Il pensiero dell’Entità Andrea si situa in qualche modo a metà strada tra la filosofia del mondo Orientale e quella dell’Occidente. Anche se, in buona sostanza, sembra strettamente connesso al pensiero e alla tradizione Occidentale tuttavia per alcuni aspetti si avvicina a quello indiano, anche se non mancano notevoli differenze per il suo privilegiare il vissuto, interiore od esteriore che sia (comunque, in qualche modo, sempre interiore), rispetto alla pura riflessione ed al puro lavoro intellettuale, nonché per la propensione alla realizzazione evolutiva dell’uomo; realizzazione che l’Entità Andrea intende principalmente in senso di esperienza concreta piuttosto che razionale e intellettuale. Beninteso, ragione e intelletto vengono considerati molto importanti, anche fondamentali se si vuole per scandagliare fino ad un certo punto le varie forme di realtà; ma per così dire non sono, come per il pensiero Occidentale, quasi l’Alfa e l’Omega o addirittura il fine supremo. Per l’occidentale è con la riflessione e la speculazione intellettuale che va scoperta la verità; perfino l’esperienza spirituale, se vuole essere considerata valida, è chiamata a superare le prove dell’intelletto: proprio l’opposto della tradizione indiana e della stessa Entità Andrea che suggerisce — pur nella utilizzazione della ragione e dell’intelletto — di sviluppare le doti intuitive al fine di risvegliare o di far risonare il profondo che è in ciascun essere umano. Il pensiero occidentale ha inoltre cessato di essere dinamico: ha cercato una teoria delle cose, non una realizzazione. Il cammino spirituale, la strada che porta oltre i livelli intellettuali (che i grandi mistici, santi e iniziati orientali e occidentali hanno sempre indicato), il passaggio dall’essere esteriore al Sé più profondo è stato, a quanto pare, smarrito a causa dell’eccesso di intellettualità della mente europea.
In Oriente, specialmente in India, anche i pensatori metafisici hanno cercato, come in Occidente, di determinare la natura della Verità Suprema per mezzo dell’intelletto. Non hanno però dato al pensiero mentale, quale strumento della scoperta della verità, il posto preminente ma solo uno secondario. Il primo posto è stato sempre attribuito all’intuizione, all’illuminazione e all’esperienza spirituale. Quando l’Entità Andrea dice di far risonare interiormente l’essenza del suo messaggio, quando fa appello alle qualità intuitive di ciascuno ed invita a superare il letto di Procuste delle tradizionali categorie e sovrastrutture umane, è evidentemente sulla stessa linea dei metafisici della tradizione filosofica orientale. D’altro canto sembra plausibile, come per esempio sostiene Aurobindo (Lettere sullo Yoga, pag. 18, Vol. Ediz. ARKA) che la condizione della civiltà Occidentale attuale, materialistica e con un intelletto ed uno sforzo vitale rivolti all’esterno, sia una tappa, una tappa forse inevitabile nel cammino dell’umanità. Da un lato rendendo tutto materialistico, fino all’intelletto stesso essa ha creato, per il ricercatore spirituale, ardue e quasi insormontabili difficoltà; ma dall’altro ha dato alla vita nella materia un’importanza che la spiritualità del passato tendeva a negare. Sotto un certo aspetto ha reso la spiritualizzazione una necessità per il ricercatore spirituale ed ha cosi aiutato il movimento discendente della conoscenza spirituale-evolutiva nella natura terrestre. «Più di questo — sono parole di un altro maestro qual è Aurobindo — non possiamo dire in suo favore»; il suo effetto cosciente è stato piuttosto di soffocare e quindi di estinguere l’elemento spirituale nell’umanità. •Tutte le fasi della storia umana possono essere considerate un evolversi della coscienza terrestre in cui ciascuna fase ha il proprio posto ed il proprio significato; questa fase intellettuale e materialistica aggiunge Aurobindo — doveva quindi venire e si può’ ritenere che uno dei suoi scopi sia di essere un esperimento per vedere quanto lontano e fin dove andrà la coscienza umana con il solo controllo intellettuale ed esterno della Natura e con i soli mezzi fisici ed intellettuali, ossia senza l’intervento di alcuna coscienza e conoscenza superiori. Sembra, tuttavia, che questo tentativo stia finendo nel caos e nella disintegrazione. La civiltà, infatti, ha creato molto più problemi di quanti ne possa risolvere; ha quasi distrutto la natura con l’inquinamento, ha moltiplicato eccessivamente bisogni e desideri ed ha prodotto una giungla di rivendicazioni e di istinti artificiali in mezzo ai quali la vita non trova più la sua strada e perde completamente di vista il suo scopo». Le menti più avanzate cominciano a dichiarare la civiltà in fallimento e la società comincia a rendersi conto che hanno ragione. È degno di nota, a questo punto, considerare i numerosi punti in comune tra la impostazione dell’Entità Andrea e quella, per esempio, del citato Aurobindo. L’uno e l’altro attribuiscono enorme importanza all’esperienza della materialità e questo dato concettuale avvicina enormemente questi due grandi maestri e, anche se con angolazioni e con impostazioni diverse, entrambi propugnano una finalizzazione nettamente spirituale delle esperienze materiali. Entrambi sono molto lontani dalle impostazioni spiritualistiche, mistiche e religiose tradizionali che hanno sempre considerato la materia sinonimo di male, di negatività; entrambi tendono anzi a rivalutarla e ad attribuire alla vita nella materia un’importanza che i mistici e gli spiritualisti del passato non avrebbero mai concepito. In entrambi questi maestri c’è, inoltre, una sottile critica nei confronti di un certo tipo di misticismo, occidentale e indiano, che in nome di una spiritualità di tipo tradizionale e convenzionale, obbliga i vari asceti sadhu e ndrea che siano, ad una rinuncia completa o quasi alle esperienze terrene di materialità ed in molti casi anche alle esperienze di tipo sociale. Ironicamente e anche icasticamente l’Entità A ha affermato: «Se dovessimo vivere da Spirito sulla Terra, tanto varrebbe non incarnarsi e rimanere di là…
GIANFRANCO COCOZZA