DIO HA COSCIENZA DI SE?
«Bisogna certamente partire da una considerazione che non do-vremmo tralasciare mai: sul problema di Dio non si può meditare separatamente da quello sullo spirito. Questo, perchè iI problema di Dio (o la domanda che lo concerne) è posta da noi, esseri definiti nella coscienza.
Senza la nostra presenza la domanda non verrebbe posta e questo è un dato indiscutibile, perchè è nello stato del nostro essere che si pone la domanda, quindi sul piano logico non ha molto senso porsi una domanda intorno a Dio ignorando completamente colui che pone la domanda, perchè mancherebbe alla domanda stessa la soggettività dello stato di coscienza che se la pone.
Dunque pare fuori discussione avere sempre presente questo parametro con le sue rispettive coordinate; poichè’ la presenza di Dio suscita una domanda, ciò presuppone uno stato di coscienza che appunto se la pone.
Va da sè, a questo punto, che la domanda riguarda un oggetto che si ha fuori dal proprio stato di coscienza. Anche questa mi sembra una conseguenza che si deve porre, affinchè non si possa dire che lo stato di coscienza dello spirito possa porsi una domanda ipotetica, che cioè nasce dalla stessa esistenza dello stato di coscienza che oggettivizza, creando un falso problema o un falso oggetto.
La presenza di Dio è un’oggettività che deve contenere anche il crisma della soggettività e, in ciò, l’autonomia.
Ora dovremmo, per un momento, vedere se la domanda «Dio possiede uno stato di coscienza o autocoscienza» sia una domanda legittima. Intanto, essa sembra già aver accettato (o dato per acquisito) che l’essenza di Dio ha in sè tutte le attribuzioni tipiche che solitamente (ma convenzionalmente) gli diamo, quali quelle dell’eternità, dell’es-sere infinito, che pongono l’oggetto fuori della portata del soggetto che interroga; il quale, tuttavia, non ha nessuna delle qualità che Dio possiede al grado infinito. Questo potrebbe significare che esiste una impossibilità, da parte del soggetto d’interrogarsi sull’oggetto, che a sua volta è un altro soggetto, ovvero dello spirito d’interrogarsi su Dio.
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Siamo costretti ad usare linguismi umani perchè non esiste altro linguaggio. Diciamo che Dio è giusto, ma siamo sicuri che il significato della giustizia, in Dio è simile al nostro? Quando diciamo che è intelligente, sia pure esteso all’infinito come grandezza, ma è proprio una intelligenza come l’intendiamo noi? Purtroppo riusciamo a nominare Dio solo col linguaggio antropomorfico e convenzionale.
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Fin qui sembra che certe cose noi le si sappia, in linea intuitiva o logica perchè la conoscenza che pure ciascuno di noi ha di Dio (secondo il processo evolutivo nel quale ognuno di noi si arricchisce sempre più sulla conoscenza del divino) non significa affatto che noi si comprenda via via l’infinito o l’eternità, ma significa soltanto che noi ci dispieghiamo nell’infinito e nell’eternità, mediante un processo che (ancora una volta) è soggettivo all’essere spirituale e che non è oggettivabile.
Lo spirito si dilata nella sua infinitezza e quindi amplia la sfera del proprio quadro di referenti e di conoscenze, ciò non è una oggettivazione che rientra nella comprensione soggettiva, cioè non è un mo-mento di conoscenza, ma semplicemente un momento della crescita dello spirito, ovvero del proprio di scoprimento. Nello spirito non subentra una conoscenza dell’infinito, ma si viene a determinare una continua amplificazione delle sue qualità, il che non è eguale a conoscenza, come la si intende, cioè, come verità come qualcosa che non si conosceva e che si aggiunge. Ecco perchè poi, in pratica, lo spirito, pur divenendo sempre più evoluto (parlando in maniera impropria) non per questo conosce Dio. Egli può soltanto ragionare intorno alla domanda su chi sia Dio, in maniera amplificata. Ecco perchè io ponevo l’interrogativo sulla legittimità dell’investigare su Dio, soprattutto nel senso della reale possibilità che lo spirito ha di conoscerlo.
Il fatto che lo spirito non raggiunga Dio ( e noi lo abbiamo detto molte volte) è soprattutto una salvaguardia dello spirito, perchè gli impedisce l’annientamento in Lui. Lo spirito, per conservarsi, deve sempre essere diverso da Dio. Quindi, la volontà di eternità del soggetto sta nello spirito stesso della Legge o del Principio che impedisce la distruzione della «creazione,, dandole. un carattere permanente di «diversità».
Comunque, il riconoscimento di un Essere esistente come Forza al dì là delle altre forze, in base a quale specifico motivo poi, non do-vrebbe avere l’autocoscienza? Da che cosa si potrebbe dedurre? In questo caso il problema sarebbe mal posto. Le domande che un’essere si pone (e ritorniamo al principio) devono anzitutto contenere una struttura logica, cioè devono essere domande logiche. Non basta semplicemente affermare; la libertà di porsi delle domande: essa esiste, ma deve esistere anche la capacità di vagliare, tra le domande, quelle che sono logiche e quelle che non hanno referenti nella loro intrinseca realtà, che cioè non si basano su di una procedura logica, neppure induttiva.
Ora, la domanda «Dio potrebbe avere l’autocoscienza?» può non avere una struttura logica, e se non c’è l’ha, può non avere risposta, semplicemente perchè non è una domanda.
Vorrei che fosse chiaro questo concetto perchè noi diamo risposta ad un domanda (in senso filosofico) quando essa pone nel suo intento una premessa, una valutazione, ha insomma certi denominatori che sono di osservazione, di decisione non di fantasia, perchè la fantasia appartiene ad un regno diverso da quello della logica.
Elementi, questi denominatori, che se non si intercettano, se non si pongono come base della ricerca (perchè ogni domanda è una ricerca) creano una domanda sbagliata. Ma attenzione, la domanda può essere sbagliata nella sua formulazione, ma non del tutto sbagliata nella sua sìgnificanza più interna.
In realtà noi possiamo porci la domanda se Dio pensi, Però qui è probabile che la fomulazione sia sbagliata e che quindi non possa ottenersi risposta. Torniamo allora al discorso che abbiamo fatto sullo spirito: noi accettiamo o non accettiamo che il nostro essere sia un’emanazione di Dio e i nostri attributi sono trasferiti da Dio? Se è così (e non ci spiegheremmo altrimenti una cosa diversa, posta l’esistenza di Dio e quella dello spirito) Dio deve contenere almeno quelli che visibilmente sono i deominatori comuni dell’essere cioè il pensiero l’intelligenza, la capacità di estrarre dal pensiero una serie di formulazioni intelligenti che , interrogando se stesso , interrogano l’universo, cioè l’interiorità e l’esteriorità dal proprio Sè spirituale .
Questa qualità che è intrinseca allo spirito , che è strettamente legata alla sua natura, perchè non dovrebbe possederla anche Dio, da cui pure questo spirito discende a sua «immagine e somiglianza?» Per quale motivo non dovrebbe essere così?
Dunque, se la totalità dello spirito interrogando sè stesso interroga l’universo o interrogando l’universo discopre sè stesso, questa stessa qualità deve possederla la totalità della soggettività che chiamiamo «Dio». E non per un motivo romantico ma per una deduzione logica, assiomatica, contro la cui evidenza non è possibile fare alcuna seria opposizione, sempre se si ammette la premessa dell’esistenza di Dio e dello spirito e della derivazione di quest’ultimo da Dio come spirito emanato.
Noi dobbiamo allora riconoscere che tutto ciò che abbiamo è an-che presente nella Matrice da cui siamo stati orginati. Allora il problema dell’autocoscienza va inteso come un eventuale momento di sintesi che deve esistere in una situazione di esistenza che è al di là della nostra oggettività Ma che deve esistere sul piano logico che noi dobbiamo ritenere appartenga a Dio.
Vedete, la limitazione che noi ci poniamo è fondamentalmente una: noi ci troviamo tutti a vivere, a esistere, in fondo, in un seg-mento immobile della creazione, cioè ci troviamo a vivere in uno spazio, per così dire, non creativo, ma conservativo. Dal nostro orizzonte di spiriti impegnati in una situazione evolutiva x, noi non possiamo trarre certi convincimenti, perché viviamo in una situazione autoconservativa in base alla quale l’universo e la «ve-rità» che ci circondano, essendo relativamente immobili (pur es-sendo ancora tutti da percorrere), non possono darci l’immagine di una realtà che si crea, che si forma.
Ciò significa che l’universo, ovvero l’infinito, è una creazione con-tinua, ma di essa noi ne abbiamo la percezione per intuizione, non per osservazione diretta. In questa misura noi siamo immessi e immersi in un universo dato, entro il quale non c’è più spazio per la creatività poiché tutto è già stato dato, creato. Allora, il trovarsi in una situazione di relativa immobilità (qual’è quella dell’universo già dato) non ci consente di cogliere di Dio momenti creativi che ci darebbero, in misura più netta, l’immaginazione, l’idea o la percezione di una coscienza creativa, intellettiva.
Infatti da ciò può scaturire per noi la sola deduzione che Dio è morto, che non esiste, ovvero che non è più necessario, perché ci ha già dato tutto ciò che per il nostro campo evolutivo, da qui a tempo a venire, è sufficiente; ed essendo dunque tutto già dato, noi non possiamo cogliere il momento creativo di Dio, si badi bene, perché nell’ambito della relatività di questo universo ci colpiscono soltanto gli aspetti materiali creativi: ma nella sua funzione fondamentale, essenziale, la creatività di Dio è un’altra cosa. E di questa cosa, come può essere la creatività dei principi, delle leggi, della vita, della verità, noi non cogliamo niente, perché tutto ci è stato già dato.
Allora, per noi, si è chiusa la porta e Dio, dietro le nostre spalle, è andato altrove (come immagine figurata, si capisce). Allora, a questo punto, il dubbio ha una funzione, fa parte del principio della vita; esso è l’interrogazione primaria dello spirito ma è anche il momento della ricerca, il momento evolutivo.
Col discoprimento del dubbio procede di pari passo il processo evolutivo, l’acquisizione di verità, affinché il dubbio stesso sia diradato, la certezza sia sempre più radicata e sicura, la conoscenza sia sempre più vasta, in un accavallarsi di cerchi concentrici sempre più ampi che si spingono ai bordi, ai limiti dell’invalicabile, cioè là dove, oltre questa porta chiusa, si «apre» un nuovo Dio, una nuova verità, un nuovo vento di vita, creativo, intelligente.
Ecco perché le domande che ci poniamo hanno senso solo fino al bordo di quel limite, e oltre non sono più legittime. Però, anche le domande poste all’interno di questa struttura limitata partono dalla soggettività finita (l’abbiamo detto dall’inizio) qual’è lo stato di coscienza di chi si interroga; (nel momento in cui s’interroga) la cui posizione esistenziale e «geometrica», vorrei dire, non è all’infinito; si slarga nell’infinito, ma non è infinita perché il circuito si chiude al limite della possibilità evolutiva e oltre non può andare, e, dunque infinito è solo il potenziale, ma lo spirito non è infinito nella concreta realtà del suo muoversi.
Per questo motivo lo spirito non può porsi la domanda su Dio, nel senso dell’autocoscienza, perché essa appartiene a quella libertà ideale, a quella libertà teorica ma funzionale (cioè concreta), dell’atto creativo intellettivo, del momento e dei momenti in cui l’Essenza sintetizza e, sintetizzando, fa nascere una nuova realtà o fa espandere quella esistente.
Questo processo di vita noi non lo vediamo entro i limiti di evolu-zione e non possiamo vederlo: dunque siamo anche disposti a negarlo. Per recuperarlo abbiamo sempre la via interiore e perché? Ma perché la via interiore è quel famoso collegamento che noi manteniamo con la Sostanza conoscitiva di cui ciascuno di noi è fatto; è soltanto quella la strada, la via, il percorrimento, il meandro attraverso il quale noi raggiungiamo quella qualità che, se intercettata a un certo livello, ci dà l’illuminazione di quell’altro Dio che vorremmo interrogare su cui si pone la domanda.
Cioè quel Dio creativo, quel Dio intelligente che deve avere l’autocoscienza come momento dell’Essere, come elemento funzionale all’Essere qual’è il Dio che noi riconosciamo come creatore dell’Infinito, oltre cui c’è la limitazione di un sistema che, oltre tutto, è limitato anche nel senso astronomico e materiale del termine.
L’universo ci appare «creativo» solo perché non se ne coglie la premessa, e non ha nessun significato il fatto che si formi una nuova galassia domani o dopodomani, cioè non ha nessun senso riferito alla divinità. Qui, quando parliamo di creatività e di autocoscienza, non intendiamo l’universo dato, ma la qualità specifica del pensiero razionale.
D’altra parte bisogna ancora aggiungere un’altra cosa; finchè lo spirito è in questa situazione limitante in cui Dio non appare e in cui l’universo appare abbandonato da Lui, nessuna struttura logico-razionale è in condizione di risolvere il problema, perché sarà comunque una struttura costruita in un ambito in cui questo tipo di autocoscienza, di autocreatività e di autoconoscenza non può esistere».
eccezionale come sempre,come lettore di questo sito praticamente quasi dalla nascita vorrei ringraziarvi per il lavoro che svolgete e che spero continuerete a fare -divulgare quante piu possibili comunicazioni del MAESTRO ANDREA-i libri di GIORGIO DI SIMONE su ENTITA A LI HO LETTI TUTTI -VARIE VOLTE PER ALTRO-MA ERO E SONO INTERESSATO ANCHE ALLE ALTRE COMUNICAZIONI DI ANDREA E VOI SIETE A MIA CONOSCENZA L’UNICO SITO CHE LE PUBBLICA (il medium Corrado Piancastelli e sempre stato diciamo avaro nel pubblicare qualcosa nel sito del CIP)GRAZIE E CONTINUATE COSI
P.S.IL SIG CLAUDIO SAURO HA PUBBLICATO SU YOUTUBE MOLTI FILE AUDIO DI -ANDREA
Il Maestro Andrea spesse volte si è soffermato sui metodi per la diffusione della dottrina, nel gruppo medianità Evoluta ne abbiamo parlato ampiamente, e noi abbiamo cercato di essere il più aderente possibile, cosa che mi pare non sia stato fatto da altri che hanno dato in pasto a un pubblico molto eterogeneo, quale è quello di you tube , tantissimi file audio, contravvenendo palesemente alle desiderate e alle raccomandazioni del Maestro .
Per Aurelio:
Il Sig. Claudio Sauro ha pubblicato vari file audio su youtube, come del resto altri personaggi.Ora decidere cosa stia contravvenendo a certe raccomandazioni del “maestro Andrea”, mi sembra alquanto settario, specialmente nella citazione di un non meglio specificato “dare in pasto a un pubblico molto eterogeneo”. Sarebbe da dedurre che esiste un pubblico di elite, scelto da chi, come, su quali criteri o dogmi e autorizzato su quale base? Lungi da fare l’avvocato difensore di chiunque ( sono ingegnere e non avvocato), suggerisco un buon bagno di umiltà e una sana riflessione sulle ragioni per le quali certi file audio circolano (grazie al cielo), liberamente e alla portata di tutti; ciascuno ne farà poi, l’uso che gli è consono. Ringrazio tanto voi, del contributo messo a disposizione in questo site, ma criticare altri sulla base del “pubblico scelto e consono”, mi sembra poco “spirituale”.
E’ chiaro che non conoscendo se non superficialmente gli insegnamenti , le comunicazioni, o la dottrina come vogliamo chiamare questi rapporti, facilmente si cade in queste considerazioni che denotano un chiaro fraintendimento sul senso di ciò che ho scritto. Lascio la “parola” al Maestro in modo tale che chiunque possa valutarneil senso In risposta alla domanda ” La maggior parte acquisisce la « pace religiosa » e anche alcune conquiste notevoli, purtroppo lo fa in maniera passiva e dogmatica” così risponde:
R. – In maniera dogmatica. Perché, in fondo, ci sono lacune di ordine culturale, cioè l’individuo non è in grado di distinguere, quindi accetta — se gli fa comodo — o rifiuta se non gli piace, ma in realtà non fa storia.Purtroppo, (e lo dico naturalmente in senso molto relativo) la storia è stata sempre fatta dall’elite, come tu dici, però vorrei qualificare questo termine di élite. Cioè, élite non deve mai significare casta, ma deve includere chiunque è in condizione, per propria volontà o per studi fatti, di collocarsi ad un livello su-periore. Quindi io non considero l’elite come nobiltà o aristocrazia. Di questa élite ideale dovrebbero poter fare parte tutti, in realtà non è mai accaduto che ne abbiano fatto parte tutti. Le eccezioni sono venute dalla massa, al di là della norma, per una serie di ragioni di ordine politico, economico, ecc., sulle quali può esercitarsi ogni critica. E’ chiaro che finora l’elite ha finito col coincidere quasi sempre con la cosiddetta aristocrazia che ha guidato il mondo; è stato un errore, però così è accaduto. Cioè la storia ormai è stata fatta così, per quanto riguarda il passato, anche se in un certo senso vi sono state delle rivalse abbastanza significative, perché l’umanità ha avuto molti geni, molte grandi personalità che non facevano parte della élite, ma della massa. Il discorso qui si fa complesso, ma per quanto riguarda il passato come storia, la situazione è indubbiamente questa. Quindi, sì, indubbiamente, nell’analizzare questa storia e nel distinguere certe epoche fra di loro, si finisce col farlo, appunto, secondo questa cultura di élite. E’ così, e non c’è niente da fare…