Questo numero di “Incontri” è il diretto proseguimento dei precedenti, e si propone di schematizzare i processi che portano all’Interiorità, a quel processo di “unione”, di avvicinamento all’individualità spirituale di ognuno, quella che chiamiamo Spirito, Sé, Anima, Atman ecc.
Lo Spirito disincarnato ha una potenzialità enorme. Tuttavia quando entra nella materia del corpo con l’incarnazione, la materia-corpo ha un potere condizionante altrettanto forte, seppure non cosciente, non intelligente. E’ lo Spirito che s’incarna nella materia e non viceversa. Deve quindi subirne l’influenza e le leggi, e con ciò entra in un fortissimo processo di riduzione delle sue potenzialità originali. Diversamente l’incarnazione non sarebbe possibile né proficua. Sulla Terra esiste uno Spirito incarnato per ogni corpo, ma la risultanza generale di questa enorme presenza spirituale a livello di umanità è disarmante, se non fallimentare. Gli elementi di egoismo, possessività, potere, prevaricazione, violenza ecc., sono la costante quotidiana sotto gli occhi di tutti. Questa situazione è data fondamentalmente dal potere condizionante della materia, del corpo, della psiche e delle loro influenze congiunte e complessive.
La materia è fondamentalmente strutturata – per sua natura – in forma egoistica, e la stessa condizione umana ne risente pesantemente per conseguenza.
L’uomo si riconosce (quando lo fa!) nel suo livello mentale. Egli crede che la sua mente sia lui stesso. Si identifica cioè nella propria mente. Si tratta di un errore fondamentale che l’ambiente umano e sociale tende a strutturare e consolidare con ogni mezzo.
Fa eccezione, a questo riguardo, la tradizione sapienziale indiana, la quale ben conosceva questo errore e tentava in ogni modo di porvi rimedio. Il tradizionale saluto indiano, il “namastè” – che è fatto a mani giunte davanti al viso o al cuore in atteggiamento di preghiera – si rivolgeva allo Spirito e non alla persona fisica. Esso significa “Saluto il Dio che è in Te”. Il concetto è antichissimo e deriva probabilmente dal mantra vedico “Tat tvam asi!” che identifica l’essere individuale con la sua essenza divina.
L’azione di “unione” spirituale è ambivalente, duale, anche se tende allo stesso obiettivo; ed in questo è la stessa cosa. L’uomo nella sua azione di ricerca interiore tende ad attrarre lo Spirito verso i limiti dell’inconscio, oppure praticando delle tecniche di avvicinamento allo Spirito, ponendosi in condizioni di rilassamento corporale-muscolare e meditazione a-spaziale e a-temporale.
Questa è la sintesi, ma il termine “meditazione” non deve trarre in inganno per i suoi riferimenti orientali. Lo stesso yoga ha elementi spuri, errati, o del tutto inutili. In realtà si tratta della ricerca di un distacco, di una sospensione mentale o “vuoto” di pensiero – peraltro difficilissimo da attuarsi – e che mantenga un’attenzione di fondo, senza che intervenga il sonno. Una sorta di abbandono vigile, il quale deve anche trovare le sue forme personali e soggettive di attuazione, in base cioè allo stesso livello evolutivo dello Spirito dell’individuo.
Qui il linguaggio e le parole non aiutano per nulla e possono sembrare banali, in quanto siamo nel campo dell’interiorità, che pochissimo si presta a descrizioni nel linguaggio umano. Sono condizioni che vanno cioè direttamente provate e vissute, ricordando sempre che le esperienze spirituali autentiche devono sempre porsi in ambito a-spaziale e a-temporale, cioè nella stessa condizione dello Spirito. Sono condizioni queste che non appartengono naturalmente all’essere umano e in ciò sta una delle grandi difficoltà di fondo. Altra difficoltà è il distacco dalla realtà perché – se non controllato – il processo tende istantaneamente a ritornare al conscio, al normale stato di coscienza, in quanto questa “soglia”, il distacco, crea una condizione di paura, di timore ancestrale di “cadere”, di “precipitare” in condizioni sconosciute, irreversibili, “pericolose” ecc.
Questo stimolo di ricerca – perseguito o meno che sia – avviene ad un certo momento evolutivo, partendo da basi a volte assai imprecise, non ben definite, o anche totalmente sbagliate, nel senso che esiste lo stimolo in sé ma non la sua definizione e comprensione conscia.