CORRADO PIANCASTELLI
Presidente del CIP
“A FUTURA MEMORIA DEL CIP”
1— Su tutti i nostri depliants — e sono tanti — che mandiamo in giro, cerchiamo sempre di chiarire “che cosa è il CIP”.
Proviamo, invece, a chiederci che cosa dovrà essere il CIP quando io non ci sarò più. Mi permetto di chiedermelo prima di tutto perché si tratta della mia vita che è strettamente intrecciata con quella del CIP che si è formato e costruito a causa mia, cioè intorno alla mia medianità. Inoltre il Maestro mi spinge a compiere il mio dovere spirituale fino in fondo e il particolare rapporto che ho con lui mi obbliga a tenere fede a questo impegno di dover pensare al CIP anche per dopo, quando non ne sarò più il presidente, per cui io oggi mi sento responsabile e porto questo peso del futuro più di qualunque altro: ovviamente del futuro della nostra organizzazione. Ho quindi il dovere di sentirmi progettualmente libero e di non farmi condizionare dalle situazioni contingenti o dalla sensibilità delle persone che oggi si dichiarano miei amici, a volte sinceramente, a volte per compiacermi. Le cose umane vanno così, ecco perché si usa dire che quando sei incudine statti e quando seì martello batti.
Alla domanda “che cosa dovrà essere il CIP” ho, al momento, una sola risposta da dare: il CIP (e alcuni di noi già stanno lavorando per conferirgli un assetto giuridico più stabile), dovrà essere un centro sempre più marcatamente di tipo editoriale e pubblicistico (ma, se possibile, anche di ricerca), per sviluppare una politica di consenso intorno ai principi fondamentali che anche oggi contrassegnano la linea culturale e spirituale del CIP stesso.
La linea culturale è costituita daí “Capisaldi della dottrina di A” (libretto rosso), da “Leggere un Maestro”, dai “Fondamenti per una parapsicologia umanistica”(libretto bianco), da “Il sorriso di Giano” e dai libri di Giorgio dì Simone, vale a dire “Rapporto dalla Dimensione X”, “Il Cristo vero”, “Dialoghi con la Dimensione X”, “Colloqui con A”, e da un volume in preparazione, a mia cura, che rappresenterà un “Nuovo rapporto dalla Dimensione X”. Naturalmente, anche le pubblicazioni intorno ad Andrea come la rivista “C.D.A. e le monografie del CIP (“Il caso A”, “Percezione e sub-percezione della sopravvivenza”, “Incarnazione e Reincarnazione secondo la dottrina dell’Entità A”, “Dimensione interiorità: un’alternativa al materialismo”, “Nel segno del Padre”), comprese quelle degli anni a venire, avranno la loro importanza.
Ma in modo massivo bisognerà pensare alla diffusione dei princìpi in maniera assolutamente scientifica e letteraria perché la fonte, così come è stata raccolta, a mio avviso non possiede la struttura formale di penetrazione quale necessita ad un movimento culturale che sia anche rivoluzionario. Alludo alla forma, dunque, e non alla sostanza e parlo per esperienza letteraria e giornalistica essendo cresciuto, sin da ragazzo, nei movimenti culturali.
Il ventaglio del futuro del CIP (ma anche di gran parte del presente) dovrà essere, comunque, affidato — e ne parleremo tra poco — ad una rivista in grado di coagulare intorno a sé forze culturali accreditate: una rivista che contempli la ricerca sulla nostra interiorità e quindi intorno ai temi della metafisica scientifica, delle neuroscienze e della filosofia. Senza l’apporto di queste discipline la parapsicologia in generale sarà senza futuro e ci rivolteremmo solo su noi stessi. Il vero problema della parapsicologia, problema gravissimo all’interno di una stanchezza ossessiva e ripetitiva di una letteratura ormai stucchevole e obsoleta, è che siamo senza laboratori di ricerca e senza specialisti. Da noi la parapsicologia è poco più di un hobby anedottico, siamo in pochi a dedicarci l’intera giornata e siamo finanche troppo pochi a possedere qualifiche specialistiche atte a garantire la correttezza sia dei rilievi che delle interpretazioni critiche. Questo aspetto dilettantistico e negativo ci rende oggettivamente inferiori agli altri, ci espone talvolta al ridicolo, ci proietta come pseudo-scienziati della domenica e tende a squalificare sempre più l’intero campo. Mancano i giovani e mancano i ricercatori qualificati, dunque, per cui il CIP del futuro immediato e a lungo termine dovrà reclutare in questa direzione, anche istituendo borse di studio che escano, per carità, dall’unico giro asfittico degli ambienti del paranormale. Sogno, ad esempio, borse di studio per lauree in psicologia, in filosofia, in medicina e in sociologia su tematiche afferenti le ricerche statistiche sulla piccola parapsicologia quotidiana, sulla percezione extra-sensoriale in casi di pre-morte, sui rapporti fra creatività e metafisica, sui comportamenti premonitori di interi gruppi familiari prima di un lutto, sulla libertà in rapporto alla causazione, sull’intuizione e l’attività neuronale, sulle visioni dei morenti in relazione con le allucinazioni e la conoscenza a-causale, eccetera.
E sogno la costituzione di un Comitato scientifico di garanti dello stesso livello di altre associazioni internazionali, anche se proprio non vogliamo diventare alternativi al CICAP. Questa dovrà essere una delle direzioni del CIP, situazione finanziaria permettendo, ma senza abbassare il tiro dell’ambizione altrimenti tutto il lavoro generale decadrebbe . Questa è solo la premessa del mio discorso: ora vorrei dire altro per meglio precisare il senso di questa mia “futura memoria” ed entrare nel merito.
2- Ho spesso la sensazione che la maggior parte degli studiosi del mio caso prediligano l’aspetto fenomenico rispetto a quello dei contenuti. Non a caso fanno scalpore le prove della medianità e una quantità di seguaci mostri quelle in luogo della precisione logica del sistema ad ingranaggi di cui è costituita la dottrina di “A”.
Intendiamoci: l’aspetto fenomenico, in vari casi, può essere importantissimo per chiarire e determinare in senso tecnico uno stato di trance che avalla finanche i contenuti; lo so che è importante la dimostrazione di una situazione diversificata rispetto alla coscienza, né vorrei polemizzare con i tanti cosiddetti medium che sono tali per auto-definizione perché in vita loro hanno pervicacemente rifiutato ogni controllo. Dico questo con convinzione assoluta, dacchè io non ho rifiutato mai nulla e, francamente, non capisco come talvolta si mettano sullo stesso piano, con irresponsabile superficialità scientifica, sia le medianità in qualche modo controllate, sia pure imperfettamente, con quelle che non lo sono state mai. Questo criterio francamente dilettantistico è ormai una prassi consolidata e proprio per questo la parapsicologia non decollerà mai perché c’è una faciloneria contrabbandata per oggettività: mi riferisco sempre all’aspetto fenomenico di una medianità. In futuro si tenga conto di questo e non si accetti con leggerezza che il mio nome venga associato a medium di cui non sia certo il loro stato modificato di coscienza che, come ormai tutti sanno, è accettabile in vari modi fra cui l’EEG, l’elettromiogramma, l’analisi delle voci, i rilievi fisio-chimici nel corso del fenomeno, il test di Rorschach e altri che si potranno ricavare dalla letteratura specializzata. Esami, questi, a cui io sono stato sottoposto ed altri avrei potuto fare eseguire se la mia medianità fosse capitata in un gruppo sperimentale più strutturato in senso scientifico. Recentemente il dott. Piero Cassoli, Presidente del Centro Studi Parapsicologici di Bologna lamentava, con me, di non avermi conosciuto venti o trent’anni fa per collaborare insieme ad un più complesso accertamento su questa mia medianità. Non posso che dargli ragione, ma ormai è acqua passata: tuttavia ciò a cui mi sono sottoposto (non senza qualche umiliazione per l’arroganza di qualcuno pronto a irridere) spero dia nel futuro maggior orgoglio nel combattere la distinzione che deve essere fatta, come accadde alla signora Garrett, fra coloro che posseggono la medianità e coloro che la suppongono o la fingono. Ciò, mi pare, conferirà maggiore spessore — ma solo negli ambienti della parapsicologia – al fenomeno attraverso il quale si è presentata l’Entità A per mezzo della mia persona.
Se si passa ai contenuti, il problema della promiscuità non cambia molto. Anche qui si mescolano comunicazioni controllate sul piano tecnico e strutturate sul piano linguistico, letterario e filosofico, con le stupidaggini della messaggistica consolatoria o col balbettio retorico che ignorantemente si contrabbanda come messaggi filosofici.
A me fa pena, una tremenda e struggente pena, la morte dei giovani e soprattutto il dolore dei genitori. Ma non possiamo, anzi non dobbiamo concedere alla parapsicologia né la pena, né la retorica, né la pietà. E qui rientro nel discorso che mi appartiene. Da molte parti il discorso dell’Entità A viene utilizzato come sistema culturale di conforto e, nello spiegarne la dottrina, molte persone, a volte finanche competenti, commettono l’errore di privilegiare gli aspetti confortevoli in luogo dei punti essenziali che rappresentano l’intelaiatura architettonica del sistema di pensiero. In questo modo non si rende giustizia ad un grande insegnamento. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che una dottrina è cosa diversa dalla predica, perché per dottrina si intende una struttura logica articolata come sistema di pensiero chiuso, cioè che ha un inizio ed una fine. In un sistema chiuso di pensiero le parti sono fra loro in continua interrelazione, si scambiano e si dispongono come meglio aggrada senza che mutino la direzione e l’intenzione del discorso.
Una predica, invece, è la volgarizzazione retorica di una dottrina: quasi sempre con intenti moralistici e prescrittivi.
Ho detto “moralistico” e non morale a ragion veduta: il moralismo è generico, anonimo, paternalistico, oscurantista. La morale, invece, non è prescrizione. Morale è, ad esempio, la sola logica e morale è la costruzione teorica e matematica di un sistema di pensiero che parta da premesse che siano etiche in senso oggettivo ed universale. Ma in primo luogo è morale tutto ciò che rappresenta il libero formarsi di una coscienza. Ecco perché l’esercizio di una libertà, quale espressione di un atto critico individuale, è una delle massime manifestazioni morali e, per contro, è immorale qualsiasi divieto che, partendo da enunciati generici ed esclusivamente prescrittivi e dunque politici, vieti l’uso di questo tipo di libertà espresso dalle coscienze libere ed individuali.
La libertà, infatti, è un prodotto individuale e non collettivo; ma tale diventa e acquista forza morale, quando viene contemporaneamente dichiarata e sancita la liceità della opzione personale rispetto alla libertà stessa. La morale della libertà, insomma, sta anche nell’accettare che essa sia rifiutata, purchè anche il rifiuto sia espressione di una libera coscienza che rifiuta motivando, in base a principi che possono essere dimostrati sul piano logico o scientifico. In pratica, nessuno può prescrivere niente: ogni prescrizione non solo è immorale, ma è anche violenza, tanto più grave quanto più il soggetto che la riceve ha deboli o nulli apparati di una coscienza libera e critica.
Orbene, torniamo ancora una volta al punto: se le lezioni di Andrea vengono trasmesse in modo predicatorio, noi togliamo a questo insegnamento il senso autentico della sua struttura logica, la quale non mira all’effetto declamatorio, consolatorio e retorico, ma punta al costituirsi di una libera coscienza logica intorno alle premesse e al fine dell’esistenza. Se Andrea, cioè, viene usato senza la struttura semantica dell’intero discorso, lo si riduce ad un predicatore che formalizza certi principi: invece il pensiero di questo Maestro è essenzialmente una coordinazione di principi fra loro interscambiabili senza che mai sorga un problema di contraddittorietà.
Dunque, nella trasmissione e diffusione a futura memoria di questa dottrina, si tenga ben presente il valore assoluto e primario di questa struttura dell’insegnamento che, come tale, precede finanche il linguaggio stesso.
Purtroppo su questo punto siamo ancora carenti, nel senso che talvolta si privilegia più l’aspetto esteriore del discorso che il valore della struttura sottostante.
E’ chiaro che, nel diffondere un’insegnamento, bisognerà tener presente anche un pubblico intermedio al quale bisogna fare qualche concessione: ma questa concessione dovrà essere usata come momento ludico di avvicinamento, strategia dimostrativa e approccio di conquista, non in sostituzione degli aspetti sottostanti e lineari della lezione. Dico questo perché non sappiamo, in futuro, se qualcuno degli importanti messaggi del Maestro non diventerà popolare: per esempio quello del principio di materialità che contiene tutti gli ingredienti accattivanti per applicazioni pratiche e pubblicistiche anche ìn senso sociologico. Naturalmente, un movimento è fatto anche di momenti ludici che servono da richiamo: per esempio noi abbiamo fatto serate di teatro, dibattiti sulla sessualità e l’Anima, presentazione di libri, dibattiti sulla medicina alternativa e, negli anni futuri, chissà quante cose inventeremo per invogliare le persone a venire nelle nostre sedi! E’ preferibile fare questo tipo di interventi in luogo di quelli concernenti gli aspetti deteriori della parapsicologia, almenchè le serate non siano costruite in maniera critica, cioè che servano ad educare le persone ed a sollecitare la loro intelligenza. 3 – L’altro punto sul quale devo tornare con forza é la scrittura del nostro Archivio, cioè la trasposizione in scrittura del linguaggio di Andrea. Credo di poter dire che ci siamo comportati, nel passato, con disinvolta leggerezza, penalizzando proprio il corpo fondamentale dell’intero CIP. Quasi nessuno ha ancora capito (nonostante lo stesso Maestro l’abbia più volte sottolineato e abbia sempre richiesto il nostro aiuto in tal senso) che c’è un abisso tra il linguaggio parlato e il linguaggio scritto. Per propensione verso una fedeltà alla parola orale del Maestro, fedeltà francamente esasperata, si sono lasciate in circolazione lezioni completamente assurde sul piano formale e spessissimo anche grammaticale e sintattico, naturalmente non imputabili ad Andrea ma ai trascrittori. Se dico tutto ciò con forza è perché tale problema è fondamentale sia per Andrea che per me, dal momento che il tramite con questo linguaggio sono io e nessun’altro e il rischio, quando ci attaccheranno gli oppositori, è enorme finanche sul piano della credibilità formale. Non illudetevi che non lo faranno; prima o poi ci attaccheranno, come è successo per tutti i sensitivi famosi, e io francamente non vorrei essere difeso come sono stati difesi gli altri. Non ho nessun motivo per essere pusillanime, visto che non ho nulla da perdere e credo — se ne avrò voglia e tempo — che preparerò da vivente la mia memoria difensiva per quando sarò morto. Tornando, poi, alla trascrizione delle sedute, purtroppo il danno è stato fatto: frasi ricopiate male e spesso senza senso perché sono saltate le parole, punteggiature che staccano i periodi talmente approssimativamente che si perde il senso logico del discorso, la presenza di ripetizioni a catena che Andrea adopera nel parlato per sottolineare meglio ciò che dice e che sono riportate, senza alcun buon senso di chi ricopia il testo parlato. Vi assicuro che non sto affatto esagerando, anzi non dico tutto ciò che dovrei dire per non offendere chi ha pur lavorato per il CIP, ma se devo dire un’ultima cosa è bene che sappiate che a volte mi vergogno, con questi testi davanti, che si fanno passare per discorsi dell’Entità A e col mio nome quale medium, dal momento che io sono uno scrittore e uno studioso rispettato e stimato e la produzione medianica, qualsiasi cosa si pensi, attraversa il mio corpo di vivente: il nome dell’Entità A è, di conseguenza, indissolubilmente legato al mio.
Per fortuna in questi ultimi anni la situazione è cambiata perché siamo riusciti a calibrare fra Roma e Napoli la revisione dei testi delle sedute, ma c’è ancora da fare. A questo proposito invito a considerare che una cosa è la conservazione di un archivio originale che, infatti, si preserva intatto e un’altra cosa è la diffusione all’esterno. Per l’archivio non sarebbe necessaria la trascrizione, perché basterebbero i nastri: ma se si trascrive è perché, successivamente, le lezioni vengono stampate ed è a questo punto che noi ci poniamo mano perché, lo ripeterò fino alla nausea, c’è sempre una differenza sostanziale in quanto verba volant e scripta manent.
A mio avviso tutto l’archivio del CIP, specie la parte fino al 1990, andrebbe rivisto e corretto per impedire che fra cinquant’anni qualcuno taccia di ignorante sia noi che l’Entità A.
E per un futuro indico due soluzioni:
1) conservare i nastri cosi come sono perché ne resti integro l’archivio, almeno quello ufficiale del CIP che si trova nella sede di Napoli: a questo, per la verità, stanno già appassionatamente provvedendo Sergio Flamigni con il genero Luigi Ranieri ed Emilia Lotti;
2)rivedere tutti i testi trascritti anche per un altro motivo. Andrea spesso risponde in un certo modo a causa di persone presenti, con situazioni esistenziali particolari, e tali da condizionarlo nella risposta dal momento che, come tutti sanno, durante una seduta c’è spessissimo un rapporto telepatico fra il Maestro e i presenti. I trascrittori non hanno mai tenuto presente questo dato e talvolta hanno riportato il pensiero di Andrea conferendogli un significato assoluto che invece andava, nella trascrizione, relativizzato. Insomma per troppa paura di intervenire o per scarsa capacità critica, ad Andrea è stato reso un pessimo servigio, e finchè siamo vivi abbiamo il dovere di correggere e di modificare finchè è possibile...
Lo so che intervenire su quest’aspetto è molto difficile: spero che qualcuno abbia però il coraggio, la volontà e la pazienza di fare questo tipo di lavoro per il quale occorrono un intelligenza e una sensibilità fuori dal comune oltre ad una padronanza sicura di tutta la dottrina,
3) – Un terzo punto: i soci e gli amici di “A” devono impegnarsi al proselitismo. Ma un proselitismo intelligente perché non ci interessa troppo la folla bensì la qualità. Ma il proselitismo intelligente non lo possono fare tutti e questo Andrea lo ha detto molto bene. Per i dolori e per i lutti c’è la ricerca interiore, c’è la meditazione, c’è l’abbracciare o condividere il viaggio al dì là della ragione; per l’ignoranza ci sono i libri e le scuole. Non c’è alcuna scusante per l’ignoranza e l’ignoranza, che già è una iattura della società, per la parapsicologia è addirittura un suicidio. Non vedete come fanno i nostri avversari? Gli scienziati citano il metodo ad ogni piè sospinto, i teologi si riparano dietro il magistero della Chiesa e di Gesù Cristo, gli sperimentatori pratici sì rifugiano dietro il microscopio. Noi dobbiamo rifugiarci dietro il principio filosofico dello Spirito che pure, come principio, ha una sua dignità storica: HO DETTO SPIRITO PERO’, NON SPIRITISMO!
C’è un’ aristocrazia della Spirito, lo ripeto: ed è questo il contrassegno e lo stile del CIP Non siamo, non dobbiamo essere, né un ente assistenziale dell’ignoranza e dei dolori, né un centro raccolta di chi vive passivamente o nevroticamente e crede che la ricerca debba lavorare per loro senza che essi muovano un solo dito per cambiare il loro stato di passività. Naturalmente noi lavoriamo anche per loro. E molti la troveranno veramente la strada, la fede e la pace viaggiando con noi. Ma i nostri viaggi sono a piedi e quindi bisognerà imparare a camminare a piedi con noi, vale a dire con le proprie gambe e quindi bisogna stimolare gli amici senza neppure eccessiva gentilezza, visto che si tratta, alla fine, della loro Anima e non della nostra!
Il CIP non vuole e non deve rappresentarsi come la televisione dei pigri.
Ecco perché ho parlato di proselitismo intelligente: vale a dire che dobbiamo presentare all’esterno non la parte dolciastra delle lezioni, ma i punti cardini della dottrina e sollecitare lo scuotimento dall’abbruttimento quotidiano fatto di pantofole e di armamentari familiari in attesa della vecchiaia e della morte. Dobbiamo dire agli amici presenti e futuri che la teorica del CIP è un insegnamento rivoluzionario, perché pone l’Anima al centro di tutto: quest’Anima è per noi — come ho recentemente letto in un testo buddhista — il propellente per auto-riconoscersi.
Dobbiamo dire alla gente che noi abbiamo rispetto solo per la centralità della coscienza che riconosce l’Io interno, e che per noi è
sacrale soltanto il movimento della coscienza che si autoriflette nell’Anima: ogni altra cosa è materia, è carne della carne, ossa delle ossa, sangue del suo sangue e null’altro.
Dobbiamo dire che la vita ha un significato soltanto se vi riconosciamo questa sacralità interna, oltre la quale – e senza la quale -tutto è effimero, stupido, ripetitivo, ossessivo, obsoleto già appena nasce.
E’ questo il CIP, entro il quale il mio fenomeno e la voce mia e quella del Maestro mio, sono soltanto un accidente di percorso all’interno di un viaggio sconosciuto da viventi. Se prima ho detto che sono importanti anche le dimostrazioni di un reale stato modificato di coscienza, intendevo sottintendere che alla fine siamo di formazione parapsicologica e dobbiamo dare a Cesare, ma anche a noi stessi in quanto istituzione reale sul territorio, una congruità scientifica che avalla non i contenuti (da assoggettare a critica storica e filosofica ) bensì la modalità con cui i contenuti sono giunti a noi. Escludendosi la volontà di una mente di costituire quei contenuti, nascerà una interpretazione critica, ma questa non potrà toccare i contenuti e neppure il soggetto che l’ha prodotto: la critica investirà soltanto, essendo scienza, l’aspetto fenomenologico (ho detto fenomenologico e non fenomenico, attenzione) della modalità espressiva. Il compito della critica diventa, in tale modo, duplice o molteplice perché della mia espressività come persona occorrerà analizzare più strati , ma, per quanto riguarda la diffusione dottrinaria, ciò che deve sopravvivere è un coordinato di idee, di concetti, di rilevamenti e di visioni, che il viaggio stesso — mio o di altri come me — mostra nel suo farsi e disfarsi via via che cresciamo con un insegnamento o semplicemente con l’esperienza e, viaggiando, ci evolviamo. Ma perché ciò accada bisognerà puntare sempre più verso la diffusione dei principi dell’interiorità e della crescita: principi che, tra l’altro, funzionano anche come cura, come terapia, in quasi tutti i casi di spersonalizzazione e di disturbi dell’Io.
E sempre più urgente, a questo riguardo, appare l’importanza di una rivista di cui ci dobbiamo dotare al più presto, anche se si conoscono tutte le difficoltà nel realizzarla, ma a cui il CIP dovrà affidarsi nel futuro se vuole fare scuola. Senza una rivista che fiancheggi in maniera autorevole tutto il lavoro della filosofia di Andrea e lo diffonda negli ambiti che contano, il CIP non potrà sopravvivere: come dicevo all’inizio, il suo futuro è tutto da affidarsi al lavoro editoriale. Quando si sarà spenta fra voi o fra alcuni di voi l’eco della mia presenza nel mondo, il discorso della dottrina (da presentarsi come sistema dialettico e aperto da strutturare come filosofia, psicologia, e sociologia dell’ineffabile) non potrà reggersi solo sulla sua storia passata, per cui, senza la guida di una forte rivista qualificata saremmo degli invalidi ossessivamente ripetitivi, tanto più che noi non abbiamo da mostrare o da raccontare al pubblico alcun fenomeno da circo e nessun gioco delle tre tavolette: naturalmente per me una rivista culturale, ha senso solo se punta qualitativamente in alto, cioè se diventa una operazione di politica culturale. La sola diffusione delle lezioni di A non potrà considerarsi sufficiente a tenere in vita e in alto il CIP, anche perché le CDA, ad esempio, sono costruite per adepti e non con finalità scientifiche; non sono nemmeno costruite per gli scettici da convincere, per cui in questa chiave siamo fuori gioco. Tra l’altro bisognerà imparare a vedere i problemi delle varie parti del CIP nella completa integrazione con le finalità dell’organizzazione e non settorialmente, cioè non come operatori ciascuno dei quali si coltiva il proprio orticello.
Tuttavia umilmente io vi prego e prego coloro che ci sopravviveranno, di non piegarsi mai verso l’incultura per un risibile principio democratico o , peggio, per una falsa spiritualità: solo la conoscenza e la ricerca hanno fatto avanzare gli uomini e solo l’illuminazione dei maestri e dei profeti ha dato lustro e grandezza finanche ai poveri di spirito. Lo so che molti non potrebbero essere d’accordo con me già da oggi, ma io sono un osso duro rispetto alla priorità della cultura sul dilettantismo. Certo, noi dobbiamo dare una mano ai deboli, dobbiamo aiutare a crescere chi non sa ma vuole stare con noi: questo è, però, il nostro compito individuale (da non confondere con quello pubblico e associativo) da viverci con la proiezione della grande lezione che abbiamo incontrato nel corso delle nostre vite umane. La filosofia è anch’essa un’arte, oltre ad essere una logica. Né la filosofia né l’arte possono essere date a tutti senza un’adeguata preparazione: per capire Beethoven bisogna capire la musica, altrimenti lo si ascolterà come una canzone di San Remo. L’intransigenza, su questa linea, a tempi lunghi ripagherà. Forse non in popolarità, ma sicuramente in serietà, condivisione pubblica, stima e rispetto delle persone che vivono la cultura come una seconda pelle. Dico tutto questo perché spesso serpeggiano, nelle nostre stesse file, taciti compiacimenti ed una risibile pietas dell’ignoranza in nome della spiritualità. Noi stiamo costruendo un movimento intellettuale e dobbiamo lottare anche verso queste resistenze che non ci fanno fare il nostro lavoro come l’ispirazione reclamerebbe: noi siamo esseri responsabili in quanto dirigenti del CIP e se si prediligono le posizioni individuali in luogo delle collettive, ebbene si fa ristagnare l’organizzazione e si impedisce a posizioni più qualificate di entrare fra noi. E purtroppo il tempo stringe, come si usa dire, e non ci restano tanti anni per costruire.
5 – Naturalmente dicendo che dobbiamo utilizzare le persone che hanno udienza nella cultura umana, rischio di passare per un razzista, ma il mio pensiero e sempre calato nel discorso del proselitismo e della diffusione e, dunque, risponderò alla possibile domanda: ma quali sono o dovrebbero essere i nostri interlocutori con la dottrina filosofica che ci ritroviamo nelle mani? E poi, una volta che li abbiamo identificati, sapremmo offrire loro un prodotto che non sia risibile, che diventi un momento operativo di confronto? Insomma sapremo essere attrezzati, essere cioè, come si dice in gergo pokeristico, all’altezza?
Ma é facile rispondere a questa domanda. I nostri interlocutori sono le culture ufficiali o quelle parallele, verso le quali il CIP dovrà propendere continuamente. Non c’è altra scelta e non ci sono altri interlocutori. Lo scambio — considerato il livello dell’insegnamento —può avvenire solo con la Cultura e non col sottobosco culturale. Per far questo dobbiamo affinarci continuamente, cercare collaboratori adatti, addestrare alcuni dei nostri e avere il coraggio di uscire allo scoperto con le idee da portare al di là della parapsicologia ormai ridotta ad un gioco televisivo dove finanche l’opposizione e la polemica vengono reclutate, non perché producono momenti di cultura, ma perché fanno spettacolo.
Stiamo arrivando al punto in cui ci si può vergognare di essere parapsicologi.
E qui entro nel mio dramma di essere, oltre che parapsicologo e scrittore, anche un sensitivo. Vi prego, non definitemi più un medium. Sta diventando vergognoso, offensivo, riduttivo, falso, questo termine che azzera tutto e tutti a livello delle profezie e delle falsificazioni cartomantiche del 144 e propone, sullo stesso piano (cosa che fanno anche certi parapsicologi seri, come ho detto prima) i vomitatori medianici artificiali e i veri sensitivi, le baldracche indovine da quattro soldi e i grandi meditativi dello spirito. Se aggiungete che le case editrici, a loro volta, fanno una paccottiglia di tutto, come si può pensare ad un parapsicologia alta, quando i futuri associati o cultori si sono ( si fa per dire) “formati” e costruiti con questi tipi di letterature cosiddette paranormali e questi spettacoli televisivi? Se gli stessi presentatori della parapsicologia non ne sanno nulla? La conduttrice di “Misteri” candidamente ammise di non aver mai saputo nulla di parapsicologia, dal momento che ella fa la giornalista; qualche tempo fa mi telefonò un giornalista di Repubblica che doveva scrivere un articolo sulla parapsicologia e non sapeva da che parte cominciare perché non aveva mai letto niente. Abbiamo avuto la fortuna che si sia rivolto a me: ma se quel giornalista fosse stato meno intelligente e fortunato avrebbe anche potuto rivolgersi a qualche mago di turno: ecco in che situazione si trova l’intero campo della parapsicologia, ecco che cosa dobbiamo fronteggiare nel presente e nel futuro: non vedete a quali rischi siamo esposti, noi che siamo in trincea, in prima linea?
6 – Questa mia sensitività sta diventando sempre più un caso isolato e paradossale. Sto cercando di spiegarlo a tutti ma sono capito da pochi. Le persone continuano a vedere in me un fenomeno vivente, riducendo un evento importante quale è una realtà sciamanica più che medianica, in un meccanismo di trance che spiega poco o niente. Ma in questo giudizio rientra, come molti sanno, la mia opinione sulla parapsicologia dei fenomeni che da cento e più anni non ci ha portato da nessuna parte, anzi ci ha fatto ritrovare, oggi, con quasi tutte le ossa rotte.
Dicevo che il mio caso è paradossale. Vi ripropongo alcune cose che molti intimi già conoscono e che io ho ripetuto a Bologna alla 9/a Giornata Parapsicologica Bolognese del 1995 che il dott. Piero Cassoli (Presidente del Centro Studi Parapsicologici di Bologna) presentò col titolo ” Da vizio privato a pubblica virtù”. Ripeto anche qui quei concetti, appunto perché il senso di questo mio intervento vuole essere a futura memoria. Si tratta, come molti sanno, della storia di questo tormentato rapporto fra me e Andrea. Il mio amico Pippo Franco, che è uno dei nostri, mi ripete continuamente che la gente di questo problema se ne frega. Io, invece, insisto a parlarne perché questo problema, come tale, rientra nel discorso parapsicologico e quindi l’illustrazione del caso potrà servire in futuro per il discorso del rapporto fra mente e paranormale. E va detto che questa storia tormentata ha determinato uno spartiacque profondo perché se io mi sono emancipato da Andrea, anche lui è rimasto autonomo sempre più incisivamente proprio a causa di questa separazione netta. Mi pare che parlarne confermi anche la differenza tecnica che, durante la trance, separa me da lui. Col tempo, comunque, il nostro rapporto si è evoluto.
“Oggi, attraverso lo spartiacque c’è un ponte che ormai ci unisce: possiamo transitarlo soltanto lui e io. Guai se qualcuno entrasse su questo ponte per alienare l’incontro solitario ormai continuo al di là del linguaggio. Se dovessi descrivere l’incontro su questo ponte non riuscirei a trovare, credo, le parole giuste. A volte a me sembra di spostarmi come in una luce lunare e poi mi batto i pugni sulla fronte come per aprirla e me la frego con violenza, si, si, si – mi dico – ecco, ecco, ecco… e allora avverto un tocco lieve in un punto di me che non so quale e dove è, e qualcosa mi scivola dentro e poi esce e rientra, una penetrazione che ha tutti gli ingredienti della sessualità più erotica che si possa immaginare e questa cosa che mi entra e mi esce, calda da scaldarmi, lieve da sfiorarmi, sinuosa come le mani che sanno toccare, umida come una lingua che sa baciare… questa cosa inimmaginabile è un significato che riempie le mie domande e solo distinguo che Egli, LA VOCE, è là, dentro di me e a volte il significato diventa la parola figlio con cui l’ombra del Maestro gratifica il mio strisciare come un’edera contro un muro.
Ho già detto moltissime volte che questo mio viaggio attraverso la frontiera non è fatto di macroscopiche visioni deliranti o delle tante (credo false ) visioni di improbabili racconti paranormali, ma è proprio un muoversi come i millepiedi sui muri umidi di muschio, nascondendomi (paradossalmente io come un fantasma, e non loro!) per non osare troppo. Sono sempre attraversato, in questi viaggi, da segnali di presenze e di significati che io cerco dì non guardare, di non fermare troppo lo sguardo, a volte sbircio appena come in tralice perché avverto nettamente di essere un intruso, però non estraneo: sono comunque io lo straniero, questo lo avverto nettamente…
Ma queste presenze-assenze mi donano la certezza incomparabile che il viaggio non avviene in terre disabitate,ma nei luoghi che per noi umani sono i luoghi dell’oblio e delle domande ininterrotte.
Si tratta di un rapporto collegato con la poesia, con ciò che di più intimo ho in me, con la creatività o non so cos’altro. In questo riflesso speculare tra il mio inconscio e l’Altro che si chiama un Maestro, avvengono transazioni dialettiche molto rarefatte di cui non voglio parlare e di cui scriverò, se ne avrò tempo e voglia, altrimenti moriranno con me.
In questi viaggi, comunque, sono io il viaggiatore, forse un po’ svampito e annebbiato perché sono nella mia coscienza modificata che non è quella del quotidiano, però sono sempre io e non un altro.
Invece la trance è cosa ben diversa e, tutto sommato, estranea. Voglio ripetere, per chi non mi ascoltò nella sede bolognese — e che ho ripetuto recentemente a Napoli all’amico Cassoli — il mio rapporto con la trance.
Cioè voglio che, a futura memoria, si comprenda anche il sensitivo-persona oltre che il sensitivo-fenomeno, il sensitivo-scrittore e non (o non solo) il funambolo che produce la trance. E con l’occasione voglio fermamente sottolineare che io non ho alcun conflitto con Andrea, cosa questa che nessuno sembra voler capire, perché io il Maestro lo incontro continuamente su un’altra dimensione interiore e dunque come potrei averlo questo conflitto?
Il conflitto-se proprio volete saperlo- me lo ha procurato il mondo della vecchia metapsichica, da quando ha considerato me uno strumento passivo, inerte e quasi ebete, al quale era capitata la fortuna di avere il dono della trance. Infatti io sono stato analizzato tecnicamente ma mai umanisticamente (tranne che da Carlo Adriani) o, come si dice fra psicologi, olisticamente tanto e vero che ancora oggi molte persone di me non sanno nulla, per altri potrei essere un semideficiente credendosi, così, di dare più valore alla mia medianità, per altri sono un vecchio in ritiro e per qualcuno sono addirittura morto qualche decennio fa.
E’ chiaro che tutto ciò ha alimentato il conflitto di identità ed io, facendo lo scrittore e per un paio di decenni, anche lo psicoterapeuta, ho dovuto sopportare l’anonimato più totale perché, da una parte il mondo culturale non avrebbe capito e dall’altra, quello del paranormale, non avrebbe accettato me persona (scrittore e ricercatore), ma solo me medium.
Più lacerazione di così non poteva capitarmi. Al centro ci sono stato io, io scrittore ed io anche medium. Andrea non c’entra perché io con Andrea ho sempre avuto uno stupendo rapporto: un rapporto, che ci unisce nella mia interiorità, dalla quale a volte esco per entrare nella sua interiorità, cioè nel suo mondo.
Quando ho ritrovato la mia centralità, cioè un diverso equilibrio, ho mandato il passato a quel paese, nel senso che intransigentemente ho ripreso possesso finanche della mia medianità. Ma questo ho potuto farlo tentando inutilmente di spiegare che l’Andrea della trance a me non interessa che come parapsicologo fenomenica, perché io personalmente ho anche la presenza dell’Andrea come voce interiore, come dio della poesia, come il deimon dei filosofi. Diversamente dai filosofi greci però questo dio, oltre ad essere la voce ispirante, ha anche potuto parlare direttamente attraverso la procedura di uno stato modificato di coscienza quale è la mia trance sciamanica. Comunque, questo dio chiamato Andrea non ha trovato in me un filosofo istituzionale come Parmenide, ma uno scrittore—filosofo e anche poeta che vive come un libero battitore, un umanista libero pensatore, che tuttavia ancora stenta, anche per l’ottusità di molti, a far capire come in realtà stiano le cose e la centralità urgente di questo problema. Se la medianità è sempre creatività che si dispiega, non è vero anche il contrario, cioè che la creatività è medianità che sì mostra nella realtà dell’opera? A quanto lavoro di chiarimento siamo chiamati oggi e nel futuro! E’ chiaro che la trance non ha nulla da spartire con la mia coscienza vigile, altrimenti il problema della identificazione o della mia identità non sarebbe sorto e io sarei passato nel mondo come un qualsiasi operatore culturale, vero o falso artista.
Voglio quindi, ancora una volta chiarire la diversità fra la percezione interiore, che è cosciente, e quella perdita di me che si determina con la trance. Su questa cosa dovete tutti sapere che tra il momento in cui perdo la coscienza di me e il risveglio successivo, c’è un tempo che non mi appartiene, un tempo da me perduto, perché è il tempo di un silenzio colmato da un estraneo qual è comunque l’identità dì Andrea rispetto alla mia, da un Andrea gestito con le domande di altri che non sono me, da un Andrea che non è più la voce che parla alla mia Anima, ma risponde ad altre domande che io non conosco e alle quali io non rispondo, si che la mia identità fisica e psichica scompaiono nel buio liquido della trance. Eppure questo io l’ho sempre accettato con umiltà in funzione della necessità di una voce che parla giustamente anche ad altri e di cui sono il trasduttore inconsapevole e, in quel momento, passivo. Tuttavia non ho mai amato questa passività che mi trasforma in un fenomeno vivente e mi raggela la coscienza. Per me ciò è anche più grave perché strutturalmente sono uno scrittore professionista, per così dire, che ora per professione fa anche il parapsicologo. In questa mia trance, però, non c’è nulla dell’arte o del mio creare: c’è solo Andrea che domina la scena del presente che per me, fisicamente, psicologicamente ed eticamente, mostra lo scenario della mia assenza. Egli senza volermi coartare tuttavia mi scarta, mi irride ignorandomi suo malgrado, non si rivolge più a me, si trastulla col mio cervello e il mio respiro per rubami la parola e il linguaggio e riorganizzando la sua momentanea coscienza con altra intelligenza che non è la mia, per dare corpo al logos con altra voce, altra ragione, altra logica.
Tuttavia, perché lui diventi il Maestro amato da tante persone, bisogna che io gli dia la vita, la mia vita, affinché egli possa manifestare quella che, presumibilmente, è la sua.
Il tempo della trance totale per me è il tempo del non—essere. Ecco perché non amo la trance. Essa non mi consente nulla: anzi, più sono disattivo e perdente, più il Maestro vive e si mostra nel teatro circolare dei presenti.
7 – Ciò che sto dicendo, per molti studiosi vecchia maniera può sicuramente apparire paradossale, insolito, forse una civetteria, ma questo perché con la vecchia scuola la trance è stata sempre riguardata come un fenomeno quasi autonomo rispetto agli stessi medium le cui persone sono state sempre poste in secondo piano: appunto “strumenti”, ” mezzi” e mai uomini, per i quali la trance ha rappresentato una modalità d’essere, una espressione del soggetto stesso. Credo, però, che questa opinione sia sorta perché la maggior parte dei medium è stata socialmente e culturalmente assai modesta e i cosiddetti sperimentatori (molti dei quali erano solo arroganti e presuntuosi e non avevano altre qualità che queste) li dominavano o ne erano imbrogliati.
Naturalmente sto alludendo alla vera sensitività, alla vera trance sciamanica, al vero stato modificato di coscienza e non certo ai giochetti da salotto dei parapsicologi della domenica, molti dei quali si presentano a parlare finanche nei congressi senza che nel corso dell’anno abbiamo prodotto una sia pur minima ricerca o siano vissuti in modo impegnato rispetto alla parapsicologia.
” E’ chiaro, a questo punto, — dicevo nel citato Congresso — che io invece mi realizzo nella interiore trance lucida del contatto solitario che avviene soltanto tra me e questo guru e sempre senza testimoni”.
Mi realizzo, cioè, su quel ponte di cui parlavo prima ……. alla frontiera del mio essere, nel luogo dove chi passa normalmente non può tornare indietro.
“Questo contatto, essendo scambievole e alla pari, diventa, quindi, il tempo dell’essere. E quando il guru va via ed io elaboro a modo mio e conferisco al significato del discorso che si è appena svolto, il suo tempo storico e la sua struttura linguistica e, dunque, questa parola (o a volte la sola intuizione di un discorso) diventa carne, allora il tempo dell’essere diventa anche il mio tempo, il tempo del vivente che si chiama Corrado Piancastelli: in questa luce il viaggio si costruisce con più momenti e bisogna continuamente congiungere il tempi dell’abbandono con quello della ragione.
Qui, nella meditazione extravagante con Andrea io misuro la mia ragione e la mia follia, che poi sono la ragione e la follia di tutti: io so che devo restare nel mondo, aggrappato alla realtà, altrimenti trasformerei il discorso in un blaterare retorico di basso profilo o di alienazione totale. In questo rapporto devo, invece, conservare il senso dell’equilibrio e rafforzare la volontà con esercizi quasi acrobatici. Devo, ad esempio, percorrere il bordo della parola estranea e farmela rifluire con un orecchio pronto alla fuga se il discorso e le spire della situazione appena tentano di risucchiarmi da un’altra parte.
Questa esperienza mi ha riconciliato con Ulisse che avevo considerato un debole quando, ricordate?, si istupidì nei languori della maga Circe. Ora so per esperienza che nella sospensione della ragione, per catturare l’ineffabile si è percorsi dall’erotizzazione calamitante delle visioni che includono la stessa morte, una sorta di amplesso sacro e osceno nel contempo, che ricongiunge Eros e Thanatos. Quando mi trovo al massimo di questa stuporosa epochè, devo vigilare, pronto ad irrigidirmi se supero troppo sensualmente la frontiera: il limite tra la vita e la morte è proprio in questo gioco a rimpiattino.
Io e voi non apparteniamo a quel mondo, benché meraviglioso: non ora almeno.
E quando si valica questo traguardo da viventi bisogna essere estremamente seri e sorvegliati e vigili, perché il languore è troppo forte, la voglia è di calore sensuale che supera la genialità per diventare erotizzazione e abbandono della mente, è come l’eroina che vince proprio perché ciò che procura è un addormentamento dei sensi comuni e la messa in scena di altre estasi e di altre percezioni sensoree. Sono completamente d’accordo con coloro che accomunano la sessualità alla trance e all’estasi. Comunque, se non si capisce questo rapporto non si capisce la tossicomania e non si capiscono né l’estasi lucida né la trance lucida. Siamo su pareti ripide, tutto può degenerare da un momento all’altro: per capire ciò bisogna averlo provato almeno una volta. Quando avvengono questi contatti con il Sé e con l’Altro, continuamente si cammina insieme alla morte dolce. Chi mi conosce sa che io, quando tutto è finito, ho bisogno della terrestrità a tutti i suoi livelli e soprattutto, come ben sanno gli intimi, io non amo parlare né della mia trance e neppure di Andrea: non amo parlare neppure di parapsicologia, benchè oggi ne sia dentro, per ragioni di mestiere, direi, fino alle ossa. Sto troppo insieme alla morte e al morire e sono troppo accerchiato da penitenti che cercano conforto per il solo fatto che io esisto: e ciò crea anche una tensione a volte insopportabile e che, negli ultimi tempi, ha anche un tantino modificato il mio carattere, prima calmo e serafico, ora più impetuoso e aggressivo, (ma nessuno — chissà perché — sembra capire la ragione) perchè il tempo dell’esistere comincia ad accorciarsi e io perdo tempo anche in cose futili mentre dovrei avere solo quello di fotografare ciò che vedo attraverso questi altri canali di visioni e percezioni extrasensoriali”.
In tutto ciò devo anche risolvere problemi di scrittura perché nei miei libri futuri dovrò parlare di Andrea come scrittore e, come tale, sono ossessionato dai problemi di linguaggio.
Quando riposerò con la mia musica, con i miei sogni, con le mie percezioni senza l’obbligo di doverle registrare negli infiniti taccuini che mi circondano dovunque vada?
Ma poi tradirei me stesso: ecco perché ho sempre sognato almeno quella grande barca al largo delle spiagge flegree, davanti a Procida o a Baia per stendermi sotto la luce del tramonto a trascrivere l’inenarrabile e lasciare, in siffatto modo, altre tracce di me e del Maestro, a futura memoria… e poi fermare la barca nel più bel posto del mondo, dietro le mura dell’antico carcere, alla “corricella”, dove esattamente a quattro metri dal mare si cucina il pesce direttamente pescato sullo stesso specchio d’acqua!
8 — Prima di chiudere, devo tornare su un faticoso punto che mi si ritorce sempre contro proprio perché non posso fare a meno di essere io stesso un fenomeno paranormale, alla maniera dì Alberto Sordi. Ma se sono stato seguito fin qui, riuscirà chiaro capire, che la dinamica futura del CIP dovrà essere giocata proprio su questo piano inclinato che supera il fenomeno esterno quale dato paranormale per incentrarsi su quelli interni che identificano l’Anima e le sue funzioni. Tutto quanto è necessario capire, su questo punto, è scritto in un libro ancora inedito che si chiama “Segnale” (ma il titolo potrà diventare anche diverso), al quale rimando come ad un testo di studio sulla parapsicologia umanistica. Devo comunque riprendere, avviandomi alla conclusione, un accenno fatto prima e, cioè, che secondo me sbagliano in modo sostanziale coloro che identificano la parapsicologia con i suoi fenomeni. Il mio intento non è polemico e il problema investe un po’ tutti noi. Il fenomeno esteriore, anche se venisse provato, anche se funzionasse finanche con le regole della scienza ortodossa la più severa e intransigente, anche se fosse possibile riprodurlo in laboratorio, non potrebbe affatto provare né l’esistenza dello spirito né l’esistenza della sopravvivenza.
La mia opinione è che i fenomeni sono una produzione materiale e basta e, se l’origine è dell’altro mondo, noi possiamo solo dimostrare che esiste il fenomeno, ma non l’altro mondo.
Anzi affermo qualcosa ancora più grave: più i fenomeni si mostrano e si documentano, più ci si allontana dall’ idea di spirito e di sopravvivenza, trasformando l’idea dell’anima in quella di un prestigiatore che si esibisce sulla scena umana. E’ lo stesso problema della divinità racchiuso nella famosa massima del “se incontri il Buddha uccidilo” perché non può essere Buddha.
Ma da dove è saltata fuori la storiella di un’anima che per essere tale deve produrre i miracoli, il meraviglioso, il fenomenico? Chi è che ha stabilito le regole esteriori dell’apparire di un’Anima senza dedicare un solo rigo alla modalità dell’essere? Chi ha pensato questo ha creato una trappola nella quale si sono impantanati sia i parapsicologi positivisti che quelli ad orientamento spiritualistico. Chi ha scritto per prima che noi dobbiamo credere all’esistenza dell’Anima e alla sopravvivenza, a condizione che l’Anima si mostri, sulla scena della materia, abiurando alla sua sostanza che la vuole Spirito ineffabile e liberato proprio da quella stessa materia che ormai non ha più? Come è nata questa straordinaria aberrazione che ci inchioda da tutte le parti perché si pretendono da noi — sensitivi e sperimentatori dimostrazioni inutili, incongruenti e inconcludenti che non siamo assolutamente in grado di mostrare e che hanno costretto molti sensitivi, forse finanche medium autentici, a dover a volte truccare e mascherare altre qualità, al solo scopo di rendersi credibili agli occhi dell’imbelle sperimentatore di turno, che scambia la forma per la sostanza? Noi siamo sotto il tiro incrociato della scienza proprio a causa dei fenomeni che non riusciamo ad autenticare come veri e non vogliamo accorgerci che se anche, dopo tutto questo immenso e appassionato lavoro, ci riuscisse di dimostrarli, questi fenomeni non dimostrerebbero, anche per noi, proprio nulla se accettiamo il principio, che è anche del nostro maestro, e cioè che dopo la morte la struttura chiamata Anima soggiace a poderose trasformazioni, obbedisce ad altre leggi e, soprattutto, è ormai slegata dalle funzioni del corpo e dai fenomeni tipici della vita. Se non si accetta questo, gran parte della lezione di Andrea resta sullo sfondo e restiamo come degli accattoni di fenomeni intorno ai quali ci stiamo rivoltando, da un secolo a questa parte, senza cavarne un ragno dal buco se non le certezze fideistiche personali che però, come tali, non sono un patrimonio comune. Naturalmente, noi continueremo ad analizzare ogni fenomeno perché siamo un centro di parapsicologia ed è nostro compito continuare anche la ricerca sia storica che fenomenica, purché l’analisi sia completa, scientifica, tecnicamente precisa, in modo che non si presti a confusione. Dovremmo anche smetterla di difendere l’indifendibile per una equivoca fedeltà alla causa. Ammettiamo i nostri errori, è più elegante. In questo campo dei fenomeni le opinioni personali non contano nulla, contano solo i protocolli di ricerca in ambiente controllato e sottoscritto da tecnici qualificati. Questa è la mia opinione. Un’associazione che studia anche fenomeni fisici, deve trattare questi alla stregua della fisica, perché prono fenomeni fisici che di spirituale e di esistenziale ,non hanno nulla, così come si devono trattare con criterio logico-alogico-linguistico tutti i fenomeni dell’interno e gli stati modificati di coscienza. Per questi ultimi fenomeni ci avvarremo, allora, non più della fisica ma della psicologia, della filosofia, della semantica, della linguistica, della psicoanalisi, dell’antropologia e, soprattutto, della fenomenologia. Può darsi che molti accadimenti paranormali, nella loro complessità, si presentino in modo promiscuo e bordeline e, quindi, li tratteremo con ambedue gli approcci. Ma trattare i fatti fisici con approccio umanistico e quelli umanistici dell’interiorità con tecniche fisiche, è un bell’imbroglio che puzza lontano un miglio di pressappochismo, di dilettantismo e, credo, di assoluta ignoranza. Ogni manifestazione può essere sempre sezionata: finanche una manifestazione come l’estasi o la trance mistica può essere analizzata con ambedue gli approcci: la fisica si fermerà quando avrà esaurito l’aspetto fenomenico che è sempre, dico sempre, presente in qualsiasi fatto di ESP e, non mi si venga a dire, che i soggetti produttori si offenderebbero per i nostri controlli. Siamo francamente offesi noi di dover accettare che la parapsicologia si debba fondare sul nulla, esponendo alcuni di noi al ludibrio dell’opposizione senza avere strumenti concreti di difesa, se non la nostra sola parola, che, nella fattispecie, non conta assolutamente nulla fuori del giro amicale e familiare.
Lo so, la gente ama i racconti meravigliosi e le fiabe con le fate e gli orchi. Ma le persone devono essere addestrate a scoprire la propria Anima perché non c’è nulla che sia più meraviglioso dei propri luoghi interni, del formarsi della crescita personale, dell’operazione del cambiamento. Sapete cos’è il cambiamento? E’ lo svegliarsi la mattina e scoprire che esistono centinaia di cose che non avevamo mai visto prima, di provare nuove sensazioni sconosciute, nuove idee, nuovi modi di partecipare il mondo, nuove vibrazioni, nuove ricchezze e nuove visioni, nuovi uomini e nuove idee. Il cambiamento fa esplodere la creatività che è un segnale dell’Anima: e creatività significa sapersi inventare un cielo giallo, un mare rosa e montagne arancione e guardare le persone non per ciò che appaiono ma per ciò che sono.
Tutto ciò si chiama “rinascita” cioè fare il contrario del detto popolare che suggerisce di non cambiare la via vecchia per la nuova perché sai quello che perdi ma non sai ciò che trovi.
Andrea capovolge di 360 gradi questo antico detto: rinascita significa abbandonare la propria vita passiva e ripetitiva per ridiventare anime incarnate in un corpo. Abbandonatele le strade vecchie se non portano a niente e ci hanno ridotto a vegetali senza spina dorsale e senza desideri. Se non ci riusciremo, che la nostra Anima almeno sappia di averci provato! Ma se riconosceremo nuove strade, come sapremo che si tratta della nostra strada? Come dissi don Juan a Carlos Castenada, domandatevi soltanto se ogni nuova strada ha un cuore: se ce l’ha quella strade è giusta. Amici, è questo il messaggio del CIP, ora, domani ed a futura memoria: per quelli che oggi vivono con noi e per quelli che verranno dopo.
Devo infine ringraziarvi di tutto l’affetto che alcuni di voi mi portano anche nella polemica che è sempre cosa buona e fruttuosa. Oggi dovevo, però, esprimermi senza mediazioni e filtri perché siamo tutti preoccupati per il futuro delle nostre iniziative, e la stessa preoccupazione investe anche le altre associazioni italiane, per quando alcuni protagonisti, me o altri, lasceremo il corpo. Purtroppo la legge divina non ci consentirà di tornare per darvi consigli, opinioni, chiarimenti: dunque ragioniamo ora che siamo ancora vivi e possiamo farlo. Amici, grazie per essere venuti al mondo insieme a me e per aver deciso di reincontrarci e diventare amici e, con alcuni di voi, di volerci anche bene.
Corrado Piancastelli