IL PROBLEMA DELLA “NASCITA“ DI UNO SPIRITO.

14) – IL PROBLEMA DELLA “NASCITA“ DI UNO SPIRITO.

D. – All’inizio dell’esistenza, dell’individualità, lo Spirito viene emanato da Dio. Ora, per esempio, dei due spiriti che vengono emanati e che quindi assumono una loro individualità non ancora personificata in modo particolare, da che cosa saranno diversamente orientati? Credo che non si possa attribuire la diversità alla volontà o alla libera scelta, perché essi non hanno elementi e conoscenze precedenti su cui basarsi…

A. – In questa circostanza gli spiriti sono sempre guidati da spiriti superiori che danno loro un orientamento iniziale. Questo orientamento li costringe in un certo qual modo alla vita (Qui per vita s’intende l’esistenza eterna individualizzata che segue il “momento” dell’emanazione da Dio. – Nota del curatore.). Durante il corso della vita essi finiscono poi con l’assumere una serie d’informazioni che consentirà loro, in una tappa successiva, di poter decidere in maniera più autonoma. In fondo c’è sempre una guida la quale è assoluta. In fondo, si tratta dei primi passi, come quelli di un bambino che deve essere tenuto per mano.

D. – Ne deriva un’altra domanda. È allora possibile a questi Spiriti-guida percepire l’atto dell’emanazione, cioè l’atto di individualizzazione di uno Spirito. Essi si accorgono cioè dell’”apparizione” di uno Spirito “nuovo” emanato in quel momento?

A. – Essi si accorgono, naturalmente, di uno Spirito nuovo, ma non possono cogliere il passaggio dalla fase informe in Dio, alla fase individuale dello Spirito, Questi spiriti si presentano improvvisamente nell’Universo come tratti dal nulla, in realtà. Non c’è praticamente una “porta” che si veda, che si apra e poi si richiuda dietro di loro…

D. – Gli spiriti riconoscono subito il valore di un altro Spirito?

A. – No, naturalmente, non subito. Questo accade dopo una serie di esperienze, quando lo Spirito è in grado di valutare se stesso e gli altri, ma, subito, essi non si rendono conto di niente.

D. – Intendevo uno Spirito già evoluto che incontri uno Spirito che non ha ancora una personalità…

A. – Esso viene riconosciuto immediatamente, in quanto tutte le caratteristiche di uno Spirito sono comunque presenti in lui, e ci si rende subito conto delle sue condizioni. In fondo, è uno Spirito un po’ marcato, direi, e non c’è possibilità d’errore. È uno Spirito che, anche nelle sue forme espressive, ideative, mostra una limitazione quasi assoluta. D’altra parte, il fenomeno della creazione si verifica in circostanze particolari, e lo Spirito non sorge improvvisamente come un fungo in mezzo all’Universo. Lo Spirito finisce col presentarsi come “atto creativo” (Il Maestro Andrea usa qui e in seguito il concetto di “creazione” in maniera convenzionale umana, ma in questo caso – a maggior ragione – esso deve intendersi sempre come “emanazione”della Divinità da Sé in Sé. – Nota del curatore.) immediatamente, e va nella sfera di “controllo” di spiriti che, in un certo qual modo, sono preparati e preposti a questo. In ciò vi è una successione, cioè gli spiriti – raggiunta una certa evoluzione – passano attraverso questa esperienza che è quella di accogliere, per così dire, gli spiriti che vengono creati.

D. – A questo punto sorge però il problema del tempo. Tutto ciò infatti sembra negare che Dio abbia emanato tutto da sempre, ab-aeterno, mentre d’altra parte è stato anche detto che Dio emana continuamente…

A. – A questo limite il problema non è risolvibile, se non attraverso un processo di intuizione, quindi come fatto puramente teorico. È vero che lo Spirito emanato ab-aeterno non dovrebbe teoricamente presentarsi come entità definita, cioè apparire in un certo momento, supponiamo, davanti a me, perché questo apparire dovrebbe già essersi verificato dall’eternità. Ma è anche vera un’altra cosa, che anch’io come Spirito mi trovo nella stessa condizione di ab-aeternità. Cioè egli si presenta davanti a me, ma io non sono uno Spirito che in “questo” momento ha l’evoluzione “dieci”, io sono uno Spirito che nei confronti di Dio ha sempre avuto un’evoluzione “dieci” ab-aeterno”. Posto questo rapporto, si risolve automaticamente anche l’altro. Se io, nei confronti di Dio sono sempre stato anche l’altro Spirito che si presenta davanti a me è sempre stato, e il rapporto tra me e lui, pur essendo apparentemente un rapporto “attuale”, è un rapporto che in realtà c’è sempre stato.
Questo discorso che è teorico (e direi piuttosto assurdo per voi) in realtà corrisponde a un dato di fatto, perché la distanza tra noi e Dio è sempre una distanza infinita ed “eterna, di una “eternità” che non riguarda soltanto il futuro ma anche il passato. D’altra parte, trovandoci noi in uno spazio eterno e in un tempo eterno, tutti i fenomeni che si svolgono e che sembrano apparentemente attualizzati, in realtà sono sempre fenomeni eterni che sono sempre distanziati da un’eternità. Possiamo dire a questo punto che allora il rapporto tra me e uno Spirito ora creato è un rapporto fittizio? No, è un rapporto reale. È semplicemente fittizio il termine di paragone che vuole porsi tra me e questo Spirito e tra noi due insieme nei confronti di Dio, inquantoché Dio effettivamente l’ha sempre creato, quello Spirito. Il punto è che essendo noi tutti uguali, identici, poiché la creazione avviene in maniera identica nel tempo, gli spiriti sono veramente e perfettissimamente uguali e la differenziazione delle individualità nei confronti di Dio non è importante. In realtà, di fronte a Dio, io, tu o un altro siamo la stessa cosa, indifferentemente; non esiste il figlio A. nei confronti di Dio o il figlio G. o il figlio E., perché io tu e gli altri siamo uguali nei suoi confronti, e siamo uguali proprio perché indifferentemente ciascuno di noi è stato fatto simile all’altro, e la differenza tra noi per Dio non esiste. Questo risolve il problema stesso della giustizia e dell’indifferenza di Dio nei confronti di questa giustizia. Egli non amministra la giustizia in maniera individuale, ma in maniera generale e anonima, proprio perché siamo tutti perfettamente uguali. Il fatto che noi diventiamo “diversi” lungo la via dell’evoluzione, in un certo senso a Dio interessa molto marginalmente. Cioè è un problema che interessa a noi, esseri creati, ma non è un problema che interessi Dio, perché in qualunque maniera noi possiamo essere fatti durante il cammino dell’evoluzione, in qualunque modo saremo tra un miliardo di secoli, per Dio è sempre la stessa cosa. Perché per Dio siamo, siamo stati e resteremo soltanto ed esclusivamente suoi “figli, punto e basta”.

D. – Questo è un fatto anche matematico, cioè è implicito quando si dice che Dio è infinito ed eterno, perché in fondo, sia uno che un miliardo sono uguali nei riguardi dell’infinito.

A. – Sì, certo. D’altra parte c’è da dire che la risoluzione di alcuni problemi-chiave aiuta naturalmente la comprensione. Certo, io so benissimo quanto sia difficile penetrare in questo rapporto – che per l’uomo è un po’ assurdo – tra lo Spirito e Dio. Certamente è molto difficile isolare voialtri dal contesto spazio-tempo per penetrare questa dimensione così straordinaria. Questo lo capisco benissimo. D’altra parte so anche quale sia la difficoltà di conciliare questo ab-aeterno con lo svolgersi sotto gli occhi dello Spirito di una successione che sembra invece tradire, mettere al bando la questione dell’”essere sempre stati”. Però bisogna considerare che i rapporti tra gli spiriti, pur essendo rapporti che avvengono nell’ambito dell’universale, non sono universali, ma sono rapporti che dunque possono celare un’apparente successione, possono svolgersi in una successione di tempo, proprio perché noi spiriti siamo infiniti, ma anche finiti (Quindi, soprattutto, potenzialmente “infiniti”. – Nota GdS.).
Cioè siamo esseri di cui esiste una precisa identificazione, un’identità assoluta, io sono, e quando dico “io sono”, sono ben circoscrivibile, sono un essere che ha dei limiti, ha, come dire, quasi una forma, ha insomma una dimensione, uno spazio. Io sono qualche cosa di reale e vengo a contatto con qualche altra cosa di reale. I nostri rapporti si svolgono nell’universale, siamo eterni e siamo proiettati in questo infinito, ma noi non siamo infiniti, non abbiamo un’intelligenza infinita e una potenza infinita, ma una potenza e un’intelligenza che sono infinite solo nel senso che sono suscettibili di ampliamento all’infinito. Essendo noi dunque ben circoscrivibili, identificabili – e questa è una garanzia, perché se così non fosse non avremmo alcuna sicurezza di poter esistere per l’eternità come spiriti individuali – essendo così, tra di noi possono instaurarsi rapporti i quali non procedono secondo una via eterna, infinita e universale, ma che diventano rapporti più o meno temporali, più o meno spaziali. Ed ecco che noi scorgiamo certe successioni, e noi possiamo dire “più evoluto” o “meno evoluto”, indicando già con ciò una successione; e per quanto riguarda la nostra vita, la nostra “società” spirituale, il nostro mondo spirituale tutto questo va bene; quando invece cominciamo a creare un rapporto tra noi, “società” di spiriti, e Dio, il conto non torna più. Allora tra noi e Dio veramente torna un’altra volta la necessità di abolire totalmente il rapporto spazio-tempo, perché Dio non rientra più in questo schema di rapporto o, perlomeno, quando noi ci muoviamo in questa serie di rapporti più limitati e individuali, Dio resta al di fuori, cioè Dio non vi entra più.
Quando io mi pongo in rapporto con un altro Spirito già escludo Dio, ma appena io voglio porre Dio come terzo elemento di questo rapporto, devo spostare i termini, abolire la simbologia spazio-tempo e devo riferirmi a uno “spazio” universale. Mi crollano dunque le barriere di carattere individuale e devo tornare a una visione eterna della realtà. Qui, allora, il conto non torna più, o perlomeno viene a crearsi quella ambiguità che pone lo Spirito in una condizione ab-aeterno rispetto Dio e pone Dio in una situazione fenomenica universale che va al di là, straripa oltre i limiti della nostra individualità.

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