IL MALE E IL PECCATO

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    Giunti a questo punto, è necessario affrontare il tanto dibattuto problema del Male come principio contrapposto a quello del bene, rappresentato da Dio. Anche su questo argomento il Maestro è totalmente rivoluzionario.

    «Sulla strada della conoscenza — dice Andrea — non vi sono il bene ed il male come elementi in lotta, c’è soltanto una ricerca che diventa buona, cioè precisa e perfetta, quando la scelta va naturalmente a comporre un giusto mosaico; e diventa una scelta non buona, non valida, quando il mosaico è incompleto: ma ogni mosaico si ricompone… Poiché noi siamo esseri veramente fatti da Dio e riconosciamo un solo Dio: l’esistenza del male, come l’esistenza di Satana, appartengono ad un tipo di favolistica che non ha alcun riscontro, né nella logica, né nella obiettiva esperienza che ciascuno di noi è andato a fare» (RDX pag. 420) dopo la morte. Quando con grave leggerezza «si parla di Inferno eterno, bisognerebbe tener presente che un’Anima vissuta in un corpo, per poter essere giudicata ed inviata in un Inferno eterno, per una questione di logica e di giustizia dovrebbe aver commesso una colpa di valore eterno. (RDX pag. 421).

    «Non esiste l’eternità del male» (CDX 1/1988 pag. 35), ribadisce Andrea che su questo tema è lapidario. E non solo non esiste il cosiddetto male (che il Maestro considera solo come un aspetto del Bene stesso), ma non esiste neppure il diavolo col suo Inferno.

    È evidente che una volta poste queste premesse, il cosiddetto peccato assume tutto un altro significato, in quanto se viene correttamente inquadrato nell’alveo di una teoria della conoscenza, esso rappresenta il momento dell’erronea valutazione delle Leggi; è cioè l’errore inteso come inesatta o incompleta conoscenza delle Leggi o dei Principi della Realtà Universale.

    Inoltre il Maestro prospetta anche una interpretazione profondamente psicologica del peccato e dice: «Si è sempre cercato di parlare — da parte religiosa — di sublimazione della materia, quindi di virtù come opposizione ai cosiddetti vizi e peccati e, tra i peccati e le virtù, si sono frapposti i tabù. A voler operare una interpretazione veramente sottile, si può dire che, indubbiamente, l’uomo ha intuito (quindi senza razionalizzare) la necessità di trasformare l’esperienza della materia in una conoscenza di tipo spirituale”.

    In questa chiave di lettura l’uomo avrebbe provato, la propria intrinseca spiritualità creandosi un principio culturale etico, sia pure sbagliando interpretazione, cioè non riuscendo a capire che l’uso della materia deve essere finalizzato alla conoscenza spirituale ma senza sacrificare la materia stessa, come invece si è fatto.

    «A livello intuitivo comunque l’uomo ha capito di non poter vivere soltanto come una bestia, ma ha anche capito che la vita della materia è legata alla specie, e che dunque egli non può completamente farne a meno. Allora, come può egli operare questa trasformazione?

    Attraverso una limitazione coatta, considerato che l’uomo comunque cade nel peccato, perché esso è legato alla specie come bisogno naturale. L’uomo, però, trasforma ed assolve questo peccato rendendoselo conscio, attuando attraverso il filtro del tabù la conoscenza di ciò che accade» (CDX 1/1983 pag. 18).

    Questa procedura non rappresenterebbe altro che il passaggio tra la progettazione e la conoscenza, cioè l’evoluzione.

    Ciò che dice Andrea è immediatamente di difficile comprensione. Ma dopo un’attenta riflessione ci si accorge che ha magistralmente colto nel segno. Detto in poche parole Andrea vuole dirci che di ciò che si nega moralmente, automaticamente se ne conferma l’esistenza e la forza.

    E continua: «L’uomo non ha fatto altro che sfruttare questa naturale disposizione della natura a produrre materialità in senso mentale e, opponendosi ad essa, intuitivamente ha determinato una limitazione dell’esperienza» (CDX 1/1983 pag. 19).

    In tal modo l’uomo ottiene il risultato di mettere in risalto quegli ambiti di realtà che senza un mezzo di contrasto difficilmente coglierebbe consapevolmente.

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