(Domanda posta nel novembre del 1971. – Nota senza riferimento.) – (Nota posta originariamente a piè pagina. – Nota del curatore.)
A. – … La domanda vuole anche essere intesa, “perché esiste Dio?”.
Al di là del gioco di parole essa tende a chiedere la ragione dell’esistenza di Dio. Perché, chiedere perché Dio non può fare a meno di esistere, significa più o meno la stessa cosa. Sul problema ci siamo intrattenuti innumerevoli volte e non vi sarebbero aspetti nuovi se non quelli che normalmente si producono nel corso di siffatte conversazioni perché il problema è inesauribile e noi tocchiamo sempre qualche aspetto di cui l’interpretazione può suonare nuova.
Intanto, si dovrebbe parallelamente osservare ciò che dicono gli avversari della Divinità. Cioè per esempio, la domanda parallela: perché Dio non esiste? E, in realtà, tutto il materialismo tende a dire che l’Universo è autosufficiente e che lo scoprimento molteplice di tante leggi universali sposta la Divinità e la relega in una zona sempre più lontana.
Questa affermazione molto generica, che era valida fino a qualche tempo fa, da voi, oggi in realtà è diventata insufficiente, proprio perché attraverso lo scoprimento di tante leggi, la Divinità diventa l’elemento di sintesi che sembra indispensabile a spiegare la stessa molteplicità delle leggi. Ma il discorso su Dio non è un discorso che si possa organizzare scientificamente. Perché la scienza si occupa di ciò che è controllabile e di ciò che è visibile, o di ciò che è supponibile per via indiretta. Mentre il problema di Dio investe contemporaneamente quello dell’anima, e siamo in un campo dove ogni discorso è possibile solo a patto di un riconoscimento delle più alte funzioni intellettive dell’essere umano. Cioè a dire, riconoscendo nell’essere umano delle alte capacità intellettive, di sintesi, di organizzazione, si può articolare un discorso su Dio perché, contemporaneamente, si articola un discorso sull’alta coscienza dell’essere umano proprio in quella zona che poi andiamo a chiamare “Spirito”. È possibile questo riconoscimento? Si deve cioè ammettere che veramente nell’essere umano confluiscono due forze, di cui una, superiore, non è certamente di natura materiale, o perlomeno non appartiene a quel complesso di leggi materiali che vanno sotto il nome di leggi fisiche?
Questa ammissione che non è poi molto difficile a fare, nemmeno da parte dei materialisti e dei positivisti, non significherebbe granché, eppure sarebbe già un gran passo. Perché nel momento in cui si ammette l’esistenza, non già di un altro mondo come l’intende la religione o lo spiritualismo, ma quella di un mondo non strettamente fisico, questo tipo di mondo si separa subito da quello materiale, e si configura come un mondo che va oltre la materia, come mondo “paramateriale”, a lato cioè della materia.
Ogni discorso su Dio porta dunque implicitamente con sé il discorso sullo Spirito. Ho detto più volte che le due cose sono inseparabili. C’è chi mi chiedeva: potrebbe esistere Dio e non esistere affatto lo Spirito? Oppure, il che è ancor meglio, potrebbe esistere lo Spirito e non esistere affatto Dio? E lo Spirito non sarebbe altro in questo caso che una manifestazione extra-materiale, rientrante comunque nell’ambito di tutte quelle leggi universali che di per sé non avrebbero bisogno di un Dio, e che sarebbero artefici di sé stesse, mentre garantirebbero, queste leggi, le presenze di questi esseri che chiamiamo Spiriti. E dissi di no. Dissi che non è possibile fare questa concessione. Non è possibile farla perché quando si accetta un mondo che non è legato alle leggi fisiche della materia, bisogna necessariamente accettarne le conseguenze. Badate che io non accetto, sul piano filosofico, che si possa parlare di universale includendo la Terra, ma escludendo Dio e lo Spirito. Perché io il discorso lo riferisco esplicitamente alla Terra e dicendo la Terra intendo l’uomo, e dunque io non posso accettare discorsi come questo, per esempio: sì, ma lo Spirito potrebbe essere una manifestazione di carattere universale, proveniente da una serie di leggi di per sé sufficienti, e che in ogni caso escluderebbero la presenza di Dio o la presenza di un mondo di carattere eterno, di carattere universale, perché la presenza dello Spirito “quid non materiale”, d’accordo, però di tipo universale, come forza universale escluderebbe gli altri concetti.
Questo discorso evidentemente peccherebbe di ingenuità perché non si può accettare la presenza di un “quid” nel corpo umano, nel senso di espressione di una serie di leggi universali di cui nessuno sa dare ragione, e poi escludere da tutto questo il Principio spirituale che gli sarebbe più congeniale, e cioè la definibilità in senso spirituale di questo “quid” che agirebbe nell’uomo. Ora, sulla presenza di un “quid” che agisce nell’uomo sembra che non ci siano grandi discussioni da fare. Cioè voglio dire che questo “quid” è più o meno accettato dalle opposte tendenze.
È soltanto sulle interpretazioni che vi sono differenze, perché tutti accettano e tutti ammettono le altre facoltà dell’essere umano, rispetto alle leggi biologiche e alle leggi fisiche e chimiche, in generale. E, dunque, la presenza di questa alta possibilità dell’essere umano pone senz’altro la candidatura della presenza di questo “quid” che comunque c’è. Semplicemente che, volendo far derivare questo “quid” chiamato Spirito, da forze universali non meglio identificate, si commette un grave errore di base perché si deve accettare la separazione dalla materia propriamente detta, e se si accetta questa separazione nel senso che il “quid” non è espressione della materialità propriamente detta, bisogna accettare l’esistenza di due zone di interferenza: una zona materiale e una zona non materiale. La compresenza di queste due forze delinea subito e senz’altro un altro tipo di vita, un altro tipo di mondo, soggetto a diverse leggi, comunque non inerenti quelle materiali e non interferenti con esse. Sicché il discorso dell’universale qui non ha più ragion d’essere, perché una volta estrapolato dalla materia il suo “quid” essenziale, e cioè a dire questo Spirito o quest’alta facoltà umana, questa subito ricade sotto il controllo di leggi diverse, che si configurano come leggi non materiali che non possono arbitrariamente inglobare nelle leggi universali, perché appunto tale inglobamento sarebbe arbitrario, e in ogni caso non vi sarebbe nessuna possibilità di accettare nemmeno sul piano logico una siffatta inerenza tra materia e Spirito.
Ora è evidente che Dio deve venir fuori necessariamente da questo discorso, perché se noi ammettiamo nell’Universo due zone, bisogna pure che esse siano regolate in maniera differente. O le due zone sono in conflitto, e allora vuol dire che c’è una forza che tende a prevalere sull’altra, e, comunque, la mancanza di equilibrio avrebbe già originato un caos universale di portata eterna.
Se ciò non accade vuol dire che vi sono altre ragioni, altri equilibri a monte, che presidiano questa situazione. Ma io vorrei dire ancora di più. Vorrei dire che a coloro i quali parlano di materialità e parlano di materia in assoluto, sfugge un lato fondamentale, e cioè che la materia non è altro che una risultante, un risultato. È un risultato che può essere provocato e osservato solo a condizione che se ne riconoscano le leggi e i principi che lo determinano. Orbene, che io sappia, quando di parla di leggi e si parla di principi si parla già di fatti immateriali, di forze pure.
Vedete, per convinzione, e questo è un discorso che potrebbe apparire utopistico (ma lo è fino a un certo punto), per convenzione si usava dire una volta che la materia era tutto ciò che veniva a contatto con i sensi dell’uomo e che quella era la sola realtà. Poi si è visto che la materia propriamente detta, una pietra, un albero, la pelle, l’uomo, era soltanto un’energia: a questo punto, alcuni spiritualisti credettero di ravvisare in questo un sostegno alle proprie teorie, forse non avevano torto. L’energia tuttavia di per sé è organizzata secondo leggi le quali non sono l’energia stessa, ma sono un’altra cosa. Si può dire che la legge funziona attraverso l’energia e che l’energia esprime se stessa in virtù della legge, e che essa stessa possa esser legge è inesatto.
La legge non è l’energia, ma la forza che costituisce l’energia. e senza voler andare oltre, e cioè verso i principi delle leggi stesse, ne deriva chiaramente che siamo in un mondo dove non si può più parlare di materia, ma dove si deve parlare, e già in assoluto, di leggi che sono astratte e che appaiono concrete semplicemente perché si manifestano attraverso un’energia definita come materia. Ma questa inerenza del mondo immateriale al materiale è un fatto talmente scontato che non varrebbe la pena di intrattenervisi oltre. Ed è scontato perché non si può non accettare una situazione del genere.
Nel campo delle leggi è stato possibile definirne molte, e infatti tutta la scienza umana tende alla definizione delle leggi e a scoprirne altre. Ma perché non dovrebbero esistere le leggi che regolano le più alte manifestazioni della coscienza umana quando tutte le manifestazioni umane sono regolate da leggi, molte delle quali avete scoperte? Perché proprio qui, nell’alta coscienza dell’uomo, nell’alta manifestazione del genio e dell’intelletto umano, non dovrebbero essere riconosciute leggi che dovrebbero logicamente stare fuori della manifestazione materiale, come le leggi stanno fuori del prodotto che manifestano quando si tratta di fatti fisici? e anche se la legge è all’interno del fatto fisico si tratta semplicemente di un procedimento a ritroso che fa l’uomo. Perché l’uomo indaga sulla malattia? Indaga sulla malattia perché la malattia gli offre al microscopio batteri e virus, e studiando questi è possibile determinare come agiscono, come si moltiplicano, come si possono distruggere, e ciò porta quindi a stabilire principi e leggi, non a inventarli, ma a risalire alla legge attraverso la vita materiale. E poiché qui, nelle alte manifestazioni della sfera umana, si tratta di fatti non palpabili, che riguardano sfere di coscienza e d’intelletto che esorbitano dalle manifestazioni psichiche pure e semplici, perché mai si dovrebbe negare l’esistenza di queste leggi, proprio là dove queste manifestazioni ne indicano la presenza? E poiché l’alta manifestazione umana, l’intelligenza, la coscienza, le vie più alte del genere umano, sono vie estemporanee, non regolabili e non regolate, sicché voi dite che esse rasentano l’utopia o la libertà massima, ciò lascia immaginare che esse non provengano dalla regolarità della materia.
Bene, queste leggi devono avere diritto di cittadinanza, non fosse altro che per accettazione convenzionale. E poiché non si muovono secondo le regole umane, esse si muovono secondo altre regole di cui semplicemente potete dire che non ne sapete niente, ma che non sono evidentemente da negarsi.
Non è possibile a questo punto disconoscere la molteplicità delle manifestazioni umane. Miliardi e miliardi di uomini pensano, miliardi e miliardi di uomini, durante il corso della civiltà umana, hanno prodotto ingegno, intelletto, coscienza, hanno avuto libere manifestazioni del pensiero con le più alte possibilità. Non è possibile a questo punto non riconoscere la forza che le ha generate. Non è possibile non riconoscerla perché, se è pur vero che voi dal punto di vista materiale potete assegnare un’origine alla materia e dire che dal punto di vista materiale forse tutto è venuto fuori da un fulmine globulare, sicché per condensazioni successive si sono stratificate certe sostanze, per cui si sono determinate automaticamente le leggi per equilibri casualmente ecc. ecc., purtuttavia questo discorso funziona soltanto per quanto riguarda l’origine dell’Universo e cioè è accettabile dal punto di vista materialistico. Si può allora capire bene un uguale discorso applicato all’altra faccia dell’Universo che dovrebbe essere stata prodotta da un altro tipo di fulmine globulare, che sarebbe appunto il Signore, colui al quale diamo il nome di Dio. Mi sembra che le due ipotesi, perlomeno, valgano e pesino allo stesso modo. Cioè non vedrei alcuna differenza speculativa tra le due cose. E poiché naturalmente nel campo fisico, voi avanzate tante ipotesi sull’origine dell’Universo, ma riferendovi a un Universo di tipo materiale, astronomico, stellare, bisognerà dunque che assegniate anche un’origine a quell’altro Universo in cui esistono queste forze pensanti che sono ciò che voi chiamate il “quid” immateriale dello Spirito o dell’essere umano.
Dunque, riportandomi alla domanda iniziale – Dio può non esistere? – diremo che Dio deve necessariamente esistere da un punto di vista, direi, quasi tecnico, da un punto di vista scientifico, se vogliamo assegnare un’origine anche a questa Forza, a questo principio che avrebbe determinato il “quid” immateriale dell’uomo.
O, perlomeno, a voler negare il “quid” immateriale dell’uomo, cioè ponendoci nella situazione estrema, potremmo dire: va bene, l’essere umano non ha Spirito. Seguiamo questa ipotesi: non ha uno Spirito, però egli manifesta una certa intelligenza, questo non si può negare. L’intelligenza dell’uomo ha fatto le cose che ha fatto, dai grandi artisti ai grandi scienziati, dai grandi inventori ai grandi scopritori, dai grandi poeti ai grandi letterati, e chi più ne ha più ne metta. Cose altissime, tanto alte che questa intelligenza è riuscita a determinare certe leggi universali, è riuscita a capire come funziona il sistema solare, è riuscita a crearsi una filosofia, a crearsi una matematica, a crearsi una scienza con la quale moltiplicare la natura, riprodurla, sostituirsi a essa.
Tutte queste cose l’uomo le ha fatte, nessuno può negarlo. E allora, a questo punto, potrebbe anche convenirmi, in senso speculativo, di seguire questa sorta di discorso, e bisognerà allora ammettere che questa forza universale, la quale è stata capace, in senso fisico, di produrre l’Universo, questa esplosione che ha prodotto l’Universo, poiché ha prodotto anche il genio di Raffaello, oppure il genio di Orazio, oppure di Omero, è anche una forza intelligente.
Perché di qui non si scappa. Nulla viene prodotto in natura se non preesistono le leggi atte a tale produzione. Nulla è possibile produrre che non sia già preesistente. Voi potete inventare, ma inventando non fate altro che usare le cose che già esistono in natura, le trasformate soltanto. Attraverso mille trasformazioni potete credere di aver ottenuto dei prodotti nuovi che, sì, sono nuovi rispetto a quelli normalmente in natura, ma che sono soltanto la trasformazione di prodotti naturali. E tutti i prodotti da voi creati sulla Terra esistono in altre zone dell’Universo, non fatti da esseri intelligenti, ma come conseguenza di leggi fisiche che si svolgono per via naturale.
Ora se questa materia produce anche questo, cioè se è capace di produrre una forza che poi riconosceremo nell’intelligenza di Omero, per esempio, bene, allora bisognerà che in natura questa forza esista e che dunque questa forza sia stata data da quell’esplosione che si è prodotta nella notte dei tempi. E dunque noi non facciamo altro che ritornare un’altra volta all’idea di Dio.
Cioè, dobbiamo necessariamente ammettere una forza originaria, naturale, che potrebbe non aver creato Spiriti indipendenti, va bene, per cui non esisterebbe la sopravvivenza. Sicché ci troveremmo, ora, a dover ammettere l’esistenza di un Dio, ma non quella di uno Spirito. E ci troveremmo nella straordinaria situazione di essere noi questa forza materiale prodotta da quella lontana esplosione. Cioè noi, voi e io che stiamo parlando, e ci troveremmo a parlare di una cosa o di un soggetto da cui saremmo noi stessi esclusi. Sicché noi che parliamo e discutiamo non saremmo niente. E come potremmo, non essendo niente, formulare siffatti ragionamenti? Quando siffatti ragionamenti presuppongono un’identità, presuppongono la ricostruzione d’un patrimonio ideale, presuppongono – in altri termini – un’individuazione dei concetti? Questa individuazione dei concetti e di un raggruppamento delle idee rappresenterebbero certe unità. Cioè, come faremmo noi a rappresentarci in unità distinte nel momento in cui ci manifestiamo o quando voi nascete o parlate, quando, per un principio universale, le identità sarebbero da escludersi?
Allora saremmo costretti a rifare il ragionamento e a dire: un momento, poiché queste unità esistono, poiché siamo delle unità che parlano, poiché abbiamo detto che nulla esiste se non preesistono le leggi atte a formularle e a manifestarle, se noi in questo momento stiamo parlando vuol dire che esiste una legge la quale presiede alla nostra unità, perché non potremmo esistere senza una legge che ci consenta di manifestarci come unità. E questo non sarebbe un sofisma, naturalmente, sarebbe nient’altro che la conseguenza logica di un’ipotesi di lavoro da cui scaturisce che, comunque impostate il ragionamento, ritornate sempre all’idea di Dio. Ma proprio perché non potete escludere dal ragionamento alcune cose essenziali che riassumo e cioè a dire: l’alta intelligenza dell’uomo, il suo carattere individuale, e aggiungerò senza tema di sbagliare, irripetibile. Quando si tratta di alte manifestazioni del genio umano non esito a dire irripetibili!
La personalità potrebbe entrare o non entrare nel discorso, ma i cardini sono indubbiamente due: l’identità, quindi l’individuazione e l’alta intelligenza di questa individuazione che si manifesta nel corso della storia umana. Questi due cardini essenziali sono un punto di partenza difficilmente distruggibile.
Io vi ho prospettato delle ipotesi di lavoro, quindi a voi le obbiezioni…
D. – Un’obbiezione potrebbe essere questa: il punto focale di tutto questo discorso è la valutazione dell’opera dell’uomo in quanto opera intelligente, geniale. Ora, come possiamo essere sicuri di questa valutazione se noi stessi siamo in causa? Una valutazione che viene dalla parte in causa ha un valore relativo…
A. – C’è una contro-obbiezione. Il genere umano è stratificato: cioè a dire vi è stata una gamma di manifestazioni ormai storicamente catalogabili.
Cioè, in fondo, la storia vi dice che sono esistiti certi personaggi, che sono esistite certe persone, che sono accaduti certi fatti, per cui voi ora potete dire: l’uomo può essere un pazzo, un’idiota, un uomo normale, un uomo mediocre, un uomo colto, un uomo sciocco; oppure può essere un genio, uno scienziato, un sommo artista, un santo. Cioè esistono delle classifiche e quindi, in realtà, sebbene sembriate essere la parte in causa che non dovrebbe giudicare, potete però benissimo giudicare.
Non si capisce perché ciò non possa accadere. D’altra parte è chiaro che per quanto riguarda il discorso, è un discorso che fate voi, come uomini, e dovendolo fare come uomini dovete farlo voi e non c’è nessun altro che lo passa fare per voi. Siete parte in causa ma questo è un vantaggio. Questa è una controprova. Perché ancora una volta è una posizione individualistica nei confronti della collettività, della storia, ed è dunque da questa posizione individualistica che va spiegato. Perché “tu” pensi e ragioni, e perché “tu” ti poni di fronte a questi fatti. A mio avviso il giudizio è perfettamente legittimo. D’altra parte non si può negare, pure essendo un giudizio che viene da voi, che sulla Terra siano accaduti certi fatti e che vi siano stati certi personaggi. Non lo potrete negare mai.
D. – Ma io intendevo proprio questo, e cioè che potrebbe essere una nostra illusione il riconoscere certi valori in certi personaggi che, in senso assoluto (cioè in un senso che non potrebbe mai essere definito) non avrebbero il valore che gli diamo. La stessa intelligenza dell’uomo può essere un’utopia, può essere un fatto che in effetti non esiste. Forse crediamo di essere intelligenti, crediamo che l’uomo abbia fatto delle opere intelligenti ma, in effetti, è stato forse uno sviluppo casuale, oppure dovuto a leggi implicite del mondo naturale che ha prodotto il tutto, secondo una certa logica, ma senza l’immissione di valori spirituali, senza permettere niente di elevato, niente di assoluto nel senso indicato all’inizio del discorso.
A. – Ma, infatti, questo ragionamento non si è basato sulla nozione di assoluto o di altro. È partito, come ipotesi di lavoro, soltanto da alcune osservazioni. E cioè io vi ho detto: le osservazioni sono queste, di fronte a questi fatti voi non potete dare altra spiegazione se non quella per via logica e cioè che, come esistono le leggi le quali cadono sotto i vostri sensi (e cadono sotto i vostri sensi oggi, perché le avete scoperte, mentre ventimila anni fa non essendo state scoperte, non cadevano neppure sotto i vostri sensi e non ve ne accorgevate neppure non avendo la facoltà di penetrarle in un certo modo), contemporaneamente nell’uomo si manifesta anche questo, e quest’altro.
Ora queste altre cose le volete spiegare, oppure non le volete spiegare? Le spiegate con le stesse leggi? No. Le stesse leggi non sono più atte a spiegarle. e allora devono esistere e dovete presupporre altre leggi. Sicché, per via indiretta il discorso porta naturalmente a Dio. Il fatto che potrebbe essere una vostra illusione implicherebbe che dovrebbe essere un’illusione anche tutta la legge fisica che conoscete. Perché se voi tirate fuori la questione dell’illusione, in essa non si può, per comodo, inglobare soltanto il mondo spirituale, ma dovete inglobarvi anche quello materiale. Allora dovete certamente dire che può essere tutto un’illusione, anche le cose fatte dall’uomo, le cose in cui credete, le cose che vi sono intorno, la materia, la scienza, la tecnologia, l’arte ecc. ecc. Essere cioè il tutto nient’altro che una manifestazione pressoché naturale di una materia che non ha nulla a che vedere né con problemi universali, né con problemi assoluti, ma che si tratta di fatti e cose che avverrebbero alla stessa stregua dei fenomeni che possono avvenire in un albero che cresce.
Però, naturalmente, voi capite benissimo che questa ammissione sarebbe piuttosto vaga. Perché voi, nel momento stesso in cui affermereste una cosa del genere, sapreste benissimo che le cose non stanno così.
D. – La questione è posta da alcuni in questi termini. Cioè quello che può essere considerato come “a priori”, cioè il principio intelligente, la coscienza, la coscienza della coscienza, la capacità finalistica dell’uomo, questa appunto distinguerebbe l’uomo dagli animali ecc. Secondo alcuni quello che è effettivamente a priori per l’uomo, sarebbe a posteriori per la specie. Cioè, in altre parole, noi effettivamente, alla luce della coscienza, non possiamo negare tutte le cose che hai detto, però queste cose possono non essere innate nell’uomo. L’uomo se le trova indubbiamente come qualcosa in più, però in effetti potrebbero essere frutto dell’evoluzione.
A. – Ma, naturalmente, di una evoluzione che lo stesso uomo avrebbe determinato!
D. – Si, ma ci sarebbe sempre da porre una legge che presiede all’evoluzione e quindi, evidentemente, ci sarebbe sempre qualche cosa su cui si dovrebbe discutere, prima, indubbiamente. Ora, è chiaro che noi possiamo anche essere convinti della serie di argomentazioni che tu hai portato, un po’ grazie all’intuizione e per il fatto che abbiamo coscienza di queste leggi, del bene, dei principi primi, leggi che corrispondono in un certo senso a quelle fisiche e che rimandano ai principi; però noi possiamo essere convinti delle cose che tu dici proprio per averle sperimentate su noi stessi ma non è però facile convincere gli altri.
Cioè, in altre parole, se noi possiamo avere delle intuizioni e se col ragionamento possiamo seguirti a fondo, risalendo dalla materia alle leggi dello Spirito, ai principi e a Dio, è più difficile convincere gli altri, inquantoché, come tu hai fatto anche intravedere prima, le argomentazioni sembrano stare un po’ da una parte e un po’ dall’altra, come i due piatti della bilancia, per cui alcune argomentazioni vanno da una parte e alcune argomentazioni debbono stare dall’altra parte. Anche se, francamente, le argomentazioni a favore di un principio intelligente forse pesano di più, viste le cose obiettivamente. Ci sono però anche altre argomentazioni, come quella portata prima da G., che sono difficili da smontare fino in fondo, anche perché si potrebbe aggiungere (oltre al fatto che siamo parte in causa) il fatto che noi possiamo razionalizzare, cioè che noi, non essendo soddisfatti della nostra condizione materiale, potremmo quasi proiettare ciò che di meglio c’è dentro di noi al di fuori di noi, e, in tal maniera, ci illuderemmo su qualche cosa che probabilmente, secondo alcuni, non esiste. E sarebbe proprio questo desiderio di affrancarsi dal temporale, dal transeunte, che proietterebbe l’uomo in regioni celesti create da lui stesso…
A. – Anzitutto, alla prima parte di quello che hai detto si risponde agevolmente che, proprio perché non si può pretendere di convincere tutti per quanto riguarda problemi di carattere filosofico così complessi, il mondo si è creato le religioni. Le religioni sono appunto atti di fede in cui gli uomini credono senza ragionare molto. Proprio perché non si può dimostrare un simile discorso rispetto alla media dell’umanità che non potrebbe seguirlo, ecco che l’uomo si è creato attraverso le religioni una fede nel mondo celeste senza farla passare attraverso il filtro della ragione.
Questo va bene dunque per coloro i quali credono attraverso la via religiosa che esclude il ragionamento e che pone di fronte a un mondo celeste che si accetta così come viene descritto. Se invece si penetra nei meandri molto complessi di un ragionamento e usiamo la ragione, e usiamo contemporaneamente una logica, bene, allora la tua conclusione mi sembra un po’ affrettata. Il ritenere, cioè, che ci si possa illudere di portare avanti un ragionamento che sarebbe soltanto il desiderio inconscio dell’uomo di crearsi uno spazio celeste. No, non può essere accettata questa definizione, questo modo di vedere. Perché il ragionamento è una serie di proposizioni. Seguendo una rigorosissima analisi della struttura di queste proposizioni si può giungere a creare i cosiddetti gruppi di isolamento, si può cioè procedere in maniera scientifica. La proposizione si analizza, e si vede se essa è corretta o non corretta.
Com’è possibile analizzarla? Quando innanzitutto si parte da una serie di dati materiali, si va avanti per confronto. Se lo stesso ragionamento, o la stessa metodologia, validi per quanto riguarda la materia, applicati a ciò che non è più materiale funzionano, perché non dovrebbe essere accettata la loro estrema conseguenza?
D’altra parte, quando i filosofi parlavano di logica, non intendevano certamente parlare della logica comune intesa come buon senso, ma intendevano la logica nel senso della verifica e del controllo matematico. E come poteva essere ottenuto questo controllo?
Attraverso l’analisi della proposizione per la sua agibilità, per l’accettazione completa di tutte le idee contenute in essa.
A questo punto, cioè, io non andrei più avanti secondo un ragionamento generico, come può essere fatto da un gruppo di persone riunite in maniera estemporanea per parlare di Dio. Ma andrei avanti secondo un ragionamento molto più rigoroso, e procedendo in una maniera molto più rigorosa si arriva a una certa conclusione in cui la logica con la L maiuscola è niente altro che una verifica matematica di tutto il ragionamento. A questo punto non si può allora dire: la conclusione è soltanto l’aspirazione a uno spazio celeste che l’uomo si è inventato per tranquillizzarsi sulla sorte futura. No. Diremo allora che la filosofia così impostata è niente altro che un tentacolo della scienza e che dunque la filosofia non è più tale, come astrazione metafisica, ma è, direi, un ragionamento scientifico che porta a delle conclusioni che devono essere accettate nella stessa maniera con cui si accetta qualunque altra cosa che, ormai, come la vostra fisica contemporanea, si accetta non più per esperienza diretta ma per semplice logica matematica. (In pratica siamo di fronte alle stesse proposizioni di Hegel che tendevano a dare alla filosofia una valenza scientifica. Cfr. La fenomenologia dello spirito. – Nota del curatore.)
Dunque mi sembra che la logica fisica di tipo scientifico, di tipo matematico, è la logica filosofica, di una filosofia scientifica, siano due parallele, entrambe percorribili fruttuosamente, e che a entrambe non si possa più imputare un “a priori” come aspirazione che condizionerebbe la ricerca, ma semmai una conclusione a cui si giunge attraverso lo stesso veicolo della matematica.
Il fatto che l’uomo giudichi se stesso, e che dunque egli sarebbe il meno adatto a farlo, a me sembra che sia soltanto un cavillo. Perché voi non giudicate voi stessi, ma giudicate un mondo esterno a voi, ma che non è un mondo vostro. È un mondo in cui voi vi trovate come osservatori, ma non è un vostro mondo interno. Voi non giudicate sul metro delle vostre emozioni o delle vostre aspirazioni, perché qui fareste soltanto poesia, e allora avrebbe ragione G. parlando di un “a priori” che condizionerebbe certamente la ricerca: ma sarebbe un cattivo filosofo o non sarebbe neppure un discreto filosofo colui il quale pretendesse di dare dei giudizi sul mondo esterno partendo da una propria situazione conflittuale o da una propria situazione emozionale, e dicendo che si crea questo mondo come supporto di una speranza assurda, perché forse non esiste niente ecc. ecc…
No. Voi vi servite di strumenti che sono vostri e che sono cioè strumenti del raziocinio. Se voi riconoscete che esiste questo raziocinio dovete ammettere che quando lo usate la conclusione può essere corretta. Non è difficile ammettere che l’uomo abbia questo raziocinio. Basta vedere che l’uso di questa ragione nell’essere umano ha prodotto delle conseguenze ben precise e capaci di agire sull’altrui raziocinio, vedi il progresso o l’evoluzione della civiltà, quello delle arti, della scienza ecc. E dunque ciò vuol dire che quando l’uomo ha applicato questa ragione i risultati sono stati corretti e conseguenziali e non si è trattato di interventi estemporanei, ma di interventi pianificati. Perché le conseguenze si sono pianificate nell’umanità, e tutto il genere umano ne ha accettato le conseguenze, assegnando a esse una valutazione sia di carattere storico, sia di carattere economico, sociale, estetico ecc. ecc… Dunque, vuol dire che il cervello dell’uomo funziona, e che opportunamente strumentalizzato, può funzionare in maniera corretta.
Funziona in maniera corretta e può giungere a conclusioni che sono verificabili e controllabili secondo strumenti matematici precisi, e come si verifica la bontà di questi strumenti matematici? Lo state verificando voi. Lo state verificando perché in fondo oggi non fate altro, per esempio, che vagare nell’Universo con i vostri mezzi e le vostre ricerche, confermando ciò che era stato ricercato e acquisito con mezzi scientifici induttivi, sia attraverso il calcolo matematico o l’esame delle distanze con il telescopio. Dunque questo che cosa conferma? Conferma che la matematica funziona, che il metodo matematico è valido, che quando il ragionamento è matematicamente impostato le conclusioni sono corrette e se sono corrette, perché soltanto quando le applicate in campo extra materiale non dovrebbero più funzionare? Questa poi era la domanda di fondo. Perché, funzionando per tutte le cose, soltanto quando l’applicate ai problemi dello Spirito esse non funzionerebbero più? Vogliamo vederlo lo Spirito e guardarlo sotto il microscopio? A questo punto non posso più accettare questa pretesa. E allora, come diceva G. prima, se si nega una parte della ricerca non strettamente materiale, proprio per il sospetto che l’uomo sia il meno adatto a investigare su se stesso, bene, allora bisogna, ho aggiunto io, negare anche tutto il resto, cioè negare anche tutto ciò che è materiale.
D. – Certo, non si può negare il progresso e tutto il resto. Se l’uomo si illudesse, logicamente non ci potrebbe essere accordo tra gli uomini su certe cose e non se ne potrebbero sperimentare altre. Però ci sono molti uomini i quali credono in qualche cosa, non perché sono arrivati a essa col ragionamento, ma appunto per evasione psicologica, per bisogno personale, ed ecco che si hanno quindi quelle teorie un po’ estremiste.
A. – Vedete, una delle ragioni per cui voi non avete grandi informazioni intorno ai grandi problemi di Dio, è proprio perché le religioni hanno sempre cercato di addormentare il problema. Perché Dio con tutta la sua corte di santi, è stato presentato come un problema di fede che si doveva accettare, punto e basta.
I filosofi l’hanno affrontato, non molti, ma il problema è stato affrontato in sede filosofica; invece, in sede scientifica il problema non si è mai posto. Direi che non c’è mai stata una sistematica ricerca per chiarire il problema a tutti i livelli possibili, con una serie di interventi razionali. E questo, naturalmente ha portato alcuni a farlo arbitrariamente, senza supporti logici, in maniera empirica e il resto, la maggior parte dell’umanità, è stata portata ad accettarlo così, oppure a negarlo. Perché è chiaro che, mancando il ragionamento, l’accettazione vale quanto la negazione.
Tra colui che crede in Dio, ma che non sa perché, e un altro che non vi crede, non vi è differenza. Cioè le loro affermazioni non hanno, sul piano logico, alcun valore. È come se stessero zitti, quei due. Non vale niente ciò che dicono, perché né l’uno né l’altro hanno un argomento a loro favore, o hanno argomenti che non hanno alcun senso, alcun significato pratico. E quindi io vi do ragione. Naturalmente questo conflitto c’è stato, c’è e ci sarà, ma è un conflitto di ignoranza, non un conflitto culturale. Non sono che diatribe messe a confronto. Qui si tratta di ignoranti che si incontrano, e mentre uno dice che Dio esiste, l’altro dice che Dio non esiste, ma nessuno dei due sa parlarvi veramente del problema. A questo punto non c’è più un discorso valido.
D. – Prima hai lamentato che non ci sia stata ancora una profonda sintesi. Gli uomini di scienza che hanno curato l’aspetto tecnico delle loro scoperte, non sono risaliti alle cause, mentre coloro che hanno studiato di più le cause non hanno avuto i supporti matematici per poter basare meglio le loro costruzioni.
Cioè, praticamente, l’integrazione della sensibilità al problema dovrebbe basarsi sulle conoscenze matematiche, su conoscenze della realtà esterna che però non si fermassero soltanto agli aspetti tecnici, ma che risalissero alle leggi e ai principi.
A. – In pratica, io raccomando sempre, in tutte le affermazioni che si fanno, di non partire mai dal gratuito, cioè dallo scontato, dal presunto dimostrato, perché in genere non è dimostrato niente. È questo l’errore più grave. Bisogna partire dai dati certi acquisiti e universalmente accettati (dico universalmente per intendere la Terra). Gli errori della metafisica, della religione, sono stati sempre dovuti al fatto di partire da una supposizione di verità o certezza assoluta. I cristiani che si basano sulla Rivelazione, per esempio, non si accorgono di dire delle cose senza senso, senza significato, perché un brevissimo interrogatorio farebbe crollare tutto. Perché la Rivelazione sarebbe stata fatta da Cristo, il quale secondo i cristiani, sarebbe Dio incarnato, ma poi si trova che questo lo ha affermato lo stesso Cristo1. La cosa non ha quindi valore, non ha senso. Perché qui, ecco, questo è il caso in cui un uomo dice qualcosa di se stesso e così può dire qualunque cosa di se stesso. Non si è oggettivato, si è soggettivato: io sono. Se un altro avesse detto: <<Guarda, tu sei il Cristo e sei Dio, per queste e queste ragioni>>2, allora l’oggettivazione avrebbe portato alla credibilità della cosa che si voleva affermare. Invece crolla tutto perché non si parte da una base sicura.
D. – È vero. Purtroppo molti filosofi che non sono stati matematici, hanno fatto delle affermazioni che magari al loro tempo erano ritenute universali, vere…
A. – In ogni caso facendo della cattiva filosofia. Perché, guardate quando il punto di partenza non è dimostrato, è inutile scrivere 500 pagine; saranno tutte e 500 fasulle. Vorrei pure dire che le premesse potrebbero anche essere vere naturalmente. Può capitare anche che siano soltanto vere e che il metodo seguito non sia corretto, e ciò lascia il sospetto che non sia corretto neppure il seguito.
Quando si afferma l’esistenza di Dio, anche se la premessa non è dimostrata, io devo accettarla perché, in fondo, Dio veramente esiste, e io so che esiste. Ma sul piano scientifico (per piano scientifico intendo la filosofia, in questo momento) vi sono errori e lacune di metodo. Purtroppo la maggior parte dei filosofi ha compiuto questo errore. Purtroppo è così. Perché allora questi problemi non li avete mai risolti? Perché ancora oggi dopo tanti e tanti millenni di esistenza dell’uomo, state ancora ad arrovellarvi: ma esiste veramente questo Dio? Esiste veramente quest’anima? Eppure voi lo sapete benissimo: grandi filosofi, grandi menti hanno perduto la loro vita intorno a questi problemi e non sono riusciti a risolverlo. Non è vero, non è corretto dire che non sono riusciti a risolverli, è corretto dire invece che le loro dimostrazioni non valgono niente, perché sono partiti da basi non dimostrate e quindi esse restano delle bellissime costruzioni, utili alla mente per specularci dentro e sviluppare l’intelligenza, ma che dal punto di vista pratico non servono a niente. Perché non hanno basi e, non avendo basi, non hanno conclusioni pratiche, utilizzabili in senso scientifico per portare avanti il discorso. Questo è stato l’errore della filosofia. Bisogna riconoscerlo.
D. – Secondo te per quale ragione Dio o la Sua Legge hanno fatto in modo che lo Spirito venendo in Terra non ricordasse assolutamente nulla di una sua esistenza precedente, di Dio? Mi pare che in fondo tutto si riduca a questo. E non è che si possa neanche dire che lo Spirito deve conquistarsela, questa conoscenza, perché, anche in seguito ai tuoi discorsi, troppo pochi se la conquistano, perché o si crede per fede, o per quello stato emozionale di cui si diceva prima.
A. – Dunque, voglio dire questo: è una domanda alla quale però ho già risposto altre volte. A parte adesso tutta la questione delle evoluzioni o delle incarnazioni, a parte tutto questo, diciamo che voi non ricordate di essere Spiriti pur essendolo. Spiriti più o meno sopraffatti dalla materia, più o meno appesantiti dal cervello, ma in sostanza Spiriti. Ma perché? Non perché Dio abbia espressamente prescritto questo o fatto in modo che si dimenticasse tutto. ma perché la dimenticanza in realtà non c’è. Chiarisco meglio. Voi nel momento che venite in Terra passate da un mondo immateriale, diciamo così, a un mondo materiale, tanto per intenderci. Ma, ricordatelo, siete sempre voi! Non è un’altra persona. È questo il punto da discutere. Perché in realtà voi, internamente,quando parliamo di queste cose, pensate allo Spirito come a un’altra persona, come a un’altra cosa. Questo non potete negarlo, e un fatto soggettivo di cui non vi accuso, intendiamoci bene. È un fatto però che avviene. Ecco, analizziamo. Tu nel momento in cui mi hai posto la domanda intendevi il tuo Spirito come se fosse un’altra cosa, tu non hai la percezione che sia la stessa cosa di te che fai la domanda, cioè che sei tu uno Spirito, perché tu ti identifichi come essere materiale e non riesci a convincerti del contrario per una cattiva educazione ricevuta (non tua, ma di tutto il genere umano, si capisce) la quale ti fa intendere che l’essere è quello visibile, che si guarda allo specchio. E invece l’essere è quello interno che pensa e si pensa, e si identifica col pensiero.
Questa mancanza di distinzione porta oggi al tipo di domanda fatta da te e da tutto il genere umano, e che crea una frattura, frattura che non esiste. Non si sfugga a questa che è una sottigliezza; è la situazione fenomenologica, psicologica, in cui ti poni nel momento in cui fai la domanda, che è errata. Tu ti poni la domanda: dove vado, da dove vengo? Ma tu, completamente tu, con il tuo interno, con la tua coscienza, con i tuoi pensieri, sei lo Spirito!
Il tuo corpo non esiste, perché in questo momento non esiste, fa conto che tu sia in anestesia e che soltanto il tuo cervello sia funzionante e che tu non lo senta questo corpo, mentre tu parli.
Ora, è accaduto però, che nel momento in cui siete nati questo vostro essere si è immesso in una materia, e io ho detto: lo Spirito si immette nella materia manifestando, secondo le esperienze che ha prescelto, una certa tendenza e quindi astraendosi dalle altre sue qualità, cioè in pratica questo Spirito si riduce e vive unitamente al cervello. Un cervello, il quale è abituato a pensare in termini di materia, perché il bambino quando comincia a capire s’identifica come essere fisico e attraverso i sensi si tocca, si guarda, e toccandosi e guardandosi e avvertendo gli odori e avvertendo i sapori, pensa sempre più a se stesso come a un essere da guardare e toccare in un mondo che va guardato e toccato, e nel quale la coscienza dell’essere vero si sperde sempre più nella dimenticanza, mentre affiora e si concretizza sempre più la presenza fisica. Sicché, effettivamente, dal punto di vista psicologico, si ha una retrocessione della memoria della vera essenza, e si ha un affioramento sempre maggiore dell’elemento materiale. Questa dimenticanza, questo “essere” messo in disparte, è poi quello che si costituisce come inconscio. Ma in tutto questo non c’è la legge di Dio, c’è la legge generale della meccanica universale.
D. – E quindi neanche la nostra responsabilità?
A. – Ma io non dico che vi sia una vostra responsabilità. Dico soltanto che la ragione dovrà poi costituire un motivo di richiamo di questo essere, per cui l’io deve riconoscersi non solo in funzione materiale, ma anche in funzione di coscienza. Quando infatti parliamo di recupero della coscienza, di recupero morale dell’individuo, che cosa intendiamo? Intendiamo proprio questo. Cioè il riconoscersi per quello che si è dentro e non per ciò che si appare fuori. Per quello che c’è di dentro che vale e non per quello che è fuori.
D. – Ma penso che ci debba essere una ragione precisa che ha determinato questo stato di cose, questa dimenticanza…
A. – Non direi che si tratta di una legge, come volontà precisa di Dio. Diciamo che nel ciclo dell’evoluzione diventa una necessità anche questa dimenticanza. Cioè, in fondo, la dimenticanza torna utile e torna comoda, proprio perché proprio per i motivi di reincarnazione il ricordo sarebbe più un elemento sgradevole che gradevole, e quindi lo Spirito può espressamente mettere da parte la propria memoria spirituale nel momento in cui s’incarna, ma tanto obbedendo a una volontà di carattere universale, quanto a una necessità di incarnazione.
D. – Maestro, tu hai detto che come non c’è un ateo in senso assoluto, così non c’è neanche un credente che in tutta la vita non abbia mai un momento di dubbio. Questo appunto mi fa pensare che debba esserci una ragione per ciò. E questa mancanza di certezza ci terrorizza di fronte alla morte, proprio perché non siamo ben sicuri di continuare a esistere…
A. – Questo è dovuto all’errore di partenza della vita umana in cui viene messo in eccessiva evidenza il corpo come complesso fisico, e retrocessa sempre più la coscienza spirituale.
Perché, ripeto, al bambino viene insegnato praticamente l’importanza del corpo, la conservazione del corpo, la salute del corpo.
Il bambino vive in funzione di questo corpo.
Deve mangiare perché così cresce, mangiare perché stia bene, non prendere freddo altrimenti può avere una bronchite… Cioè, il corpo diventa tutto per il bambino, e tutto in funzione del corpo. Si capisce che poi, diventato grande, questo corpo viene talmente idealizzato e ci si sente talmente legati a esso, che il solo pensiero che possa morire porta al terrore e allo spavento. Mentre non viene per nulla evidenziata quella che è la coscienza interiore dell’individuo.
Manca cioè proprio l’educazione ai valori di fondo dell’essere umano, studiati uno per volta.
D. – Ma è stato anche detto che siamo il corpo per il novanta per cento e più!
A. – Però quella piccola percentuale di spiritualità basterebbe per sollevarvi da tanti dubbi e da tante preoccupazioni, perché quella piccola percentuale è Spirito ed è l’unica piccolissima parte capace di dare certe risposte che invece non riuscite a darvi col novanta per cento di materia che avete.
È l’unica voce che potrebbe dirvi qualcosa di qualificato ed è proprio l’unica che non riuscite ad ascoltare.
1 L’affermazione – a nostro avviso – era indiretta e per molti aspetti simbolica della “risonanza” del Cristo col Padre. Il tema è molto complesso e non va confuso con la sua figura di “figlio di Dio” che era un’espressione ben conosciuta e usata nell’ebraismo e presente già in epoca biblica in Deuteronomio 14. La trattazione della “deità” del Cristo con tutte le sue implicazioni esegetiche non può essere qui affrontata perché troppo impegnativa in termini di spazio in quanto necessariamente implicherebbe una trattazione a sé stante molto estesa e per certi aspetti estranea al contesto stesso. – Nota del curatore.
2 La frase del Maestro è puramente esplicativa e non deve essere confusa con la famosa affermazione di Pietro in Matteo 7, 14 sulla “messianità” del Cristo e sulla sua “figliolanza” con Dio, episodio presente anche negli altri Vangeli. – Nota del curatore.