L’ ”INDIFFERENZA” DELLA SAGGEZZA.

L’ ”INDIFFERENZA” DELLA SAGGEZZA.

 

D. – Non mi è chiaro quanto dicesti l’altra volta, e cioè che i saggi non si commuovono, né provano gioia rispetto agli altri… (Il riferimento si trova a pag. 292 e riguarda una citazione tratta dal Bhagavad Gita. – Nota del curatore.)

A. – Eppure non dev’essere difficile capire questo stato d’animo.

D. – Ma come si può restare indifferenti di fronte al dolore del proprio fratello?

A. – Vedi, il punto è proprio questo, che l’autentico saggio sa che quel dolore non esiste in realtà per lo Spirito, non esiste nell’eternità, ma che esiste per una ragione positiva, utile, di cui anzi dovrebbe essere contento.

D. – Né si prodiga per eliminare quelle sofferenze…

A. – E perché mai? Vedi, può esistere una condizione di pena per la sofferenza di qualcuno, ma non di dolore. Immagina che una persona cara stia per morire e che venga operata da un chirurgo e salvata. Ecco, io penso che tu saresti felice di questo. Non dovresti esserlo, a voler molto sottilizzare, perché quella persona è stata lacerata, ha le ferite aperte, soffre, però tu sei contento pensando che quella sofferenza è la guarigione di quell’ammalato. Ora il saggio sa, come lo sappiamo noi del resto, che quando vi capita una sventura è per il vostro bene.

Quando vedete i vostri ragazzi che studiano e si logorano voi non ne avete pena, anzi siete contenti dei risultati, essi sono costati fatica a quei ragazzi, ma tutto ciò è bene che si faccia. Ora, in realtà, quando uno Spirito conosce il passato e il futuro, quando sa che quel dolore non è dolore ma qualcosa di utile, di vantaggioso non può essere scontento. Vedi, il saggio è come colui che vede una persona che ha molta sete e che sta per avvicinarsi a un pozzo d’acqua che essa non vede ancora. Tu lo vedi da lontano, vedi le sue piaghe che sono sempre più aperte, ma si avvicina alla fontana e tu sei contento perché sai che tra poco per lei la pena sarà finita. Così è per lo Spirito e per il saggio. Quando ti vedono soffrire, te uomo, vedono anche che ti avvicini alla salvezza, alla gioia, a quella pace di cui dicevamo, che si avvicina la soluzione di certi fatti karmici; allora, ecco, quella sofferenza è bene anzi che sia più forte perché così finisce prima, oppure, ecco, è bene che muoia adesso che ha concluso questa esperienza, perché la morte e la vita per il saggio sono la medesima cosa.

Per il saggio la morte non esiste, dunque colui che sta per morire non è altro che una persona che sta per venire al di qua, perché dove siamo noi è la vita e dove siete voi è invece la morte. Voi siete morti nel momento in cui siete nati sulla Terra, lo volete capire! Siete morti allora, siete morti per noi, per noi voi siete fratelli morti, perché, venuti sulla Terra, avete abbandonato la nostra casa: qui ci sono i vostri fratelli, qui c’è nostro Padre, ma voi ci avete lasciati e siete “morti”. Noi veniamo a trovarvi ogni tanto, veniamo in mezzo a voi a portarvi qualche parola, così come voi andate nei cimiteri a portare qualche fiore. Siete voi i “morti” e siamo noi i “vivi”.

D. – Ma questa “morte” ci è necessaria, l’abbiamo voluta noi.

A. – Sì, l’avete voluta voi, siete un po’ dei “morti suicidi”. Naturalmente tutto questo sarà utile, tutto quello che volete, non dico di no, però i fatti restano. Voi siete una minoranza, noi siamo la maggioranza, qui è la “nostra terra”, da voi non è né la vostra, né la nostra terra. La nostra casa è il regno dello Spirito che avete lasciato per venire in Terra. Diciamo allora che non siete morti, ma che siete partiti dalla casa per un lungo viaggio, che siete venuti qui sulla Terra, che è un viaggio utile, ma che ritornate e tornando dunque più ricchi di prima, come volete che si piangano i vostri piedi laceri, se ritornate pieni di ricchezza? Se poi non tornate pieni di ricchezza, ricordatevelo, vuol dire che i vostri piedi non si sono lacerati e che dunque non abbiamo né da ridere, né da piangere, ma se essi si sono lacerati, allora qualcosa avete messo nel carniere, sicuramente, non fosse altro che le esperienze delle piaghe e delle lacerazioni, le quali sarebbero utili anche senza altre cose.

Ecco perché il saggio non ha cordoglio, non ha felicità. Non perché sia cinico, freddo, no, ma perché sa che è giusto, è vero, è logico, che dev’essere fatto così perché così è per tutti, perché è così che lo Spirito si arricchisce e così deve essere fatto. Poi lo Spirito non soffre, vedi, soffre il corpo, ma siccome il corpo per noi non ha proprio alcuna importanza, perché è una cosa estranea, come volete che si pianga per un corpo che soffre? È come se voi doveste piangere per un vestito che ha qualche lacerazione. Sì, può dispiacervi, perché il bel vestito si è lacerato, ma non è la fine del mondo, e il corpo non è che un vestito. Il fatto è che voi non riuscite a entrare in questo ordine d’idee: che il corpo è soltanto un vestito, che voi siete i “morti” e noi siamo i vivi, che questa è la nostra casa, la vostra e la nostra casa. Certo, questa certezza se voi l’aveste, assoluta, vi darebbe in Terra più pace di quanta ne abbiate. Però il fatto stesso che voi non l’abbiate non ci preoccupa minimamente, data la brevità della vostra vita non c’è da preoccuparsi molto neppure di questo.

Naturalmente è chiaro che non bisogna confondere la saggezza con l’autentico cinismo che poi è un altro discorso. Cioè non tutti coloro che sono cinici sono saggi. Naturalmente, in una saggezza che ha questa forma di apparente cinismo bisogna riconoscere altri segni di grandezza perché si sia certi di aver incontrato un saggio, altri segni, non solo quello dell’indifferenza. In fondo, è un’”indifferenza di amore”, se vogliamo, o un’”indifferenza amorevole”, piena anche di pietà e di comprensione, soprattutto, di dolore no, ma di comprensione sì, perché la comprensione è un’altra cosa…

Pag. 15 FASCICOLO CDX 1/1981 – ANNO 5

 

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