3°: Coscienza biologica e coscienza morale – 19 gennaio 1972

 coscienzablog1

D. – Vorremmo una più esauriente discussione sul problema della coscienza, anche dal punto di vista neurologico. Ci preme sapere se questa coscienza ha veramente un suo centro di localizzazione cerebrale, perché secondo alcuni studi recenti pare che la coscienza non sia altro che un fatto cerebrale (a proposito, per esempio, del “pensiero visivo”, del “pensiero acustico” ecc.). La coscienza, quindi, non sarebbe altro che l’attivazione di alcuni fasci nervosi che dal centro (cervello) giungerebbero alla periferia, stimolando gli stessi organi sensoriali. A queste sensazioni di tipo periferico-centrale, sarebbe contemporaneamente associato il concetto… la sensazione dello schema corporeo che il soggetto ha di sé. L’associazione di queste tre vie di questi tre processi fondamentali: quello dalla periferia al centro (cervello), dal cervello alla periferia, di rimbalzo, e quello della sensazione dello schema corporeo, sarebbe la base della coscienza. Alcuni studiosi dicono che la coscienza è questo e niente altro! Cioè, non sarebbe nemmeno un fatto psichico…

La domanda che a questo punto ovviamente si pone è questa: a un certo punto, nell’affiorare di un ricordo, ci si domanda cosa provochi tale ricordo. Se dal punto di vista neurologico la coscienza è così com’è stata descritta, non bisogna confondere il meccanismo neurologico, con cui si attiva la coscienza, con la coscienza stessa!…

D. – Ecco la grande domanda per un chiarimento di fondo! L’ultima volta tu stesso hai detto che la coscienza “umana” dipende dall’organismo cerebrale, e la cosa ha naturalmente rilanciato una certa perplessità su quella che è la continuità dell’autoconsapevolezza dell’io integrale, nel trapasso “uomo-Spirito”, cioè dalla fase incarnativa alla fase disincarnativa. Rimane poi l’altra questione fondamentale da esaurire, cioè quella del doppio aspetto dell’intelligenza: intelligenza cerebrale (quella che viene usata dall’uomo) e intelligenza spirituale, di cui forse una parte viene…

A. – Ecco, vedi, è questo aspetto della domanda che chiarisce anche l’altra parte, cioè quella delle basi fisiche della coscienza.

Io ho parlato di una doppia intelligenza e questo lascia subito intendere una doppia coscienza. Chiarisco.

I neurofisiologi non hanno torto a localizzare la coscienza nel cervello e nel ritenere che essa sia una manifestazione di “andata e ritorno” nell’ambito del cervello e del sistema nervoso centrale e periferico, sino alla identificazione nella coscienza con lo schema corporeo che uno ha di sé, che è la percezione del “sé”.

Ciascuno di voi sa di essere e sa di essere fisicamente, perché lo schema di se stesso è dentro di voi, pienamente intelligente, ed è questa la coscienza di sé. Per raggiungere questa coscienza di sé non è indispensabile l’anima. Infatti, citiamo ancora una volta gli animali, i quali hanno l’idea di sé, la coscienza di sé, la quale consente – in fondo – di creare tutta una serie di atteggiamenti conservativi della vita che ciascun animale condiziona in proporzione al proprio schema corporeo. Tant’ è vero che ogni animale ha dei meccanismi di difesa, di conservazione e di sopravvivenza, che sono legati al tipo fisico, alla razza, alla specie, e si può dire che ogni atteggiamento di sopravvivenza e di conservazione dell’animale è esclusivamente in funzione di questo schema corporeo e di queste difese, conseguenza di quello stato di coscienza che ogni animale ha in sé. L’animale che si chiude a riccio, mettendo fuori gli aculei, mostra di avere a livello di subcoscienza un’alta comprensione del proprio meccanismo di difesa, anche se, nel caso specifico, ho parlato di subcoscienza e non di coscienza, infatti non vi è un passaggio da una fase istintiva di subcoscienza a una fase di intellettualizzazione, per così dire, dell’idea: cioè l’animale lo fa istintivamente, perché evidentemente c’è un passaggio che non può farsi, c’è una parte del cervello che manca, diremmo noi, e sono quelle zone di sviluppo corticale che riscontriamo nell’antropoide o dall’antropoide in poi, e che non riscontriamo nella fase precedente.

Ciò significa che esistono razze di animali che hanno la possibilità di muoversi in una subcoscienza, cioè in una zona istintiva, più o meno progredita a seconda della specie, fino agli animali superiori e fino all’essere umano. In questo caso noi ci troviamo di fronte a una coscienza di tipo biologico che, in unione a una intelligenza di tipo biologico, consente manifestazioni anche piuttosto elevate, ma sempre a livello di coscienza istintiva, cioè sempre animale, sia pure intelligente come può apparire nell’essere umano.

Per meglio capire cos’è questo tipo di coscienza, di cui stiamo parlando, andiamo a vedere qual è l’altro tipo di coscienza.

Secondo la neurofisiologia, la psicologia, o semplicemente secondo il buon senso comune, la coscienza è appunto l’idea di sé, che consente di autodefinirsi, di poter dire “io sono!”, e di avere in quel momento un’idea di sé più o meno precisa, visiva, perché ciascuno si rivede in tale coscienza, e si rivede anche nel senso di conoscenza di sé, di patrimonio di sé, del passato, del presente, e vede questo sé anche in una possibile prospettiva futura, che è anche la conseguenza dell’autodefinizione e del proprio passato.

Cioè, ciascuno ha un’idea abbastanza precisa della propria funzione, in rapporto alle cose che ha fatto e che fa, alle cose che ha conosciuto e che conosce, alle cose che rappresentano le sue aspirazioni: ciò che vorrebbe conoscere, ciò che vorrebbe fare… Ma ecco che a questo punto scatta qualcosa di apparentemente strano e che non riscontriamo assolutamente negli animali.

L’animale, per esempio, può avere una buona conoscenza di sé, sia pure non a livello intellettuale, in senso linguistico e non in senso di una dinamica interna di questo linguaggio interiore, ma, ecco, l’animale, in certo senso, non ha futuro. Pur avendo un passato e un presente, non ha futuro. Cioè, veramente l’animale non ha aspirazioni, il suo cervello non può pensare al futuro.

Qual è la differenza tra il pensare al futuro e il limitarsi semplicemente a pensare il presente, naturalmente, sempre proporzionalmente a ciò che ciascuno può incamerare del presente? È indubbiamente l’ideazione, cioè la libera associazione delle idee, in funzione critica. Nel dire questo io ci metto tutto dentro… I desideri, le aspirazioni, la volontà, le delusioni, la conoscenza, l’utilizzazione del passato in funzione del futuro e l’aspirazione al futuro non in funzione del passato. Tutte queste sono esercitazioni libere, consentibili soltanto a condizione che esse non esistano, e per le quali, quindi, non esistono circuiti cerebrali prestabiliti.

Spiego meglio quello che voglio dire.

In realtà, da un punto di vista neurofisiologico, strettamente parlando, voi non potreste avere un’ideazione riferita al futuro. Non potreste neppure prepararvi un programma futuro, perché tutti i circuiti che si stabiliscono nel vostro cervello riguardano cose che via via che accadono si registrano, e voi potete evocare le cose registrate del vostro passato e del vostro presente, proprio perché tutte le immagini e tutte le idee si localizzano e formano appunto dei circuiti che costituiranno quel famoso subcosciente di cui abbiamo detto. Ma essendo questa un’attività puramente meccanica, non si potrebbe ragionevolmente supporre che questi circuiti possano “pensare” ciò che in essi non è registrato.

Alcune volte voi avete parlato di cervelli meccanici costruiti dall’uomo. Suppongo che il cervello meccanico, o elettronico (credo che sia questa la definizione), possa funzionare e dare certe risposte a condizione che tutti gli elementi siano nella macchina, già preconfezionati. Bisogna cioè dare gli elementi alla macchina, la quale risponde in conseguenza dei circuiti che voi avete prestabilito. Cioè a dire, io credo che la macchina non possa darvi risposte imprevedibili, per così dire, proprio perché mancherebbero i circuiti corrispondenti.

Ora la stessa cosa accade al cervello umano, tanto più che, a quanto ho saputo, questo cervello elettronico è fatto a somiglianza o immagine del cervello umano, almeno per quello che voi sapete di questo. E allora ne deriva per conseguenza che, fin quando la macchina umana dà una risposta prevedibile, in funzione di quanto già registrato nei suoi circuiti, siamo certamente in una fase “fisiologica”, neurologica, perfettamente accettabile sul piano fisico.

In quel momento la coscienza, e quanto in essa è contenuto, proviene da circuiti che sono stati incamerati nel corso della vita, e siamo a posto dicendo che essa coscienza proviene dal cervello, sia pure con tutta la meccanica di andata e ritorno delle informazioni. Ma quando, invece, il cervello umano prospetta situazioni o soluzioni future, per cui non sia lecito accettare una registrazione a priori, bisogna necessariamente ammettere che si sta parlando di un altro circuito, perlomeno, di qualcos’altro che non è registrato nel cervello. Naturalmente, nel dire questo, mi riferisco a tutte le opere dell’uomo e mi riferisco in particolare a quella che è la dimostrazione più palmare, il progresso dell’uomo.

Il progresso dell’uomo, se c’è stato, e l’evoluzione della civiltà lo dimostrano in maniera evidentissima, quasi matematica, direi che il cervello umano non si è mosso in base a un principio di causa ed effetto, ma in base a un principio di causa ed effetto più qualcos’altro, perché il principio di causa ed effetto avrebbe provocato la stasi dell’umanità, come l’ha provocata nelle specie animali, le quali, dal punto di vista dell’evoluzione in senso di civiltà superiore, non è mai proceduta di un passo.

E perché? Perché nell’animale manca quel circuito superiore, cioè manca quell’altro tipo d’intelligenza o quell’altro tipo di coscienza che si muove indipendentemente dalla coscienza neurofisiologica, da cui tuttavia dipende per la sua manifestazione, e alla quale è tuttavia legato, ma che è in sé indipendente e che procede (o può procedere) in maniera inversamente proporzionale, tant’è vero che è essa a determinare l’attività dell’uomo, e che consente nel particolare la prospettazione del futuro dell’uomo stesso e, in un ambito storico più allargato, il cammino del genere umano in senso assoluto.

Questa osservazione di fondo è un dato incontestabile. Una obiezione che però si può fare a tale assunto è questa: non è possibile che, stabilitisi certi circuiti, questi possano, in maniera autonoma, creare, nel senso che tutto il futuro dell’uomo o l’evoluzione stessa, non sarebbero nient’altro che la deduzione logica che l’uomo avrebbe la possibilità di fare e quindi stabilirsi il suo progresso, che poi, in generale, diverrebbe il progresso dell’intero genere umano? Si potrebbe, in altri termini, ritrovare così la causa del progresso o dell’aspirazione a un futuro. Cioè la coscienza più alta dell’uomo, nell’ambito della stessa sfera neurologica, non sarebbe dovuta nient’altro che a un processo deduttivo di questi circuiti che agirebbero per conto proprio, potendo essere, per esempio, dei circuiti tutti speciali. E un’ammissione del genere – di circuiti speciali – anche se non dimostrata, potrebbe essere accettata in senso lato, come ipotesi di lavoro.

Allora, prendendola come ipotesi di lavoro, vediamo un po’ cosa succederebbe in un caso simile.

Per accettare una cosa del genere occorrerebbe dimostrare (il che non si è fatto, né si può fare, credo) che innanzi tutto il principio di causa ed effetto è sbagliato. Perché, indubbiamente, noi possiamo ammettere che tali circuiti cerebrali, bioelettrici, possano evidentemente manipolarsi o, direi, sovrapporsi o comunque mescolarsi in maniera tale da dare poi un’idea finale, o un tipo di idea cosciente finale del tutto nuova, e ciò consisterebbe appunto in quel “di più” che l’uomo creerebbe da solo, e questa idea dovrebbe inoltre essere qualitativamente superiore alle precedenti.

E l’uomo dovrebbe avere a questo punto la capacità, attraverso la sua stessa intelligenza di tipo cerebrale, di poter valutare e acquisire questa nuova idea come nuovo patrimonio di sé, riconoscendola in tale misura. Ma il cervello umano come potrebbe a questo punto auto-riconoscere?

Per capire questo andiamo a vedere quale sarebbe il tipo d’intelligenza che dovrebbe riconoscere tutto ciò.

Abbiamo parlato di coscienza, ma non d’intelligenza: e non sono la stessa cosa. Noi abbiamo detto molte volte che l’intelligenza è la capacità che un essere possiede di autoriconoscersi, di auto giudicarsi, di distinguere, di esercitare il potere critico sulle proprie idee e su quelle altrui, di valutare nel senso di dimensione spazio-tempo, finché si è sulla Terra è insomma l’intelligenza quella facoltà che l’uomo possiede per poter interpretare se stesso e il mondo che lo circonda.

È possibile che questa interpretazione, finché è di natura fisica (cioè riguarda oggetti o ambienti elementari, o idee elementari legate alla vita e alla sopravvivenza), dipenda dal cervello, perché è proprio così! Ma quando l’essere umano entra in una valutazione critica che non è di tipo conservativo, ma è indipendente da essa, è possibile pensare che ciò possa ancora dipendere da una valutazione di tipo cerebrale e non piuttosto da un altro tipo di coscienza, che è appunto quella coscienza spirituale di cui parlavamo?

Non c’è dubbio che un atteggiamento critico lo possiedano anche gli animali, ma essi non possiedono una critica di tipo morale, e non la possiedono perché manca in essi qualcosa.

Si potrebbe ancora obiettare che potrebbe mancare all’animale la parte cerebrale atta a fornire una coscienza di tipo logico, e allora, in questo caso, mancherebbe anche la coscienza di tipo “morale”.

L’uomo, invece, avendo una coscienza di tipo logico, dovuta a un cervello perfezionato, potrebbe in conseguenza avere anche una intelligenza di tipo morale, e cioè: la logica e la morale andrebbero di pari passo, semplicemente perché la morale potrebbe essere la scelta più conveniente. In fondo una scelta di tipo morale diventa logica proprio per un principio, direi “economico”, cioè il “non danno al prossimo” sarebbe un principio economico di tipo sociale o di tipo cerebrale; cioè “conveniente” in virtù di tante altre questioni: educative, di ambiente, storiche ecc.

A parte il fatto che questo discorso sta diventando troppo filosofico e poco scientifico (la discussione, infatti, travalica chiaramente i dati cerebrali), perché stiamo parlando di cose di cui non esiste la minima traccia nel cervello, tanto per cominciare; non esiste la minima traccia di una logica semplice o di una logica ancora più importante di tipo morale. Nel cervello, l’unica logica possibile che possiamo spiegare e rintracciare con certezza è quella di tipo conservativo, cioè la logica di tipo istintivo: quella che proviene da un patrimonio ereditario, genetico; da un patrimonio biologico che è legato al cosiddetto “istinto di vita”, che è una forza caratteristica del bios, una forza caratteristica della cellula.

Perché esiste? È inutile addentrarsi in questo discorso. Esiste perché è la forza di autoconservazione della cellula, della sua moltiplicazione, del suo accrescimento. Direi che la cellula contiene in sé la forza vitale di aggregazione e di sopravvivenza, una forza biologica, e questo istinto primario diventa poi l’istinto del tutto, e l’uomo, grossa cellula, conserva lo stesso istinto della piccola cellula, cioè del piccolo elemento; l’uomo, in quanto aggregato, ne conserva di riflesso l’istinto.

Ecco perché voi avete l’istinto di conservazione e quello meccanico di difesa, che scatta indipendentemente dalla logica morale. Siamo lì, anche se questo fenomeno di tipo biologico viene intellettualizzato dalla presenza di una logica superiore, che è consentita all’uomo in quanto il suo cervello funziona in maniera intelligente e si esplicita attraverso il riconoscimento di certe matrici, cioè il riconoscimento delle proprie acquisizioni, del proprio patrimonio; ciò che invece l’animale non ha.

L’uomo, questo patrimonio lo conserva, lo ingigantisce perché possiede un altro tipo di logica, un altro tipo di intelligenza, un altro tipo di coscienza: la coscienza superiore, che pur essendo legata alla coscienza inferiore, di tipo neurofisiologico, ma che si muove anche in virtù di quella successione psichica di cui abbiamo parlato, attraverso la via dell’inconscio che è legato allo Spirito (Vedere le precedenti parti 1° e 2°. – Nota GdS.), in maniera che se la prima logica o la prima intelligenza di tipo animale funziona in maniera autonoma (per cui, al limite, l’uomo potrebbe fare a meno dell’anima!), quella più alta è direttamente determinata dallo Spirito.

E lasciamo perdere se un uomo senz’anima sarebbe morale o immorale. Sarebbe comunque un essere umano. Potrebbe camminare, vivere, fare tutte le solite cose, essere in una maniera che ora non esamineremo.

Comunque, da un punto di vista “tecnico”, un uomo siffatto potrebbe vivere, e la dimostrazione di ciò deriva dal fatto che c’è stato prima l’uomo e poi è venuta l’anima. L’uomo esisteva prima, come entità fisica, ed è stato consentito, a un certo punto l’intromissione dell’anima, perché l’uomo aveva, come tale, raggiunto un certo grado di sufficienza.

Questo significa che, almeno per moltissimi secoli, questo “uomo animale” c’è stato ed è stato senz’anima, in un certo senso. Non è che il primo antropoide che ha avuto uno sprazzo d’intelligenza abbia ricevuto subito l’anima; c’è stato un lungo, lento passaggio, come ho già detto.

Quindi, tornando al nostro discorso, dirò che la presenza dell’attività psichica, pur legata a quella di tipo materiale, si muove secondo una propria logica, di tipo psichico, quindi più indipendentemente, sotto la spinta di un meccanismo spirituale, che può anche essere ridotto a semplice stimolo spirituale – ma che è comunque altamente qualificante-, che permea di sé, con la sola presenza, tutta l’organizzazione psichica. Per cui noi avremmo, in realtà, una base fisica (cervello) con tutti i suoi circuiti atti a consentire tutta la vita di un individuo con tutti gli istinti; macchina importantissima, senza la quale lo Spirito potrebbe far fagotto e andarsene, perché senza il cervello con tutto il sensorio (parte centrale, periferica e corticale) nessuna esperienza sarebbe possibile allo Spirito. Perché, se è vero che l’inconscio costituisce il primo impatto con la materia, nella direzione dello Spirito, il cervello costituisce il primo impatto con la materia nell’altro senso, all’opposto, praticamente.

Il cervello riceve il mondo così com’è, e reagisce secondo la logica del bios, secondo una logica di tipo naturalistico; non c’è niente da fare!

La prima reazione del cervello è di tipo animale, e sarebbe la reazione che, per esempio, se ricevi uno schiaffo immediatamente ti contrai per restituirlo: è così e deve essere così! E se esistesse soltanto questa parte cerebrale voi reagireste immediatamente a un’aggressione, a una minaccia, come reagisce una tigre, un leone o un serpente, cioè vi muovereste al livello di una logica istintiva. Vita per la vita, sopravvivenza per la sopravvivenza! Come fanno gli animali.

Ma a un certo punto sopravviene una qualificazione cioè queste stesse attività l’uomo le ha dirette da un’altra parte, in un certo senso le ha “sublimate”. Perché è successo questo? Perché il complesso psichico, che pure è in parte manifestazione del cervello (attraverso gli stimoli esterni il cervello si è formato addirittura questo inviluppo gassoso che è un po’ l’ombra del cervello (Il termine “gassoso” è ovviamente simbolico in senso raffigurativo. – Nota del curatore.), in parte se l’è formato per via sua naturale, cioè attraverso queste registrazioni e, in parte attraverso le informazioni esterne, cioè quelle che sono subentrate dopo attraverso fattori educativi di convenienza, storici, tradizionali ecc. Ma tutto questo non sarebbe stato ancora sufficiente, perché per dare una logica di tipo superiore e, soprattutto, per dare la possibilità a questo essere umano di produrre manifestazioni di tipo superiore indipendentemente dalla logica (vedi il cammino della civiltà superiore, le arti, le scienze, contrarie alla logica di tipo umano), è stata necessaria l’introduzione di un tipo d’intelligenza qualificante e indipendente.

Una volta mi dilettai – tanto tempo fa – a esaminare un aspetto curioso dell’essere umano. Mi venivano alla mente delle strane cose, tra le quali, principalmente, i vizi e le virtù dell’uomo. Mi chiedevo se, in fondo, una prova che nell’essere umano esiste una qualità superiore, non legata alla vita in senso biologico, non venisse proprio fornita dalle virtù e dai vizi dell’uomo. Devo dire più dai vizi, forse, che dalle virtù; e sembra strano… Mi venivano a mente le strane cose che l’uomo fa e che, logicamente, hanno una finalità di autodistruzione. Perché, vedete, l’uomo tanto più è vizioso, tanto più sa coscientemente di abbreviare la propria vita. Eppure attraverso il vizio stesso, l’uomo raggiunge un’esperienza che, d’altra parte, si può raggiungere soltanto con la massima esaltazione della virtù, e a un certo punto le due cose camminano insieme. L’estremo vizio, o l’estrema abiezione, e l’estrema virtù, si somigliano in una maniera impressionante, perché entrambe sono una rinuncia alla vita, anche se coscientemente o incoscientemente intesa. A me pare che qui ci troviamo di fronte a un ulteriore momento di riflessione della questione, perché, effettivamente, quando l’uomo tende alla distruzione di se stesso in vista di un piacere sottile, che non è soltanto di tipo istintivo, di tipo materiale, ma che trapassa nell’immateriale, perché diventa un piacere sottile, di tipo metafisico, un godimento interiore del vizio o della virtù, e tutto questo mi fa pensare che l’essere umano, l’uomo, diventa lo strumento di qualcos’altro che agisce attraverso la materia, che usa quella materia per il raggiungimento di un fine imperscrutabile, ma che tuttavia diventa un filo logico, perché nell’estrema abiezione, come nell’estrema virtù c’è la massima logica possibile: quella di penetrare fino in fondo l’essenza della materia… E mi chiedo, a questo punto, se tutto ciò provenga poi veramente dal cervello, quando esso – non dimentichiamolo! – essendo composto, essenzialmente di cellule, tende alla conservazione di se stesso, come qualsiasi aggregato cellulare. Qualsiasi aggregato cellulare, tendenzialmente non si muove verso il suicidio, ma verso l’autoconservazione, quando sappiamo bene che da questo aggregato non potrebbe logicamente nascere una qualsivoglia idea che gli sia contraria per principio biologico. Per necessità conseguenziale e per una logica interna al procedimento, l’atto finale di un tale aggregato cellulare, ammesso che pensasse, dovrebbe essere estremamente coerente all’idea della sopravvivenza di se stesso. Questo non si verifica, a onor del vero, non si verifica sempre, perché da un punto di vista umano dovremmo fare un passo indietro e, per esempio, riguardare un altro aspetto della questione, e cioè quella che è la decadenza biologica della specie in rapporto, per esempio, all’evoluzione della sfera mentale.

Sembra pacifico acquisire la nozione che l’intelligenza dell’uomo o la sua coscienza, o la sua personalità, si siano andate arricchendo enormemente in questi ultimi secoli (intendendo per “ultimi” moltissimi secoli, a confronto con fatti di 20 o 40.000 anni fa). C’è stato un processo in avanti abbastanza sviluppato! Vorrei però correggermi per quanto riguarda le date: diciamo perlomeno da 2-3.000 anni a questa parte, perché in questi anni ci sono stati i periodi più importanti.

Dunque, contemporaneamente all’arricchimento mentale ecc., vi è stata una decadenza biologica, perché la razza umana prima era una razza forte, e ora è una razza debole dal punto di vista biologico; ma è forte dal punto di vista intellettuale. Si può dire che vi è stato un passaggio da una forma all’altra, ma ritengo che sia estremamente utopistico, avventuroso, ammettere che vi sia stata un’evoluzione in senso cerebrale e in senso mentale, per esempio, dovuta a un depauperamento della sfera vitale, perché le due cose non mi sembrano intercambiabili, per la verità. Si potrebbero invocare cambiamenti di destinazione dell’uomo, di un uomo mollemente adagiato sul progresso della civiltà che lui stesso avrebbe creato fino a decadere.

L’uomo di una volta era forte, maneggiava la clava e spaccava gli animali con un colpo di mano, li mangiava crudi, e via di seguito… Era un uomo forte! Poi l’avvento della civiltà lo ha indebolito, l’uomo dormiva per terra, oggi dormite sui materassi. Tutte queste cose vi hanno un po’ rammolliti. (Nota GdS: La sostanza del discorso non cambia, ma a questa affermazione potrebbe obiettarsi che l’uomo primitivo era soggetto a una spietata selezione naturale, dalla nascita alla morte – in media precocissima, anche fino a pochi secoli fa -; inoltre gli studi archeologici, antropologici ecc., hanno rivelato che l’uomo primitivo, nella sua brevissima vita, era soggetto a malattie e deformazioni fisiche notevoli dovute alla vita rude ed estremamente pericolosa a cui era soggetto e a cui si era dovuto, giocoforza, allenare. Naturalmente il progresso tecnologico e sanitario ha ridotto notevolmente la selezione naturale e quell’”allenamento” ai disagi e pericoli allora esistenti e che peraltro continuano in quelle parti del mondo ove le condizioni di vita sono ancora primitive.).

A questo punto io non mi spiego più come sia possibile allora sostenere che, secondo una logica interna di tipo cellulare, possa essere avvenuta una cosa del genere senza ammettere che vi sia stata almeno l’interferenza di qualcos’altro che ha modificato il tutto.

Perché, vedete, questo è un po’ lo stesso discorso che facciamo quando parliamo di Dio o della Creazione: c’è stato, o deve esserci stato, un momento in cui, quando avviene un mutamento, si è introdotta qualche altra cosa. Perché una mutazione avvenga bisogna che un nuovo elemento entri nel circuito.

Ora io mi domando quali elementi possano essere entrati in questo particolare circuito di tipo biologico, nel quale le risposte dovevano invece essere assolutamente conseguenziali alla finalità di tipo cellulare da raggiungere: quella cioè che tendeva all’accrescimento, e non in senso esclusivamente qualitativo, ma almeno come fatto di conservazione, per cui il processo di decadenza è potuto avvenire soltanto in virtù dell’introduzione di elementi esterni. In questo caso l’elemento esterno sarebbe la modifica del patrimonio intellettuale dell’uomo, che poi avrebbe agito, paradossalmente, attraverso lo stesso meccanismo da esso creato, cioè la civiltà, il progresso, per migliorare ancora!

Com’è allora possibile che questa fase di tipo fisico abbia potuto generare da sé stessa, direi, il proprio “traditore”, cioè l’alta funzione intellettiva che l’avrebbe poi tradita? Ora, la logica delle conseguenze lascerebbe proprio pensare a elementi esterni che non avevano nulla a che vedere con queste strutture; a elementi esterni che devono essersi introdotti nella parte più alta del circuito (cervello – coscienza biologica) per poter agire a quel livello, e allora, per un “rimbalzo” naturale, ogni effetto che raggiunge il “bios”, in senso di coscienza, agisce poi anche a livello della cellula, provocando tutta una serie di modifiche del circuito, dei circuiti; tant’è vero che soltanto oggi, nel vostro secolo, siete arrivati alla nozione di gruppo “psicosomatico”, per intendere il rapporto che può esistere tra mente e cellula, tra coscienza e cellula, tra pensiero e cellula; cioè quell’influenza che, attraverso il pensiero, può addirittura raggiungere la cellula, tant’è vero che pensate senz’altro che ogni malattia, in fondo, ha una sua parte corrispondente di tipo psichico pre o post esistente.

Così io mi spiego come un atteggiamento di tipo mentale possa poi provocare un depauperamento biologico, indebolire il corpo fisico e portare all’uomo di oggi, non all’uomo delle caverne. Ma non posso spiegarmi il contrario, però, proprio perché non mi spiego il passaggio da un punto di vista biologico, sia pure di coscienza biologica, ma di tipo conservativo, a un tipo di coscienza inventiva di tipo superiore, quale tutta la creazione di prospettiva che l’uomo ha fatto lungo tutto il suo cammino. E allora a questo punto io non posso più parlare di cervello, perché il cervello non mi interessa, non mi soddisfa più, ma devo pensare a qualcos’altro e cioè a dire di quel complesso psichico con i suoi vari legami: con il cervello guida, che è la parte che tocca la Terra, e con l’altra parte che tocca il “cielo”, quella parte nella quale, attraverso l’inconscio, si raggiungono altre zone e altre vie di comunicazione con lo Spirito.

Questo vi lascia intendere, in un certo senso, in che maniera l’esperienza raggiunga lo Spirito stesso, attraverso tutta questa “meccanica” di tipo materiale che fa capo al cervello, dal quale viene “ripescata” per una eventuale utilizzazione della parte superiore che è la psiche, della quale – attraverso i vari passaggi indicati – si trasforma in idea che raggiunge come stimolo l’inconscio, per poi passare finalmente allo Spirito che l’acquisisce definitivamente o la respinge, secondo le sue finalità…”.