Tra dicembre ’88 e gennaio dell”89 Elena Bianco ha tenuto tre lezioni sull’Entità Andrea presso la facoltà di Magistero dell’Università di Firenze e presso la Cattedra di Pedagogia dello stesso ateneo ha presentato una tesi di laurea in parapsicologia dal titolo “Medianità e formazione”.
Nella concezione dell’Entità “Andrea”, che trova peraltro ampio riscontro nell’intuizione filosofico-religiosa d’ogni tempo e d’ogni paese, il libero arbitrio, quale potestà di autogestione cosciente e responsabile delle proprie azioni, attraverso l’esercizio di una volontà scevra da condizionamenti, solo in Dio acquista il suo significato più vero di libertà assoluta, in quanto unico depositarlo di ogni capacità creativa. Posto quindi sotto il profilo del rapporto con Dio, il libero arbitrio dello spirito è praticamente nullo, dal momento che, essendo egli stesso un’espressione del Volere Supremo, gli è irrimediabilmente negata ogni possibilità di aggiungere, togliere o modificare quanto è già stato fatto per cui lo spirito è funzionalmente legato alla propria natura e ad un ambiente (l’universo) a lui preesistente e dal quale non può in alcun modo uscire. L’impossibilità sostanziale di contrapporsi all’immensità di Dio, non vuol però dire che lo spirito sia totalmente privo di autonomia, ma soltanto che questa, non potendo oltrepassare le estreme propaggini del creato, in seno ad esso deve trovare ogni sua ragion d’essere e ogni sua eventuale prospettiva di sviluppo. L’esistenza e la motivazione della suddetta autonomia derivano dalle condizioni strutturali dello spirito. Essa, infatti, si propone come logica conseguenza delle sue particolari caratteristiche e si giustifica nella necessità di trovare in se medesimo quella spinta motoria senza la quale resterebbe immobile, non essendo soggetto, per sua intima costituzione, a soggiacere ad altre direttive che non siano quelle che egli stesso s’impone. Ricordiamo che lo spirito, poiché fatto della stessa sostanza e perciò della stessa qualità divina, ne conserva tutti gli attributi e tutte le prerogative ed è, per questo, sottratto al vincolo di qualunque legge che non sia quella (Dio) che intese imprimere in lui la propria individualità. Gli orizzonti espansionistici di siffatta autonomia, invece, coincidono con quelli dell’universo, che è poi il campo operativo nel quale lo spirito viene immesso e dove può svolgere, se vuole, la sua attività. L’universo, che nell’ambito del creato rappresenta il principio dell’obbligo e quindi scorre sui rigidi binari della conseguenzialità, al contrario dello spirito, che simbolizza quello della libertà e perciò procede al di fuori di schemi precostituiti, è infatti un tessuto organico, scaturito da una serie di leggi astratte, le quali, essendo suscettibili di trasformazione pratica, si rifrangono in altrettante realtà concrete che, prese nel loro insieme, costituiscono la totalità delle esperienze possibili. L’evidente restrizione insita in questi termini (lo spirito appare chiaramente condizionato da se stesso e da quanto lo circonda) trova più che adeguata risoluzione nelle seguenti considerazioni: se è pur vero che l’universo è circoscritto in quanto tale, è altrettanto vero che esso è infinito e non solo nel senso di illimitato, ma anche come molteplicità incommensurabile di contenuti, così com’è infinita la capacità dello spirito di percorrerlo in tutta la sua estensione e di assorbirne tutti gli aspetti, giacché l’indistruttibile sostanza di cui è composto, non consentendo al suo iter di subire arresti definitivi, lo rende praticamente idoneo ad accogliere e contenere in sé l’infinito stesso.
Se nel rapporto intercorrente tra i poli opposti eppur complementari della creazione, va cercata l’effettiva portata dell’autonomia spirituale, e con essa il reale significato che l’espressione “libero arbitrio” assume quando allo spirito viene attribuito, la sua dinamica realizzativa ci rimanda all’attimo supremo del distacco di quella particella di intelligenza divina dalla matrice originaria e mette in risalto, con la necessità di nascere privo di ogni cognizione, l’importanza fondamentale dell’esperienza, non solo come mezzo evolutivo, ma anche come mezzo indispensabile all’attuazione del libero arbitrio stesso. All’atto della nascita, intesa come passaggio di stato da unità indifferenziata della mente di Dio a individualità vera e propria, lo spirito è sostanza grezza. Né diversamente potrebbe essere, poiché la benché minima caratterizzazione influenzerebbe le sue decisioni, producendo intollerabili limitazioni al principio di libertà che implicitamente rappresenta. Questa sostanza grezza è passibile di raffinamento attraverso l’azione modellatrice dell’esperienza che acquista, pertanto, un ruolo di primissimo piano. Ossia quelle qualità peculiari che sviluppandosi daranno luogo alla sua futura personalità, sono allo stato embrionale e andranno gradualmente esteriorizzandosi, man mano che lo spirito procede attraverso un’infinita serie di cimenti, sulla strada della conoscenza. Le eventuali differenze che in seguito vengono a determinarsi tra spirito e spirito, sono dovute alla diversa impostazione che essi hanno dato alla loro esistenza e che fa emergere in maniera difforme le qualità che ciascuno possiede in egual misura, dando così origine a un’infinita gamma di personalità dissimili. Il concetto di eguaglianza, che qui chiaramente si intravede e che vuole queste creature senza tempo nelle stesse condizioni alla base di partenza, ed ancora si conserva intatto nel loro protendersi verso ignoti traguardi, perché tutti, nessuno escluso, posseggono le stesse chances e quindi possono accedere agli stessi risultati, è innegabilmente al di fuori delle possibilità umane, se si prescinde dall’ipotesi che nell’uomo alberghi la presenza qualificante di un lembo di vita eterna. Ogni uomo, infatti, come noi possiamo vederlo e la scienza analizzarlo, non è che un nodo di quella intricata rete genetica, che taluni hanno fatto risalire ad Adamo ed Eva ed altri alla scimmia, in ossequio alla teoria darwiniana, e che stigmatizza in lui, secondo il combinarsi tutt’altro che causale degli elementi costitutivi — come ci informano le tre leggi di Mendel sull’ereditarietà — precise caratteristiche psico-fisiche (corredo genetico), destinate a compromettere anticipatamente qualunque possibile aspirazione egualitaria e irrimediabilmente ogni futura pretesa di autentica libertà. Il fatto che lo spirito debba partire da zero, da una condizione, cioè, di assoluta ignoranza e quindi con facoltà di discernimento presenti solo allo stato potenziale, implica la necessità iniziale di rivolgere la propria attenzione ad approcci di tipo elementare. La versatilità delle forme che compongono l’universo rende difforme anche l’entità delle esperienze che a esse si ricollegano. É indubbio, quindi, che, almeno da principio, solo pochissimi di esse saranno accessibili. Si può dire, anzi, che la prima scelta sarà quasi obbligata. Quasi, perché c’è modo e modo di affrontare la medesima cosa ed anche questa è una maniera di scegliere che renderà l’esperienza del tutto personale, diversificandola completamente dalle altre consimili. La prima esperienza dello spirito sarà, infatti, rivolta a se stesso. Una presa di coscienza di sé come essere pensante, come individuo. La seconda, invece, interesserà il luogo che lo ospita. Uno sguardo stupito e attento a quanto Io circonda, con conseguente registrazione di dati di fatto obbiettivi, come la presenza di altre unità vitali ed intelligenti, la percezione del ritmo sincronico con cui tutto si muove intorno a lui e che è, al tempo stesso, il battito cardiaco e la voce suadente di quello stupendo ingranaggio che è l’universo, che, dalla notte dei tempi, senza posa, racconta le meraviglie del creato, glorificando il nome di Dio, ed ancora i misteri pregni di affascinanti promesse che, invitati e presaghi di chi sa quali esaltanti avventure, occhieggiano appena un po’ più in là, giocando a nascondino tra le ombre palpitanti dell’orizzonte… Nel desiderio di conoscersi e nell’ansia di conoscere, intanto, c’è di già un guizzo di quella volontà che metterà in moto il complesso meccanismo del libero arbitrio. E questa volontà, temprandosi pian piano nel confronto con le difficoltà incontrate, lo porterà sempre più lontano per le strade del sapere, con una visuale sempre più ampia. Infatti, ogni volta che avrà preso una decisione, lo spirito avrà affermato il suo diritto di libertà; ed ogni volta che a seguito di ciò avrà effettuato una scelta e l’avrà portata a compimento, avrà fattivamente esercitato questo suo diritto e provocato parimenti un accrescimento del suo sé acquistando, col privilegio di scegliere ancora, un più vasto indice di possibilità. Si potrebbe altrimenti dire che si stabilisce come una sorta di equilibrio. Via via che il livello di ignoranza si abbassa e quello di conoscenza cresce, la struttura dello spirito si modifica qualitativamente e, proporzionalmente a ciò, aumentano le sue facoltà di discernimento e si allarga il raggio delle sue possibilità di scelta e quindi della sua autonomia. Questo processo non conosce battute d’arresto, ma si svolge con una soluzione di continuità praticamente inesauribile, come inesauribili sono la vita e le risorse dello spirito di fronte alle abissali profondità dell’universo. A prima vista quanto fin qui detto potrebbe prestare il fianco a due obiezioni. La prima è che il graduale ampliarsi delle cognizioni, elevando la capacità di comprensione, acuisce il senso di responsabilità del soggetto interessato e che questo si trasformi per lui in un concreto ostacolo che lo distolga da un certo ordine di iniziative perché riconosciute nocive per sé o per gli altri. Diciamo che questo effettivamente avviene. Ossia che realmente la coscienza delle conseguenze negative delle proprie azioni agisce opportunamente da freno sulle decisioni da prendere, ridimensionandole notevolmente, per cui, se per un verso le prospettive si allargano, per un altro si restringono. A nostro avviso questo naturale equilibrio non coinvolge minimamente il libero arbitrio. Perché in definitiva, non la possibilità concreta di indirizzarsi per una determinata direzione viene meno, ma il desiderio di seguirla, quando, per suggerimento della propria interiorità, accettata e riconosciuta valida dalla propria ragione, la stessa viene giudicata dannosa. È quanto, di fatto, accade anche nell’uomo, per cui l’osmosi spirituale rientra nel principio più generale dell’equilibrio universale. La seconda è che spirito e universo, procedendo parallelamente, l’uno con una predisposizione, sia pure solo potenziale a compiere un certo tipo di scelte e l’altro con la capacità tangibile di soddisfarle, in fin dei conti, sebbene in modo diverso, sono entrambi preordinati. La libertà di cui il primo sembra godere infatti non sarebbe che una illusione derivata dal fatto che, mentre l’universo si muove lungo le linee di un disegno geometrico, lo spirito segue un itinerario fantastico. Naturalmente anche questo rilievo sarebbe più che giustificato. Tuttavia non è irrisolvibile. Bisogna considerare un elemento importantissimo. La libertà dello spirito non è solo comprensiva di un certo ordine di scelte, ma anche della facoltà di rifiutarle in toto. Ossia, volendo, potrebbe non scegliere affatto, rimanere completamente inattivo e nulla e nessuno potrebbe interferire su questa sua decisione. E rimanendo immobile, fermerebbe anche quell’intimo processo evolutivo, che si è detto accrescerlo qualitativamente. Ed è proprio in questa maturazione — dipendente esclusivamente dal suo volere — che procede e si arresta, si struttura e si tinge dei colori della sua fantasia, rendendolo assolutamente unico, irripetibile, che lo spirito sfiora la libertà pura e diviene veramente, compiutamente indipendente da tutto e da tutti, finanche da Dio stesso.
Adesso guardiamo la cosa anche da un’altra angolazione. L’esperienza terrena, per quanto semplice possa essere rispetto a quelle che verranno, rimane pur sempre troppo complessa e impegnativa per essere esaurita in breve tempo. La struttura corporea ha un ciclo vitale di poche decine di anni soltanto e lo spirito, dal canto suo, non essendo ancora sufficientemente calibrato per sopportare fatiche di maggior durata, abbisogna di frequenti pause. S’impone perciò la duplice necessità di frazionarla in una cospicua serie di approcci che la rendano meno gravosa e di articolarla organicamente affinché sia massimamente proficua. Si profila l’idea di «programma». Un «programma» che si sviluppa in due modelli operativi: il primo è costituito da una parte generale, che tiene conto della somma di informazioni da assumere e quindi prevede, grosso modo, il numero di contatti necessari. All’interno di questo programma si struttura poi il modello relativo a ciascuna incarnazione con le finalità che per suo tramite devono essere perseguite. Queste finalità andranno a costituire l’intima istanza di ciascun essere umano, riuscendo a dare un’impronta di libertà finanche all’ineluttabile irreversibilità di certi destini. Ma perché istanza e non comando?
Istanza e non ordine?
Perché lo spirito, non potendo alterare nulla di quanto Dio ha fatto, deve rispettare le leggi che qui lo rappresentano. E queste leggi gli consentono di prendere dimora in un corpo che, se per un verso risente della presenza qualificante di quest’ospite di eccezione, dall’altro avverte il potente richiamo della natura che è la sua vera radice e gli risponde con tutto se stesso.
Ma lo spirito queste cose le sa bene per averle lungamente vagliate, perciò non impone rigidamente il suo volere, anzi sceglie anteriormente l’habitat che più gli si attaglia, nel più rigoroso rispetto dei canoni genetici, dopo aver tenuto conto delle caratteristiche della famiglia, del paese che per qualche tempo sarà la sua sola patria e di una infinità di altre cose ancora. Così come noi facciamo cadere la nostra scelta su un determinato tipo di autovettura anziché su un altro, in ragione dell’uso che dobbiamo farne e delle prestazioni che essa è in grado di offrire. Poi, quando scatta l’attimo fatale del concepimento, egli è pronto ad accoglierlo, a lasciarsi andare, prigioniero volontario nei meandri di un corpo per lo spazio di una vita. Ma l’impatto con la materia, il fitto schermo di carne che lo ricopre, offuscano il suo splendore. Guarda il creato attraverso occhi che non sono i suoi e non rammenta più la sua origine celeste, le plaghe sconfinate dell’universo che sono il suo vero regno. La verità che ci espone l’Entità Andrea è totalmente disarmante: se la nostra vita oggi appare completamente condizionata, salvo pochi e spesso anche discutibili aspetti, al corpo, alla legge genetica, all’educazione ricevuta, ai complessi psichici, alle condizioni fisio-chimiche del corpo, alle regole pubbliche e private, alle leggi sociali e dell’economia, della razza e addirittura della regione di appartenenza, dov’è allora questo nostro tanto osannato libero arbitrio?
E allora, dice «Andrea», i casi sono due: o rifiutiamo il fatto che in un corpo ci sia uno spirito, per cui cade l’ipotesi di programma, oppure l’accettiamo con una piccola ma straordinaria ed eccezionale variante: e cioè che il programma invisibile che grava sull’uomo oggi, lo spirito se lo è preparato ieri, cioè prima di nascere e con totale libertà personale. Infatti basterebbe anteporre alla frase «siamo tutti programmati» un piccolissimo “ci” — cioè ci siamo tutti programmati liberamente ieri per rimettere in gioco il principio del libero arbitrio il quale rientra — com’è facile intuire — in quella classe degli attributi fondamentali per distinguere — secondo la lezione di Andrea — la struttura dello spirito da quella dell’universo meccanico.
ELENA BIANCO
Salve .Sono un vecchio abbonato alle comunicazioni di Andrea. Desidero iscrivermi .
Grazie.
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