STORIA DELLA REINCARNAZIONE DALL’ANTICHITA’ AL VI SEC. D. C. a cura di ORAZIO ANTONIO BOLOGNA

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 “PROGETTI DI VITA/IPOTESI DI RITORNO” – (INCARNAZIONE E REINCARNAZIONE), a cura di Carlo Adriani, Orazio Antonio Bologna, Emilia Lotti, Aldo Mastroianni, Corrado Piancastelli, Vincenzo Piga, Silvio Ravaldini, Franco Voltaggio, Patrizi Zenga.

                                                              UNIVERSITA’ VALDESE DI ROMA

                                                             Atti del Convegno di novembre 1996

                                              FONDAZIONE ISUP/CIP, Napoli, Monografia 1996

(Il testo è in tutta evidenza di stretta impostazione accademica e presenta problemi vari non dovuti a noi o all’autore, ma facendo parte integrante della monografia è stato ugualmente inserito. Non garantiamo l’accuratezza delle note e delle bibliografie originali che non corrispondono più agli attuali standard.)

    Tracciare, anche brevemente, la storia della reincarnazione dalle più remote origini fino al V secolo, e al tempo del II concilio di Costantinopoli, celebrato nel 553, non è semplice né agevole per svariati e ovvi motivi. Allo stato attuale degli studi e delle ricerche, anche se molto si è fatto, non è possibile dire con esattezza dove fosse giunta la speculazione degli antichi su tale argomento, che ha affascinato l’uomo fin da quando ha compreso d’avere un’anima immortale e di non morire completamente. Non è del tutto inopportuno né fuori luogo ricordare a questo punto una ben nota frase di Orazio: “Non omnis moriar multaque pars mei vitabit Libitinam…” (1) . Anche il sommo lirico latino, che si presenta ironicamente come “pinguem et nitidum bene curata cute…, Epicuri de grege porcum” (2), è pienamente convinto che la parte migliore di sé, quell’anima sensibile e tesa a carpire il sussurro sommesso della natura, a svelare i fremiti e i sentimenti più riposti del cuore umano, continuerà a vivere anche quando il suo corpo, sfigurato dalla corruzione e dalla morte diventerà polvere, chiuso nel

1) HOR, Carm. III. vv. 6 — 7 (non morirò del tutto, ma gran parte di me sfuggirà Libitìna). Libitìna per alcuni era un attributo di Venere, per altri dí Proserpina. Presiedeva ai funerali ed era detta così perché portava via gli uomini quando le piaceva, ad libitum. E’ evidente che in questo brano Orazio non parla della reincarnazione, in cui, come epicureo, non credeva, ma della sua fama acquisita per aver introdotto per primo nella poesia latina i metri della lirica greca. Lo si deduce dai versi seguenti che qui, per ovvi motivi, non sono stati riportati. Questo a quanto si deduce dalla convinzione generale, ma Orazio, come romano, non poteva credere che con la morte anche l’anima si dissolvesse nel nulla. Questo aspetto del pensiero di Orazio, anche se emerge un po’ di soppiatto e si nota in tono minore, non è stato debitamente studiato. Si è preferito porre di più l’accento sul suo epicureismo. Cfr. A. LA PENNA, Orazio e la morale mondana europea, Firenze, 1969; H. K. BECK, Das Veraeltnis des Horaz zum Epikureismus in historischer entwicklung, Erlangen, 1921; G. VANELLA, Il mondo di Orazio satiro (Fonti – Pensiero -Originalità), Napoli, 1968.

2) HOR, Ep. 1, 4, 15 -16 (grassotto e lucido, con la pelle ben curata, un porcellino della mandria di Epicuro). TH. ZIELINSKI, Horace et la société romaine du temps d ‘Auguste, Parigi, 1938.

grembo della madre terra (3). L’uomo avverte insistente e potente il desiderio di lasciare ai posteri traccia di sé e si adopera con tutte le sue forze a compiere opere che ne perpetuino il ricordo. Tra le opere più importanti e immediate, che un uomo tenta di realizzare, anche se non sempre debitamente considerate e percepite nella loro grandezza, sono i figli ed il desiderio urgente di imprimere in loro i segni indelebili della sua presenza (4).

    Lo studio comparato delle religioni e l’antropologia (5) hanno messo a punto interessanti osservazioni, che, oggi, non è più possibile né tacere né trascurare (6). E’ pur sempre il nostro passato (7), che, in vari modi, emerge e si fa strada attraverso mille indizi, ben percepibili a una visione più attenta e meditata (8). Ma oggi, fuorviati da una società in fermento ed in crisi, nella ricerca della sua autentica dimensione e del fine cui tende, è facile che anche il tema della reincarnazione passi in secondo piano, fino a svanire nel nulla, dal momento che questa realtà, nella sua assoluta indipendenza da qualsiasi esperi-

3) T. OKSALA, Religion und Mythologie bei Horaz, Helsinki, 1973; N. TERZACHI, Orazio, Roma, 1930. Anche se un po’ vecchiotto nel volume si trovano buoni spunti sulla poesia di Orazio.

4) Quest’intima e naturale aspirazione dell’uomo nel mondo greco viene affermata la prima volta nell’epica: in Omero. infatti, si trovano frequenti testimonianze dello struggente desiderio dell’uomo verso il proprio figlio, per il quale non teme di affrontare la morte. Tutta l’Odissea è pervasa da questo pensiero fisso che tormenta Ulisse, finché non giunge in patria. Questo concetto, in seguito, passò nella poesia lirica. Basta citare Mimnermo del fr. 2 D, Tirteo del fr. 9D e, soprattutto, Saffo del fr. 152 D. Dei tanti poeti alessandrini che hanno cantato l’innato senso della paternità va ricordato Leonida di Taranto in A. P. VI 302 e VII 648.

5) R. CAILLOIS, L’homme et le sacré, Parigi, 1939; G. F. MOORE, History of Religions, New York, 1920. P. TACCHI VENTURI, Storia delle religioni, Torino, 1949.

6) S. NIKHILANANDA,  L ‘uomo alla ricerca dell ‘immortalità, Roma, 1989.

7) H. JORDAN, Comparative Religion. Its Genesis and Growth, Edinburgh, 1905; H. PINARD DE LA BOULLAYE, L’étude comparée des religions, Parigi, 1929.

8) E. BLOCH, Das Prinzip Hoffitung, Frankfurt, 1967, pp. 582 – 590. L’analisi viene spesso tracciata con maggior dovizia di particolari sia nelle riviste specializzate sia in trattati di più ampio respiro, facilmente reperibili. Anche i rotocalchi, a volte, non lesinano notizie e risultati di inchieste sul comportamento dell’uomo moderno.

mento razionale, sfugge e svanisce in un credo spesso senza convinzione e, quel che è peggio, senza dimostrazione. Lo spregiudicato razionalismo e l’esasperata ricerca dell’edonismo, oggi più che mai, minano profondamente la componente spirituale dell’uomo (9). Le forze fresche e vive della società, sfibrate e abbacinate da falsi miti ed effimeri valori fuorvianti, non si ripiegano in religioso raccoglimento su se stesse, né riflettono sull’essenza della loro esistenza e sull’anima (10); ma, trascinate dal vortice delle passioni e dalla sfrenatezza, rivolgono tutta la loro attenzione al benessere fisico e al conseguimento d’un bene puramente materiale, senza sapere che questi diventano più fruibili se, con animo pago e sereno, si affronta la realtà senza nevrosi e con l’animo proiettato in un avvenire, nel quale si fondono dinamismo e catarsi (11). Si ha la netta sensazione che parole come penitenza, meditazione, purificazione, ascesi, siano relitti d’un passato che si perde nella notte dei tempi ed evochino, col loro magico e, a volte, terrificante potere, stilemi di vita perduti per sempre, come relitti d’un tempo d’oscurantismo e di paure. Ma proprio queste forze, incanalate nella giusta direzione, grazie alla molteplicità di esperienze culturali cui vanno incontro, potrebbero arrecare notevoli e validi contributi all’indagine sull’anima e al dibattuto tema della reincarnazione, realtà che esse, per le implicanze che comportano, cercano di evitare in ogni modo (12). L’idea della reincarnazione, infatti, è intimamente legata all’esperienza religiosa ed è in grado, quindi, di comprenderla solo colui che si abbandona all’ascesi e alla meditazione (13). Ma queste pra-

9) RENE’. GERARD, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Milano, 1993. Il testo offre una brillante sintesi sui misteri che affascinano l’uomo dalla nascita alla morte.

10) E. DUSSEI., L’occultamento dell’ “altro”. All’origine del mito della modernità, Viterbo, 1993. L. LEVY BRUHL, Les fonctions mentales dans les societes inferière, Parigi, 1910; E. CAILLET, Mysticisme et «mentalité mystique», Parigi, 1938.

11) D. TRACY, Theologie als Gespraech. Eine postmoderne Hermeneutik, Mainz, 1992; E. R. TURA, Con la bocca e con il cuore. Il credo cristiano ieri e oggi, Padova, 1993. A. SCHULEMBUG, Feminilistische Spiritualitaet. Exodus in eine befreiende Kirche?, Stuttgart, 1993.

12) G. GUTIERREZ, Teologia della liberazione. Prospettive, Brescia, 1972; ID., Parlare di Dio a partire dalla sofferenza dell’innocente. Una riflessione sul libro di Giobbe, Brescia, 1986. Oltre i testi citati un valido contributo si può trovare sui quotidiani e, soprattutto, sulle riviste specializzate, che qui, per esiguità di spazio, non vengono citate.

13) T. LOBSANG RAMPA, Il terzo occhio. Milano, 1958. Il libro è utile

tiche, com’è ovvio, non bastano, perché la reincarnazione ha bisogno di un’altra componente non meno importante, costituita dal tempo. L’analisi del tempo, così com’è stata affrontata da Agostino (14), non conduce a comprendere in maniera adeguata solo la reincarnazione, ma anche la resurrezione cristiana. Essa mostra, infine, che un’antropologia metatemporale e metastorica non spiega in modo debito l’impulso originario né della reincarnazione né quello della resurrezione, così come non lo spiega l’idea di un’anima eterna e immortale, alla cui fine il tempo è, per così dire, messo a tacere. Ma mentre la resurrezione pone attivamente fine al tempo nel mondo, la reincarnazione lo continua e lo prolunga in una successione ininterrotta di eventi attinenti all’anima, che sola dà senso al tempo e lo qualifica. E’ quanto hanno dedotto gli antichi ricercatori indiani prima e greci poi (15). Perché sia chiara la scia nella quale muove la presente comunicazione, è bene precisare che, in linea con quanto insegnano le diverse religioni, con quanto professato dal magistero della Chiesa e scritto nelle millenarie ricerche dell’oriente antico e moderno, oltre a credere nella creazione dell’anima da parte di Dio, nella sua immortalità e nel godimento eterno alla fine del suo cammino sulla terra, si afferma, con il V Concilio Lateranense (16), anche la sua individualità, già atte-

per una buona, anche se sommaria, conoscenza della formazione spirituale d’un lama tibetano. E’ consigliabile soprattutto per i primi approcci con la meditazione, che oggi, purtroppo, è completamente trascurata. Utile anche A. GIDDENS, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Milano, 1983.

14) J.B. METZ, Reincarnazione o risurrezione? Avvio alla discussione, in “CONCILIUM” 5 (1993), pagg.14-15.

15) H. HARING. Svolta antropologica? L’influsso di Agostino, in “CONCILIUM” 5 (1993), pag. 129 SS.; S. NIKALANANDA, L’uomo alla ricerca dell’immortalità, Roma, 1989, pp. 38 – 58; K. – D. VYASA, Srimad Bhagavatam, Intr. pp. XXX – L, Padova, 1981. Utili soprattutto le ultime pagine. Per quanto riguarda Platone e la speculazione precedente e successiva sulla reincarnazione, è sufficiente consultare, anche se accusa i segni del tempo, E. RHODE, Culto delle anime e fede nell’immortalità presso i Greci, Bari, 1914. G. REALE, Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle “Dottrine non scritte “, Milano. 1987.

16) S OFFEL. L. I, Il pensiero del Concilio Lateranense V sulla dimostrabilità razionale della immortalità dell’anima, in «Studia Patavina», 1955, pagg. 3 – 17; H. D. SAFFREY, Origine ec Grece de la coyance en l’immortalité de l’ame, in «Lumiere de Vie», n. 24 (1955), PP. 11 – 32.

stata non solo nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, ma anche presso le altre civiltà, di cui, qui di seguito, si accennerà brevemente. I padri conciliari, infatti, in un periodo in cui fervevano sull’argomento le ricerche più stimolanti, in linea con le direttive della grande tradizione filosofica greca e latina, così all’unanimità si esprimono: “Cum… zizaniae… seminator… nonnullos perniciosissimos errores, a fidelibus semper explosos, in agro Domini superseminare et augere sit ausus, de natura praesertim animae rationalis, quod videlicet mortalis sit, aut unica in cunctis hominibus, et nonnulli temere philosophantes, secundum saltem philosophiam verum id asseverent: contra huiusmodi pestem opportuna remedia adhibere cupientes, hoc sacro approbante Concilio, damnamus et reprobamus omnes asserentes animam intel-lectivam mortalem esse aut unicam in cunctis hominibus et haec in dubium vertentes, cum illa non solum vere per se et essentialiter humani corporis forma exsistat” (17). Quanto testé riferito trova conferma nel libro della Sapienza, là dove si legge espressamente: “Malefici haec cogitaverunt et erraverunt; excaecavit enim illos malitia eorum, et nescierunt sacramenta Dei neque mercedem speraverunt sanctitatis nec iudicaverunt honorem animarum immaculatarum. Quoniam Deus creavit hominem in incorruptibilitate et imaginem similitudinis suae fecit illum… iustorum autem animae in manu Dei sunt, et non tanget illos tormentum mortis” (18).

17) H. DrNsINGER – A. SCHONMETZER, Enchiridion symbolorum Definitionum et declarationum de rebus (idei et morum, Romae, 1967, pagg. 353 – 354, n° 738: «II demonio ha sempre cercato di seminare e far prosperare nel popolo di Dio errori, che i fedeli hanno sempre energicamente combattuto. soprattutto sulla natura dell’anima intellettiva, dicendo cioè che essa è mortale o che è unica in tutti gli uomini. Non pochi, quindi, ragionano sconsideratamente e dicono d’averlo appreso dalla filosofia. Con il consenso di questo sacrosanto Concilio desideriamo prendere le distanze da questo errore: condanniamo perciò e disapproviamo il comportamento di tutti quelli che asseriscono che l’anima intellettiva è mortale o unica in tutti gli uomini: condanniamo parimenti e disapproviamo quanti mettono in dubbio che l’anima non solo esiste di per sé ma che è forma ed essenza del corpo umano.» Il riferimento è chiaramente intellegibile, se si considera quanto seguito aveva avuto, soprattutto a Roma, (‘epicureismo.. 18) Sap. “,21-23: «I malvagi non intendono il mistero di Dio, né sperano ricompensa della giustizia, né apprezzano il premio delle anime senza macchia. Dio creò l’uomo per l’immortalità, e lo fece a immagine della Sua propria natura. Le anime dei giusti sono in mano di Dio e non li toccherà torm-

    E altrove, facendo intravedere il ritorno sulla terra delle singole anime in altri corpi, così prosegue: “fusti visi sunt oculis insipientium mori, et aestimata est afflictio exìtus illorum et, quod a nobis est iter, exterminium; illi autem sunt in pace. Etenim, si coram hominibus tormenta passi sunt, spes illorum immortalitate piena est; et in paucis correpti, in multis bene deponentur, quoniam Deus temptavit eos et invenit illos dignos se. Tamquam aurum in fornace probavit illos et quasi holocausti hostiam accepit illos, et in tempore visitationis illorum fulgebunt et tamquam scintillae in harundineto discurrent; iudicabunt nationes et dominabuntur populis, et regnabit Dominus illorum in perpetuum. Qui confidunt in illo, intellegentur veritatem, et fideles in dilectione acquiescent illi, quoniam gratia et misericordia est sanctitas eius, et visitatio electis eius” (19). Dalla speculazione teologica posteriore si evince che l’anima, nella sua dinamica tensione, brama la vita eterna, la felicita, che realizza mediante la conoscenza di un volere e di un amore perenne e illimitato (20). Le altezze raggiunte dalla speculazione ebraica non dovevano certo essere molto differenti da quelle di altri popoli, che avevano, chi in

mento di morte». E’, in questo caso, certamente sotteso il concetto di reincarnazione: l’anima non compare davanti all’Essere supremo se non quando è perfettamente integra e pura. I malvagi prima di giungere alla purità desiderata verso l’Essere supremo devono trascorrere ancora molte vite sulla terra, perciò sono rigettati dalla Sua presenza.

19) Sap. 3, 2 – 9: «i giusti sembrarono di morire agli occhi degli stolti, e si reputò disgrazia la loro scomparsa, il loro partirsi da noi uno sfacelo; ma essi sono nella pace. Anche se al cospetto degli uomini furono percossi, la loro speranza è piena d’immortalità. E per poca pena sofferta grandi bcnefizi conseguiranno. perché Iddio li ha saggiati e li ha trovati degni di sè. Come oro nel crogiolo li ha provati e come offerta d’olocausto li ha graditi, e a suo tempo si terrà conto di loro: risplenderanno i giusti e saranno come scintille scorrenti attraverso un canneto. Giudicheranno le genti e domineranno i popoli, e regnerà su di loro il Signore in eterno. Quelli che in lui confidano intenderanno la verità e i suoi fedeli saranno con Lui nell’amore: perché il dono e la pace sono per i suoi eletti». Qui si allude a quelli che sono prossimi a entrare nella beatitudine di Dio. Questi sulla terra durante la loro ultima esistenza possono essere giudici e additare in questo modo la via giusta a quanti ancora brancolano nelle tenebre dell’errore e del peccato.

20) G. SCHOLEM, Le grandi correnti della mistica ebraica, Milano, 1965, pag. 283 ss.

un modo chi in un altro, percorso le stesse tappe e acquisito un concetto più o meno analogo sull’immortalità dell’anima e sul suo ritorno sulla Terra per completare la purificazione dalle colpe, e acquisire quelle conoscenze necessarie, indispensabili perché l’anima potesse entrare definitivamente nell’eterna beatitudine di Dio, ponendo cosi fine al ciclo della reincarnazione (21). La grande differenza, che distingue la speculazione ebraica da quella degli altri popoli, consiste nel fatto che la Bibbia e i commenti che di essa sono stati scritti nel corso dei secoli sono arrivati pressoché integri fino a noi, mentre le speculazioni di altri popoli, compresi i Greci e i Latini, sono andate completamente perdute, a eccezione di pochi frammenti e di quanto è rimasto più o meno radicato nella tradizione popolare, che, se più difficile da sradicare e distruggere, non è facile né agevole controllare nella sua originaria e genuina formulazione. Non si possono, infatti, tacere le suggestioni di colui che le recepisce, le elabora e trasmette. Se le testimonianze scritte avvalorano la tradizione orale, questa, con la sua ininterrotta e ancor rozza speculazione, lasciata per lo più nel sottobosco della cultura e nell’ombra dell’ignoranza, sopperisce come può alla mancanza di testi scritti, che, con la loro fissità e la possibilità di ulteriori approfondimenti, avrebbero aperto altre vie alla scienza e alla riflessione sulle realtà escatologiche (22). E’ ormai assodato che ad un certo punto dell’evoluzione del pensiero umano, quando la coscienza divenne autocoscienza, l’individuo si pose tre domande:

Chi sono?

Da dove sono venuto?

Dove sto andando?

    Accanto alla credenza nell’immortalità dell’anima, sorse la negazione di essa e l’indifferenza, o agnosticismo, vecchi quanto il pensiero umano. In una delle Upanishad, che costituiscono la parte filosofica dei Veda e che contengono la più antica speculazione filosofica indo-ariana, si dichiara che l’universo tangibile era, in principio non esistente e che i nomi e le forme ebbero origine dalla non—esistenza. Non mancano tuttavia scuole filosofiche, le quali, riconoscendo la priorità della percezione sensoriale come unica prova valida per conoscere la realtà,

21) G. SCHOLEM, op. cit., p. 407. Interessante, però, leggere tutto il capitolo, in cui si trovano interessanti discussioni sul concetto della reincarnazione presso gli Ebrei.

22) P. VULLIAUD, La fin da monde, Paris 1952. S. LYONNET, La valeur soteriologique de la résurrection, in «Gregonanum» 2 (1958), pp. 295 -318. E. HUGUENEY, Résurreetion et identité corporelle selon les philosophies de l’individuation, in «Revue des sciences phil. et theol.» 23 (1934). pp. 94 — 106.

negano l’esistenza sia dell’Anima che dell’Essere. Per cui in una Upanishad il discepolo chiede al maestro: “Esiste questo ben noto dubbio intorno all’uomo dopo la sua morte: alcuni dicono che continua a esistere, altri sostengono che non esiste più” (23). D’altra parte, la credenza nella continuazione della vita dopo la morte è ampiamente attestata, forse anche più dell’incredulità o del dubbio, perché è serbata nel cuore dalle persone comuni, da filosofi, da pensatori, da mistici. In un testo indiano dei Veda la morte è considerata come parte inevitabile del caos, qualcosa da evitare il più a lungo possibile. Parlando del Creatore, il poeta dice: “Liberami dalla morte e non dall’immortalità” (24). Del resto anche nella liturgia dei defunti leggiamo: “Libera me, Domine, de morte aeterna” (25). Nel brano, per immortalità gli antichi saggi avvertivano chiaramente l’eternità in senso letterale del termine, espressa, nella sua incommensurabile lunghezza, con il numero cento, che, insieme al numero mille, all’epoca, nella fantasia ancora vergine dell’uomo, dovevano certamente essere sinonimo d’infinito (26). Queste sono state le conquiste degli antichi Brahmini indiani, che, almeno in questo campo con le loro ricerche erano, già alla fine del II millennio a. C., di gran lunga più avanti della nostra società tecnologicamente progredita. Lungi dall’esaminare tutti i popoli di cui abbiamo conoscenza più o meno diretta dalla storia, dalle ricerche archeologiche e antropologiche, limito il discorso ai popoli gravitanti sul bacino Mediterraneo, cercando di spingere lo sguardo più indietro possibile, per ricavare da un’analisi serena e obiettiva, alla luce dei testi e della tradizione, le idee portanti sulle quali essi hanno incentrato la loro ricerca e dalle quali hanno preso l’avvio per volgere lo sguardo sulla realtà dell’anima, della morte e del nuovo ritorno con la reincarnazione o con la resurrezione (27).

23) S. NIKHILANANDA, op. Cit., p. 9. Ivi è anche la cit. di Katha Up., I, l, 20.

24) Rig. Veda 10. 121. 2.

25) «liberami. Signore. dalla morte eterna»

26) W. DONIGER La reincarnazione nell’induismo, in «Concilium» 4 (1993), pp. 16-31. Su questo argomento la ricerca ancora non ha indagato con la dovuta attenzione. Per una seppure incompleta informazione ancora utile è l’articolo di P. GRELOT, Numeri. Simbolismo dei., in «Encicl. della Bibbia», Torino, 1971, s. v.

27) H. TULL, The Vedic Origin of Karma, New York 1989. W. D. O’- FI.AHERTY, Textual Sources for the Study of Hinduism, Chicago, 1990.

    A questo punto, per inciso, mi sia permesso di ricordare che nel mondo antico lo scambio delle idee e della cultura, delle tradizioni e delle credenze, contrariamente a quanto siamo abituati a credere e pensare oggi, era molto sentito e frequente, per cui il ricercatore, lo studioso e il curioso si metteva in viaggio e raggiungeva quei popoli di cui voleva conoscere storia, tradizioni, costumi e religione. Erodoto, Ecateo, Senofonte e i magi ne sono un esempio inconfutabile. Non credo sia un paradosso affermare che allora le idee circolavano come oggi e, forse, più di oggi (28). Ed è doloroso ricordare che i testi prodotti sull’argomento della reincarnazione, dall’introduzione della scrittura al V secolo d. C., siano andati tutti pressoché perduti, al di fuori di pochi e insignificanti frammenti, che sono una spia interessante per ricostruire il travagliato cammino di una ricerca tutt’altro che conclusa. Questi testi, però, nonostante l’estrema frammentarietà, sono tutt’altro che muti ad una lettura attenta e appassionata, soprattutto da parte di chi, davanti al comportamento anodino d’una società edonistica e obbediente ciecamente sia ad un dettato di pretto stampo materialistico sia a quello, spesso più deleterio, della religione, resta immoto o passivo, badando solo ad un utile estremamente labile e sfuggente.

    Ma proprio per questo, oggi, sfidando incomprensioni e ridicolaggini, torniamo con tutta umiltà a riflettere su un tema che, pur in uno stato latente, attanaglia più o meno palesemente le menti di quanti cercano una risposta esauriente ed assicurante su una realtà escatologica non sempre bene esposta e diffusa. La nostra ricerca tuttavia, lungi dall’essere polemica o in rottura con una cultura ormai radicata in larghi strati della società, vuole essere un invito ad un’indagine parallela, che non contraddice né polemizza con quanto ufficialmente insegnato

28) Gli uomini di cultura nel mondo antico non restavano fissi, se non in casi del tutto eccezionali nelle loro città d’origine. Oltre ai personaggi menzionati, è interessante notare che Eschilo si recò a Gela, in Sicilia, dove morì; Euripide, come si apprende dai biografi antichi, trascorse gli ultimi anni della sua vita presso la corte di Archelao, in Macedonia. Teocrito, nato a Siracusa. viaggiò moltissimo, tanto che si credeva fino a non molto tempo fa che fosse nativo nell’isola di Cos, di cui parla nelle Talisie. Ciò avveniva soprattutto perché non sí era affermata ancora la cultura del libro. I primi storici greci, come si apprende dalla tradizione, sono curiosi viaggiatori, che, al ritorno, cercano di tramandare ai posteri su quanto hanno visto e udito. Era questa. allora, una forma di cultura, che ha dato inaspettati frutti, soprattutto alla speculazione e alla maturazione delle civiltà.

e dalla religione cattolica e dalle religioni orientali, perché esse, oggi più che mai, tendono a parlare all’uomo di una realtà spesso sottovalutata, se non trascurata. Di tutto, infatti, oggi si parla fuorché dell’anima, che, come se fosse una realtà estranea all’uomo, viene sistematicamente messa da parte, se non addirittura gratuitamente negata (29). Per tornare all’assunto bisogna innanzi tutto dire che tutti i popoli gravitanti sul Mediterraneo, come tutti i popoli antichi di cui abbiamo memoria, avevano precise credenze e sull’immortalità dell’anima e sul suo destino dopo la separazione dal corpo. Basti considerare la religione egiziana e quanto ci tramandano i poemi omerici, che trasmettono in maniera inconfutabile la credenza radicata d’una vita oltremondana, per la quale l’uomo doveva condurre un’esistenza conforme ad alcuni principi morali, cui ispirare i loro comportamenti nei riguardi della divinità e del prossimo. Tenendo presente questa realtà ultraterrena, che attende tutti gli uomini, sono state costruite le piramidi e si sono conservati accanto al defunto i rituali e le invocazioni, che costituiscono il Libro dei Morti. Data la complessità di questo libro, di non facile interpretazione, è azzardato affermare che gli Egiziani avessero precise credenze sulla reincarnazione; ma, stando alle linee generali del Libro, non è escluso del tutto che essi non si fossero posto il problema della reincarnazione, se cercavano in tutti i modi, mediante l’imbalsamazione e le lussuose sepolture, di trattenere l’anima del morto più a lungo possibile sulla terra, accanto al suo corpo, in cui sapevano e speravano che sarebbe ritornata (30). Alla sicurezza dell’eternità dell’anima, per l’Egiziano, doveva corrispondere e affiancarsi, per così dire, anche l’immortalità del corpo, che, mediante gli astrusi

29) M AUGE, Pouvoir de vie, pouvoir de mort, Paris, 1977. 3. RATZINGER, ,, Assisi, 1979. Un indizio di questo nuovo modo di pensare, soprattutto tra i giovani, è riscontrabile nell’adesione incondizionata alla teologia della “morte di Dio”. Davanti a nessun valore, se non quello effimero del denaro e della ricerca dei piaceri, non possono, di conseguenza ammettere neppure l’esistenza dell’anima, di cui, oggi, nessuno più parla. Non riuscendo a spiegare, mediante la fede in qualche valore, il perché dell’esistenza e della loro funzione sulla terra, cercano di annichilire se stessi con i mezzi più squallidi. Hanno decretato, così, la loro morte.

30) E. OTTO Beitraege zur Geschichte Stierkulius in Aegypten, Lipsia 1938. La costruzione delle piramidi oltre ad evidenziare e perpetuare nei secoli l’immenso potere dei Faraoni, avevano il precipuo compito di preservare il corpo dalla violazione e dalla corruzione, per la felicità del defunto sia immediata sia futura.

procedimenti dell’imbalsamazione, cercavano di preservare dalla corruzione (31). Come in vita cosi in morte l’una non può stare senza l’altro: gli Egiziani, infatti, già molto tempo prima dei Greci, avevano ben compreso che l’uomo è un’unità inscindibile composto di anima e di corpo. Perché il riposo eterno del defunto non fosse turbato dai ladri e sconvolta la serenità del soggiorno nell’Aldilà, gli Egiziani si premurarono di costruirsi tombe impenetrabili. Altro significato, non meno importante del primo, è che gli Egiziani si auguravano che il defunto, chiuso nella massiccia mole del sepolcro non tornasse tra i vivi, invidioso e corrivo della vita lasciata sulla terra. E’ questo il motivo per cui si cominciò a porre sui tumuli la pietra sepolcrale, costruire tombe sempre più solide e cingere, successivamente, di mura i cimiteri.

    Nei popoli del Medio Oriente, invece, dopo le sensazionali scoperte archeologiche di questo secolo, è possibile avere conoscenze più concrete solo sull’immortalità dell’anima e del corpo, che, secondo una rivelazione primitiva, comune anche alla Bibbia, era incorruttibile al pari dell’anima. L’immortalità del corpo, come apprendiamo dalla lettura del poema di Gilgamesh, è stata perduta in seguito al peccato e al male commesso dall’uomo. Dio, adiratosi con l’uomo per la sua condotta indegna, nascose l’erba dell’immortalità in fondo al mare. L’eroe la pesca; ma, prima di poterla mangiare e riconquistare, cosi, l’immortalità perduta, l’erba viene divorata dal serpente, che diviene, in questo modo, immortale, al pari di Dio. E’ spiegata in questo modo l’ofiolatria, che tanta parte aveva nei culti orientali. Nelle prime pagine della Bibbia è il serpente a mettere alla prova e a far cadere nel peccato i nostri progenitori. Nella Bibbia, però, il serpente non è, al contrario di quanto si credeva nel Medio Oriente e, soprattutto a Babilonia, un dio, ma una creatura di Dio, come tutte le altre (32). Il poema di Gilgamesh, infatti, da cui tanti spunti ha attinto l’autore sacro, almeno nelle redazioni giunte fino a noi, non accenna apertamente alla credenza nella reincarnazione, anche se non la esclude. Essa, infatti, potrebbe essere sottintesa alla promessa della venuta del liberatore, di colui che ridona all’uomo l’immortalità perduta.

31) G. E. SMITH – W. R. DAWSON Egyptian Mummies. New York, 1924; E. A. VALLIS BUDGE, The Mummy, Cambridge, 1925: H. BONNET, Reallexicon der.Aeg. Religiongeschichte, Berlino, 1952, pagg. 479 – 487.

32) A. ROLLA Il messaggio della salvezza. Antico testamento dalle origini all’esilio. Torino 1968. pp. 105 – 128.

    A questo punto, però, è doveroso richiamare l’attenzione sulla tradizione orale, che, trasmessa di generazione in generazione, ha costituito, e costituisce tuttora, un patrimonio di cui non si può fare a meno per uno studio obiettivo del problema. E’ proprio la tradizione orale che permette a uno studioso serio e attento di cogliere gli aspetti più segreti e salutari di credenze che hanno sorretto la fede di tante generazioni. Anche se manca di organicità, di approfondimenti teologici e filosofici e di scritti, la tradizione orale ha sorretto e sorregge, come una realtà di cui nessuno ormai dubita, la fede di molte popolazioni. La Bibbia, del resto, accanto alla rivelazione e ad una forma ancora primitiva e incerta di speculazione teologica, registra anche le credenze del popolo, che, proprio in base ad una rivelazione primitiva, credeva nella reincarnazione. Cristo stesso, secondo gli Ebrei, doveva essere la reincarnazione di un grosso personaggio del passato. I Vangeli, a riguardo, non lasciano ombra di dubbio. Del resto Cristo stesso, più volte nei vangeli, promette di ritornare per giudicare i vivi e i morti. Nel Liber Antiquitatum Biblicarum dello Pseudo—Filone, in perfetta armonia con non pochi passi poetici e sapienziali della Bibbia, accanto ad una certezza crescente nella resurrezione, si legge: “I corpi del popolo disobbediente saranno annientati, le anime, invece, saranno racchiuse in oscuri ricettacoli. Le anime dei giusti saranno conservate fino alla fine del tempo” (33). Fuor di metafora, e in linea con quanto afferma ripetutamente Platone, il cui influsso non può essere certamente messo in discussione, gli oscuri ricettacoli, qhsauroi/, altro non sono se non i successivi corpi, nei quali l’anima, con la reincarnazione, ritornerà. Questa lettura è avvalorata dal seguente apoftegma, su cui, forse, per il passato non si è riflettuto abbastanza: “Vivificabo mortuos et erigam dormientes de terra” (34). Da quanto qui di seguito riferito non è peregrino pensare che, trascorso un determinato lasso di tempo, le anime rivestano il corpo che, con la morte, hanno lasciato: “Et terra reddit qui in ea dormiunt et pulvis qui in eo silenzio habitant, et promptuarìa reddent quae eis commendatae sunt animae” (35)

33) PSEUDO — FILONE, Liber Antiquataturn Biblicarum, Parigi, 1969, 15, 5.

34) Ps. FILONE op. cit, 3.10: «farò risuscitare i morti e solleverò i dormienti dalla terra».

35) E la terra restituirà coloro che in essa dormono, e la polvere coloro che in essa abitano nel silenzio. e i ricettacoli restituiranno le anime che sono state loro affidate» (7, 26 – 44). La citazione è tratta dal IV libro di Ezra. det-

    Semmai qui ci si pone l’interrogativo: “Dove si trova l’anima prima della reincarnazione e come questa deve essere immaginata?” (36).

    Mettendo da parte, almeno per il momento, il discorso sulla Bibbia e sugli Apocrifi, che ci porterebbero lontano ed esigerebbero non un semplice accenno, ma una trattazione, sotto molti aspetti, più completa e approfondita, è bene concentrare l’attenzione sul mondo greco — romano, di cui, sulla reincarnazione, ben poco ci è rimasto e ancor meno si è fatto per recuperare quanto ci è giunto sia mediante la tradizione scritta sia mediante la tradizione orale, che in molti casi, acquista un valore maggiore di quella scritta (37). La tradizione orale, com’è naturale soprattutto in casi come questi, acquista un valore che fino a non molto tempo fa è stato completamente trascurato, anche in altre discipline. Il suo recupero ha permesso di scoprire realtà insperate e di grande interesse, soprattutto antropologico.

    Analizzando i reperti della civiltà cretese ed egea, prima dell’avvento di popoli indo-europei, possiamo dedurre con sufficiente certezza solo la credenza nell’immortalità dell’anima. Che credessero, poi, anche nella reincarnazione si può dedurre grazie ai fecondi contatti che intrattenevano con le civiltà rivierasche del Vicino Oriente e soprattutto con quella egiziana e fenicia, nelle quali tale credenza era una realtà (38).

    Tracce sicure sulla credenza nell’immortalità dell’anima sono chiaramente testimoniate in Omero: prima di partire dall’isola di Circe, Odisseo deve recarsi nell’Ade e consultare l’anima dell’indovino Tiresia. Il tutto, nell’accorata narrazione di Odisseo (39), ha un assetto an-

to anche Apocalisse di Ezra in Apocrifi dell’Antico Testamento, Torino, 1989. G.W. NIKELSBURG, Resurrection Immortality and Eternal Life in Intertestamental Judaism, London, 1972. G. STEMBERGER Der Lieb der Aufer-stehung, Roma, 1972.

36) G STEMBERGER, op cit.. p. 78

37) E. CIACERI, Il mondo romano, Firenze, 1939. pp. 23 ss. Nel lavoro del grande storico e filologo si possono cogliere i tratti caratteristici di un’ inveterata tradizione che dà sempre vita nuova alla comunità, facendo notare come nei diversi momenti della vita pubblica e privata la tradizione alimenta il presente e pone le basi per il futuro. Utile, a riguardo anche R. PETTAZZONI, Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari, 1924.

38) U. PESTALOZZA, Pagine di religione mediterranea. II, Milano, 1945 39) HOM., Od. IX. Omero, come tutti i poeti dell’antichità. mostra chiaramente di credere nell’Ade, il luogo dove si recano le anime dei morti. La

cora primitivo. Oltre alla credenza nell’immortalità dell’anima, di cui allora nessuno più dubitava, si era già stabilizzata la convinzione che le anime degli uomini, una volta lasciato il corpo, loro dimora terrena, si raccoglievano in un luogo lontano, nel favoloso paese dei Cimmeri, dove una notte eterna, appena rischiarata da una luce soffusa, avvolgeva le anime dei morti. Le ipotesi sulla regione abitata dai Cimmeri sono tante, ma qui, solo per un fugace accenno, mi sia lecito ripercorrere la via dell’ambra, che dalle estreme regioni settentrionali portava al bacino mediterraneo. Gli antichi viaggiatori, giunti nei paesi scandinavi e inoltratisi nelle regioni molto vicine al polo, hanno certamente assistito a quel fenomeno, oggi comunemente noto come il sole di mezzanotte. I tempi di spostamento erano lunghi e difficili le comunicazioni. Non a caso Odisseo parte da un’isola e, messosi nell’oceano, giunge in un paese dove regna la notte eterna (40). Queste esperienze, maturate prima che i popoli indoeuropei si riversassero in Grecia, il poeta ha sapientemente raccolto intorno alla mitica figura di Odisseo, che, in preda alla nostalgia per la patria lontana, si reca a consultare l’anima del tebano Tiresia, il mitico indovino dell’antichità. Il brano, comunque, si presta a letture su diversi piani: oltre alla credenza di un’anima immortale, diffusa era, soprattutto nel Vicino Oriente, la pratica della divinazione, dell’evocazione delle anime dei trapassati (41). Accenni espliciti, a riguardo, si trovano anche nella Bibbia (42), che del Medio Oriente è il documento più completo e dettagliato che l’an-

sua testimonianza induce a credere che ci fosse in tutto il mondo greco una credenza diffusa dell’immortalità dell’anima. Interessante, a riguardo l’esperienza di Odisseo. che va ad incontrarle, certo della loro sopravvivenza. Interessanti, a riguardo, non poche osservazioni contenute in G. FELL, Milano, 1921.

40) Questa ipotesi di lavoro viene qui per la prima volta formulata, in base a studi personalmente condotti sia sull’Odissea sia sugli spostamenti nel mondo antico. Certo è che l’ambra è giunta in Grecia molto per tempo; e, seguendo la via dell’ambra, certamente i popoli del Mediterraneo sono giunti nelle estreme regioni settentrionali. da dove hanno attinto quelle esperienze che precipiteranno, in seguito, nel viaggio di Odisseo nell’oltretomba.

41) Oltre ad Od., IX la pratica della divinazione era molto praticata nel mondo antico. A. BOUCHE’ — LECLERCO, Histoire de la Divination dans l’antiquité (4 voll.), Parigi, 1879 — 82.

42) Deut. 18. 9-14; Lev 19.31; Lev 20, 6; I Sam 28.3-7: 2Re 1, 2-4. M. J. LAGRANGE, Études sur les religione sémitiques, Paris, 1905: A. BOISSIER Mantique bebylonienne et antique hittite, Parigi, 1935.

tichità ci abbia lasciato. E’ ovvio che tra i popoli del vicino oriente e gli antichi popoli che abitavano il bacino orientale del Mediterraneo non c’è iato alcuno, ma fecondi rapporti culturali, che, debitamente filtrati e assimilati, in seguito daranno vita alla grandiosa civiltà greca. Non bisogna, inoltre, dimenticare che Tebe, secondo la mitologia, fu fondata da Cadmo, un uomo venuto dalla Fenicia. E la Fenicia, come sappiamo, aveva strettissimi legami con la città di Babilonia, dove il culto dell’astronomia e delle pratiche magiche avevano un ruolo di primaria importanza. Anche nella religione. Babilonesi e Fenici avevano dei in comune (43). E’ sufficiente ricordare il culto di Ba’al, che poi passerà in Grecia con aspetti e connotati diversi.

    Nel racconto di Odisseo, tuttavia, accanto a elementi molto antichi, si possono già intravedere influssi dei popoli indo-europei, che intorno al secondo millennio a. C., cominciavano ad affacciarsi sul bacino mediterraneo. Accanto ai culti ctonii cominciano a far capolino i culti solari, che danno all’uomo un’altra dimensione e della sua vita terrena e soprattutto di quella ultraterrena (44).

    A questo punto, per inquadrare nella giusta luce il sorgere e la diffusione della credenza o, meglio, della certezza nella reincarnazione, è necessario operare una sottile distinzione tra divinità ctonie, indigene, e divinità solari, portate dai popoli provenienti dalle steppe dell’Asia. Le prime indagini sulla reincarnazione, com’è naturale, almeno per i popoli occidentali, è strettamente connessa con il culto delle divinità solari. Anche il Dio degli Ebrei nel libro della Genesi, nei tempi più remoti, sembra una divinità più ctonia che solare. Quando, però, con l’invasione di quei popoli, gli Hyksos, che li sospinsero in Egitto a contatto con gli Egiziani, che avevano culti solari, anche gli Ebrei fecero del loro un Dio della luce (45). Il roveto ardente, molto più recente, almeno come tradizione, della visione di Elia sull’Oreb (46), è un segnale caratteristico di primaria importanza per comprendere questo passaggio, che costituisce un elemento fondamentale per quei ne-

43) P. LAGRANGE, Études sur les Religion sémitique, Parigi, 1945.

44) A.B. COOK, Zeus. A study in Ancient Religion, 1. Cambridge, 1914; U. PESTALOZZA, Pagine di religione mediterranea. I, Milano, 1945.

45) Esemplare a riguardo l’episodio del roveto ardente sul Sinai. Tutte le teofanie precedenti non sono così nette e, come questa, contaminate da elementi estranei. Evidente l’accostamento con Zeus, il dyaus indoeuropeo, divinità della luce. Cfr. Es 3,2 ss. 46) I Re 19,9 ss.

cessari collegamenti, che nel mondo antico erano molto più frequenti e fecondi di quanto si possa oggi immaginare. E’ in questo periodo che tra gli Ebrei viene introdotta anche la credenza nella reincarnazione (47). In tempi più recenti diversi personaggi famosi dell’antichità dovevano precedere la venuta del Figlio di Dio, del Messia.

    In Grecia, invece, e nei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, l’idea della reincarnazione prende piede con l’arrivo degli indoeuropei e l’introduzione delle nuove divinità. E’ evidente che una società dominata da divinità ctonie esempli la vita umana e ultraterrena su quella delle divinità in cui crede. I culti delle divinità ctonie, come è noto, sono scanditi dal succedersi delle stagioni, dal raccolto e dalla semina, i massimi momenti della vita agricola d’una società ormai sedentaria e gli dei da teriomorfi (48) diventano antropomorfi e, in una fase successiva, col progredire della speculazione, puri spiriti. A questi momenti è esemplata la nascita, la vita e persino la morte, la quale viene considerata un passaggio obbligato dallo stato terreno e contingente a quello sotto forma di ombra nell’Ade o nello She’ol, un luogo indefinibile avvolto dalle tenebre (49). Ciò perché l’uomo si convince sempre di più d’avere in sé una componente immortale, non soggetta alla corruzione. Non è assolutamente strano se ancor oggi il popolo crede che l’Inferno sia sotto terra, nel buio. Il buio, infatti, come entità fisica opposta della luce, è il luogo dove l’uomo si trova prima di nascere. Non a caso, attraverso la tradizione antica, ancora oggi, la nascita è indicata come venuta alla luce. L’alvus, il grembo materno, non differisce assolutamente dall’umida zolla dell’humus, dove il chicco di grano germoglia. Sotto umide zolle, alla fine della vita, l’uomo, ormai cadavere, viene adagiato, come nel grembo della madre.

    Nell’affidare il defunto alla terra un’antica preghiera indiana dice: “Apriti, o terra; non lo schiacciare. Sii per lui accogliente, perché possa entrare in te e nascondersi. Avvolgilo, o terra, come una madre av-

47) Questa credenza si può ricavare anche dalla promessa del redentore, subito dopo il peccato originale. L. DURR, Die Wertung des lebens im Alten Test., Munchen, 1926.

48) A nessuno sfugge che anche presso i Greci Atena era la glaucopide, Giunone la Boopide e la trasformazione di Giove in toro quando rapisce Europa. I punti di contatto con Ba’al non mancano.

49) C. SPICQ, La Révelation de l’Enfer dans la Sainte Ecriture, Parigi, 1944.

volge il figlio nel grembo della sua veste” (50). Non si può, a questo punto, non ricordare i versi finali dell’epigramma, che Marziale scrisse per Erotion, una bimba di sei anni: “mollia non rigidus caespes tegat ossa nec illi, terra gravis fueris: non fuit illa tibi” (51). L’epigrafia greca e latina offrono una ricca messe di iscrizioni, nelle quali il vivo augura al defunto sit tibi terra levis (52).

    In questo particolare contesto il ciclo della vita umana viene esemplato su quello della natura, di cui l’uomo si sente parte integrante. Non a caso nelle religioni primitive la madre terra era rappresentata da divinità femminili con cosce, seni e glutei sproporzionati. La fecondità della terra è quella della donna e viceversa. Non è fuori luogo richiamare alla mente il significato primigenio del nome Roma (53), collegato a ruminante, usato ancora oggi. Del resto le due cime del Campidoglio agli occhi del primitivo altro non erano se non la rappresentazione plastica del seno d’una donna sdraiata, alle cui radici sgor-

50) Rig Veda 10.18.10-11.

51) MART, v, 34 «Non dura zolla ricopra le sue tenere ossa: non essere, terra, pesante per lei: ella non lo fu per te».

52) «La terra ti sia leggera». Era, questa, una formula augurale non dissimile dall’apoftegma cristiano “riposi in pace”. Tracce di quest’antica usanza si conservano ancora oggi in molte popolazioni: nel momento della sepoltura, quando ormai la bara è adagiata nella fossa, i parenti più intimi lasciano cadere un pugno di terra sulla bara e mormorano la preghiera “eterno riposo”. Tale costumanza si riscontra ancora in Russia, come si legge in. B. PASTERNAK, Il Dottor Zivago. Milano, 1974. p. 11.

53) Sull’origine e significato di Roma sono state avanzate tante ipotesi da parte di valenti studiosi; ma nessuna, a mio parere, soddisfa pienamente. Bisogna innanzitutto dire che il nome Roma non è né etrusco né greco, ma ultimo residuo, abbastanza consistente di toponimi, di quei popoli, detti mediterranei, che abitavano il luogo prima della venuta degli Indoeuropei. Il suo significato va direttamente collegato con rama che significa nutrire. Nel dialetto di Pago Veiano, in prov. di Benevento, per chiamare gli operai a tavola, fino a non molti anni fa, si usava l’espressione “a rumé”. Del resto la radice si trova anche in ruminante. Da scartare, quindi, l’ipotesi di E. Ciaceri, op. cit., p. 19, dove si legge: «In verità, Roma trasse origine e nome da una schiatta, la gens Romilia, che, con a capo Romolo, dalla parte destra del Tevere passando sulla sinistra, si stanziò sul Palatino, formando una borgata». Idee più chiare e vicine agli ultimi sviluppi della ricerca si leggono in R. BLOCH, Le origini di Roma, Roma, 1978, pp. i — 45. L’Autore, mediante la mitologia comparata, stabilisce stretti rapporti con altre popolazioni indoeuropee da punto di vista storico — culturale molto interessanti.

gava l’acqua e si estendevano pascoli ubertosi, il necessario per la vita della comunità. Di qui la dea Roma, in onore della quale Adriano costruì un sontuoso tempio, di fronte al Colosseo.

    Ma l’uomo, come tutti gli animali e i vegetali, concluso il suo ciclo vitale, ritorna alla terra, da cui è venuto. La creazione di Adamo, a riguardo, è paradigmatica (54). Con la morte mentre il corpo diventa terra e l’anima, non potendo morire perché spirituale, viene relegata in un luogo indefinibile, sotto terra, dove trascorre una grama esistenza, come apprendiamo dalle accorate parole, che Omero nell’XI libro dell’Odissea mette in bocca ad Achille. Era, questa, prima dell’arrivo degli indoeuropei, una credenza assodata per i popoli del bacino mediterraneo, che, in netta corrispondenza con le caratteristiche delle divinità ctonie, le prime a essere venerate, all’immobilità e alla staticità della morte facevano necessariamente seguire anche quella, più triste e duratura, dell’anima, relegata nell’Ade She’ol. In questo luogo indefinito, come apprendiamo dall’Odissea, le anime vivevano un’esistenza grigia, fatta di rimpianti per quanto avevano lasciato sulla Terra. Non molto diversa dai Greci era la concezione dei popoli semitici e orientali in genere.

    Con l’avvento d’una nuova realtà sociale e politica e, soprattutto, con l’introduzione dei nuovi culti solari, anche le concezioni sull’anima mutano notevolmente: alla staticità subentra l’aspetto dinamico e alla concezione d’una tenebra eterna nell’animo subentra a poco a poco consapevolezza dell’aspetto dinamico e luminoso. L’anima, in quanto entità immortale non è più relegata in un luogo anodino e asfittico, avvolto dalle tenebre, lontano da ogni contatto con le realtà transigenti, ma viene considerata e inserita nell’ambito d’un universo più vasto, dove la ciclicità assume un aspetto determinante. Nasce e si afferma in strati sempre più vasti l’idea e la concezione che l’anima, oltre a non morire, ripete il ciclo vitale in altri corpi, quando e dove vuole, a somiglianza d’un chicco dì grano che, marcendo, si rigenera, e senza una legge precisa che ne regoli il ritorno. L’aspetto dinamico prende il sopravvento sulla concezione statica e dopo la morte l’anima

54) A. ROLLA, op. cit., pp. 89 — 108. In ebraico il termine tecnico yasar, attività prerogativa del vasaio, che con le mani plasma un oggetto con l’argilla. Anche il greco, per indicare la creazione degli uomini da parte di Zeus, usa, non a caso, il verbo pla/zw, che significa modellare l’argilla con le mani. La favolistica greca, infatti, inizia sempre Zeu/j plasa/j a) nqrw/pouj. Verità assoluta, da cui non ci si discosta.

non si dirige, fra lamenti e rimpianti, in un luogo preciso; ma assumendo sembianze luminose s’identifica con la luce delle sue divinità e vaga in un universo senza fine in attesa di ripetere, con una nuova incarnazione, le esperienze e la purificazione, che non ha potuto maturare durante la precedente esistenza (55). Dovendo integrarsi con la santità suprema di Dio, mediante le successive reincarnazioni, l’anima depone di volta in volta le scorie che le impediscono di unirsi per sempre alla fonte della sua vita e al fine della sua esistenza (56). Nella Grecia classica, almeno da quanto si legge negli sparuti frustuli di prosa e di poesia, non sembra che si possano rintracciare echi di reincarnazione almeno fino all’epoca di Pitagora, che, secondo le concordi testimonianze degli antichi, è stato il primo a introdurre in Occidente la discussione e la ricerca sulla reincarnazione. A questo punto è doveroso richiamare l’attenzione sul fatto che tanto i poeti quanto gli storici non ci fanno conoscere la multiforme problematica e la crescente attenzione sui più disparati argomenti della cultura di quei popoli di cui si sentono parte integrante. E’ da aggiungere, ancora, che non pochi storici e poeti erano per lo più agnostici, per cui hanno preferito non parlare del destino dell’anima, ritenuto un argomento prettamente popolare. E’ ben noto, del resto, il contesto socio—culturale e politico della lirica greca (57).

    E’ comunque vero che Pitagora viaggiò moltissimo in quelle regioni dell’Oriente, nelle quali la credenza nella reincarnazione non solo era molto diffusa, ma aveva trovato speculatori così acuti, le cui idee, nonostante sia passato tanto tempo, si possono leggere e meditare con profitto anche ai nostri giorni. Al ritorno dai lunghi e proficui viaggi, Pitagora cominciò ad insegnare quanto aveva appreso incontrò, soprattutto nell’Italia meridionale, accoglienza e successo. Platone, circa due secoli dopo, non esitò a riprenderne i concetti e a svilupparli in opere di largo respiro. Pitagora, probabilmente influenzato dall’insegnamento degli antichi Indiani, e in armonia con le credenze del Vicino Oriente, ebbe una concezione hybristica (58) della divinità, sí. che

55) G.F. MOORE, Metempsychosis, New York 1921. C. de HENSELER, Lume et le dogme de la transmigration dans le livres de l’Inde, Paris, 1928.

56) C.J. BLEEKER, Anthropologie religeuse, Leida, 1955.

57) C. M. BOWRA. La lirica greca da Alcmnane a Simonide, Firenze, 1973.

58) Per rendersi conto di questo aspetto della divinità, non sempre messo debitamente in luce dagli studiosi, basta leggere l’opera dì Erodoto e riflette-

a ogni mancanza faceva necessariamente corrispondere una punizione. Nel mondo greco, infatti, Dio è giudice, e giudice severo, come del resto, è il Dio dell’Antico Testamento. L’idea e il concetto di Dio come padre amorevole verso i suoi figli, sebbene si trovi in numerosi brani veterotestamentari, è stato messo in risalto soprattutto da Cristo e dalla predicazione apostolica. Le varie mitologie sono piene di esempi: Prometeo, Sisifo, Tantalo, il ricco Epulone, solo per citarne alcuni, sono eloquenti. Per cui al termine di questa vita, in base alle colpe commesse, alle varie hybreis più o meno gravi, l’uomo, secondo la concezione di Pitagora, ritorna sulla Terra incarnandosi ora in un uomo ora in un animale ora in un vegetale. Così insegnava una branca non secondaria dell’esperienza filosofico—religiosa indiana (59). Con queste deduzioni, diretta conseguenza del suo comportamento e della sua esperienza, l’uomo proietta nell’essere trascendente il senso di giustizia con il conseguente premio e l’inevitabile attesa della punizione. E’ lui, che, nel ritorno, con le sue azioni, migliora o peggiora la successiva reincarnazione. Nel suo insegnamento Pitagora, probabilmente ispirato e influenzato dalla ciclicità degli eventi naturali direttamente percepibili mediante l’osservazione diretta, come l’alternarsi del giorno e della notte, della luce e delle tenebre, l’avvicendarsi delle stagioni e dell’anno, il rinnovamento continuo dell’umanità con il succedersi ininterrotto di nascite e di morti, nonché dall’insegnamento di saggi orientali, che sottendevano alle loro speculazioni il numero con tutta la sua poesia, regolò la reincarnazione su complicati calcoli numerici (60), dei quali sono arrivati fino a noi solo pallidi ricordi, i cui echi,

re su alcuni gesti apotropaici, rivolti soprattutto alle divinità. Tracce di questi elementi sono presenti ancora in alcune culture popolari e si esprimono mediante gesti e atteggiamenti molto vicini a quelli degli antichi popoli che le praticavano.

59) C. de HANSLER, op. cit., passim. S. NIKHILANANDA, op. cit., pp. 59 — 79.

60) Sarebbe interessante studiare il significato che racchiude in sé la credenza che un uomo, in seguito a morte violenta, si aggira nel luogo in cui è morto, finché non finisce il suo ciclo di vita che gli era stato assegnato dal destino: oppure l’altra, secondo la quale chi ha condotto una vita malvagia deve tornare sette volte su questa Terra per scontare tutti i peccati commessi; oppure questa certezza che terrorizza tutti, secondo la quale uno morto ammazzato va via dal luogo in cui ha lasciato la vita solo quando un altro gli subentra, morto allo stesso modo. Ho ascoltato di persona testimonianze di persone al di fuori di ogni sospetto dire di aver visto l’anima del defunto aggirarsi in quei luoghi in cerca dì pace

soprattutto nel meridione dell’Italia, non sono ancora del tutto spenti. Non credo che si ignori oggi il significato e, soprattutto, la poesia che presso l’orientale aveva il numero. La Bibbia, i testi del Vicino Oriente, nonché opere letterarie greche e latine forniscono abbondanti esempi. Nei popoli primitivi, infatti, il numero aveva solo significato magico —sacrale, non aveva ancora acquistato il carattere definito e circoscritto. Basti pensare, per esempio, al significato del numero sette: i sette colli con i sette re di Roma, Tebe dalle sette porte e i sette contro Tebe, il candelabro dai sette bracci, le sette vacche grasse e le sette vacche magre, le sette meraviglie del mondo, Biancaneve e i sette nani, i sette giorni della settimana e così via. Non si può tacere il numero dodici, il quaranta e via dicendo (61). Note sono le enumerazioni, i cosiddetti cataloghi, nei poemi epici. Pitagora, come tutti i colti dell’antichità, non poté non essere suggestionato e non sentire il fascino che i numeri emanavano, dai cui rapporti stabilì per primo l’armonia dell’universo. Di qui la teoria degli anni cosmici, del ritorno ciclico basato su complicati e astrusi calcoli numerici. A ciò, ovviamente, non poteva sottrarsi quello più complesso della reincarnazione.

    Lo stretto legame tra calcolo numerico e punizione meritata dalla hybris è possibile riscontrare, ancora oggi, nell’elargizione dell’indulgenza e nella temporaneità del Purgatorio, in cui l’anima dimora più o meno a lungo a seconda delle colpe e delle preghiere dei vivi. Non credo sia peregrino citare Dante, il quale fa dire a Manfredi:

“Per ogni tempo ch’elli è stato, trenta,

in sua presunzion, se tal decreto

più corto per buon preghi non diventa.

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto

revelando alla mia buona Costanza

come m’hai visto, e anche esco divieto!

Ché qui per quei di là molto s’avanza” (62).

Del resto la culla della religione cristiana è nel Vicino Oriente, da cui ha attinto, tra i non pochi caratteri suoi peculiari, anche quello del

61) Sul simbolismo dci numeri cfr. P. GRELOT numeri. in Enciclopedia della Bibbia, cit., s. v. vol. 5. coll. 176 -178. La bibliografia, a quanto pare, è molto limitata sull’argomento. 62 Purg. III, vv. 139 -145.

rapporto puramente numerico tra hybris e felicità (63). Per Pitagora, come per la speculazione orientale, la hybris determina la vicinanza nel tempo del ritorno dell’anima sulla Terra, in un altro corpo, finché non si scolla di dosso le scorie delle passate esistenze, vissute nella dissolutezza e nella hybris più sfrenata. Il passaggio allo stato successivo, quindi, o la fine definitiva del ritorno ciclico è regolato unicamente dal comportamento che l’uomo ha durante le successive esperienze sulla Terra.

    Questa concezione, inserita nella tesi animistica e inquadrata in una concezione di più vasta portata, è facilmente spiegabile se si considera che, qualche tempo dopo, Aristotele distingue l’anima in vegetativa, sensitiva ed intellettiva. Una dimostrazione più lucida e chiara è data da Tommaso, nella Summa contra Gentes 4, 11, dove dice: “Il grado supremo della vita si ha nell’intelletto, che si piega totalmente su se stesso. Ma sono vari i gradi anche nella vita intellettiva, perché l’intelletto umano, sebbene possa conoscere se stesso, tuttavia prende dall’esterno il principio della sua cognizione, non essendo possibile intendere senza l’aiuto concreto dell’immaginazione sensibile”.

    La concezione pitagorica non rimase isolata nell’Italia meridionale, ma fu ben presto accolta anche in Grecia, dove con Platone trovò il più grande assertore: nel corso della sua speculazione, il sommo filosofo tratta più volte non solo l’immortalità dell’anima, considerata ormai un dato assodato, ma esamina a lungo anche la reincarnazione con termini inequivocabili. A Platone, come si legge nel Fedone, non dovette essere sgradito il concetto hybristico della divinità, per cui ammette decisamente che l’uomo torna sulla Terra solo per espiare le colpe commesse: cerchiamo, dunque, di comprendere quanto espressamente nette in bocca a Socrate: ” e)a\n del ge oi)=mai memiasmelnh kai\ a)ka/qartoj tou=sw/matoj a)palla/tthtai, a(/te tw?= sw/mati a)ei\ sunou=sa kai\ tou=to qerapeu/sousa kai\ e)rw=sa kai\ gohteuome/nh

63 Per rendersi conto quanto tale concetto è radicato nella mentalità cristiana, basta considerare il rapporto tra preghiera e indulgenza; leggere con una certa attenzione la Divina Commedia, che, come un manuale di teologia, spiega con esattezza quale punizione nell’Inferno il dannato merita per ogni peccato e quale posto occupa in Paradiso per il bene acquistato con la vita condotta. Era, questa, una casistica ben articolata, almeno nel Medioevo. E oggi, nonostante una certa libertà di pensiero, l’uomo non si è del tutto affrancato. Il bagaglio del pensiero antico, come un’eredità, fa sentire ancora tutto il suo peso

u(p )au)tou= u(po/ te tw=n e)piqumiw=n kail h(donw=n, w(/ste mh-de/n a)/110 dokei=n a)lhqe1j a)11 )h)t tot swmatoeide/j, ou(= tij a)\n a(/yaito kai\ i)/doi kaii pi/oi kail falgoi kait proli tal a)frodi/sia xrhl/ai-to, tot del toi=j o)/mm.asi skotw=dej kail a)ide/j, nohto\n de\ kai\ filo-sofi/a? ai(reto/n, tou=to de\ ei)gisme/nh misei=n te kai\ tre/mein kail feu/gein… a)11a\ kai\ dieilemme/nhn ge oi)=mai u(po\ tou= swmatoei-dou=j,… e)mbrielj de/ ge, w)= fi/le, tou=to oi)/esqai xrh\ ei)=nai kaiI baru\ kai\ gew=dej kait o(rato/n o(\ dh\ kai\ e)/xousa h( toiaulth yuxhl baru/netai/ te kai\ e(/Iketai pa/lin ei)j to\n o(rato\n to/pon fo/bw? tou= a)idou=j te kail a(/?dou, w)/sper le/getai, peri\ tal mnh/mata/ te kai\ tou\j talfouj kulindopume/nh, peri\ a(\ dh\ kai\ w)/fqh a)ltta yuxw=n skioeidh= fanta/smata, oi)=a pare/xontai ai(toiau=tai yuxai\ ei)/dwla, ai( mh\ kagarw=j a)poluqei=sai a)llat tou= o(ratou= mete/xousai, dio\ kai\ o(rw=ntai (64). Platone, come si evince da quanto appena letto, afferma con decisione e convinzione la reincarnazione per due motivi: e per dimostrarne la verità e per confutare quanti la negavano. Tra questi ultimi vanno annoverati soprattutto gli atomisti e gli ilozoisti, che, ritenendo l’anima composta di atomi o di materiale più leggero rispetto al corpo, insegnavano che, con la morte del corpo, cessava di vivere anche l’anima. Platone, in ogni caso, afferma a più riprese e sempre con maggiori dettagli non solo che l’anima è immortale ma anche che questa, una volta liberatasi dal corpo, a seconda del suo grado di purificazione e in base alle colpe commesse, ritorna in altri corpi per continuare

64) PLAT. Phaed., 81b d: «Facciamo ora l’ipotesi contraria. Si libera dal corpo, ma contaminata, impura. perché sempre era in compagnia del corpo: l’anima curava sempre il corpo, lo amava: subiva un continuo maligno incanto per opera di lui, delle sue passioni, dei suoi piaceri. Ella non riteneva nulla vero se non ciò che ha corporea sembianza, ciò che si può toccare, si può vedere, si può mangiare, bere, si può servirsene per il piacere d’amore; al contrario ciò che all’occhio appare tenebroso e invisibile, ma che in amoroso uso di sapienza può essere acquistato e reso intelligibile, per abitudine l’anima odia, ne ha paura e fugge via… ma per opera dell’elemento corporeo, sarà tutta spezzata e divisa; … ma tutto ciò, dobbiamo crederlo, è pesante, è terrestre, è visibile. E appunto l’anima in queste condizioni, diventa un’anima grave, un’anima che viene trascinata di nuovo giù verso il visibile luogo, perché ha timore del luogo invisibile, l’Ade, come si dice: e quest’anima s’aggira intorno ai monumenti sepolcrali. intorno alle tombe. Precisamente in questi luoghi furono visti fantasmi, a guisa d’ombre; immagini prodotte da anime non liberate ancora del visibile elemento, e che perciò si possono vedere».

quanto, in bene o in male, ha interrotto con la morte. Nel periodo che intercorre tra la morte e la successiva reincarnazione l’anima ha la sua temporanea dimora nell’Ade o nei pressi del sepolcro, in attesa di riprendere il suo cammino in un altro corpo. Il tema della purificazione e dell’a)reth/ (virtù) dovette essere molto dibattuto se echi così potenti vibrano nelle tragedie e nei dialoghi di Platone, che, a più riprese, non diversamente dagli altri filosofi, trattò l’argomento per condurre gli uomini, mediante l’eu)se/beia e l’a)rethl (pietà. e virtù), alla ka/qarsij (purificazione), mediante la quale h( yuxh\ a)/ra, to\ a)ide/j, to\ ei)j toiou = ton to/pon e(/teron oi)xo/menon gennai=on kai\ kagarotn kail a)idh=, ei)j (/Aidou w(j a)lhqw=j, para\to\n a)gaqo\n kai\ fro/nimon qeo/n (65).

    Incresciosa, quindi, è la perdita delle speculazioni, cui erano giunti gli altri filosofi, non sono arrivate ai nostri giorni né in forma diretta né in forma indiretta; e la tradizione orale, a riguardo, non può dire quasi niente, perché essa conserva solo le linee generali. E la perdita è tanto più grave quanto più avanti erano arrivati in una ricerca avvincente, proprio perché vicina a ciascuno di noi.

    Trovato terreno fertile presso i Greci, perché già diffusa nel popolo allo stato embrionale, la credenza nella reincarnazione fu ripresa e sviluppata da eminenti intelletti, quale Posidonio, Empedócle e Plotino e tutta la scuola derivata dal neoplatonismo (66), che fece sentire massicce influenze sulla teologia cristiana soprattutto con Agostino, che, con la sua potente personalità, ha esercitato subito un influsso decisivo sullo sviluppo del pensiero occidentale (67).

    Il tema della reincarnazione assume un aspetto particolare con l’avvento e l’affermarsi del Cristianesimo. Se nei Vangeli, scritti ispirati al pari dei libri del Vecchio Testamento, trapela, in modo più o meno esplicito, che gli Apostoli credevano nella reincarnazione e che Gesù non si sia adoperato, a quanto sembra, né per smentirla né per affer-

65) PLAT. Phoed., 80 d: «E l’anima. elemento invisibile, si diparte di qui per recarsi in luogo a lei conveniente; luogo nobile e puro e invisibile, la casa dell’Ade, l’invisibile invisibile, presso la divinità in cui è bontà e intelligenza».

66) E.R. DODDS, Pagani e cristiani in un’epoca di angoscia, Firenze, 1970; P. R. L. BROWN, Il mondo tardo antico. Da Marco Aurelio a Maometto, Torino 1974. 67) F. ROMANO, Studi e ricerche sul/ neoplatonismo, Napoli, 1983; N. D’ANNA, Il neoplatonismo. Significato e dottrine di un movimento spirituale, Palestrina. 1988.

marla. Bastano, per esempio, poche citazioni per rendersene conto:

1) Gesù, che si trovava nella zona di Cesarea, chiese agli Apostoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?”. Gli Apostoli risposero: “Alcuni che tu sei Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia, altri un profeta” (68). Da questa risposta è più che certa la credenza degli Apostoli nella reincarnazione; ma se si legge quanto segue, crolla tutto quanto fin qui affermato. Gesù, infatti, chiede: “E voi chi dite che io sia?”. Al che Simon Pietro disse: “Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente” (69). Gesù, allora, soggiunse: maka/rioj ei)=, Si/mwn Bariw-na=, o(/ti sa/rc kai\ ai(=ma ou)k a)peka/luye/n soi a)11 ) o( path/r mou o( e)n toi=j ou)ranoi=j (70). Nel brano di Matteo, se si considera l’ambito in cui il Vangelo fu scritto mediante la ferma credenza nella reincarnazione di quanti avrebbero dovuto precedere il Lo/goj divino fatto carne, si vuole affermare che Cristo era il Messia, il Figlio di Dio, non reincarnazione d’un grande personaggio dell’Antico Testamento. Ed era certamente lui per l’evangelista, dal momento che era stato preceduto da un grande profeta, Giovanni, che gli Ebrei credevano la reincarnazione di un grande profeta del passato.

2) Nel passo seguente, dopo la trasfigurazione, Gesù, mentre scende dal colle, ordina ai discepoli di non dir niente a nessuno della visione “finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti” (71). I discepoli gli chiedono: “Quid ergo scribae dicunt Heliam oporteat primum venire? At ille respondens ait eis: Helias quidem venturus est et restituet omnia. Dico autem vobis quia Helias iam venit, et non cognoverunt eum, sed fecerunt in eo quaecumque voluerunt. Sic Filius hominis passurus est ab eis. Tunc intellexerunt discipuli quia de Iohanne Baptista dixisset eis (72). Il primo testo è più che chiaro: Gesù non afferma né lascia intendere di credere nella reincarnazione. Del resto Cristo, figlio del popolo

68) Mt 16. 13 — 14.

69) Mt. cit.

70) Mt 16. 17: «Beato sei tu, Simone Bar—Jona, perché non carne e sangue te l’ha rivelato, ma il padre mio che è nei cieli.»

71) Mt 17, 9 72) Mt 17, 10 — 13: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia? Egli rispose: “Sì, Elia deve venire a rimettere tutto in ordine; vi dico però che Elia è già venuto e non lo hanno riconosciuto, ma lo hanno trattato come hanno voluto; così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto per causa loro”. Allora i discepoli capirono che parlava di Giovanni il Battista».

ebraico, anche se con la sua missione doveva portare una rivoluzione destinata a protrarsi nei millenni, non poteva di colpo cancellare una mentalità radicata e alimentata dai dottori e dalle scritture probabilmente male interpretate. Gli Apostoli, gente comune e di non grande levatura culturale, affermano liberamente non solo le proprie convinzioni, ma anche quanto veniva comunemente creduto in ambito palestinese nell’epoca in cui si pongono gli avvenimenti. Non desta, quindi, nessuna meraviglia se gli Apostoli, professando una convinzione comune, credono nella reincarnazione (73). Con l’intervento di Cristo, esegeticamente spiegato come il riconoscimento ufficiale da parte dell’uomo dell’incarnazione del Verbo, si fugano tutte le illazioni che non coincidano con la dottrina della Chiesa e con il dogma dell’incarnazione. Il secondo invece, come si evince chiaramente dal testo greco, non lascia adito a dubbio: Gesù proclama senza mezzi termini la reincarnazione di Elia. E’ pur vero che gli Apostoli, prima della Pentecoste, credevano ciecamente nella tradizione avita e in quanto, come gente del popolo, potevano aver appreso dalla tradizione. Lo scenario, però, cambia in seguito, quando, confermati dallo Spirito Santo nella scienza e nella fede, proclamano l’insegnamento ricevuto e trasmettono alla Chiesa il messaggio salvifico di Cristo nella sua autenticità. A questo punto al tema della reincarnazione subentra la fede nella resurrezione. Anche se la speculazione teologica e la ricerca filosofica successiva, soprattutto dei primi secoli, ha tentato tutte le vie spianate in precedenza dalla filosofia greca, il messaggio di Cristo è stato sostanzialmente accolto ed accettato nel suo dettato. Non meraviglia, quindi, che filosofi e teologi del primo cristianesimo, influenzati in parte dalla filosofia greca (74), in parte dalla tradizione, in parte dal dettato evangelico e dalle affermazioni della Bibbia, abbiano rivolto la loro speculazione, sotto una luce diversa, anche al problema della reincarnazione. Tra tutti coloro che ne hanno trattato, di solito, si cita Origene e

73 Nel Vangelo e nell’Apocalisse di Giovanni ci sono altri passi, dai quali si evince che gli Apostoli secondo una convinzione ormai radicata, credevano fermamente nella reincarnazione. Solo in un secondo momento, difficile da precisare, hanno creduto e predicato la vita eterna per l’anima dopo la morte. Per un elenco completo dei brani riguardo a questo tema, si consiglia la reincarnazione. a cura di J. HEAD & S L. CRANSTON, Milano 1973, pp. 51 — 53. Nel testo, inoltre, sono riportati brani degli apocrifi e degli scrittori ecclesiastici dei primi secoli, anteriori e posteriori a Origine. 74) G. REALE, Introduzione a Proda Roma — Bari 1989.

Sant’Agostino, i due più grandi luminari della Chiesa. Bisogna qui aggiungere che, quando nei primi secoli, tra i Cristiani si parlò di reincarnazione, essi, fermi nella credenza della resurrezione, erano più che convinti che se ne occupava la filosofia greca. Si collegava la reincarnazione con le convinzioni dei non Cristiani (75).

    Certamente anche altri pensatori della Chiesa, oltre Origene e Agostino, si sono occupati più o meno palesemente della reincarnazione e del ciclo delle vite, anche se la Chiesa antica, come sembra, stando ai testi in nostro possesso, ha trovato piuttosto curiosa quest’idea. La discussione, come si può facilmente immaginare, fu abbandonata più per timore d’incorrere nelle ire e nelle punizioni sancite dal Concilio di Costantinopoli che per intima convinzione, dal momento che sia la vita ultraterrena, sia la resurrezione dai morti ha non poche incongruenze, che i teologi non sono riusciti né a eliminare né a sanare (76). Percorrendo la strada della resurrezione, la speculazione cristiana, con una nuova antropologia, prefigura all’essere umano un esito diverso, che consiste nell’unica nascita ed in un’unica vita, cui segue necessariamente una morte irripetibile, per sfociare alla fine in una vita eterna, secondo i disegni di Dio, il quale, sulla base di parametri hybristici più o meno obiettivi, è l’unico a decidere del futuro dell’uomo. Certo è che, nei particolari, i modelli dell’escatologia cristiana fecero e fanno tuttora registrare notevoli divergenze, soprattutto con la diffusione in area occidentale di dottrine orientali, che pongono in discussione e in nuova luce quanto concerne la fine dell’uomo e il suo assetto futuro, sia come corpo sia come spirito (77).

    Origene, grazie alla sua dottrina e alla sua originalità, è un personaggio singolare, il più discusso dell’antichità cristiana: salutato dai contemporanei e dai posteri come il più grande luminare della Chiesa, fu avversato e combattuto come flagello dell’ortodossia e padre di eresie. Fu venerato maestro di santi e di gran parte dei dottori del suo tempo; fu campione dell’ortodossia in tutto l’Oriente, che egli dominò

75) L. BUKOWSKI, La réincarnation selon les Pères de l’Eglise, in «Gregorianum» 9, 1931, pp. 57 — 85.

76) J.B. METZ, Reincarnazione o risurrezione? Avvio d’una discussione, in «Concilium» 5 (1993), pp. 11 — 15. N. BROX, Il dibattito cristiano antico sulla trasmigrazione delle anime, in «Concilium» 5 (1993), pp. 106 — 113. Nell’art. è citata una valida ed esauriente bibliografia cui si rimanda 77) M. LAME. La risurrezione e l’identità cristiana come conversatio Dei, in «Concilium» 5 (1993) pp. 150 — 165.

col fascino della sua dottrina, con l’acume delle sue speculazioni e con l’esempio della sua vita. Asceta austero e apostolo fervente, educatore di molti martiri, fu condannato dal suo vescovo e bandito dalla sua chiesa durante la vita e, dopo la morte, divenne pietra di scandalo e segno di contraddizione. Difeso da una schiera entusiasta di dotti e combattuto da un esercito di avversari, fu condannato in pubblici concili, sebbene avesse esercitato sulla Chiesa un influsso paragonabile solo a quello di Agostino e Tommaso d’Aquino (78). Come il filologo alessandrino Didimo fu chiamato xalke/nteroj (dalle viscere di bronzo) cosi Origene, per la sua infaticabile attività, fu soprannominato adama/ntioj (un uomo d’acciaio). Gran parte della sua opera, che oggi, letta alla luce d’una cultura e di una formazione diversa, potrebbe gettare nuova luce sul pensiero antico, è andata irrimediabilmente perduta sia per la mole sia per effetto delle numerose condanne. E’ così poco quanto ci rimane di lui e quel poco ci è pervenuto in scadenti versioni latine del quarto e quinto secolo (79). Non avendo tra le mani il testo autentico di Origene, ogni illazione nell’uno o nell’altro senso è azzardata e le misure prese dal II Concilio di Costantinopoli [anno 553 d. C] nei suoi confronti non sono tali da proporre proprio Origine come campione della reincarnazione (80). Per comprendere questo particolare e delicato momento nella storia della cultura, bisogna partire dalla filosofia greca soprattutto da Eraclito, Pitagora e Platone, i quali, come si è già detto, ammettevano come dogma indiscusso l’eternità della materia. Origene aprendo vie nuove alla speculazione, tenta di poter accordare questa concezione con la dottrina cristiana, facendo intervenire all’origine Dio creatore, come se le cose eterne potessero avere un inizio: ab aeterno Dio ha creato gli spiriti e in concomitanza e in funzione di essi, la materia. Nella Trinità una potenza che crea e una bontà che provvede. Il Creatore non può, certamente, essere mai rimasto senza regno e il benefattore senza beneficati (81). Dio ha sempre avuto intorno a sé un mondo invisibile di intelligenze create, unite al Verbo, ma ben distinte da lui anzi aventi un corpo. Origene, giustamente, pen-

78) .1, DANIÉLOU, Origène, Parigi, 1948. I dati relativi alla vita e all’opera di Origene sono stati riesaminati da P. NAUTIN. Origène. Sa vie et son oeuvre, Parigi, 1977.

79) G. SGERRI, Chiesa e sinagoga nelle opere di Origene, Milano, 1982.

80) A. GUILLAUMONT. Les «Kephalaia gnostica» d’Evagre le Pontique et l’histoire de l’origénisme chez Grecs et les Syriens, Parigi, 1962. 81) H. CROUZEL, Origène et la «connaissance mystique», Toumai, 1961.

sa che fuori della Trinità non possa esistere spirito senza una certa corporeità: materialem vero substantiam pro rationabilibus naturis, vel post ipsas effectam videri, sed numquam sine ipsa eas vel vixisse vel vivere: solius namque Trinitatis incorporea vita existere recte putabitur (82).

    Secondo i Neoplatonici Ammonio Sacca, Plotino e Porfirio le anime sono emanazione di Dio: separandosi da Dio, si distinguono e si oppongono al loro principio, come la debolezza si oppone alla forza: la loro separazione e differenziazione è effetto di una legge e quindi non implica colpa. Origene invece ritiene che questi spiriti, ragionevoli e liberi, sono stati creati da Dio e tutti uguali: la loro differenziazione è effetto del loro libero arbitrio e di una caduta, la katabolh/. Dio solo è immutabilmente fisso nel bene. Gli spiriti, invece, fluttuano tra il bene e il male, a eccezione dell’anima di Cristo, che è immutabile nel Bene, e di quella del Diavolo, ormai cristallizzata e incatenata nel male. Ma alla fine, dopo successive prove. tutte le creature intelligenti, secondo un piano prestabilito, saranno restituite nell’amicizia di Dio, e la fine sarà come il principio. la cosiddetta apokata/stasij (ritorno al pristino stato), con questa differenza che in principio tutto era dono gratuito di Dio, mentre la fine sarà frutto degli sforzi e dei meriti personali di esseri ragionevoli (83).

    Data l’autorità che Origene godeva nell’Oriente, non è paradossale pensare che qualcuno, anche influente teologo, abbia fatto passare queste idee, a livello di pure ipotesi speculative, come verità dogmatiche. A questo punto è scontata la condanna del Concilio di Costantinopoli, il quale nel primo canone così testualmente si esprime: ei/) tij le/gei h)1 e)/xei, prou+pa/rxein ta\j tw=n a)nqrw/pwn yujal;, oi)=a prw/hn no/aj ou)saj kai/ a)gi/aj duna/meij???. ko/ron (le\ labou/saj th=j qei/aj qewri/aj, kai\ pro\j to\xei=ron trapei/sajs = kai\ dia\ touto a)poyugei/saj metri th=jtou= Qeou= a)ga/phj, e)nteuqen de\ yuxa\j o)nomasqei/saj, kai\ timwri/aj xa/rin ei)j [ta\] sw/mata katepemfqei/saj, a)na/qema e)/stw. Il testo greco si trova così tradotto in latino: “Si quis dicit aut sentit, praeexistere hominum animas, utpote quae antea mentes fuerint et sanctae virtutes, satietatemque cepisse

82) Peri 1 ) Arxw=n. II. 2. 2 «Sembra che una sostanza materiale sia stata creata prima delle nature razionali o dopo di queste; ma senza di essa quelle non sono esistite né esistono, perché in maniera giusta si crederà che esiste solo la natura incorporea della Trinità»

83) RUFINO, De adulteratione librorum Origenis, PG 17, col. 624.

divinae contemplationis, et in deterius conversas esse, atque idcirco refrixisse a Dei caritate et inde yuxalj grece, id est animas esse nuncupatas, demissasque esse in corpora supplicii causa: anathema sit (84).

    E’, questo. almeno da quanto si legge nel testo conciliare, l’unico canone che tratta e della preesistenza dell’anima e della sua reincarnazione. Gli altri canoni, come si evince anche da una lettura sommaria condannano eresie cristologiche, che in quel tempo pullulavano e trovavano terreno fecondo presso cerchie sempre più ampie di fedeli. La dottrina origeniana della definitiva redenzione universale, h(a)pokata/stasi; palntwn (ritorno al pristino stato di tutto il creato), fu combattuta dalla maggioranza dei Padri e rigettata in alcuni concili. Essa è in contrasto con la coscienza di fede della Chiesa universale. Nel 543 il Concilio di Costantinopoli nel canone 9, contro gli origenisti, così si esprime “ei)/ tij le/gei h)1 e)xei, pro/skairon ei)-nai thln tw=n daimo/nwn kai\ a)sebw=n a)nqrv/pwn ko/lasin, kail te/loj kata\ tina xro/non aughln e(/cein, h)/goun a)pokata/stasin e)/sesqai daimo/nwn, h)\ a)sebw=n a)nqrw/pwn. a)na/qema e)/stw. Si quis dicit aut sentit, ad tempus esse daemonum et impiorum hominum, supplicium, eiusque finem aliquando futurum, sive restitutionem et redintegrationem esse daemonum aut impiorum hominum, anathema sit (85).

    A questo punto è necessario distinguere ciò che è pura ipotesi di

84) DENZINGER — SCHONMETZER, Enchiridion symbolorum et declarationum, Romae, 1867, pp. 140 — 141, n. 403: «Chiunque dichiari e creda che le anime umane siano preesistenti, nel senso che in precedenza esse erano puri spiriti e sacre potestà, le quali, successivamente, sazie della visione di Dio, si siano volte al male e, in questo modo, il divino amore sia morto in loro e siano pertanto divenute anime condannate al castigo dentro i corpi, sia scomunicato».

85) DENZINGER — SCHÒNMETZER, Enchiridion symbolorum et declarationum, Romae, 1867, p. 142, e. 9: «Chiunque dichiari o creda che la punizione degli spíríti maligni e degli uomini empi sia soltanto temporanea e finisca dopo un determinato tempo, e poi venga una completa restaurazione degli spiriti maligni e degli uomini empi, sia scomunicato». Questa ferma posizione della Chiesa ufficiale davanti ad un problema, che è tutt’altro che chiaro e risolto, ha impedito un’ulteriore ricerca sull’argomento, al cui studio nessuno più ufficialmente si è più impegnato per non incorrere nella scomunica. Ora che i tempi sembrano maturi e i più qualificati esponenti della cultura si stanno interessando al problema, un ulteriore approfondimento non può far altro che avvicinare le menti più sensibili all’approfondimento di un problema che interessa tutti.

speculazione da quanto costituisce l’autentico insegnamento della Chiesa, che, fin dal tempo degli Apostoli, ha sempre mantenuto integra la sua dottrina. Dopo la condanna di Origene, nessuno più ha avuto il coraggio e l’ardire di spaziare nella ricerca sulla reincarnazione, per timore d’essere scomunicato e tacciato di eresia. Il problema era indubbiamente sentito e avvertito in tutta la sua portata anche da menti che con il loro acume avrebbero potuto aprire nuove strade alla ricerca: ma nessuno, almeno ufficialmente, ha più spinto lo sguardo oltre il limite fissato dalla Chiesa: per cui si è imposta sempre più radicalmente la convinzione che Dio crea ogni anima dopo il concepimento. Menti elevate hanno avvertito il dissidio e hanno cercato di ricomporlo secondo l’insegnamento dogmatico della Chiesa, ben consapevoli che la reincarnazione, perché possa verificarsi, ha necessariamente bisogno della creazione e di un’anima immortale (86).

    La testimonianza di Agostino, infine, è tutt’altro che limpida e lineare per dimostrare che credesse nella reincarnazione (87). Se non si capisce il travaglio interiore del pensatore, se non si penetra nell’anelito continuo di ascendere verso Dio, si falsa notevolmente l’interpretazione del suo pensiero. Solo un’accurata esegesi del testo ed una obiettiva ricerca storico—filologica possono mettere in giusta luce quanto Agostino, nei suoi continui slanci verso Dio, chieda o affermi in maniera più o meno categorica e in modo più o meno allegorico. Di solito si adducono, per dimostrare che credesse nella reincarnazione, un passo Contra Academicos ed uno tratto dalle Confessiones. Non è fuor di luogo, per il primo, ammettere che Agostino giochi sulla paronomasia nonché sull’allitterazione Platone I Plotino in una formulazione d’un rapporto semantico casuale ed arbitrario, compensato anche dallo stretto legame fonico. Dice Agostino nella sua opera Contra Academicos: “Il messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la fi-

86) L. CIAPPI, La risurrezione dei morti secondo la dottrina cattolica, in «Gregorianum» 2, 1958, pp. 203 — 2221: 0. CULLMANN, Immortalité de l’lime ou la résurrection des morts? Le témoignage du N.T. Neuchàtel, 1956.

87) La bibliografia su Agostino e sull’argomento è sterminata; noi ci limitiamo a segnalare quegli studi che sembrano più accessibili, meno dogmatici, e trattano la figura e l’influsso che Agostino ha esercitato con equilibrio e competenza. G. FELLI, L’immortalità dell’anima umana, Milano, 1921; C. HARTMANN, Der Tod in seiner Beziehung zum menschlichen Dasein bei, Augustinus, in «Catholica» 1. 1932, pp. 159 — 190.

losofia, ha finalmente dissipato le tenebre dell’errore e ora traspare tutto attraverso Plotino, platonico così simile al suo maestro che crederesti abbiano vissuto l’uno insieme all’altro, o meglio (dato che così lungo periodo di tempo li separa) che Platone sia rinato nella persona di Plotino” (88).

    Nel passo non c’è, secondo me, se non la sconfinata ammirazione di Agostino per un filosofo, che, per genialità ed intuizione, poteva benissimo essere paragonato a Platone. Platone, infatti, ha avuto un ruolo determinante nella formazione filosofica di Agostino, che, utilizzando le intuizioni del filosofo greco, ha raggiunto vette altissime soprattutto nella speculazione sulla Trinità. Del resto Agostino non a caso è stato chiamato “il Platone cristiano” (89).

    Per quanto riguarda il secondo brano, tratto dalle Confessiones, Agostino peccatore si chiede come mai sia potuto scendere così in basso nella via del peccato, trascinato dal vortice delle passioni e da una sfrenatezza senza pari. Il dramma di Agostino si consuma nella ricerca affannosa della sua vera identità ritrovata con la conversione ed il battesimo, la vera nascita. Stando a quanto si legge nelle Confessiones: “Dimmi, Signore… dimmi se la mia infanzia successe ad altra età morta prima di essa? Forse era quella l’età che io trascorsi nel grembo di mia madre… e prima ancora di quella vita, o Dio, mia gioia, fui io, forse, in qualche luogo o in qualche corpo? Non ho nessuno che possa narrarmi di questo, né padre né madre né esperienza d’altri né la mia memoria”, sembra che Agostino ammetta la reincarnazione e drammaticamente si interroga, ed interroga Dio, l’onnisciente, dì svelargli il mistero. Il testo, estrapolato, non ammette dubbi; ma inserito nel contesto, e in quel contesto, porta ad una dimensione che tutta l’opera può dare: l’anelito del fedele, del credente, nell’infinita onnipotenza di Dio; la ricerca della sua vera identità coincide con la sua esistenza terrena attuale, che di quella precedente fisicamente nel peccato e spiritualmente in mente Dei, è la continuazione. Agostino vede nella rigenerazione del battesimo la reincarnazione per una nuova esistenza. Il passo, quindi, è la negazione della reincarnazione: il mistico, infatti, slanciandosi ad altezze speculative insolite e difficilmente raggiungibili, si chiede sbigottito come mai Dio, nella sua onniscienza e onnipotenza,

88) A. PINCHERLE, La formazione teologica di Sant’Agostino, Roma, 1974; E. Gilson, Introduction à l’étude de s. A., Parigi, 1943. 89) C. BOYER, Christianisme e néoplatonisme dans la formation de S.A., Roma, 1953

abbia potuto permettere che la sua creatura sia potuta cadere così in basso (90). La sua anima preesisteva, ma nella mente di Dio, che, lasciatolo libero, dopo la vita travagliata condotta nella giovinezza, lo riconduce, come Saulo sulla via di Damasco, sulla retta via. Se Agostino avesse davvero creduto nella reincarnazione, come viene di solito riferito, i teologi e speculatori successivi, prendendo le mosse da un personaggio così autorevole, avrebbero ulteriormente approfondito la ricerca. La sua traccia sarebbe stata ricalcata come sono state ricalcate le sue orme e in filosofia e in teologia, soprattutto ad opera della filosofia scolastica. Ciò, purtroppo, non è avvenuto; né, che io sappia, è intervenuto il magistero della Chiesa a stroncare le ammissioni di Agostino, proposto anzi come il mistico per antonomasia. Nel passo l’uso della metafora è più che chiaro nell’efficacia dell’interrogazione retorica, che, molto frequente nelle Confessiones, conferisce a tutta l’opera una drammatica e lucida professione di fede in Dio; un continuo ringraziamento a Dio per averlo sollevato dal male.

    Nel brano, come avviene in tutta l’opera, con il sapiente intreccio di lirismo e poesia, di effusioni e di interrogazioni, Agostino, dal basso della sua miseria, chiede drammaticamente a Dio di mostrargli la sua vera identità di uomo, e peccatore, e di condurlo, dopo questo esilio terreno, nella gloria del Paradiso (91). Dopo l’anelito di Agostino, nessuno più, forse atterrito dalle sanzioni del II Concilio di Costantinopoli e delle continue condanne a riguardo, ha osato chiedersi persino se egli, come entità, preesistesse se non nella mente di Dio. Del resto anche la liturgia dei defunti, nella sua scheletrica essenzialità, invita i vivi a non disperare, a non considerare la morte come la fine di tutto, ma a prendere coscienza che vita mutatur non tollitur (lo stato di vita viene cambiato non tolto). Se nel breve apoftegma si invita il fedele a non considerare concluso il ciclo della vita, si è obbligati a credere che l’insegnamento ufficiale della Chiesa, anche se apertamente ha condannato con un concilio la credenza nell’incarnazione, non ha smentito né sentito estraneo al suo credo tutto quanto era considerato patrimonio comune di quei fedeli che, provenienti dall’ebraismo e da altre religioni, entravano nel cristianesimo.

90) P. COURCELLE, Recherches sur le Confessiones de S.A., Parigi, 1968; 0. DU ROY L’intelligence de la foi en la Trinité selon S.A. Genèse de sa théologie trinitaire jusqu’àen 391, Parigi, 1966. 91) I. PEPIN «Ex Platonicorum persona». Etudes sur les lectures philosophiques de S.A., Amsterdam, 1977

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  1. 7 secoli fa io ero il generale scozzese william wallace famoso per il film braveheart di mel gibson e lo posso dimostrare scientificamente con un grado molto alto di probabilita,io non credo nella reincarnazione ma so che la reincarnazione esiste.gli esseni credevano nella reincarnazione e la profetessa gabriele witek di vita universale afferma che gesu cristo insegnava reincarnazione e karma,con la mia storia su reincarnazione e wiliam wallace la chiesa sara costretta a riconoscre il suo millenario errore anche grazie a un nuovo grande concilio profettizato dal beato bartolomeo holzauser,ancora un secolo e tutto l’occidente nella sua grande maggioranza sara reincarnazionista anche grazie alla mia ricerca,ora sto muovendomi per una divulgazione in attesa di scrivere un libro.tel 0461 752094

  2. Si può iscrivere al gruppo FB ” Medianità evoluta ed alta conoscenza” , lì potrà interagire con molti contatti .

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