitativa dello Spirito. Tra l’altro nessuna struttura materiale è una Persona8.
D. – In fondo non si tratta neanche di accrescimento…
A. – Naturalmente…
D. – L’esigenza dell’esperienza nella materia deriva da un desiderio, da una spinta che nasce spontanea? Oppure tutto è già regolato, è imposto?
A. – In un certo senso l’esigenza nasce spontaneamente, ma per far capire o per spiegare, spesso si è costretti a far decadere un po’ il discorso9. Vorrei però che voi riusciste a capire una cosa al di là delle mie parole, e cioè che lo Spirito si trova in una certa situazione, e a un certo livello della realtà, senza aver fatto delle scelte, semplicemente perché al livello in cui si trova, quella è la realtà oggettiva che la circonda10. Dunque egli si trova in una realtà oggettiva volta per volta interpretabile e utilizzabile: uno di questi casi è la materia, e non è lo Spirito che la sceglie, vi è semplicemente il fatto che entro quel valore della sua struttura egli trova la materia. Lo Spirito non si mette a cercare un certo pianeta o una particolare dimensione dell’Universo; egli si trova semplicemente in una condizione di strutture mentali, tale per cui il corrispettivo esterno è la materia, che dunque egli incrocia perché è nella situazione di doverla necessariamente incrociare11. che poi la materia si chiami Terra o in un altro modo, non ha nessuna importanza. Ecco allora che a quel livello egli opera un riconoscimento e ciò significa “tecnicamente” andare anche a incarnarsi, cioè calarsi in tutte quelle situazioni che ormai conoscete.
D. – Una volta dicesti che in alcuni casi, vi sono delle entità che affrontano il problema della materialità senza incarnarsi.
A. – Infatti questo può accadere.
D. – Quindi l’incarnazione non è una tappa obbligata?
A. – No, non lo è, ma è obbligatorio, in un certo senso, passare attraverso l’esperienza della materialità, la quale non significa necessariamente incarnazione.
D. – Vorrei ben capire che differenza passa fra queste due scelte, dal momento che il fine identico è la conoscenza della materialità…
A. – Non c’è una grande differenza. Il passaggio attraverso la materia (nel senso dell’incarnazione), consente una serie di esperienze che alla fine daranno lo stesso risultato che può ottenere un altro essere spirituale che percorra la stessa materia ma senza disporre di un corpo.
D. – È proprio qui che non capisco per quale motivo si dovrebbero scegliere situazioni che, dal nostro punto di vista, comportano sofferenza, quando se ne potrebbe fare a meno…
A. – Ma lo Spirito non soffre affatto, con o senza un corpo.
D. – Lo so ma non capisco l’economia differenziata di tutto ciò, è quasi una inutilità seguire un tipo diverso di strada.
A. – Credo che lo stesso discorso potrebbe farsi nei confronti di qualunque tipo di strada. Cioè, uno Spirito che si trovasse dall’altra parte potrebbe fare lo stesso discorso, che è quindi ambivalente.
D. – Ma allora non dovrebbe esserci da parte vostra la preoccupazione di voler rendere più accettabili, più idonee le condizioni della Terra per poter facilitare certe esperienze…
A. – Infatti, non c’è nessun affanno.
D. – Ma c’è sempre un programma…
A. – C’è naturalmente un programma e un interesse perché, indubbiamente, il passaggio dello Spirito in questa struttura della materia (che sia la Terra o altro non ha importanza); l’incarnazione è un passaggio in una condizione estranea allo Spirito. Per struttura, per qualità, per orientamento, per fini, lo Spirito non tende alla materia, evidentemente, però è costretto o, diciamo, è necessitato (costretto non è esatto), a riconoscere l’utilità di passare attraverso questo livello dell’Universo che gli è estraneo.
Il programma o l’intervento dello Spirito in senso generale tendono a dare una protezione allo Spirito nella eccezionale situazione di estraneità in cui questi, viene a trovarsi. Inoltre non c’è dubbio che, perfezionando la conoscenza di questa struttura estranea, si consente allo Spirito di verificare più compiutamente, in termini meno stressanti, in una condizione più agevolata, la struttura materiale dell’Universo, e dal momento che non si tratta di una tappa obbligatoria, ma solo di una tappa utile, vi sono ampie motivazioni per alleggerire – per così dire – una parte di questo “attraversamento”. È solo così che si giustifica e si comprende l’interesse dello Spirito di modificare certe condizioni di esperienza, che altrimenti lo costringerebbero a prolungare questa esperienza in tempi (umani) che possono diventare stressanti per uno Spirito il quale, per destinazione, non ha la vocazione per la materia.
D. – Alla luce di quello che hai detto diventa quasi futile il discorso classico che facciamo a volte, sull’”ultima incarnazione”, oppure su un tipo particolare di incarnazioni secondo un certo ciclo; oppure sul fatto che per affrontare le esperienze della materialità ci vuole un certo numero di incarnazioni ecc. … Non c’è più l’affanno di questa catena, del fatto che se si comincia a incarnarsi, poi si deve passare per una certa trafila. Diventa davvero una banalità ciò che prima pensavamo. Che significa in fondo ultima incarnazione?
A. – L’ultima incarnazione, ha solo un senso squisitamente letterale, per indicare che è l’ultima volta che lo Spirito ha la necessità di attraversare la materia con un corpo, con una struttura materiale.
D. – E potrebbe essere l’ultima anche se ce ne sono state soltanto due e basta, e non necessariamente, tante…
A. – Infatti, non esiste un numero di incarnazioni prefissato. Esiste semplicemente – questo sia ben chiaro – un bersaglio di esperienza o una serie di bersagli da raggiungere. Lo Spirito può fare “centro” in tempi brevi o brevissimi, lunghi o lunghissimi: questo è tutto. Direi che – più esattamente – il bersaglio è uno soltanto, con tutta una serie di sfumature.
D. – Quali?
A. – È la conoscenza profonda e autentica del principio della materialità, cioè del principio della vita universale. Ma più esattamente il principio della materialità, perché essa rappresenta l’altra faccia, o meglio uno degli aspetti dell’altra faccia della realtà, quella estranea allo Spirito che, per propria destinazione, non potrebbe verificare casualmente la materia; per farlo deve calarsi volutamente nella sua struttura per partecipare quindi alla dinamica della sua vita.
D. – Un ultimo appunto, brevissimo e molto banale: dopo un certo numero di incarnazioni (non importa quante, due, quattro, dieci) per una serie di coincidenze o di esperienze portate a termine male, (il cui programma – proprio perché la vita non lo permette – non ha centrato quegli aspetti particolari per cui si è scesi in Terra), può avvenire che lo Spirito decida di non tornare più, non perché abbia esaurito il suo programma, ma semplicemente perché si è reso conto che forse è meglio affrontare il problema dall’altro punto di vista, non più immergendosi nella materialità?
D. – Quindi abbandonare l’incarnazione non significa obbligatoriamente aver raggiunto la conoscenza completa della materialità.
A. – Naturalmente! Incarnarsi non significa esaurire l’esperienza della materialità.
D. – Io vorrei che si discutesse di un’altra ipotesi. Noi abbiamo parlato in modo estremamente logico delle infinite possibilità di emanazione da parte di Dio. Facemmo tempo fa l’esempio di una luce con infiniti raggi che non si incroceranno mai, per cui si disse che, evidentemente, lungo la nostra proiezione non incontreremo mai, in assoluto, certe altre proiezioni, che per noi sono inimmaginabili. Allora, se a questa proiezione particolare (una delle infinite di Dio) si aggiunge anche un nostro criterio, (nostro di spiriti), di scelta di un certo itinerario, non è anche possibile che tutte le conseguenze (almeno entro un certo ambito piuttosto vasto) debbano essere coerenti a questa scelta e a questo tipo di proiezione? E quindi, debba esserla nel dettaglio, anche l’incarnazione, anche il passare attraverso questo aspetto che è uno degli infiniti di Dio, cioè quello della materialità? Perché abbiamo detto che non esistono solo gli aspetti della spiritualità e della materialità, ma che ne esistono infiniti altri…
A. – Sì, ma cosa intendi per coerenza?
D. – Come fatto conseguenziale, cioè mentre per altri spiriti (posti su altri “raggi” può esserci una conseguenza diversa che li porterà a non attraversare mai l’esperienza della materialità (bensì altre a noi inconcepibili), noi siamo stati portati lungo questo itinerario per una questione di conseguenzialità, perché la nostra personalità si è evoluta lungo questo particolare aspetto che è uno degli infiniti itinerari possibili.
A. – Ma, vedi, l’esistenza della materia (e naturalmente per materia intendiamo sempre qualcosa di diverso dalla materia volgare propriamente detta) e l’Universo stesso, comunque rappresentano una realtà nella quale lo Spirito si trova. Ora il punto è questo: se esso parte già in un certo Universo, allora non potrà fare a meno di passare attraverso l’esperienza della materialità. Se invece esso parte da un altro tipo di realtà (che non ha nulla a che vedere, e che quindi non ha nessun punto di contatto con questo Universo12, così come lo concepiamo) è chiaro che non incontrerà mai l’esperienza della materialità.
D. – Mai?
A. – Questa è una domanda limite, cioè una domanda…
D. – Alla quale noi non possiamo rispondere…
A. – Alla quale voi non potete rispondere, siamo d’accordo, ma alla quale possono essere date risposte sul piano della logica; ed è una domanda che si basa sull’assurdo, dal punto di vista umano.
D. – Però non dal vostro punto di vista…
A. – Dal nostro punto di vista, no. Dirò questo, però, che i diversi princìpi di realtà hanno una base comune dalla quale non si può prescindere: tale base fondamentale è che la realtà per poter rappresentare se stessa deve esistere. L’esistere è la base di qualsiasi possibile costruzione, perché il suo opposto è un assurdo matematico e filosofico. Ciò che non esiste non può essere definito e, non essendo definibile, non possiede il principio di realtà. Quindi, per via indiretta, l’assenza del principio di realtà implica l’assenza del principio di esistenza. Ciò che non è, non ha realtà e non può essere posto in alcuna formulazione che riguardi la definizione di Dio e di ciò che da Lui può essere emanato. Questo significa che un altro tipo di Universo nel quale non ci sia spazio per la materia, per l’energia, o per lo Spirito (così come siamo costruiti noi, supponiamo) può esistere, o potremmo dire che esiste di fatto, ma questo esistere di fatto implica comunque che si tratti di una realtà, cioè di una cosa esistente.
Il discorso semmai si sposta sui diversi aspetti dell’esistente, ma a questo punto esso immediatamente si declassa, perché l’esistenza di un Universo infinito comprende già l’estensione diversificata dell’esistente, appunto come infinito che include tutto, cioè anche tutte le possibilità, quindi anche quella che possa esistere uno Spirito fatto diversamente da me. Esso potrebbe esistere benissimo, e potrebbe partire da un altro livello, per esempio da un livello più alto, cioè un livello al quale noi non arriveremo mai, e viceversa…
D. – Ma questa non è una possibilità che tu enunci, è una realtà, cioè le cose stanno effettivamente così. A me sfugge un po’ questo passaggio tra un discorso teorico e uno reale, effettivo. Si potrebbero avanzare obiezioni.
A. – Voi fate delle obiezioni senza accorgervi che ciò che vi ho esposto è uno pseudo-problema, anzi mi stupisce che non arriviate a capirlo da soli.
In realtà, quando noi diciamo che esiste un’evoluzione infinita e che in questo preciso istante, supponiamo, si possa bloccare questo grande orologio dell’Universo (e qui reintroduciamo il concetto di tempo), troviamo uno Spirito che è a evoluzione “un miliardo” e un altro che è a evoluzione “dieci”. Quello che è a evoluzione “un miliardo” non si prospetta un Dio inavvicinabile, mentre per chi è a evoluzione “dieci” è semplicemente assurdo concepire semplicemente questo problema. Cioè questo già si verifica senza avere la necessità di inventare problemi che in realtà non esistono perché, se si ammette il principio dell’infinito, allora si risolve tutto. Semmai possiamo ridiscutere questo principio dell’infinito.
D. – Ma il discorso è proprio questo. La tua affermazione è chiara, non c’è dubbio su questo. Ma, ciò che non si riesce bene a precisare è se in effetti esistono infiniti settori e se questi infiniti settori si evolvono con una logica autonoma diversa dalla nostra. Non incontreremo mai esseri di un settore diverso dal nostro, e non perché per fatti evolutivi può esserci una distanza infinita tra noi e loro, ma proprio perché il loro settore abbraccia un altro tipo di realtà che non ha niente in comune con quella che noi percorreremo all’infinito. Non so se ho reso l’idea…
A. – Ma questo si verifica già a livello di spiriti dello stesso “settore” o “raggio”; per esempio, lo Spirito che è davanti a me di un miliardo di punti, non si incontrerà mai con me13.
D. – Però è proiettato lungo un settore, un canale, un cammino che, in un certo senso, è anche il nostro…
A. – Sì, esatto, va bene. Noi non ci incontreremo con quegli esseri, però ci incontreremo con quegli stessi problemi e con quelle stesse realtà14.
D. – Ecco, va bene. Ora affrontiamo l’altro aspetto…
A. – Cioè se possano esistere gruppi di realtà che alcuni percorrono e altri non percorrono mai?
D. – In cui agiscono altre entità che però non hanno niente a che fare con tutto il nostro “curriculum”, chiamiamolo così. Ciò che volevo cercare di capire era questo: che tipo di relazione esista tra uno Spirito e la realtà oggettiva dell’Universo. In un dato momento, come gli si mostra questa realtà? per esempio, antagonista, oppure oggettiva nel senso di ferma, statica? Qual è il tipo di rapporto dialettico Spirito-realtà? Come lo assume in sé lo Spirito?
A. – A questa parte della domanda non si può rispondere, perché tutto ciò che accade in un certo aspetto della Realtà completamente diverso da quello da noi “percorso”, può essere posto solo come un’ipotesi che non può essere verificata da nessuno che non si trovi in quell’aspetto della realtà.
Se noi tendiamo a demolire l’idea dell’esistenza di un altro aspetto della realtà che sia totalmente diverso da quello che siamo in grado di sperimentare, lo facciamo unicamente per stimolare certi contributi e certe idee, ma è chiaro che la verifica non può essere fatta. Cioè, alla tua domanda se Dio abbia la possibilità (o lo abbia già fatto) di creare un tipo di Universo infinito, eterno, e assoluto, che sia diverso dal nostro che noi legittimamente riconosciamo perché siamo in esso, si può rispondere solo teoricamente che è possibile, cioè teoricamente deve ammettersi la possibilità che ciò esista, anche se non esiste alcuna razionale ipotesi che possa avallarlo, che, anzi, si tenderebbe a negarne la validità in base al principio di estensione dell’infinito. Tuttavia in linea teorica non può negarsi a Dio questa possibilità anche se, in ogni caso, nessuno di noi la potrà verificare mai15.
Quindi a questa domanda non si può rispondere direttamente, perché nessuno di noi si troverà mai in “quella” situazione, appartenendo noi già a una struttura infinita. Però, potrei anche dirti o dimostrarti che quest’altra realtà non dovrebbe sussistere; ma ci sono principi che andrebbero meditati con altri metodi mentali, e lo stesso carattere di infinito in Dio lascerebbe pensare che queste diverse esistenze non sono, poi, così impossibili. È solo che, nell’ambito di questa nostra logica, di questa nostra struttura infinita, noi non possiamo dimostrarlo. Così come voi, nella vostra logica, non riuscite a comprendere l’esistenza del non-tempo e del non-spazio, noi non riusciamo a concepire un altro infinito oltre quello che siamo abituati a concepire. In quanto all’”incontro con la realtà”, esso avviene in maniera dialettica, ma interna allo Spirito, perché non c’è nessuno che risponda e non c’è un problema che si ponga come alternativo ma solo come riconoscimento del reale che dev’essere superato, inglobato e analizzato. Soltanto in questo senso è chiaro che l’interesse si appunti su questo, perché noi siamo “questo” Universo ed è “questo” l’Universo nel quale esistiamo, dunque i problemi che si ponevano prima erano soltanto di tipo ipotetico-speculativo, ma non hanno un significato importante per lo Spirito.
D. – Se noi ci rifacciamo al pensiero, vediamo che esso non ha bisogno di tempo e spazio16.
A. – Sì, è vero, ma il fatto è che l’uomo è una cosa talmente piccola e apparente che tutti gli esempi che voi potete portare sono sempre piccoli esempi. Aiutano a capire, ma non risolvono quel rapporto vero e proprio che lo Spirito pone con l’Universo quando è libero dal vincolo del limite umano.
D. – A parte il fatto che anche nel pensiero c’è un “tempo”…
A. – Col pensiero o addirittura col sogno, ci si avvicina maggiormente a questa idea del non-tempo…
D. – Come disarticolazione delle nostre categorie?
A. – Certo! Come disarticolazione delle categorie. Sì, questo sì. Bene, ora devo andare…
* * *
1 Purtroppo vi sono parti della comunicazione che per ragioni che non comprendiamo possono creare grossi problemi di comprensione, relativi purtroppo a questioni di fondo della stessa dottrina del Maestro Andrea, li abbiamo indicati in una nota alla pag. 255 del testo, proprio per evidenziarli e non creare fraintendimenti. – Nota del curatore.
2 La difficoltà e la complessità possono essere oggettive, ma non esimono da una attenta e precisa valutazione del testo e da interventi diretti o successivi in ordine al chiarimento o alla miglior comprensione, cosa che riguardo a questo testo non è certamente avvenuta, si tratta pertanto di questioni fondamentali di metodo non poste in essere, cosa già fortemente evidenziata nella NOTA DEL CURATORE introduttiva. L’impostazione del testo avrebbe richiesto una cospicua annotazione, cosa che da parte nostra siamo stati costretti a fare, proprio in ordine a una migliore completezza e comprensione. – Nota del curatore.
3 Il problema è stato trattato anche al Cerchio Firenze ’77 che ha particolarmente evidenziato come esso sia incluso in un processo di tre fasi successive:“attenzione – consapevolezza – comprensione”, in questo caso a fronte di un’evoluzione si pone in essere l’attenzione, come primo elemento che si deve necessariamente evidenziare e poi sviluppare nelle fasi successive. Evidentemente se non “scatta” questo primo elemento, non si pongono in atto neppure i successivi e l’evento-esperienza sfugge, non viene coscientemente assunto, rilevato ed evidenziato. – Nota del curatore.
4 La questione ancora una volta richiama qui direttamente un elemento fondamentale della dottrina del Cerchio Firenze ’77, cioè il concetto che il “quid spirituale” non sia altro che un’aggregazione progressiva di “stati di sentire” o “atomi di sentire” sempre più sviluppato e allargato, a partire dallo stato originale di partenza a quello finale di “coscienza cosmica”. Si tratta di un concetto estremamente complesso qui impossibile da trattare adeguatamente, anche perché richiederebbe un’ampia e difficilissima trattazione comparata dei due insegnamenti, sempre ammesso che questa sia possibile. Cfr. Cerchio Firenze ’77, Per un mondo migliore, Roma, e. Mediterranee, 1981, pag. 195.
5 In realtà noi conosciamo meglio la cosa sotto il termine di “piani” evolutivi, come lo ha sempre descritto tutta una letteratura spiritica, teosofica o esoterica, esagerando nei termini schematici per cui sembra quasi che vi siano elementi “solidi” effettivi tra un piano e l’altro del processo evolutivo spirituale e non una fase fluida di passaggi di avanzamento che sono certamente del tutto interiori e di sensibilità della condizione dello Spirito. – Nota del curatore.
6 Purtroppo l’ultima frase non è chiara e non definisce a quali parti “strutturali” dello Spirito ci si riferisca, ammesso che queste siano descrivibili in termini di comprensione umana. Inoltre poiché il soggetto potrebbe essere ambivalente l’ultima frase potrebbe anche essere relativa all’Universo e non allo Spirito, come si potrebbe pensare in ordine al prosieguo, ma ugualmente mancherebbero dei passaggi di fondo basilari, perché il senso della frase potrebbe essere che “l’Universo si trasforma in Spirito” cosa impensabile proprio riguardo alla dottrina del Maestro Andrea. Ovviamente la questione è basilare e andava chiarita in seduta cosa che non si è verificata. – Nota del curatore.
7 La questione è ben nota; in quanto l’Universo sarebbe un “esistente” inutile se non esistesse in parallelo un elemento intelligente qual è lo Spirito che lo percorresse e lo “abitasse”, applicando verso l’Universo ogni elemento atto alla sua conoscenza, quale atto di Dio e della Sua emanazione. – Nota del curatore.
8 Nel senso di nucleo individuale intelligente presente nella materia. – Nota del curatore.
9 Nel senso che si deve abbassare il livello generale a uno stadio di migliore comprensibilità, in questi casi il Maestro Andrea ha sempre invitato a cercare l’intuizione onde sopperire con questa a ciò che non è esprimibile correttamente dal linguaggio umano. – Nota del curatore.
10 Anche in questo caso crediamo vi sia un’ambivalenza riguardo al soggetto che l’impostazione della frase non rende chiaramente definibile. – Nota del curatore.
11 Questa potrebbe essere la spiegazione del netto determinismo incarnativo asserito dalle Guide del Cerchio Firenze ’77, e fortemente contestato al Maestro Andrea ove egli afferma che l’incarnazione in un corpo al limite può essere evitata scegliendo una via molto difficile e estrema come quella che spiega in un precedente intervento, e come anche è ancora una volta affrontato e spiegato nel prosieguo. Egli però significativamente nega che possa essere comunque evitato il confronto diretto dello Spirito con la materia a livello universale. – Nota del curatore.
12 Qui il Maestro sembra adombrare un tipo di Spirito che esista in un altro Cosmo totalmente diverso e incomunicabile col nostro. Si tratta della teoria dei Cosmi già presentatasi in precedenza e che fu anche ipotizzata al Cerchio Firenze ’77. La teoria è del tutto indimostrabile anche da parte dello Spirito e si basa sulla possibilità di creazione infinita da parte della Divinità di altri cosmi totalmente non comunicanti tra loro, e nei quali potrebbe essere stata posta in atto una Realtà totalmente diversa da quella esistente nel nostro Cosmo. – Nota del curatore.
13 Questa affermazione si basa sul fatto che uno Spirito di evoluzione “inferiore” non potrebbe accedere a un livello enormemente superiore, mentre è possibile viceversa, perché lo Spirito “superiore” ha un accesso libero a tutto ciò che è “inferiore”. – Nota del curatore.
14 Cioè: con quei problemi e quelle realtà che fanno parte del loro “settore” di evoluzione che è anche il nostro (anche se ciò avverrà in “tempi” diversi). – Nota senza riferimento.
15 Il Cerchio Firenze ‘77 afferma che possono esistere altri “cosmi”, separati e non raggiungibili dal nostro di appartenenza, ma a parte l’impossibilità pratica di provare questa affermazione ci si scontra sempre con l’assunto che già il nostro Universo sarebbe di per sé infinito. In altri termini si porrebbe il problema di conciliare l’esistenza di tanti universi o “cosmi” infiniti, cosa questa che presenta problemi insormontabili sul piano umano e spirituale, di fatto la conoscenza della logica di tali molteplici “universi infiniti” sarebbe solo di Dio. – Nota del curatore.
16 L’affermazione non è corretta, anzi è del tutto errata, in quanto lo stesso Maestro Andrea ammetterà che il pensiero ha una velocità, che definisce molto vicina a quella della luce, ma sul piano umano data l’estrema piccolezza relativa della Terra esso può essere considerato praticamente istantaneo anche in ordine alle distanze massime percorribili nell’ambito della Terra, e ciò implica allora pienamente anche il concetto spaziale, che non può essere disgiunto dal concetto di velocità. Nel prosieguo del dialogo in un certo senso l’errore appare chiaramente anche se non ben delineato. Non a caso il Maestro pone l’esempio del sogno che si avvicina in maniera molto più corretta ai termini della questione. – Nota del curatore.