D. – Vorremmo parlare della realtà e validità del tipo di conoscenza che acquistiamo con questo contatto fuori dell’ordinario (Cioè, la seduta medianica con “trance” “ a incorporazione”. – Nota senza riferimento.).
A. – Vorrei dire questo: chi si avvicina per la prima volta a tale genere di manifestazioni resta sorpreso e turbato, oppure crede subito o non crede affatto. Talvolta continua a non credere anche dopo lungo tempo, perché ciascun essere umano, in un certo senso, abbisogna di un certo tipo di conoscenza che per alcuni riesce a toccare il fondo della sensibilità, per altri no.
In un certo senso ciascuno ha bisogno – nella vita – del proprio Maestro, così dicevano gli antichi. Tant’è vero che in India coloro che si votavano alla filosofia, oppure allo Yoga, cercavano spesso per anni il proprio Maestro, la propria Guida, e il significato è chiaro, perché ciascuno ha bisogno di una sua propria verità, di una sua conoscenza.
Questo non significa che la verità sia difforme, diversa da un uomo all’altro, ma che ciascuno ha bisogno di una parte della stessa verità perché quella soltanto soddisfa la propria esigenza. Ora, chi dunque viene qui, è mosso inizialmente da una legittima curiosità che poi si trasforma (quando si trasforma) in interesse. Sorgono allora immediatamente dei dubbi, alcuni dei quali sono contestabili, e altri non subito.
Questo, che è stato chiamato “fenomeno spiritico” o “medianico”, pone, direi, in maniera addirittura sensoria un rapporto immediato tra la vita e la non-vita, ed è questo che io vorrei chiarire. Perché non è tanto importante riconoscere una validità nel fenomeno d’”oltre tomba”, come voi dite impropriamente, quanto una sua validità indipendente, separata, direi, dal fenomeno stesso al quale assistete. Io dissi una volta: non è tanto importante credere nello spiritismo, quanto seguire, tuttavia, quelle conoscenze che attraverso queste manifestazioni – e solo attraverso di esse – vi possono giungere, sicché prevalga l’interesse per il fenomeno culturale che accompagna il fenomeno fisico a cui assistete. Perciò l’elemento primario è proprio in questo rapporto, nell’instaurazione di una conoscenza che viene a stabilirsi tra voi e noi, e che vi porta a conclusioni o rivelazioni che normalmente non potreste avere e ricevere attraverso l’uomo.
Si capisce che la vostra ragione deve intervenire ogni volta che è possibile, in una dialettica con noi, attraverso la quale cerchiamo sempre di eliminare certi spigoli, certi dubbi. Perché dico questo? Perché intorno allo spiritismo sono state costruite ipotesi e teorie varie, e alcune complesse. Dopo tanti e tanti anni di studi accaniti nessuno è riuscito a far luce completa su questi tipi di fenomeni,uno dei quali è qui davanti a voi. Perché mai? Perché proprio lo spiritismo sfugge a un’indagine scientifica totale. È cioè possibile esercitare nell’ambito della ricerca spiritica una serie d’indagini senz’altro valide, ma non tali da completare il quadro delle informazioni sui rapporti, specialmente mentali, che esistono tra voi e noi. Sì che a un certo punto la nostra affermazione di essere Spiriti può avere un valore relativo per voi, che stabilite voi in base a una vostra sensibilità, a un vostro atto di fede, che è tuttavia fede fino a un certo punto, perché mentre una fede generale nella realtà del problema spirituale è cosa naturale, istintiva o anche empirica, qui vi trovate certamente di fronte a una circostanza diversa, cioè davanti a un fenomeno che cade sotto i vostri sensi.
Voi ascoltate, voi potete vedere, altri medium possono compiere dei fenomeni fisici; sono insomma fenomeni che possono essere capiti, seguiti, e interpretati sul piano di una logica scientifica e spirituale. E in questo vi è la sostanziale differenza tra una fede empirica, ragionata o istintiva che sia, di ordine religioso, e una fede che si basa su fatti ben concreti, quali sono quelli dati dallo spiritismo in tanti e tanti anni. Tuttavia, anche per chi non volesse aderire a una linea spiritica, l’alternativa di sbloccare la questione, e cioè di considerare primario il fenomeno culturale, può essere accettabile ed essere di piena e reciproca soddisfazione. Perché non ci interessa molto che crediate in noi. A noi interessa soltanto che certe questioni sollevate incidano sulla personalità spirituale. Tanto, diceva un altro dei nostri, e anch’io sostengo, vi sono verità per le quali credere o non credere, in Terra, non fa molta differenza, perché sono di quelle verità che ritroverete subito quando verrà il giorno delle vostra morte. Come l’esistenza o meno di un’altra vita, problema cardine dell’esistenza umana. Ebbene, quest’altra vita voi la verificherete e non potrà esserci più volontà o necessità di credere, perché sarete voi stessi i “morti”, voi con la vostra presenza, col vostro essere testimoni di un’altra esistenza.
Quindi, il vostro affanno legittimo è di cercare certe verità, e i miei stessi suggerimenti di operare certe ricerche sono indubbiamente validi e legittimi, ed esse approderanno (se approderanno) a qualche risultato; ma la nostra presenza qui è giustificata soltanto su di un piano spirituale ed è su questo piano che noi preferiamo sempre restare. Un piano cioè che tenga presente la vostra natura umana e la vostra necessità di ricevere da parte nostra quella conoscenza che potrà migliorare la vostra vita e meglio far interpretare le circostanze e i rapporti tra voi e Dio.
Io non vorrei qui fare una predica, naturalmente, perché è contro le mie abitudini. Mi auguro soltanto che i nuovi ospiti intendano questo discorso come un concreto desiderio da parte nostra di voler dialogare con loro, e con voi che siete qui da più tempo, sempre secondo un rapporto di piena fratellanza. I nostri limiti ci sono dati dal fatto di non potervi dare tutto, in primo luogo non possiamo darvi la fede, perché non è in nostro potere darvela. Potremmo darvela attraverso grandiosi fenomeni o grandiose apparizioni, ma l’esperienza insegna che non sono mai le prove a dare la fede all’uomo.
L’uomo giunge alla fede, se vi giunge, attraverso un personale lavoro di analisi della verità, di penetrazione, e può darsi che non vi giunga mai. Quello che è più importante, indipendentemente da una fede astratta, è il concreto modo di vivere secondo certe norme “morali” di carattere universale, eliminando dalla propria condotta il superfluo e riducendo la propria verità a un rapporto scarno, a una conoscenza scarna dei rapporti tra sé e l’Universo.
Purtroppo, sulla Terra con tante e tante cose che si sono dette, avete perduto il rapporto genuino con Dio e con voi stessi. Vi trovate in una situazione da cui è molto difficile uscire. Io credo che tutto questo sia da imputarsi a una scarsa riflessione dell’uomo sul fondamentale problema della sua vita, cioè nel suo essere interiore in rapporto con un eventuale Dio che è fuori e nel contempo è dentro di lui. Preferisco che siate ora voi a rivolgermi domande.
D. – La libertà è nel fare?
A. – Sì, esatto. Però si potrebbe anche dire che vi sono circostanze in cui anche il “non fare” rappresenta un esercizio di libertà.
D. – Quando il “non fare” è un’attività e non una passività.
A. – Esatto.
D. – Ricollegandoci alla libertà di Dio, diciamo che praticamente Dio è libero di fare nella realtà.
A. – Nell’atto creativo di Dio si può considerare anche questo implicito esserci della libertà, indubbiamente. Questa è una considerazione che noi esaminammo una volta di fronte a una domanda come questa: Dio poteva eventualmente non creare? Io non posso dirlo con esattezza inquantoché la realtà esiste. È un’esistenza e come tale è vita. Dio ha esercitato un suo “diritto”, ma bisogna convenire che probabilmente Egli non poteva farne a meno, essendo Dio; tuttavia è chiaro che al limite, almeno teoricamente, Dio questa possibilità di “non creare” deve averla. Ora, perché Dio non possa vietarselo potrebbe risultare da un altro tipo di ragionamento, e cioè che per operare o non operare occorrono certe motivazioni. Ora, Dio poteva evitare la creazione solo se avesse avuto dei motivi molto validi. È un discorso indubbiamente al limite che manca della possibilità di verifica, è chiaro; tuttavia riconosco che la libertà in Dio deve essere considerata almeno legata al “farsi” delle idee di Dio, cioè al momento in cui le idee di Dio passano da uno stato potenziale a uno attuale.
D. – Quando si parla di Dio si scivola inevitabilmente verso idee confuse, perché parlare di motivazioni significa parlare in termini antropomorfici.
A. – Noi, quando parliamo di Dio, quando ne parliamo con voi, siamo costretti a usare termini i quali non corrispondono a certe idee universali. Per esempio, quando parliamo di motivazioni ci riferiamo indubbiamente a un esercizio dell’intelligenza di Dio, cioè noi dobbiamo riconoscere che Dio è intelligente. Ora, questo significa che anche da un punto di vista vostro, umano, l’intelligenza implica necessariamente l’uso di certe idee le quali vengono manipolate secondo certe spinte particolari in cui riconosciamo un esercizio di libertà, cioè nella maniera di organizzarle a proprio piacimento. Cioè l’essere che pensa e manipola queste idee è un essere intelligente.
Tuttavia noi dobbiamo anche riconoscere che intelligenza vuol dire riconoscimento, valutazione delle idee, unione di certe idee in maniera che da semplici diventino complesse, e questo significa probabilità di scarto, di non uso di certe idee in certe circostanze e quindi, implicitamente, il manifestarsi di una motivazione nell’ambito di questa intelligenza: io organizzo le idee in questo modo per questa ragione. Ecco che la motivazione viene fuori.
Ora, dunque, Dio ha indubbiamente nell’ambito della propria intelligenza certe motivazioni che fanno decidere su un passaggio dall’idea all’atto in una certa maniera e non in un’altra. E questo, direi,è un diritto che non si può contestare a Dio. Però nasce un problema, questo: Dio, in realtà, essendo un essere perfettissimo non dovrebbe ragionevolmente essere mentalmente organizzato in maniera da dover fare una scelta tra due o più probabili idee, inquantoché la perfezione assoluta esclude uno scarto d’idee in favore di un’altra perché esse nascono già perfette. Però, questa importante e anche ovvia considerazione può essere risolta. Perché, vedete, sì, le idee nascono già perfette, ma l’errore in questo discorso sta nel fatto che le idee-scarto non sono idee imperfette, ma sono idee che possono far parte di un’altra struttura mentale, di un’altra organizzazione di idee complesse, a sua volta perfette.
Considerando che tutte le idee in quanto semplici sono perfette, queste idee possono essere utilizzate in diversi complessi della realtà a seconda della finalità che assume ciascuno di questi gruppi di realtà, sicché, Dio, fa in modo che queste idee vengano a organizzarsi in maniera perfetta. Tuttavia, Egli potrebbe operare una scelta che semmai si può considerare precedente a un atto di volontà.
Ma quando parliamo di Dio noi non possiamo fare delle distinzioni di tempo come le facciamo con l’uomo. Cioè, gli elementi che costituiscono la sostanza divina sono tutti elementi assoluti, infiniti ed eterni e disposti in una compresenza, quindi non scaturiscono per successione.
Il grosso problema della libertà di Dio certamente si presenta ed è un problema forse non risolvibile sul piano di una logica umana, tuttavia la libertà di Dio deve essere rivolta, per quanto riguarda certe attività di organizzazione della realtà, al momento in cui esse si disposero secondo una finalità.
Vedete, facciamo l’esempio tipico dello Spirito: l’essere spirituale viene creato da Dio in quello che noi chiamiamo “tempo divino” che è una convenzione. Tuttavia sappiamo che lo Spirito, in realtà, non è stato mai creato, perché è sempre esistito potenzialmente in quanto struttura divina.
Diciamo però che lo Spirito ha avuto un suo “inizio”, che voi e noi a un certo punto siamo stati “creati” da Dio, e che ci riconosciamo in un tempo convenzionale nel momento in cui, avendo assunto una nostra personalità e una nostra individualità, siamo stati in grado di autoriconoscerci. Però, la nostra sostanza, la nostra struttura è sempre esistita in Dio ed Egli non ha fatto altro che emanarci. È come il problema della creazione: la creazione non esiste, Dio non ha creato un bel niente, perché non è affatto vero che Dio dal nulla abbia tratto tutte le cose, perché le ha tratte da Se stesso, non dal nulla, perché il nulla non esiste.
Ora, l’avere emanato da Se stesso non pone il problema della creazione ma solo il problema di emanazione “da Dio”. Tuttavia, qui una scelta è stato necessario farla per quanto riguarda la finalità di questa sostanza dello Spirito. Noi esseri spirituali, noi e voi, conserviamo la nostra integrità, e a differenza dell’Universo che ci circonda, la nostra individualità è eterna. Cioè, noi non moriremo mai, in quanto Spiriti, perché la nostra è una sostanza che essendo stata emanata da Dio ne conserva le caratteristiche. Solo per questa ragione noi siamo eterni.
A questo punto si può chiedere: Dio poteva evitare tutto questo? Poteva evitare, per esempio, la nostra eternità? Poteva farci finiti? A questo punto io dico di no. Non poteva. È un problema qui di limitazione di libertà. Dio non può far sì che questa struttura trapassi da infinito a finito, e cioè che diventi finita una cosa infinita. Questa impossibilità di Dio nasce indubbiamente da un principio di ordine generale e cioè che Dio non può concepire il finito, perché esso non può esistere per Lui. Le cose finite dovrebbero corrispondere a un’idea finita, ma le idee di Dio sono necessariamente tutte infinite.
Dio non può avere idee finite, altrimenti sarebbe relativo o sarebbe Egli stesso “parzialmente infinito”, il che è un’assurdità perché una cosa o è finita o è infinita. Voi potete incontrare aspetti del finito in un ambito di relatività universale, eppure gli stessi principi lo sono soltanto per convenzione; in realtà essi corrispondono ad altre cose e veramente nell’Universo non c’è nulla che si distrugga, mai. Ora, sul piano proprio costitutivo della sostanza spirituale Dio non poteva creare lo Spirito finito.
Ora, poiché la sostanza è di natura infinita, la personalità è però risultata modificata secondo un principio generale. Dio veramente non ha trasferito in noi tutto Se stesso, ma un parziale Se stesso. E mi spiego. Questo, forse, è nuovo per tutti. Lo Spirito è potenzialmente infinito, avendo Dio trasferito, proiettato certe qualità nello Spirito, come l’intelligenza, la volontà, la capacità di poter acquisire la conoscenza, di poter penetrare nell’Universo, di poter riconoscere anche Lui, cioè Dio, il Padre, il Creatore delle cose.
Ma la nostra intelligenza è forse infinita? La nostra intelligenza è infinita in quanto vivrà nell’infinito, indubbiamente: la nostra intelligenza è all’infinito, direi in una maniera più corretta, non direi però che la nostra sia un’intelligenza infinita. È un’intelligenza che si muove lungo l’infinito e si accresce col patrimonio della conoscenza. L’accrescimento non è però proporzionato alla conoscenza, perché, in realtà, con uno stesso valore d’intelligenza io posso penetrare una conoscenza sempre più grande, senza che necessariamente si ampli la mia intelligenza. Cioè, io posso avere un’intelligenza la quale può consentirmi di apprendere qualunque cosa, sia pure gradatamente. Tuttavia noi riscontriamo che l’intelligenza subisce un miglioramento piuttosto costante, anche se lento.
Però, ecco qui un limite dello Spirito: noi effettivamente percorriamo l’infinito e andiamo incontro a una conoscenza sempre più approfondita; però, pur avendo un’intelligenza che è teoricamente infinita, noi non soltanto non comprenderemo mai l’infinito, cioè non lo occuperemo mai mentalmente, ma non raggiungeremo mai Dio. Cioè, qui ci troviamo di fronte a un parallelismo di infiniti che non s’incontrano. Dio, con la sua personalità infinita, noi con la nostra personalità che è proiettata all’infinito ma che non raggiunge quella di Dio.
Ora, per naturale legge universale, due infiniti si equivalgono; cioè, in pratica, non si possono concepire due infiniti, perché l’uno deve comprendere l’altro: è implicito nella definizione tutto questo. Perché “infinito” vuol dire in tutte le direzioni e quindi deve comprendere teoricamente qualunque altro punto infinito, sicché non esistono più punti infiniti ma ne esiste uno solo; e quindi una riduzione all’unità. Eppure qui non si verifica questo fenomeno. La personalità dello Spirito si mantiene integra rispetto alla personalità di Dio.
A questo punto, io dico, deve essere intervenuto qualcosa, qualcosa in Dio stesso, con una legge o un principio che Dio ha dovuto necessariamente emanare, cioè un principio di non riassorbimento dello Spirito. Perché Dio, in quanto fonte di infiniti, assorbe, assume entro di Sé qualunque altra possibilità infinita. Cioè tutto è in Lui.
Ora questo avviene secondo un principio generale, perché noi, in qualunque maniera ci muoviamo, siamo sempre in Dio; però questo è un discorso piuttosto teorico. In pratica la nostra sostanzialità, la nostra individualità resterà sempre autonoma e non saremo mai più riassorbiti in Dio. Ciò vuol dire che deve esserci una deroga, una norma generale, universale; deroga che deve risalire necessariamente a Dio. A questo punto noi ragioniamo per supposizione, è logico, e non per conoscenza diretta, perché si tratta di quel tipo di conoscenza che appartiene soltanto a Dio e che a noi è possibile raggiungere soltanto per via indiretta.
D. – Le idee rimangono confuse quando trattiamo le questioni a questo livello, perché, per esempio, in Dio lo stesso passaggio dalla potenza all’atto è un assurdo…
A. – Io direi che può essere il passaggio da una fase mentale ideale, teorica, a una fase attiva, autonoma di questa idea. Voi non potete certo sperare di capire certe cose. Io direi che esistono dei limiti che sono pesanti, non soltanto, ma che molte cose in Terra non si possono capire per una difficoltà di ricettività mentale. Anche gli aggettivi che usate non sono adatti. Quando parlate di intelligenza, di volontà, voi vi riferite sempre a un’intelligenza simile a quella dell’uomo, non avete altre maniere per pensare diversamente, e allora così riducete Dio a un essere che ha certi attributi così come li immaginate voi.
D. – A questa stregua il problema della libertà di Dio non potrebbe essere un problema che abbiamo inventato noi? Da questo discende una domanda; l’idea di libertà è un’idea assoluta, sul piano universale, oppure è qualcosa di relativo alla vicenda dell’evoluzione dello Spirito nell’Universo?
A. – Vorrei tradurre in un’altra maniera questa domanda. Cioè, la libertà è veramente nell’Universo, è veramente un attributo dello Spirito, è veramente una realtà universale, oppure se l’è inventata l’uomo?
È chiaro che la libertà in senso universale non significa affatto scegliere tra bene e male. Eliminiamo dunque questa cosa sciocca. Si tratta invece di scelta tra un sistema e l’altro di esperienze, e questo è più aderente alla realtà dei fatti, per lo Spirito.
Lo Spirito cerca di raggiungere una certa conoscenza e certe verità che stanno davanti a lui. Questa verità, questa conoscenza, può raggiungerle per vie diverse, perché vi sono molte vie per giungere allo stesso fine, e anche questo mi sembra naturale. Egli, però, nel percorrere queste vie può coinvolgere altri con l’uso indiscriminato delle proprie azioni, con l’uso della propria intelligenza, con la sua valutazione della libertà degli altri. E in questo, dunque, lo Spirito commette ciò che usualmente in Terra chiamate “male”, e che in realtà non è altro che una serie di errori dovuti a cattiva informazione sulla conoscenza, dall’uso sbagliato di essa e dal cattivo uso dei propri mezzi.
Poiché è essenzialmente un essere spirituale e poiché egli considera tutti gli altri esseri a lui simili, secondo una visione universale di fratellanza, lo Spirito indubbiamente soffre nell’arrecare dolore ad altri. Ma fino a qual punto è vera libertà, quando si sceglie tra diverse strade che portano allo stesso obiettivo? Lo Spirito sceglie veramente, oppure crede di scegliere, ed esiste invece già un suo naturale istinto verso una di quelle strade?
Naturalmente qui bisogna separare l’uomo dallo Spirito, perché lo Spirito è sempre meno libero dell’uomo. Voi siete più liberi di noi. Intanto siete più liberi perché siete più ignoranti. Tanto più aumenta la vostra conoscenza, tanto meno vi sentite liberi. Non soltanto diventate più responsabili, ma individuate subito le strade giuste o, perlomeno, le strade utili rispetto a quelle inutili, per voi (magari saranno utili per altri).
Dunque, indubbiamente, più lo Spirito è evoluto meno è libero, dal punto di vista di questa scelta. Però un minimo di libertà esiste sempre. Uno Spirito che ha raggiunto una certa evoluzione, a un certo punto può coscientemente scegliere la strada meno giusta? Sì, certamente, però non la sceglierà, è questo il punto. Questo capita anche a voi, naturalmente, in tante decisioni della vostra vita.
La libertà non sta soltanto nell’uso di se stesso. ma essa è anche connaturata alla vostra intelligenza, ed è quella spinta che vi permette di valutare tra due cose quale sia la giusta. È un potere di valutazione. La possibilità di scegliere però vie più giuste o logiche esiste, l’alternativa, infatti, è tra molte vie giuste e molte non giuste. Le vie giuste sono diverse tra loro, così la vostra scelta, la vostra libertà restano sempre salve. Voi, a una certa conoscenza potete arrivarci in mille modi.
Io una volta facevo l’esempio di una persona che deve giungere dall’altra parte della strada: in quanti modi potete giungervi? In tanti modi: andando dritti, oppure obliqui, camminando a zig-zag, oppure facendo un giro, non so, oppure volando, o facendo un salto. Sono tutti modi più o meno logici e giusti. Se però tra tutte queste maniere di attraversare la strada ve ne sono alcune come, per esempio, quella di buttare per aria il vostro prossimo per arrivare prima, questa diventa una maniera non giusta di raggiungere lo scopo. Perché scegliendo questo modo voi private altri della libertà di stare magari fermi nella strada; oppure di camminare.
Vorrei dire ancora una cosa molto importante: lo Spirito non ha mai l’alternativa tra una cosa che è bene e una cosa che è male, perché sul piano universale il male non esiste. Può esistere qualcosa che semmai può essere “male” per lo Spirito, ma non come valore universale: “male” perché non adatto, perché non usabile, oppure perché – se usato in maniera non razionale – può produrre danno agli altri. Ma non è mai “male” l’oggetto, l’uso o l’idea in sé. Può essere non perfetto l’uso che lo Spirito fa di certi strumenti di azione, e possono così diventare “male” nel senso che arrecano danno ad altri, ma non in quanto valori universali. Non può mai esistere una scelta di questo tipo: con Dio oppure contro Dio! È assurdo pensarlo. Non esiste un fonte di opposizione a Dio; in questo senso direi che l’Universo è retto in maniera “dittatoriale”.
Tuttavia ci troviamo di fronte a una costruzione assolutamente perfetta nella quale noi siamo immessi, e in questo grandioso complesso perfetto noi esercitiamo una relativa libertà di scelta, di operazioni mentali, di valutazioni universali, e direi che a tutto questo corrisponde una condizione di benessere, cioè di pace, o – più poeticamente – di felicità. In realtà non si tratta di felicità, ma di benessere interiore, di pace interiore.
Sulla Terra le cose vanno diversamente, perché effettivamente esiste la possibilità di uso indiscriminato della libertà, cioè l’essere umano, mosso dalla propria ignoranza e da una serie di tabù di ordine religioso e sociale, si può muovere con una libertà che sembra contravvenire a certe norme, e può dunque nascere un disordine morale di tipo umano. Una libertà di scelta l’uomo indubbiamente l’ha e deve averla. Che poi questa libertà egli non l’usi è un altro discorso. Pur usandola l’uomo non fa altro che vivere secondo convenzioni e conformismi, cioè vive secondo una vita di sovrastrutture, biologiche, sociali, che non corrisponde a una vita autentica.
D. – A conoscenza infinita corrisponde naturalmente libertà zero?
A. – Questo confermerebbe il discorso di prima sulla libertà di Dio. È un problema che noi possiamo porci teoricamente ma che al limite cade, e cade al limite dell’infinito proprio perché si tratta di percorsi infiniti. L’infinito non ha conclusione.
Non vorrei portare questi discorsi troppo avanti perché temo che a un certo punto possiate confondervi le idee. Inevitabilmente noi, ogni volta, finiamo con l’aggiungere alcune nozioni, magari senza che abbiate digerito perfettamente quelle precedenti. Il discorso di Dio, a questo livello, è certamente un discorso interessantissimo, che a me piace fare, naturalmente, però non vorrei neppure che esso vi distogliesse da certe altre necessità anche di conoscenza, perché allora ci sarebbe una svalutazione della conoscenza.
Quando si giunge a certe conclusioni su certi discorsi portati all’infinito, la vita dell’essere spirituale, e in particolare la vostra, perde gran parte del proprio valore. Di fronte a problemi così grandi, quali quelli di Dio, le piccole vicende umane scompaiono, la vita stessa diventa minuta, irrisoria, e questo non è giusto perché la vostra vita è una cosa importante, e lo Spirito che è insieme a voi, che vive con voi, gioca indubbiamente la sua vita in Terra confidando che questo corpo, in qualche modo, gli invii certi messaggi che siano utilizzabili sul piano dell’esperienza; e questo significa anche che, al limite, una rinuncia alla vita o un’eccessiva spiritualizzazione della vita, possono portare alla paradossale conseguenza di un’esperienza inutile per lo Spirito.
Questo discorso sembrerà molto strano, ma è così. Io dissi una volta: all’uomo che vive una vita inutile e vegetativa preferisco un delinquente, perché il delinquente è un uomo che vive intensamente, che utilizza la sua vita. che utilizza la materia e la Terra. Quando il corpo sarà morto quell’anima sarà ricca di esperienze, avrà capito tante cose; ma un uomo che non fa niente, né bene né male, è un’anima che lascia il corpo vuota, senza nulla. Questo significa anche che un uomo deve tener presente i problemi dello Spirito, ma non in maniera che sovrastino le altre esperienze della vita.
Da quando esiste in Terra una filosofia capace di dare certi giudizi, si è sempre detto che l’uomo deve elevare lo Spirito e basta. Io invece dico, sì, l’uomo deve elevare lo Spirito, ma attraverso la materia. Perché lo Spirito s’incarna per vivere nella materia, altrimenti potrebbe benissimo restarsene dall’altra parte. Lo Spirito non viene in Terra per fare lo Spirito, ma per fare l’uomo, cioè per assumere attraverso la Terra, nella materia, esperienze che non può assumere fuori.
Ciascuno a suo modo e secondo la propria evoluzione, usa la materia, vive intensamente la sua vita, e la spiritualità non sta ovviamente in fatti astratti, ma nel vivere intensamente la Terra secondo una finalità spirituale. Cioè nell’utilizzare coscientemente la materia in nome di un’esperienza di ordine spirituale. E questo è, indubbiamente, il completamento di quanto si è sempre detto più o meno erroneamente.
“Elevazione dello Spirito” non significa scacciare la materia, ma elevarsi in essa attraverso essa stessa. Cioè significa dare un significato alle proprie azioni. L’uomo che dà un significato alla propria azione ne trae un’esperienza, qualunque sia il tipo di azione che fa, purché la sappia riconoscere, purché sappia assumersene le responsabilità, purché sappia inquadrarla nell’insieme della propria vita.
Quest’uomo vive allora secondo un programma coerente, e non come colui che vive alla giornata come la maggior parte degli esseri umani, che non sanno quello che faranno domani. Questo non è logico, non è giusto. Invece qualificando la propria vita, perseguendo un certo programma, voi ottenete due cose importanti, prima di tutto non siete degli sbandati nella vita e avete le idee chiare su quello che volete fare, in secondo luogo le cose che fate sono qualificate, responsabilizzate perché le avete scelte voi, coerentemente e coscientemente…