seduta del 10/9/69 parte 2

Trascrizione della seduta del 10/9/69 parte 2

L’IMPORTANZA DI PROGRAMMARE LA PROPRIA VITA

Essere preparati, essere competenti. Non sono gli altri che ci impediscono.

D: Però c’è il fatto che tutti quelli che in un campo riescono a fare qualche cosa, a fondare proprio socialmente, in un certo senso…sono quasi tutte persone che calpestano gli altri, se no, non ce la fanno.

D: Sfruttano gli errori degli altri, io penso; è difficile arrivare a fondare in un campo agendo veramente diciamo artisticamente, pulitamente insomma.

A: Capisco che è difficile, ma aggiungo anche che è questione di preparazione.

Vedi, io sono convinto che un uomo perfettamente preparato, che abbia idee precise e sappia dove andare e quel che vuol fare, con un’aggressività onesta e naturale, arriva dove vuole.Il fatto – tu alludi a persone in genere che non hanno la preparazione adatta.

Psicologica, culturale, generale.E che naturalmente vanno avanti per gomitate, non riuscendo ad andare avanti per la strada dritta. Cioè, per la propria capacità.Ma le persone capaci, da che mondo è mondo, sono sempre […]. Le vere, persone capaci.

D: Nel campo mio, no.

A: Ma io non alludo al campo tuo, io parlo in generale!Lasciamo stare i campi […], io parlo del campo della società organizzata, cioè la società che produce, economicamente e socialmente. Lo capisci.

D: Ma anche nel campo tecnico, forse tu hai ragione, però non c’è solo il campo tecnico, ci sono tanti altri campi.

A: Va beh, nel campo umanistico, non lo so…

D: Anzi, io penso che in un certo senso sia un po’ il contrario: le persone qualificate non sono richieste. Nel campo tecnico sì, perchè è un fatto magari obiettivo, ci sono tante altre cose, ma ci sono tante altre manifestazioni...

A: Comunque, vedi, io naturalmente capisco benissimo che la società è fatta in questo modo, quindi non è che io dica che non sia fatta così come dici tu, dico soltanto però che si può operare anche con un’aggressività più fragile, non è necessario calpestare il prossimo, si può passare accanto al prossimo senza calpestarlo, perchè calpestare il prossimo è sempre fare un’azione perversa. Comunque la chiami! sarà sempre una cosa malfatta!

D: Che poi non è che io abbia il dubbio se calpestare il prossimo o no, io dicevo che ad un certo momento…

A: Lo so, lo so; tu dici ad un certo momento però è necessario calpestare il prossimo, quindi ad un certo momento, chi ha le capacità oneste per poter, non so, guidare la società, però per poter arrivare a quel posto di guida deve arrivarci calpestando il prossimo: bene io ti dirò che una persona fondamentalmente onesta non riuscirà mai a calpestare il prossimo. Non riuscirà per natura.Non potrà farlo, non avrà il coraggio di farlo, questo è il punto.Diciamo allora, che sono i disonesti.

D: Il fatto forse è questo. Che noi, molto probabilmente, quell’esperienza che dicevi, di aggressività animalesca, molto probabilmente già l’abbiamo fatta. Ognuno di noi.E quindi siamo in un grado un po’ intermedio.Cioè, non siamo, nè più quegli animali aggressivi, e che facevano questa esperienza nella materia, nè siamo quei tanti, distaccati dalla materia, capaci di controllarsi. Siamo in una situazione un po’ ambigua. E anche, devo dire, abbastanza poco chiara: anche forse interessante, io non dico che non sia interessante.

A: Gli uomini in genere si mostrano davanti alle occasioni. Cioè uno non può dire di se stesso ‘io non avanzerei così aggressivamente o meno’. Dipende dalle occasioni. E dal punto di partenza, e dalle ambizioni, che si posseggono. Io ritengo sempre, torno a dirlo, che è possibile avanzare abbastanza onestamente – ecco, non diciamo onestamente in tutto, ma abbastanza onestamente, sfiorando il prossimo senza calpestarlo. È una questione di tatto, intelligenza, di buona volontà, di impegno. Il fatto che siate in una posizione ancora ambigua, cioè in un periodo in cui “vi mantenete a galla”, diciamo così…sì, può essere una situazione di comodo, una situazione interessante. Tuttavia però io credo che un uomo debba sempre programmare la sua vita. Che non debba andare avanti alla giornata, come solitamente fate tutti quanti voi. La vostra vita non è programmata. Voi riuscite a programmare le cose più inutili nella vostra esistenza, ma non riuscite a programmare la vostra vita: quello che volete fare, dove vorreste giungere.

D: Quello è il programma…il programma in linea generale, chiaro che uno non può programmare debitamente tutto quello che…

A: No? Perchè no?

D: Ha un programma diciamo… per le vie essenziali…

A: Il fatto è che neppure per le vie essenziali talvolta voi fate il programma, vero. In vita, si capisce. Perchè se chiedete a qualcuno di voi: cosa intendete fare nei prossimi dieci anni, probabilmente nessuno di voi saprebbe rispondere. O qualcuno potrebbe accennar qualcosa in base alle proprie ambizioni; ma non è in base alle vostre ambizioni che io cercherei le risposte; perchè si capisce, in base alle vostre ambizioni ciascuno di voi mi tirerebbe fuori le cose più assurde. Il programma lo si fa dopo essersi analizzati a fondo. Cioè: io in questo momento valgo tanto, poichè valgo tanto mi sarà possibile arrivare a quel punto. Se voglio arrivare a un punto superiore non devo più valere tanto, ma tra due anni devo valere il doppio. Cosa devo fare per valere il doppio? Devo studiare, devo prepararmi, devo lavorare, devo fare alcune esperienze…mi mancano queste esperienze della vita, cerco di realizzarle nel migliore dei modi…questo vuol dire programmare. E invece no! Voi andate avanti alla giornata, vi svegliate al mattino e non sapete che fare. Se andate al lavoro ci andate, e poi pensate come impiegare il resto della serata. Se studiate, a malapena studiate per andare a far quegli esami, e poi tutto è finito. E poi dopo cercate un qualunque lavoro per guadagnare a fine mese quel tanto, e poi magari senza alcuna idea per prendere una moglie o un marito, per fare dei figli – e questo significa programmare, secondo voi? Questo significa andare avanti alla rinfusa, così. Programmare la propria vita è una cosa diversa. Veramente bilanciare, calcolare. Non si può dire: io tra 10 anni voglio giungere a quel punto! Bisogna vedere prima se puoi, giungere. La maggior parte degli uomini delusi, i quali dicono ‘io nella vita non sono riuscito; sono stato sfortunato, altri sono riusciti’ – nessuno dice: io non sono stato capace perchè non ero preparato. Quelli che arrivano, sì, vi saranno anche i fortunati, le coincidenze, tutto quello che volete, ma…dite invece: gli altri sono arrivati perchè erano più preparati. Hanno saputo sfruttare meglio la propria intelligenza, le proprie capacità. Anche la propria furberia, la furberia fa parte anche di intelligenza. Il proprio coraggio, hanno osato un poco di più, non si sono lasciati travolgere da sentimenti, e hanno ragionato col cervello. Questo non è in contrasto però con quello che dicevo prima: sentimento e ragione, sono due cose che possono essere integrate, a condizione che il sentimento non prevalga sulla ragione. Perchè il sentimento, non è vero che sia sempre un fatto spirituale! Spesso è un fatto emozionale, di natura psichica, il sentimento. È la ragione, l’intelligenza quello che conta. Non importano i sentimenti, perchè? Perchè la ragione, se è sfruttata veramente e fino in fondo, non è altro che la voce dello spirito. E contiene sempre un principio spirituale. Non confondete principio spirituale con sentimento, sono due cose differenti.Il sentimento è un fatto anonimo, travolgente – che travolge il cervello, travolge la ragione, e gli fa re le più grossolane sciocchezze, come è dimostrato da tutta la storia del mondo, poi del resto, vero…

D: Però tu, la tua esperienza umana, è stata un’esperienza di tipo strettamente scientifico, questo perchè …ripeto quello che ho detto prima; ci sono tante attività; praticamente, se tu prendi, tra le attività, un’attività di tipo più culturale, tu non puoi programmare, perchè è una cosa che nasce giorno per giorno e la trovi, non la puoi programmare, è una cosa che trovi per strada.

A: Si, posso anche darti ragione; posso darti ragione però metto una premessa tra parentesi, però, ed è questa: si deve lavorare dopo essersi adeguatamente preparati. Cioè, chi non è preparato neppure tecnicamente al lavoro che fa, non può neppure sperare di raggiungere certi risultati. Una preparazione ci vuole, anche per l’arte, è chiaro.

D: E’ chiaro, si capisce, però, ogni storia ha la sua preparazione.

A: Ah, naturalmente, è chiaro! Su questo siamo d’accordo. Naturalmente, si capisce, sì. Ma nel proprio tempo la preparazione dev’essere adeguata, certo. Al proprio tempo.

L’AMORE COME RELAZIONE RISTRETTA , O COME ATTEGGIAMENTO EMPATICO VERSO IL MONDO

D: Io farei un piccolo passo indietro, adesso. Cioè l’impossibilità, diremo, biologica dell’uomo di amare, come abbiamo detto. In definitiva diventa una delle esperienze fondamentali dello spirito, in effetti. Può, diventare, almeno.

A: Può diventare, nella misura in cui riesce ad imporre un amore sempre migliore, più completo…

D: Però, dicevo, la negazione, cioè l’impossibilità umana, terrena, di estrinsecare l’amore – naturalmente arrivati ad un certo livello

A: Naturalmente parlavamo di amore spirituale, in terra

D: Si, perchè arrivati a capire, a sentirlo in fondo, quest’amore – non poterlo esplicare come uomo, gli fa da esperienza, notevole.

A: Certamente sì. Cioè è indubbiamente un’esperienza.

D: Io credo che una di queste sere dovremmo sviscerare a fondo il concetto di amore. A tutti i livelli.

A: Io non nego che in terra ci sia l’amore – non so, tra un uomo e una donna, tra marito e moglie, madre e figlio… io non dico questo, no. Dico che però, a parte la ristrettezza di questi sentimenti – madre figlio, marito moglie, uomo donna, in genere – è al di fuori che questo amore non si esplica, non si manifesta. E poi anche questo amore, raramente è spirituale. O vi sono parti, spirituali – ma chiamarla parte in questo caso non è neppure in questo caso…l’amore spirituale, ripeto, in terra, non dico che sia irrealizzabile, ma è una cosa molto seria, molto difficile, molto rara.

D: Però ti chiedo: quello che è stato detto l’altra volta, quello che è stato detto anche stasera…sembrerebbe che a livello spirituale, a questo punto ragione e amore si confondono, diventano la stessa cosa. Cioè, si integrano in modo assoluto.

A: Io farei queste distinzioni…l’amore non è un sentimento. L’amore è il comportamento del modo di essere; il modo di essere dello spirito, nei confronti di altri esseri o di certe esperienze del mondo esterno.L’azione stessa dello spirito – compiuta, intelligente, che si ispira ai principi di Dio – è implicitamente un atto d’amore. Non esisterebbe dunque un sentimento a parte chiamato amore, ma l’amore è nell’azione, è nel comportamento dello spirito. La qualificazione di questi atti ci dà in fondo la misura della profondità di quest’atto. E in quest’atto dunque c’è già amore. O possiamo al limite considerare amore l’attrazione che lega gli spiriti tra di loro, ma se io dovessi dire che gli spiriti tra di loro si amano, forse non direi una cosa esatta, o perlomeno non chiamerei neppure amore, questo. Gli è che una presenza logica, cioè una compresenza degli spiriti, i quali stanno insieme e sanno che vivono insieme. L’amore forse potrebbe essere definito soltanto un ambiente in cui esistesse la contrapposizione dell’amore. Cioè, l’amore è distinguibile solo in quanto ci sia l’odio, per esempio. Ma esiste l’opposto dell’amore? Non esiste! E dunque non esiste neppure l’amore.Non esiste l’amore. Possiamo chiamare amore, ma noi per convenienza, possiamo chiamare come ci pare tutte le cose. Se però diamo un significato, allora che cosa è questo amore? È dunque, non so, una capacità scambievole, per cui si genera una sussistenza, una polisussistenza degli spiriti, che vivono insieme perchè sentono la necessità di vivere insieme perchè ciò corrisponde a uno scambio – di informazioni, di conoscenze, di programma – per cui questa grande famiglia spirituale si muove insieme, in virtù di una stessa legge…e allora se tutto avviene in armonia, questi rapporti sono armonici, noi diciamo che questo è amore.

Ecco che dunque si capovolge un po’ la questione, e non si deve dunque più parlare di amore – noi naturalmente continuiamo a parlare di amore, perchè così ci sembra di intenderci meglio…in realtà, a voler analizzare,le cose non starebbero proprio così. In terra, poi si capisce.In terra le cose cambiano, allora prevalgono i sentimenti, le passioni. Che non sono altro che manifestazioni, anzi, trasformazioni di istinti, in prevalenza.Ma, come volete, ne parleremo un’altra volta, con calma. Bene. C’è altro?

Io allora vi lascio…

D: Scusa maestro. […]

LA PROGRAMMAZIONE E L’ARTE (Entità B)

D: […] nel tuo caso, è già venuto qualcosa da chiedere…penso di sì…

B: Mah…diciamo di sì….Campo artistico come creazione e campo artistico come diciamo così attività critico letteraria, è una cosa diversa.

D: Come produzione?

B: Come creazione – così, quadri, scultura…è difficile, programmare.Tutto si svolge un po’ secondo un estro, soggettivo, personale. Così, impreciso, diciamo così. Si possono programmare dei temi, da sfruttare fino a fondo. Dei temi. Ma non direi che si possa programmare niente, perchè, la programmazione è giorno per giorno, è conseguente al momento che si è raggiunto. E il momento che si raggiunge, come progresso artistico, tecnico, estetico,diciamo così, lo si raggiunge un po’ a caso. Lo si raggiunge in un momento e da quel punto si riparte, per una nuova conquista. Io direi che non c’è una programmazione.

D: E questo è anche logico, perchè il campo artistico non può essere programmato, perlomeno ha delle radici in campo irrazionale.

B: Sì, è irrazionale.

D: Ripeto che può essere programmata però la premessa. Cioè, mettersi in condizione da rendersi più percettivi, più sensibili rispetto a certe intuizioni.

D: Più disponibili.

D: Più disponibili, con esperienze di vita più approfondite.

D: Puoi programmare, non so, le ore di lavoro, disciplinarsi.

B:E beh, questo sembra niente, però volevo…Disciplinarsi. Disciplinarsi addirittura diciamo col cibo, no? Gli orari di cibo, gli orari di lavoro; le ore di sonno.Le letture da fare, per esempio. Le letture aiutano, enormemente; l’approfondimento di testi, qualunque tipo di arte si fa, pittura, poesia eccetera. La lettura, la lettura. L’osservazione, l’osservazione del prossimo: basta mettersi a guardare la gente che cammina. Sfruttarla, la gente che cammina, diciamo, ai propri fini artistici. Tutte queste cose qui si possono programmare, se uno le stabilisce, le deve fare, le deve fare. E, non è che le deve fare a orario, si capisce; ma le deve fare, lo svolgimento della propria attività.

Ma come lavoro vero e proprio, come lavoro creativo vero e proprio, non direi che si possa programmare qualche cosa, vero. Non direi proprio. L’artista si trova di fronte a dei capolavori imprevedibilmente; cioè, l’ultimo a saperlo, di aver fatto un capolavoro, non è mai il primo, è l’ultimo.

Questa a parte, è una critica personale; l’artista lo sa: se la cosa che ha fatto è buona o non è buona, deve arrivare a saperlo, no? Che questa è una vena vera, altrimenti non è un artista.

Però anche quando ha scelto le cose buone, nulla gli dice quale è il capolavoro e se lo è.

Nè lo potrà accorgere, ne potrà magari anche accorgere a distanza di tempo…ma questo non importa, voglio dire che poi nessuno deve programmare nemmeno di fare capolavori, i capolavori escono fuori da soli. Non per programmazione.

È una cosa assai difficile, assai difficile. È così sfuggente… così sfuggente.

Poi non so…non riesco a vederlo un artista a vedere il programma, perchè l’artista è scombinato per natura, nella sua anzi riesce a fare le cose migliori quando è più disorganizzato. Quanto più è disorganizzato tanto più riesce a fare cose buone, tante volte.

D: Questo contraddice quello che hai detto prima…

B: Eh, lo so, lo so, lo so! Contraddici, come non lo so. Che ci posso fare, così è.

Si possono programmare le cose che ho detto, non so lettura, impegno, tempo libero, ore di sonno – tutte ‘ste cose qua, ma in tutto questo ordine poi l’artista si muove scombinatamente.

D: Beh comunque è sempre un fatto personale. (prosegue)

B: Beh…è un fatto soggettivo comune quasi a tutti, capito. Questo è il fatto. E siccome è un po’ sempre stato così, comune a tutti, che proprio viene la tentazione di dire che proprio nello scombino e nel disordine escono i capovalori, insomma.

Disordine di vita, disordine sociale, tutto…capite, i celebri hanno fatto una vita così, proprio scombinata. Dolorosa, morti di fame… Non so, la spiegazione forse insomma ci starà pure, in tutto questo. È come se lo spirito camminasse per i fatti suoi, insomma…senza le regole obbligate del corpo, insomma, no?

Non c’è un accordo, tra lo spirito e la coscienza, tra l’inconscio e la coscienza; non ci sta un accordo…si sovrappongono.

La coscienza vuole andar a dormire; proprio nel momento in cui se ne sta andando a letto il corpo, ecco che l’inconscio si mette a parlare per i fatti suoi, e l’artista ha l’intuizione proprio nel momento che si sta per addormentare. Forse si spiega così, insomma. Come se fossero due estranei, per i fatti loro, insomma, no?

Magari, non so, le migliori intuizioni ce le ha quando proprio non potrebbe lavorare, mentre sta mangiando, non so, sta camminando per la strada.

E poi magari invece quando sta bello calmo che vuole a farlo, non riesce a farlo, insomma.

Però, è una donazione totale, una predisposizione totale.

La disponibilità è di ventiquattro ore su ventiquattro.

D: La pigrizia pure è una cosa…?

B: Sì, la pigrizia è pure un elemento congenito degli artisti. Che vi debbo dire…che vi debbo dire.

Forse perchè il corpo si stanca in quanto l’inconscio lavora troppo.

D: Al momento di lavorare ci dev’essere una reazione alla pigrizia…

B: E’ una sproporzione, fra ciò che l’artista vorrebbe istintivamente fare e ciò che fa.

Questo stress evidentemente lo stanca. Questo è il mio pensiero, non è che devo dire “è così”.

D: No, io volevo dir questo; io leggevo appunto di Goethe, che è stato un grande. Lui sosteneva che il genio è pazienza. Cioè che il genio è una costruzione paziente, di osservazione; di studio, di studio, di studio, di studio continuo. Quindi da questo punto di vista, insomma, si può anche pensare, grossomodo, per permettere a un certo punto di disciplinarsi, avendo anche qualità del genere, queste caratteristiche di saper stare in contatto tra il corpo, diciamo così, e i suggerimenti del suo subconscio…

B: Sì, va beh, ma appunto, la pazienza… pazienza a che? Quello pazienza giocoforza deve averla, no? Naturalmente pazienza vale aspettare, non fare il capolavoro, e studiare, prepararsi…prepararsi e studiare non significa mettersi a tavolino a leggersi una biblioteca intera. Come ho detto: anche meditando, guardando la persona che cammina per la strada, anche quello è studio. È uno studio tutto diverso, insomma.

Non è uno studio regolamentare, o accademico, normale… a parte certe premesse di […], si capisce, comune a tutti, ma…tutta una meditazione diversa!

Va beh!

COME CAMBIA CHI CONOSCE GLI INSEGNAMENTI DELLA DIMENSIONE X

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Meno ansia, che permette di apprezzare di più le esperienze.

D: L’argomento spirituale che abbiamo avuto, siamo seguiti, soprattutto qui. Che abbiamo qui. Soltanto con le realtà che ci venivano trasmesse…che influenza ha sulla struttura del nostro complesso animico? E sul nostro io profondo. Mi rendo conto che è una parte questa che è stata già naturalmente […], un altro angolo di gloria, comunque...

A: Dovrei anzitutto rispondere che le conseguenze, le reazioni, sono individuali, di ciascuno di voi; cioè, sembra chiaro, vero, che ciascuno di voi reagisce a suo modo.

Devo anche però notare subito che in realtà tutti voi siete già preparati, lo eravate, orientativamente, anche prima, e in fondo voi siete qui, vi trovate qui, proprio perchè dal profondo del vostro inconscio vi è già istintivamente una tendenza a congiungervi idealmente con realtà che noi, non dico rappresentiamo, ma vi andiamo esponendo.

Quindi, molte cose che voi avete ascoltate qui, che ascolterete, oppure che avete letto, e per vostra vocazione magari vi siete scelti i libri adatti, in fondo queste cose le avevate, e ad altre già tendevate, nel vostro interno. Sicchè in fondo queste esperienze hanno soltanto, in parte, alzato alcuni veli, hanno messo a nudo alcune realtà, già esistenti dentro di voi.

Non tutto naturalmente, perchè alcune di queste realtà erano, sì, sono dentro di voi, ma come una materia informe: non precisata, non catalogata.

La realtà delle manifestazioni, le letture stesse altro non fanno che centrare, di volta in volta, alcune posizioni e organizzarle metodicamente.

Da questo punto di vista, il vantaggio, direi, viene ad essere sì positivo, nel senso che tutto ciò crea un conscio in voi, è in parte inconscio per la vostra natura umana, ma il di più…

Perchè in fondo, non dimenticatelo, voi siete spiriti, incarnati, e come spiriti già possedete alcune nozioni, anche se non appaiono alla coscienza. E dunque, tutto questo rielabora la vostra coscienza, il vostro inconscio, il vostro spirito; e dà a voi, esseri viventi, una serie di nozioni che normalmente sono riservate agli esseri che non appartengono più alla terra. Da una parte, voi assumete attraverso di noi una serie di informazioni per le quali e delle quali milioni di esseri umani attenderanno la morte.

Distacco e partecipazione.

Voi le ricevete prima; il fatto di avere prima alcune di queste informazioni modifica il vostro spirito anche dal punto di vista evolutivo. Non userei il termine modificare, direi che accelera indubbiamente il progresso del vostro spirito.

Vi anticipa qualcosa, vi mette in condizione di avere oggi, senza un’elaborazione di esperienze, informazioni ben precise. Questo genera una sorta di previlegio? Forse sì e forse no.  Tenendo presente un aumento graduale e proporzionato della vostra responsabilità, non lo chiamerei privilegio. È vero che voi avete informazioni di più, è vero anche che avete la responsabilità di doverle usare, e chi queste informazioni non ha, non ha questa responsabilità. E dunque al limite esiste una proporzionalità fra le due cose, sicchè non mi sentirei di parlare di privilegio, tanto più che il nostro discorso, anzi il nostro punto di vista, essendo piuttosto universale, quindi atemporale, non giudica in base a minimi spostamenti di tempo, tra un’informazione ricevuta oggi o la stessa informazione che avreste ricevuto dopo la morte, sicchè l’arco di cent’anni , che potrebbe considerarsi massimo, indubbiamente rappresenta ben poca cosa. Però, è certo che un determinato ordine di informazioni, di conoscenze, genera una accelerazione del processo evolutivo e quindi, direi che in questo senso il vostro spirito si modifica.

Quando ho detto “esistono nel vostro inconscio”, potreste dirmi “ma in fondo queste cose noi già allora le possedevamo”. Sì, però, tenete presente che lo spirito le avrebbe sviluppate dopo, o molto tempo dopo, e probabilmente per alcune di queste informazioni non avrebbe raggiunto una precisione quale può esservi data attraverso -direi quasi – una consulenza immediata con noi, e cioè una risposta a una domanda, mentre a molte conclusioni l’essere umano – e anche con molti dubbi – vi arriva solitamente attraverso laboriose meditazioni e studi.

Dimmi Giorgio?

D: No, a parte che mi hai preceduto in quello che volevo dirti, io volevo appunto approfondire questo concetto. In effetti non è il fatto di acquisire delle nozioni nuove, che ci può portare un vantaggio; il fatto è di ricordarle nella fase incarnativa! Evidentemente

A: Sì, solo che voi non svolgete questo riconoscimento, cioè per voi l’informazione appare nuova. Relativamente, per molte cose infatti, voi, quando ricevete una conoscenza, un’informazione, voi avete la sensazione che la cosa sia facilmente accettabile, che magari la pensavate già così. Oppure, eravate pronti a pensarla così. Esiste una predisposizione chiara, in voi, perciò siete qui e rimanete.

D: Quindi, in effetti, io volevo chiarire ancora meglio: il vantaggio (se di vantaggio si può parlare, positivamente) risiede nel fatto che i ricordi….cioè, io abbia un risveglio come incarnato, di queste nozioni, che già possediamo come spiriti, evidentemente. Quindi, è il saperlo adesso, in questa sede, di esperienze.

A: Sì, e senza un apparente sforzo.

D: Maestro, io vorrei aggiungere qualcosa. E cioè, voi avete detto che è anche un fatto individuale. E io dico che è vero. Perchè, io ho avuto, in questi ultimi tempi, opportunità e occasione di fare delle esperienze interessantissime. Io negli ultimi tre mesi sono esistito in un ambiente talmente estraneo alla mia vita precedente, un’ambiente di bassa…evoluzione, gente sfruttata, sfruttatori….e cioè, ho visto la cosa con un’occhio diverso…in tempi andati avrei reagito diversamente, invece, ho visto tante cose positive, sembravano…veramente ho fatto delle esperienze che per me hanno avuto un interesse eccezionale. E lo vedo con un distacco, con una…non lo so, come se le vedessi dall’alto.

A: Io direi, partecipazione e distacco.

D: Partecipazione e distacco. Dei ragazzi, sfruttati da un negriero, e che …solo con l’esempio io sono riuscito a modificare, certamente in parte, per un periodo brevissimo, ma….vi dico maestro, è stata una cosa meravigliosa per me.

A: Sì…se tutte le esperienze, anche quelle negative e dolorose, venissero sfruttate in questo senso, l’uomo soffrirebbe molto di meno. Oppure, in taluni casi, non soffrirebbe affatto. Trasformare, dunque, il dolore, sensazione di sgomento, quello che sia, in un’esperienza valida, come una scuola. Vedere le cose con distacco, come quando si leggono i libri.

Ma ciò non deve esimerci da una partecipazione, sia pure distaccata, che poi equivale a pietà. Nel senso della carità. Altrimenti si diventa cinici e si perde anche la bellezza dell’esperienza. Ma naturalmente tu intendevi questo, certamente.

D: E’ un po’ quello che afferma la Raya Yoga. Il principio della vessazione.

A: Sì, sì.

Operatività in chi segue gli insegnamenti:essere da esempio. Non “sbandierare” principi teorici. Esercitare la tolleranza.

D: Ci sono altre domande su questo argomento? Carlo?

D: La mia domanda “ritornante” è questa.

Cioè, maestro, tu giustamente parlavi anche che noi abbiamo delle responsabilità. E proprio, evidentemente, questi incontri, rendono più acuta questa nostra, diciamo, sensibilizzazione a certe responsabilità che abbiamo: e nei confronti dei singoli (singolare, individuale, soggettivo…), e nei confronti degli altri. E quindi, il problema per noi diventa: che cosa possiamo fare per gli altri, in che direzione muoverci per gli altri, in questa società. Naturalmente anche, così anche come siamo fatti, cioè cosa si può fare, di concreto, di reale. Nel tentativo, non dico di diffondere, ma di rendere partecipi, semmai, anche altri di questi problemi. E non soltanto a livello teorico, così, a livello di spiegazione di “tema generale” – che soddisfa a livello accademico, in fondo (perchè se no, poi diventa un colloquio che finisce là) ma per, come dire, addentrarci un po’ di più nella realtà, per incidere soprattutto, ecco, nella realtà.

A: Vedi, involontariamente (oppure anche volontariamente, ma poniamo involontariamente) ciascuno di voi porta già, nella società, nell’ambiente in cui vive, l’esperienza di ciò che un poco assume qui – un po’ attraverso le letture, e un po’ per la naturale vocazione.

Lo portate già, in fondo. Perchè, a lungo andare, voi diventate, anche senza accorgervene o accorgendovene, tolleranti. Diventate proprio più buoni, ecco, perchè chi è tollerante è buono, in fondo. Vedi, quando si dice “un uomo è buono” o ” un uomo è cattivo”, si dicono due parole che spesso non significano niente. Perchè un uomo è buono, o perchè un uomo è cattivo?

Un uomo è buono non perchè esternamente fa la carità, o sembra fare il bene. Un uomo è buono quando è tollerante. È tollerante degli altrui difetti, delle altrui manchevolezze.

E delle manchevolezze sociali, è pronto a capire, forse se non a giustificare, ma a capire. E dunque a uniformarsi, in conseguenza. I principi teorici non è necessario sbandierarli!

In genere sono più tolleranti e buoni quelli che non esprimono principi teorici, ma che vivono, praticamente, questa bontà. Perchè i principi teorici, come giustamente dicevi, non servono a niente.

Possono servire soltanto, non so, come grandi movimenti teorici, il cristianesimo, è servito a fare in modo che tanta gente ripensasse il cristianesimo, o ripensasse di evangelizzarsi. Ma di vivere poi non secondo principi teorici, ma secondo una maniera pratica, per aver capito che certe cose van fatte in un modo e non in un altro, sicchè si stenterebbe a considerar cristiano, secondo una etichetta teorica, l’una o l’altra.

E dunque voi portate già, in fondo; si tratta di marcare di più.

Poi vi sono quelli che sono sensibili all’esempio; vi sono quelli che non possono aver l’esempio, ma hanno bisogno ancora di dottrina, e devono ripensar da soli la dottrina, e poi giungere da soli a una maturità che poi li porti a compiere con tolleranza i propri atti sociali; giacchè dunque va fatta una distinzione tra gli uomini, e il vostro modo di operare non può essere eguale per tutti.

Ma intanto, da un punto di vista generale, per alcuni di voi che volessero, ad esempio, cimentarsi in una esemplificazione di se stessi ma a livello più collettivo, più sociale – cioè inserendosi nella vita politica,nella vita economica, nella vita pubblica – bene, quale dev’essere il comportamento, stante le leggi che vi sono, stante la società che c’è? La società non è buona o cattiva, la società è quella che è, è sempre stata la stessa; le leggi non sono buone o cattive, sono leggi, e come tali non sono nè buone nè cattive, sono soltanto suggerimenti di comportamento da cui scaturisce un dovere e un diritto nel comportamento.

Voi dunque, non potete che manifestare voi stessi, perchè se un torto grave ha avuto l’umanità, è quello di non essere mai stata sincera. Gli uomini sono sempre vissuti attraverso compromessi, attraverso un’educazione formale. Una maniera di, vivere direi non invitante per coloro i quali, forniti di una ragione più sensibile, riescono a non digerire, non riescono a digerire un comportamento così ambiguo.

ANCORA SULL’AMORE

L’uomo può amare intensamente poche persone.

Ecco, siete vissuti all’insegna dell’ambiguità. L’ambiguità non solo nei rapporti sociali, ma nei rapporti familiari, tutto basato sul rispetto, sul pudore, su forme esteriori le quali, dette così, sembra difficile non accettare, perchè conformistiche, perchè appunto basate su un rapporto esteriore. Gli uomini non si sono mai amati tra di loro. E forse non si ameranno mai. Forse non si ameranno mai, perchè l’uomo nasce egoista, in fondo. Nasce egoista per natura biologica, e anche per natura spirituale, direi, se consideriamo che lo spirito, in fondo, vive e sopravvive, e cerca esperienze attraverso gli altri sì, ma che tornano a lui – direi che lo spirito stesso, creato come singolo, come personalità individuale, è una entità che vive in sè, è per sè sussistente, e ha bisogno degli altri spiriti, o del mondo esterno, o di Dio, perchè attraverso queste forme riesce ad evolversi. Ma si parla sempre di evoluzione del singolo. E dunque questo istinto che tuttavia è soltanto una caratteristica, procedendosi l’esperienza in evoluzione, si annulla come istinto e si conserva soltanto come caratteristica dello spirito. Il quale poi finisce col vivere in una fraternità più ampia, più completa e, intelligentemente direi, annulla ogni tentativo di individualismo.

Ma l’essere in terra non è così. L’essere in terra nasce già con un corpo, il quale ha bisogno di vivere: e per vivere deve uccidere, deve calpestare tutto, intorno.

L’uomo comincia a vivere uccidendo l’aria, succhiando aria, distruggendo l’atmosfera direi; basterebbe già questo, per intendere questo vampiro che è il corpo umano. Il quale addirittura in gestazione succhia dalla madre tutti i succhi per poter crescere, e depaupera, direi, la madre degli elementi più importanti , per affermare se stesso alla vita. E continuerà così dopo, coltivando i campi e quindi estraendo, saccheggiando i campi per vivere, uccidendo le bestie per mangiar la carne…dunque l’uomo è un saccheggiatore nato, direi.

E pur di vivere, pur di salvare la propria pelle, esiste, creato dalla natura stessa, un istinto di sopravvivenza che è più forte di qualunque altra cosa, sicchè per vincere questo istinto l’uomo ha bisogno di una rimeditazione della propria finalità di essere umano, e riesce a vincere l’istinto di sopravvivenza soltanto quando è padrone di un istinto ancora più forte, e l’istinto più forte della sopravvivenza è l’amore. Soltanto in nome dell’amore l’uomo soffoca l’istinto di sopravvivenza.

Ma questo amore è circoscrivibile. L’uomo ama veramente soltanto poche persone al mondo. E l’uomo sarà capace, quindi, di questo superamento dell’istinto di sopravvivenza soltanto se si troverà nell’alternativa di salvare sè, o magari il proprio figlio, o magari la propria madre, oppure proprio l’amico caro che ama come un fratello.

Fuori di questi limiti non esiste più un’amore. Esiste soltanto, direi,un rispetto per il proprio simile, e tutte queste altre cose, indubbiamente; lasciamo da parte, direi, i grandi esempi. Sui grandi esempi di amore poi ci sarebbe anche molto da dire. Direi piuttosto che subentrano delle suggestioni, di tipo religioso-filosofico, per cui l’uomo, sì, ama tutto il prossimo come se stesso, ma in realtà crede di amarlo. Questo amore è sovente un amore retorico, non è un amore compiutamente autentico che nasce dall’animo. E questo non perchè, direi, si voglia sminuire la santità del prossimo, ma semplicemente perchè è la natura umana che è fatta così, non è colpa di nessuno! Non è colpa nè di Dio nè di altri! L’essere umano, per poter sopravvivere in terra, ha bisogno di questi istinti, altrimenti soccomberebbe, direi.

Ora dunque, l’uomo però, deve tendere a questo. Deve tendere a creare una piattaforma sociale in cui, non vi saranno i grandi amori, non potrete amare i vostri simili come amate le vostre innamorate – è chiaro, nessuno lo pretende, nè la legge di Dio nè altri – ma che vi sia un’amicizia verso il prossimo, una scambievole amicizia, una affettuosa amicizia, questo sì. A questo si può pensare di giungere, quest’affettuosa amicizia nasce riuscendo a capire fino in fondo le necessità degli altri, aiutandosi scambievolmente, tollerandosi a vicenda, perdonandosi a vicenda e tutte queste belle cose – queste sì, si possono ottenere sulla terra.

L’importanza dell’affetto e dell’amicizia. Essere di esempio

I grandi amori francescani sono purtroppo esempi, e citare questi esempi significherebbe fare inutili discorsi retorici, perchè l’uomo a questo non ci arriverà mai. Possono arrivarci alcuni singoli: d’accordo. Qualcuno di voi potrà avere una tale vocazione altruistica, in quel caso, sì, sarà ben accetta – naturalmente se fosse autentica lo accetterei. Avrei i miei dubbi su tutto questo, ma in ogni caso, esempi vi sono stati, gente che si è sacrificata per il prossimo al limite della morte c’è stata; li rispettiamo; li adoriamo, fingiamo di non voler sapere perchè…e li teniamo come esempi, d’accordo. Ma questo non è una norma. Sono eccezioni. La norma generale è che l’uomo non ama il suo prossimo. Può avere tolleranza, può avere pietà, può avere affetto. Può essere talmente buono da capirlo questo prossimo. Da riuscire anche a fare dei sacrifici, per questo prossimo. E questo si può ottenere. Non saranno grandi amori, ma saranno grandi affetti – e questo basterebbe già alla terra. Ora, dunque, questo voi potete ottenerlo – col vostro esempio, con la vostra tolleranza, la vostra pietà, col vostro aiuto al prossimo, cercando di far capire la necessità di tutto questo. Perchè tutto questo non porta soltanto sollevazione, piacere in chi riceve l’amore, la tolleranza eccetera. Fa bene a chi la fa. Quando voi fate azioni del genere, siete prima voi ad essere soddisfatti. Ecco che allora già esiste un motivo umano per fare queste cose. Le fate, siete voi ad essere felici. In fondo questa è già una ricompensa, che voi avete. Ed è una maniera da parte di Dio attraverso la sua legge di sdebitarsi con chi fa del bene agli altri suoi figli, i quali sono vostri fratelli in spirito, ma non li riconoscete in terra.perchè in terra la fratellanza è fatta in altro modo; perchè in terra avete altri padri, altre madri.

La fratellanza in terra è differente da quella in cielo.Incanalare l’aggressività

E per voi i vostri fratelli sono quelli nati dalla stessa madre. Cioè, qui avete una falsa famiglia. Avete creato una falsa famiglia, l’avete etichettata, avete dato dei nomi; avete dimenticato, avete ignorato. Pur essendo cristiani, seguaci di Dio. Che le anime, nelle quali dite di credere, essendo religiosi – cristiani, maomettani, buddisti – che le anime, cioè la parte vera che vive dentro di voi, le anime appartengono a un solo padre, sono fratelli fra di loro.

Questo, nonostante che voi vi proclamate religiosi, lo dimenticate, in terra avete creato una sottofamiglia. In realtà, le vostre madri sono le vostre matrigne, i vostri padri sono i vostri patrigni, i vostri fratelli sono i vostri fratellastri. Perchè la fratellanza è un’altra cosa, esiste in un altro modo,in un altro senso.

Ecco che dunque si è creta una differenziazione, tra famiglia divina e famiglia umana. E checchè se ne dica in terra, la famiglia umana così come è stata cretata, non rispecchia l’intenzione di Dio. Perchè secondo le intenzioni di Dio, le cose avrebbero dovuto svolgersi diversamente. Diciamo che rispecchia una esigenza umana della terra di organizzare la società, e allora possiamo accettare, discutere o meno, ma non si venga a dire che si tratti di famiglie divine, perchè la famiglia divina è un’altra cosa, in cui il padre è uno ed è Dio, e i figli sono riconoscibili perchè sono anime fatte uguali tutte, partorite dall’unico Dio.

Questa naturalmente non è retorica, questa è la conseguenza logica di una ragionamento anche minuto, direi quasi. O si accetta Dio, che ha creato le anime, o non lo si accetta. Se lo si accetta, il ragionamento è soltanto questo, e non ne esisterà un altro.

D: C’è il fratello Elio…

D: Vi volevo dire una cosa. Siccome tu hai parlato giustamente di tolleranza, noi siamo diventati più tolleranti, è giusto, insomma, io lo riconosco, però non pensi che ci sia anche un certo pericolo, cioè quello di aver perso, poter perdere una certa aggressività.

A: Un esempio? Che intendi per aggressività?

D: mah, un ‘aggressività proprio, diciamo pure anche un po’ animalesca, che però fa fare una vita…ha anche un suo interesse, insomma. Un’aggressività animalesca che ha anche i suoi motivi sul piano sociale.

A: Guarda. Avere tolleranza indubbiamente significa perdere un po’ di quella aggressività. Vorrei anche ammetterlo, non riesco ad ammetterlo perfettamente, ma potrei anche ammetterlo. Ma la tolleranza, vedi, porta a fare le stesse cose che tu avresti fatto con l’aggressività, snza avere i danni dell’aggressività. Cioè, in realtà, tu diventi automaticamente più libero, e accetti anche la libertà degli altri. Accetti gli errori degli altri e li inglobi nella tua lezione di tolleranza. Tu capisci il tuo prossimo, l’errore del tuo prossimo. L’aggressività invece può essere esplicata in senso sociale, promuovendo iniziative, attività, di carattere sociale, economico, politico. Ma lungo la strada di queste attività, svolte con aggressività, tu puoi incontrare gente che cade, gente che non sa reggere al ritmo, gente che sbaglia; non per questo li calpesterai ma con tolleranza tu capirai i loro errori. Ma non per questo perderesti la tua aggressività. Cioè in fondo, la tolleranza io la intendevo proprio nel senso della carità, della pietà. Carità e pietà è una migliore disponibilità, più sana disponibilità alla libertà. Non soltanto propria, ma quella degli altri. Perchè l’uomo ha una strana idea della libertà. La libertà la intende per sè, non per gli altri.

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