SOFFERENZA DELL’OBBLIGO DI FEDELTÀ AL RUOLO

D. – Mi riallaccio a quanto hai detto prima; potremmo in qualche modo alleviare un po’ le nostre sofferenze psicologiche cercando di identificarci meglio anche nei nostri ruoli umani; cioè noi ci identifichiamo a volte troppo nei nostri ruoli parentali di padre, madre, figlio, oppure nei ruoli sessuali, maschio, femmina, e ci dimentichiamo, appunto, che lo Spirito è stato molte volte tutto questo, ma non è questo; cioè é qualcosa che sta al di fuori di ciò. Questo ci potrebbe essere di aiuto se mantenere un po’…

A. – Devo riconoscere che hai detto una cosa molto intelligente e molto acuta. Svilupperò un momento quello che tu hai detto, alquanto interessante. Questo è un lavoro di trasformazione nel ruolo che non varrebbe soltano rispetto alla morte dei propri figli, dei propri cari, ecc., ma in genere nella vostra vita, perchè una delle cose che più vi fa soffrire é il ruolo, l’obbligo di fedeltà al ruolo: un uomo che si sposa e diventa marito non è più un uomo, è un marito; allora un marito deve comportarsi da marito e basta.

Per la donna è lo stesso: è diventata moglie e basta, non è altro; tutto il resto della sua umanità, dei suoi desideri, non esisie più; devono essere un marito o una moglie e per ciascuna di queste categorie sono iscritte proprio le cose che deve fare, le cose che può fare e tutte le altre che non deve e non può fare, anzi che non può nemmeno pensare.

Dunque un uomo che diventa un ruolo diventa un uomo che non deve pensare più, ma deve soltanto pensare le cose che concordano col ruolo e che altri hanno stabilito; la società, la religione, lo Stato, le regole non scritte, la tradizione o il costume. Naturalmente questo vale anche per altre attività sociali, ma le altre attività sociali sono più sfumate e, anzi, in un certo senso sono più precisate; ad esempio un lavoratore ha degli obblighi e questi obblighi sono scritti in certe regole: deve produrre questo, deve lavorare a quella macchina, deve vangare la terra, deve vangare tanti metri quadrati al giorno, deve seminare tante patate, tanti pomodori, ecc. e questo è accettato perchè nella legge della produzione e dell’economia un lavoratore deve produrre tanto che coincida con una produzione X, e va bene.

 Laddove invece entriamo in quelle che sono le morali etiche, le norme non scritte, quindi più sfumate, vi sono egualmente delle regole: ma poi ce ne sono tante altre che appartengono alla tradizione, tanto è vero che viene reclamato l’uso della lealtà, l’uso della fedeltà, l’uso della possessività, ecc., sicché chi diventa marito o diventa moglie si è chiuso nella trappola di quel ruolo da cui non può uscirne più.

 Lo stesso vale per í figli; i genitori giocano a fare í genitori. non è che siano genitori, assumono il ruolo dei genitori, si autodefiniscono genitori e quell’affetto che riversano sul figlio è chiamato affetto per convenzione semplicemente perché all’interno di un ruolo quell’affetto non può essere che materno o paterno, non può essere amicale; quando mai si  è visto che uno vuole bene ai figli come un amico, non esiste, vuole bene ai figli come un padre, i figli vogliono bene alla madre o al padre non come amici più grandi, ma perché madre e padre, indipendentemente se si è stabilito un rapporto di affetto, il ruolo di figlio determina quindi anche l’affetto.

Adesso lo so che c’è un rapporto affettivo tra genitori e figli, ma il ruolo li incatena entrambi anche a regole, per cui i figli devono fare i figli e non possono sostituirsi ai genitori e i genitori sono genitori e non possono fare contemporaneamente i figli; cioè non c’è scambio alla pari, nella generalità, poi ci sono anche le eccezioni, naturalmente.

Allora è possibile riconoscere altri ruoli all’interno di quelli codificati? È possibile che un genitore si senta amico e non più genitore del figlio? Cosa direbbe la psicologia di fronte a questo fatto?

Mi direbbe qualche psicologo; “ma i figli hanno bisogno di un referente genitoriale preciso, perché si identificano nel genitore e l’identificazione procura una crescita di identificazione. E così se all’inizio il figlio maschio si identifica nella madre e la figlia femmina nel padre poi avviene uno scambio e la figlia femmina si identifica nella maternità e nella femminilità e cresce come femmina perché si identifica nella madre. Se manca questo ruolo materno la figlia può perdere la propria sessualità, può smarrirsi, può perdere la propria direzione di femminilità, può insomma diventare un’altra cosa”.

È vero o non è vero tutto questo? Certo che è anche vero, ma è da intendersi in quest’altro modo: non è che questo sia vero perche’ la persona si chiama madre o si chiana padre, è vero in quanto c’è una persona, adulta e matura che funge da specchio per il bambino; è la figura specchio che è importante, poi potrebbe chiamarsi invece di madre anche mela o pera voglio dire, sarebbe la stessa cosa. É importante il modello specchio, non come viene definito con tutto il carico negativo della definizione perché poi l’uscita dal ruolo determinerebbe delle crisi e quindi si avrebbe la figlia che, non sentendosi amata dalla “madre”, cerca un’altra madre, cerca la stessa madre solo che non si chiama madre. Il problema è la funzione dello specchio nell’immaginario e nella crescita psicologica del bambino.

Allora proviamo a rovesciare invece le cose e diciamo che la madre non accetta il ruolo di madre, ma accetta il ruolo di figura-specchio; la figura specchio significa anche figura trasparente; attenzione però, figura trasparente significa che il bambino deve oltrepassare lo specchio e uscirsene dall’altra parte per ritrovare la libertà, cioè attraversa la funzione dello specchio e quindi il riflesso dello specchio e quindi ne assume i caratteri. Poi passa dall’altra parte per ricostituirseli e rielaborarseli da solo; se questa figura specchio rimanda tutte le nevrosi per una fascia di apprensione e di assorbimento sarà quella delle nevrosi e può darsi, anzi succede quasi sempre che non c’è più l’oltrepassamento dello specchio. Il bambino si ferma alla fascia della prima proiezione, cioè non riacquista píù la libertà e diventa schiavo del modello, perché il modello (cioè lo specchio) non era uno specchio trasparente, ma era uno specchio opaco che rimandava semplicemente le immagini della negatività (ma anche della positività, ovviamente) del proprio genitore; siccome la funzione non é quella di creare dei modelli imitatitivi, ma dei modelli liberi ecco che ìn questo caso abbiamo semplicemente rovinato il bambino.

Va bene, allora proviamo invece, seguendo l’inizio di questo discorso a mostrarci verso i figli come amici. Cosa succede?

Che se io penso alla morte, in questo caso, e non penso piú che è morto un figlio, ma che c’è stata la perdita di un amico che io dovevo accudire, dovevo rendere libero e trasparente, è il ruolo che viene a cadere, il ruolo che è pieno e incombente di tutta la fascia del dolore umano che è legato alla perdita del ruolo e alla perdita della funzione dello specchio. Non è solo il figlio che si lega alla madre nella funzione specchio, ma è anche lo specchio che si lega al figlio; ma se entrambi avevano, direi, un rapporto ostacolato dall’attraversamento dello specchio è chiaro che il dolore sarà grande; se l’oltrepassamento è avvenuto e il figlio è diventato libero, se è passato dall’altra parte come un soggetto libero e ci si riconosce come amico, come anima rispetto ad un’altra anima, senza il ruolo, il dolore scema non perché la perdita dell’amico sia meno avvertita e sia meno forte, perché il rapporto che abbiamo verso l’amico è un rapporto senza ruolo. Ecco perché l’amicizia è più grande dell’amore perché l’amicizia è senza ruoli; l’amico non è tenuto al ruolo prestabilito, l’amico è libero, può fare quel che gli pare, può trasmetterci quel che gli pare e noi diamo all’amico tutto quel che vogliamo dare e gli diciamo tutto in piena libertà, è confidente dei nostri bisogni perché è fuori del ruolo; sono i ruoli che uccidono l’amore, e però l’uccidono funzionalmente, ma quando vengono meno ci danno anche più grande dolore perché non siamo in grado di sopportare la fine del ruolo che è diventato per noi l’elemento portante della nostra stessa vita.

Ecco perché mi sembra interessante quello che ho sentito prima dalla sorella perché consente eventualmente uno sviluppo di discussione in questa direzione che ora abbiamo soltanto potuto tratteggiare per motivi di tempo.

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