D. – Per quanto riguarda l’uso della droga, si è venuta a creare recentemente una situazione particolarmente pericolosa. Si è fatta una netta distinzione tra droghe leggere e pesanti, per cui in molte famiglie vengono accettate le droghe leggere. Secondo me esiste però un pericolo, perché il fumare hashish o marijuana comporta un’alterazione degli schemi del ragionamento per cui si crea a un certo punto un’alterazione stabile di esso. Vorrei sapere se sei d’accordo su questo e se puoi parlare più chiaramente di questa alterazione…
A. — Diciamo che in linea di principio qualsiasi sostanza atta a modificare il valore della sensibilità, dell’intelligenza e della razionalità (riferita a quella persona specifica), da questo punto di vista è insidiosa e può creare una soglia di pericolo. Perché?
Perché bisogna considerare la premessa del discorso, e cioè che ogni essere umano dovrebbe manifestarsi secondo le possibilità e le qualità che possiede nel momento storico della sua vita. Ogni alterazione di questo quadro crea una realtà fittizia, una realtà non più di quell’individuo, ma modificata da una certa sostanza. Entro quest’ambito sarebbero da bandire non soltanto le sostanze dette droghe, ma anche altre, quali la caffeina, la teina, l’alcool, i medicinali, che agiscono sul cervello, quindi tutte le condizioni che alterano comunque il rapporto con la realtà. Detto questo, come principio, ne discendono però ovviamente le eccezioni. Ovviamente non possiamo più applicare lo stesso ragionamento quando certe sostanze servono alla sfera medica (provvisoriamente o definitivamente), se si deve modificare un quadro morboso. Possono invece essere considerate eccezionalmente accettabili le situazioni di lavoro che possono richiedere un incentivo, quindi la caffeina, l’alcool, in momenti eccezionali e in dosi non tossiche. Questo è quanto «solitamente» fate, ma anche per queste cose voi ormai avete contratto certe abitudini; quindi bevete alcool non per necessità ma per gusto, per piacere; usate la caffeina o la teina non per tenervi su, ma per abitudine; oppure il tabacco o altre cose. Dunque siete già in qualche modo dipendenti da un’abitudine. Detto questo, bisognerebbe fare una distinzione. Indubbiamente vi sono certi tipi di droghe che non fanno male in senso fisico e in molti paesi le usano abitudinariamente da secoli, ma questo vale fino a un certo punto. Il fatto che una cosa non faccia molto male sul piano fisico non significa che non lo faccia sul piano psichico. Ed è sul piano psichico che s’incentra ovviamente il tuo discorso. Dal punto di vista psicologico il fatto che un soggetto trovi una realtà modificata in seguito all’assunzione di una droga (tossica o non tossica) lo condiziona, ed egli finirà col tendere continuamente ad una tale evasione dalla realtà, creandosi un’abitudine e un condizionamento cosi come si può avere con l’alcool o altre sostanze. Per questo motivo io sono comunque contrario (e si deve essere contrari) anche all’uso di droghe di scarsa o di nessuna tenuta tossica, perché la dipendenza di tipo psicologico non si basa sulla tossicità, ma su schemi intra psichici, quindi anche una droga leggera è pericolosa quanto una tossica. Perché il travaglio intrapsichico di dipendenza è pressoché simile, ovviamente con l’aggravante della tossicità, in certi casi. In linea di massima il danno è quindi soprattutto psicologico. Detto questo bisogna anche aggiungere (e voi lo sapete benissimo) che vi sono tanti altri possibili danni gravi dovuti a dipendenza, quale può essere quella dal tabacco, ad esempio. I fenomeni tossici del tabacco sono probabilmente molto più gravi di alcuni fenomeni tossici dovuti a qualche altra droga, proprio perché l’organismo assimila la nicotina e gli idrocarburi in maniera tale da averne dei veri e propri avvelenamenti, con stati di alterazione del sistema circolatorio. E questo non è provocato da altre droghe, per esempio, ma anche qui bisognerebbe fare un’ulteriore distinzione. È chiaro, tu dicevi, che una cosa è assumere una droga leggera di tanto in tanto, e un’altra è l’abitudine. Noi parliamo dell’abitudine, perché se, per esempio, il tabacco non fa male preso di tanto in tanto, fa male se è preso venti o trenta volte al giorno. C’è da tener conto poi della grande estensione delle varianti. Ovviamente, una qualsiasi droga può far malissimo in un soggetto estremamente labile e può non creare dipendenza in un soggetto dalla forte personalità, purché naturalmente si tratti di occasionalità e non di frequenza abitudinaria. Quindi, in questo arco bisognerebbe considerare tutto questo, ma poiché non è possibile fare questa suddivisione in campo sociale (altrimenti ogni persona dovrebbe avere uno psicologo in famiglia) considero giustissima qualsiasi attività che sia rivolta contro l’uso a qualsiasi titolo di sostanze dette droghe, proprio perché non si può fare una discriminazione all’interno della società, giacché gli individui non sono tutti analizzabili separatamente. Naturalmente è chiaro che una droga può essere usata spe-rimentalmente, può essere usata per verificare certi effetti, può essere usata in qualche circostanza eccezionale. Voglio dire che ín tutti i tempi si sono cercati dei succedanei; d’altra parte il succedaneo più elementare è il vino, per esempio, ma esso può diventare tossico e creare una dipendenza come una droga, tant’è vero che si diventa alcoolizzati proprio in questo modo, per questo rapporto di dipendenza, che è però sempre di natura psicologica. Il rapporto di dipendenza indica una tendenza al distacco dalla realtà, quindi uno stato d’impotenza interiore verso certe problematiche, verso certe affettività, verso certe relazioni che la persona avrebbe dovuto avere e non ha avuto. In ogni caso, in tutta questa congerie di disgregazioni che si creano a catena all’interno del sistema intrapsichico, è chiaro che bisogna comunque impedire l’«evasione», perché essa è il primo innesco verso la ripetizione del gesto. Talvolta può non esser vero che prendere una droga una sola volta non comporti ripetizione, può non comportarla in una personalità ben strutturata, ma chi prende per la prima volta una droga non lo sa se ha una personalità ben strutturata o no, se ha un io forte o debole, se ha una certa labilità psichica, se ha dei bisogni inconsci non soddisfatti; non lo sa. Dunque corre sempre un grande rischio, proprio perché non sa quale sarà la prossima mossa, la sua prossima richiesta. E se ci si trova a vivere in una situazione psichica (o della realtà) anomala, priva di affettività, disgregata, è chiaro che la prima evasione (specialmente se è piacevole) chiede immediatamente la sua ripetizione proprio ín base al principio ben noto alla psicologia. Ci si distacca allora dalla realtà, perché l’unica «realtà funzionale» è quella che si vive fantasmaticamente, dentro.
D. — Mi potresti specificare cosa avviene a livello del sistema di ragionamento?
Penso che ci sia proprio una diminuzione del livello dell’attenzione in questo stato di coscienza alterata, come se ci fosse proprio una totale passività; per cui la persona che si droga non pensa più in modo attivo, ma aspetta che vengano su vari pensieri, ed essi vengono su dall’interno in maniera estremamente disgregata. Vorrei un discorso un po’ più tecnico…
A. — In realtà, si, è come dici tu e come stavo dicendo: qualsiasi sostanza che alteri il rapporto con la realtà lo fa a mezzo di un’azione «soporifera», per cosi dire. E’, cioè, la creazione di uno schermo tra l’io e la realtà. Quindi, la realtà quale essa è, con i suoi principi attivi, viene vissuta in maniera indiretta, mentre assume un ruolo rilevante la personalità interiore che si muove in qualche modo per inerzia. Cioè, cessata o quasi la vigilanza che è legata alla volontà, al principio attivo dell’organismo vivente, tutte queste attività vengono rese soporifere. Come?
Ma perché c’è un’azione chimica dovuta alla sostanza che agisce a livello dello stimolo vitale, portando l’individuo a questa condizione di subnormalità che è quella della passività. Perché, indubbiamente, l’azione del tossico è depressiva a livello delle cellule nervose, e quest’azione porta come conseguenza il torpore, quindi l’inattività, il bisogno di inattività. Le conseguenze sul piano psicologico sono quindi la diminuzione dell’attenzione vigile, della memoria vigile, dell’attività cogitativa, interpretativa, per quanto riguarda l’obiettivo esterno, la realtà. Quando si crea l’innesco di una frattura con la realtà si può avere contemporaneamente l’emergenza (se non si è in uno stato stuporoso) di materiali inconsci. A questo punto cosa succede?
I materiali inconsci non sono ordinati, perché essendo tali non seguono la costruzione linguistico-sintattica del pensiero normale: sono materiali informi. Però essi non sono completamente sottratti all’azione dell’io, perché l’io è sempre presente, ma non è in grado di interpretarli, di valutarli, di risucchiarli nell’io attivo, perché ormai predomina un io passivo. Allora quei materiali vanno e vengono. Ecco un’idea dí ciò che avviene: vi sono dei segnali-stimolo che partono dall’inconscio e che quindi sono estremamente disorganizzati o, se hanno una logica (perché indubbiamente l’inconscio ha una sua logica), non sono più in grado di coordinarsi perché anche l’io passivo (avendo perso il riferimento con la realtà) è un io che non li fronteggia più, ma li riceve passivamente. Ecco il concetto di emergenza di materiali inconsci. In più c’è da dire che non emergono soltanto essi, che sarebbero ancora in qualche modo controllabili (perché tutto sommato fanno parte dell’io complessivo della persona), ma emergono anche serie di spinte che provengono dai bisogni biologici, cioè che provengono dalla parte più «istintiva» e funzionale dell’organismo; vi sono quindi reazioni anche sul piano fisiologico che possono determinare violenza, eteroaggressività o auto-aggressività, con manifestazioni maniacali verso l’esterno o l’interno: per esempio, tentativi di suicidio. Si apre quindi anche un meccanismo distruttivo. Complessivamente, il meccanismo biologico può addirittura prevalere, perché i sistemi difensivi si indeboliscono. Intanto teniamo presente che in una situazione del genere (abbastanza drammatica) l’io continua nella ripetitività dell’assunzione della droga, quindi con un aumento della tossicità, delle scariche adrenaliniche e con disordini a livello di circuito cerebrale. Quindi con inneschi ripetitivi e ossessivi, in un quadro che rischia pian piano di diventare drammatico proprio perché è subdolo; proprio perché in questo schema c’è un «principio del piacere» che viene coltivato continuamente e che è dato dalla stuporosità, dall’emergenza di un’interiorità che a volte emerge veramente. Questa interiorità, vissuta disorganicamente e in una maniera disorganizzata, diventa un punto di riferimento per cui essa viene scambiata per l’autenticità (e parzialmente lo è), ma ormai totalmente sganciata dall’io attivo, dalla realtà attiva, quindi in una situazione decisamente schizofrenica. Allora la difficoltà del soggetto stesso di auto-liberarsi è grande, e chi ci riesce lo fa soltanto perché ha una forte volontà (la volontà, abbiamo visto, a volte si disgrega quando non è forte, oppure è orientata verso la ripetitività, più che verso la liberazione) avendo ancora alternative di piaceri esteriori. A mio avviso, nella gran maggioranza dei casi il circuito si spezza con un processo di «transfert» (come dite voi) con lo spostamento dell’asse centrale del piacere verso l’esterno, quindi col parziale o progressivo annullamento del piacere interiore.
In altro modo si tratta di una reazione su base affettiva, con spostamento verso l’esterno. Molti soggetti riescono a liberarsi da soli se riescono a ristabilire un’affettività, quindi a crearsi un «transfert» che sia fuori dalla realtà interiore. Allora, catturare un lembo della realtà esteriore aiuta a disinnescare il meccanismo ripetitivo che ruota intorno al piacere soggettivo. Allora la persona, poiché è sicuramente partita da una carenza affettiva, ritrovando l’interesse o l’impegno affettivo, attiva una serie di meccanismi difensivi, che l’individuo ha non soltanto sul piano fisiologico (nel senso di anticorpi), ma anche sul piano psicologico, come risposte a quei bisogni dell’inconscio che erano stati utilizzati sul piano dell’elucubrazione interiore e che possono cominciare a spostarsi su quello della realtà esteriore. Quindi, la fondamentale cura del drogato sta in uno spostamento, in realtà. La malattia iniziale fu uno spostamento dalla realtà all’interiorità e l’operazione inversa deve essere dall’interiorità all’esteriorità, quindi è sul piano intrapsichico che deve essere fatto il lavoro più utile, in situazioni del genere.
D. – Che cosa intendi per «lembo di realtà esterna»?
A. — Può anche essere una persona, un individuo, e non importa come o quando si è inserito, purché sia sufficientemente ancorato al piano della realtà, cioè non sia un altro drogato. Questo è importante: che non sia un altro drogato. Noi stiamo parlando di tossicomani abituali, non del caso sporadico di assunzione di droga, non del caso di droga sperimentale. Stiamo parlando di un tossicomane che lo sia veramente. È chiaro che dal punto di vista sperimentale il discorso è diverso. Se una persona che non è drogata prende una droga, al massimo può star male ventiquattr’ore. Il discorso che stiamo facendo presume una necessità psicologica e affettiva di fuga dalla realtà, per trovare un altro tipo di realtà che procuri il piacere, a qualunque livello, quindi anche come auto-realizzazione, auto-gratificazione, come estraniamento dalla realtà, come senso di potenza, di slargamento dell’interiorità, di recupero di una filosofia interiore, qualunque cosa sia; ma, comunque, perché la realtà esterna non soddisfa più. C’è proprio una condizione esistenziale totalmente diversa, tale da avere già sicuramente in sé, potenzialmente, lo schema della ripetitività. Voglio dire che, date certe premesse, la conseguenza della ripetitività è quasi certa; invece se la premessa è puramente goditiva per ventiquattr’ore (o sperimentale) è completamente diversa e lo schema che si profilerà sarà necessariamente diverso. Si tratta comunque di esperimenti pericolosi. Specialmente nel caso dell’LSD. Perché possono mettersi in moto dei meccanismi dissociativi, dei meccanismi di panico, di terrore, di aggressività; proprio perché viene a cadere il rapporto di controllo fra schemi interiori e schemi della realtà, fra io e inconscio. Voi sapete benissimo che avete un inconscio perché c’è un «io» che lo rende tale; se questo «io» viene destrutturato, alterato, l’inconscio non ha più il «tappo» di sicurezza. È come una bottiglia che ha del gas, se togliete il tappo il gas se ne va violentemente.
D. — Saltano le censure…
A. — Certo. Quindi l’inconscio «salta» nella realtà e non si sa quali reazioni può dare quando è improvvisamente liberato.
D. — Dalle comunicazioni che in genere ho raccolto da persone che assumono sostanze stupefacenti, la descrizione che danno dell’alterazione della realtà /a in genere pensare a un’assunzione significante e pregnante di questa realtà, che essi normalmente non riescono ad avere. Cioè sembrerebbe che si accenda un diverso rapporto con la realtà. Mentre precedentemente sembrano addirittura alienate, cioè con una realtà fuori di sé che non significa assolutamente niente, invece, tramite la droga avviene quasi un recupero. Quindi, mi chiedo: l’alterazione della realtà tramite la droga è una vera e propria alterazione, oppure può creare addirittura un rapporto più vero?
Forse perché magari valuta come magnifici, altisonanti determinati pensieri che invece sono semplicemente disgregati…
A. — A questo punto bisognerebbe ridefinire la realtà. Qual è la realtà?
Essa non è data dalle strade, dalle case, dalle persone che camminano. La realtà è la consistenza di un ambiente visto nella sua storicizzazione, nella sua attualizzazione e nella condivisione che di questa storicizzazione ha l’intera umanità: questa è la realtà. Il fatto che si dica che la realtà possa essere vissuta, vista male, ha un valore relativo. Ognuno di voi vede la realtà sicuramente in modo diverso dagli altri, anche senza droga, questo è chiaro. Ma la diversità è controllabile ed è minima, è quella che è. Un’analisi precisa, storica, economica, finisce col definire la realtà nello stesso modo, da qualunque parte venga la definizione (se la definizione e l’analisi sono reali e non ideologiche, ovviamente). Quindi la realtà ha delle sue regole, cioè esiste veramente e può essere riferita e ancorata a parametri sui quali gli esseri umani sono più o meno d’accordo. È inutile venire a dire che la definizione è fasulla. No, esiste la possibilità di fare un’analisi abbastanza precisa di una realtà.
È quando l’interpretazione diventa ideologica che la realtà assume varie colorazioni; ma l’interpretazione ideologica ha però lo stesso meccanismo di quello della droga, per cui per esempio si vuole vedere negativo per forza anche ciò che è positivo, o viceversa; quindi si vuole alterare la realtà. Un’analisi storica, economica fondata con parametri condivisibili da uomini diversi, dà dei risultati sufficientemente probanti, con le oscillazioni ovviamente dovute a un’analisi che non ha mai i caratteri della matematica, ma che può essere sufficientemente bene accetta da parte di tutti. Questa è la realtà che voi avete, storicizzata, che può essere fermata in un certo momento di una certa epoca, quindi riferita agli uomini che vivono in quell’epoca. Quindi non si venga sempre a dire che la realtà è sbagliata e che si vuole cercarne un’altra! La realtà è quella che è, e sarà sempre quella che è! Che poi gli uomini possano rifiutarla è un altro discorso; che possano volerla modificare è un altro discorso, ma quella è la realtà! E se una persona la vede in maniera distorta, non è la realtà che è distorta ma quella persona. Allora se cerca di raddrizzarla mediante una droga, non è che veda la realtà più bella, vede un’altra cosa completamente diversa, che non ha nulla a che vedere con la realtà! Quindi sta fuggendo dalla realtà che in quel momento sta vivendo, come spirito e come uomo. Questa è la situazione. Il resto diventa filosofia e ideologia spicciola, che non servono a niente e che camuffano. Il vero principio è che la persona è disadattata perché, magari, non le è stato insegnato a vivere bene nella realtà, allora deve cercare di capirla adattandosi, per poi cercare anche di modificarla, se è il caso: e questo è il discorso che abbiamo sempre fatto. Il rifiuto della realtà può essere ideologico, ma non è fondato. La realtà è li; si può anche rifiutarla, ma la realtà non cambia: è quella. È la realtà della vostra vita, in questo momento!
D. — C’è un esempio tipico che si fa sempre da drogati: quello del fiore. Vedono questo «fiore» e dicono che non l’avevano mai visto cosi bene. Improvvisamente ne scoprono tutta la bellezza. Anche se un po’ poetica, enfatica, nella mia esposizione volevo dire che questo può far pensare che sia quello il modo giusto di rapportarsi alla realtà. Se cosi non è, vuol dire che l’individuo drogato sostanzialmente vive male. Ma quale sarebbe il vero rapporto con un fiore, se non quello di commozione, che essi percepiscono solamente tramite il veicolo dell’alterazione?
A. — Diciamo che questa tua descrizione poetica mi colpisce un po’ negativamente, se vogliamo. D’altra parte io, come spirito, devo esserne colpito negativamente. Però devo anche dire che io ho un rapporto alterato con la vostra realtà, intendiamoci; proprio perché non ho un corpo. Diciamo che io, metaforicamente, «sorrido» all’idea che si possa piangere davanti a un fiore, perché io non piangerei davanti a un fiore o a un albero, o davanti, che so, ad un’«acqua che scorre», perché non c’è proprio niente da piangere. Ma perché?
Perché io come spirito vedo la realtà nella sua struttura «energetica» e non mi viene da piangere davanti all’energia. Quindi c’è anche questa alterazione, dico subito. Cioè questa realtà io non la vivo emotivamente, perché non è la mia realtà. Non ho una struttura psichica, quindi non ho lacrime ed emozioni, e non mi commuovo per niente. Diciamo dunque che la commozione è un fatto irrazionale, da questo punto di vista; puramente emotivo. Quindi, se la tua domanda mirava a chiedere se l’uomo deve commuoversi davanti alla natura, io non saprei congruamente rispondere se sia giusto, logico o non logico; cioè francamente non saprei dirtelo. Amo pensare che gli uomini dovrebbero invece commuoversi di fronte a tante altre cose più importanti, e non lo fanno. Spesso gli uomini che si commuovono davanti ai fiori, non si commuovono davanti a un bambino che soffre, piange o che ha bisogno di mangiare o di un balocco per giocare. O davanti a una madre che si dispera perché non può dare al figlio ciò che le altre madri danno. O non si commuove di fronte alla tragedia di milioni di bambini che muoiono di fame in tutto il mondo, o di famiglie distrutte da malattie, dalla povertà, dalle miserie. Allora io resto un po’ sorpreso.
D. — È logico, sono emozioni di tipo diverso…
A. — Ne resto un po’ sorpreso. Sono di tipo diverso, si…
D. — Una è estetica, l’altra è morale.
A. — Ecco, commozione estetica e commozione morale, anche qui c’è un problema di unità e di congruenza. Voglio dire che la sensibilità (se una persona la raggiunge) la deve raggiungere anche e soprattutto nei confronti degli esseri umani.
D. — Non è anche una questione di livello di partecipazione?
A. — Sí, però che comporta anche fatalmente una distinzione fra livelli irrazionali e livelli razionali. Io non nego il diritto di commuoversi davanti ai fiori o davanti alla natura, naturalmente. Voglio però dire che se si vuole solo vedere la deformazione di un fiore attraverso una droga (perché di droga stavamo parlando) allora dico che si tratta di un rapporto patologico, perché non è piú la realtà cosciente dell’individuo che si sta emotivizzando, altrimenti non vedo perché quella stessa persona non dovrebbe emotivizzarsi davanti, che so, alla propria madre che soffre perché è drogata, tentando quindi di uscire da una situazione di irrealtà. Invece sembra che le persone non sfuggano a questo diverso principio del piacere, che è dimensionato su strutture soprattutto non viventi, cioè su idee pseudo metafisiche o situazioni pseudo esistenziali che sono costruite a bella posta per gli schemi della ripetitività e della sofferenza masochistica. Voglio dire che ci andrei piano sulle alterazioni delle sensazioni e sulla loro veridicità. È un’invenzione «fantasmatica», o quel fiore è veramente diverso? Riflettete bene, perché è molto facile confondere la realtà con la poesia; la realtà psicologica con la poesia e, soprattutto, con la fantasia non fondata; cioè con l’invenzione. Cosi si possono legittimare deformazioni di cose inesistenti.
D. – Comunque la percezione è velata. C’è un’alterazione della norma percettiva che al limite diventa allucinazione.
A. — Certo, allucinazione. Ormai siamo su schemi schizofrenici o paranoici, a seconda dei casi; comunque quasi psicotici. Che possono essere provvisori, e in questo caso non psicotici. Ecco perché io dicevo una volta (parlando di esercizi e di meditazione): attenzione, non mi va mai bene che una persona si allontani dalla realtà al punto tale da vivere poi in un mondo creato esclusivamente per essa, perché a quella stessa situazione si può arrivare anche con la meditazione, arrivando a certi stati psicotici allucinatori per cui si scambia l’allucinazione con la spiritualità. Per cui non si sa piú se un fatto è reale, oppure se è semplicemente un fantasma allucinatorio. La funzione della vita è un’altra! Non è fare queste cose. La funzione della vita è fare certe esperienze sulla Terra, e voi mi state portando una serie di argomentazioni e di possibilità di vita che sono completamente lontane dai fini e dai programmi dello spirito; questo è poi il discorso! Allo spirito non interessa proprio niente di tutto questo. Le sue forme fantasmatiche, le sue forme di interiorizzazione al massimo le avrà da spirito; anzi, è proprio quella la sua natura, di essere tutto interiorità. Perché mai dovreste andarle a trovare sulla Terra, perdendo tempo?
Perché si tratta di perdere tempo, naturalmente… Io non nego affatto (figuriamoci) l’importanza di sviluppare l’interiorità, ma una sana interiorità che sia anche un vissuto della realtà in cui voi vivete come esseri umani; e in cui come esseri umani dovete fare certe esperienze: della materialità, della materia. Dunque, il tutto va fatto con criteri di ragione. Si, spostatevi dalla realtà, indagate in voi stessi quando è il caso, ma ritornate sempre alla realtà, e sappiate fare distinzione in ciò che è il piano della realtà, anche come realtà interiore; perché anche l’interiorità ha la sua realtà, cioè è vera, è una cosa esistente; ma un’altra cosa è ciò che invece è semplicemente inventata come deformazione dell’esistente. Insomma, il fiore che si deforma è dato semplicemente dall’ideazione di chi pensa al fiore che si deforma; ma esso è li, ben preciso. È sempre il soggetto, la persona, che lo vuole vedere cosi, ma il fiore è li: una costituzione biologica-molecolare; è sempre questo il discorso, ed è inutile andare a cercare ciò che il fiore non è, non «pensa» di essere, non è mai stato. Il discorso è tutto interno alla persona che proietta e interiorizza di ritorno la sua immagine, il suo desiderio, il suo bisogno. Ma la realtà fisica è quella che è, intorno a voi. Voi potete vedere (mi sembrano le frasi dei vostri vecchi libri) una persona dalle «forme angeliche », ma una persona non è mai un angelo; la persona è quella che è, col suo contorno, il suo peso biologico. È tutto ciò che è dentro che differenzia una persona dall’altra. Diciamo che, in un certo qual senso, il mondo del drogato ha un suo stile di romanticismo, di idealizzazione e di mitizzazione; questa è poi la trappola!