ANCORA SULLA SESSUALITÀ –AMORE ED EVOLUZIONE– LE VIE DELLA VERITÀ.

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D. – Ho notato che alcuni uomini giungono a un certo grado di elevazione spirituale in qualsiasi civiltà – in occidente come in oriente – rinunciando all’attività sessuale come se il raggiungere un certo grado di perfezione spirituale comportasse quasi l’assopimento dei sensi, o perlomeno, l’obbligo di questa rinuncia. Come si può inquadrare la questione?

A. – Vedi, non è difficile inquadrarla. In realtà tutti coloro i quali si dedicano a una problematica di carattere spirituale, con una partecipazione totale dello Spirito e non a livello scientifico o paramorale, hanno di questi fenomeni. Cioè, se consideriamo alcune grandi figure, vedremo che in esse il corpo passa in second’ordine proprio perché l’attenzione dell’esperienza non è più rivolta verso la materialità che ormai è stata acquisita e superata, ma è rivolta verso altre forme che sono appunto quelle di carattere spirituale. Cioè, questo si può verificare soltanto quando si è superata la fase della materia; allora vorrei dire che non c’è più quell’interesse: l’istinto resta, ma si assopisce, mancando l’interesse di tipo cerebrale o di tipo anche spirituale.

L’assopimento dell’istinto sessuale non è un merito, è soltanto la conseguenza di una certa scelta. Però, facciamo attenzione a una cosa: spesso l’assopimento dell’istinto sessuale non dipende tanto da una virtù spirituale, quanto da una minore esigenza di tipo biologico. Molte persone dicono e affermano di poter dominare l’istinto sessuale semplicemente perché non ce l’hanno, oppure perché ce l’hanno in maniera ridotta. Questo si verifica in un numero enorme di casi. In fondo un istinto più forte o più debole dipende dalla natura, dal caso; così come l’essere biliosi può dipendere da una disfunzione del fegato, e via di seguito. Non è tanto una questione di merito, perché non esiste in ciò un problema morale vero e proprio. Tuttavia è chiaro che si può operare una scelta, cioè si può ritenere che assopendo certi istinti naturali si possono sviluppare di più quelli spirituali. Questo può rispondere al vero, considerando che un corpo qualsiasi, sottoposto a tutte le esigenze dell’istinto – degli istinti, per meglio dire – senza alcun controllo tende alla decadenza. Ma questo si verifica per tutti gli istinti. Anche mangiare smodatamente fa male, e quindi chi lo fa ingrassa, si appesantisce e si ammala, invecchia più presto. In definitiva il cervello viene a soffrirne e ne soffre anche l’intelligenza. E così per tutte le manifestazioni istintive, siamo lì. È chiaro che l’uomo deve controllare e il controllo, in se stesso, fa parte del principio di sopravvivenza o della migliore sopravvivenza.

D. – Però c’è qualcosa di più. per esempio, il grande mistico Ramakrishna1 non solo si attiene a questa norma ma vuole che anche gli altri facciano la stessa cosa. Egli paragona la donna all’oro, per cui cercare la donna è un po’ come cercare l’oro, per cui cercare la donna è un po’ come cercare l’oro che può portare alla perdizione ecc. Ma questo mi sembra eccessivo…

A. – La questione è se, in ogni caso, si debba considerare peccaminoso l’atto sessuale. Credo che la risposta debba essere no a tutti i livelli. Non può essere peccaminoso, potrei rispondere, in quanto esso viene da Dio, cioè dalla grande legge della natura. L’abuso è peccaminoso, ma il fatto di cercare la donna, considerato come fatto peccaminoso, mi sembra un’interpretazione un po’ particolare della morale. Diciamo che il peccato, ovvero il male, può venire da qualunque parte quando l’uso dell’istinto non viene sfruttato ai fini spirituali. Ritorniamo sempre al medesimo discorso di base: è indispensabile che l’attività dell’uomo non sia esclusivamente tesa alla materia, ma che, pur usandola, essa sia considerata un esercizio per lo Spirito o per la migliore comprensione di sé stessi e dello Spirito. È chiaro che abbandonarsi totalmente alla materia diventa male, ma diventa male come per coloro che si ubriacano o come per coloro che mangiano troppo (In sintesi, è chiaro che si deve tendere a livelli di equilibrio consapevoli, come applicazione pratica del Principio superiore di equilibrio universale anche nell’ambito della materia. – Nota del curatore.). Il male comincia quando si vive solo in funzione della materia; questo è il punto, ma quando lo Spirito procede, e così anche il corpo, il male non c’è. L’uomo che si ferma solo alla materia commette male, non nei confronti della materia o di Dio, ma verso il suo Spirito, cioè rende inutile la propria vita.

D. – Abbiamo parlato spesso dell’amore: dell’amore di Dio, dell’amore a livello spirituale, a livello umano, a livello di grandi iniziati, di maestri. Però, rimeditando sull’argomento viene fatto di pensare che più che essere una causa o un elemento collaterale dell’evoluzione, l’amore per gli altri, naturalmente esteso a qualunque prossimo, è un effetto dell’evoluzione, una conseguenza e non una causa. E scendendo ancora più nel dettaglio, ritornando per esempio alla figura del Cristo, in effetti si direbbe che non ci sia in Lui l’amore come banalmente e normalmente si intende, cioè l’amore verso il prossimo, ma sembra che ci sia in Lui un qualcosa del connaturato, grazie al Suo livello spirituale. È quasi come se fosse un fatto funzionale alla Sua evoluzione. È così per San Francesco. a un certo punto, paragonando le due figure, si potrebbe addirittura pensare che l’amore di San Francesco fosse ancora più ampio, più aperto, direi più umanamente comprensibile, di quello del Cristo…

A. – Direi che esso era diversamente dimensionato.

D. – Sì. Eppure, anche dallo stesso San Francesco deriva questa sensazione: cioè che l’amore fosse per lui una cosa inevitabile, proprio come un bisogno fisico, psicologicamente inevitabile per la sua evoluzione.

A. – È così! Tant’è vero che io vi ho sempre detto: l’amore o il bene non rappresentano un merito, ma il merito comincia quando ci si spinge al limite del personale sacrificio, quando insomma si vince e si supera se stesso. Perché si nasce buoni, in quanto lo Spirito è buono, oppure si nasce, come voi dite, “cattivi”, termine che a me non piace. È chiaro che l’amore è una conquista è qualcosa che si raggiunge, non si può porre prima dell’evoluzione, perché l’amore non s’inventa: nasce come conseguenza della conoscenza che ingloba l’esperienza, la comprensione dell’Universo, del mondo, delle cose.

D. – Direi in definitiva che esso è un elemento non primario a livello di grandi figure mistiche evolute.

A. – Certamente non primario, anche se è la parte più spettacolare, quella che vi colpisce (Aspetto che è fortemente presente – per esempio – in certi momenti della vita e della passione del Cristo. Cosa che anche il Maestro farà notare in altre comunicazioni pubblicate negli anni seguenti. – Nota del curatore.). Tuttavia ai fini dell’evoluzione non è primario. Di uno Spirito non si dice infatti “è buono”, si parla della sua grandezza come conoscenza, come comprensione, come magistero di verità. La bontà è scontata, è implicita. Lo Spirito non è “buono” nel senso umano della parola, è semplicemente giusto. È la giustizia, in fondo, che non ha amore in sé, ma è amore in senso universale, appunto perché è giustizia (In quanto Principio fondamentale insito nell’emanazione di Dio, e in questo cioè voluto dalla stessa Divinità. – Nota del curatore.). Voglio dire che “amore” oppure “odio” sono termini contrari ma di tipo emozionale. Essi lasciano capire indubbiamente che tutto debba risolversi come conseguenza dell’evoluzione.

Certamente uno Spirito evoluto è implicitamente buono, in quanto non produce danno agli altri e alle cose, anzi, al contrario, produce quello che comunemente si chiama il bene, cioè irradia intorno a sé ordine, giustizia, comprensione che può tradursi in soccorso, in aiuto, in verità, che viene data. Tutto ciò viene chiamato appunto l’amore. Ma a volerlo analizzare questo amore è soltanto un grosso termine ombrello che sembra tutto racchiudere, ma che in realtà poi non dice niente.

D. – Perciò, avendo eliminato il fatto dell’amore pieno e totale per gli altri come elemento primario da raggiungere, si riesce veramente a intravedere qualcosa che è al di là di esso, per noi ancora inconcepibile, inaccessibile alla comprensione, alla conoscenza; comunque qualcosa che veramente va molto al di là e che quindi rientra in una conoscenza sempre più grande della legge di Dio.

A. – Tuttavia, voi, finché siete in Terra, riuscirete a vedere le cose soltanto attraverso questi sentimenti contrastanti, perché voi procedete ugualmente con emozioni, con ancoraggi continui a cose umane. Quindi vi appare il bene e il male, il bello e il brutto, e non c’è niente da fare! Voi andate avanti così, ed ecco perché sulla Terra al lume di queste controversie s’impone un tipo di amore minimo che è almeno il rispetto dell’altrui persona, quindi l’applicazione di una giustizia che possa sostituirsi all’amore istintivo, perché esso è una cosa che normalmente voi avete in termini contrastanti, o che non avete per niente!

Voi in fondo vivete con l’illusione di questo amore, ma in definitiva voi non amate nessuno, salvo, come ho detto altre volte, la piccola cerchia familiare o quella degli amici. Oltre questo non c’è amore. Può esserci una pietà generica verso il mondo, verso gli altri, ma un amore vero, no. Perché l’amore, quello che intendo io, e che poi rientrerebbe anche in questa possibilità emozionale dello Spirito, è quel potere di irradiare da sé saggezza, conoscenza, quell’insieme di manifestazioni che voi chiamereste virtù, amore; e che per noi è soltanto giustizia, verità.

Tutto questo è naturale per lo Spirito. Cioè lo Spirito a un certo grado di evoluzione è portato naturalmente a vivere e a operare in questa maniera. E facendo ciò non fa nulla di speciale, così come non fate nulla di speciale voi quando muovete le gambe e camminate, perché ciò vi è naturale.

D. – Riflettendo ancora su questi concetti viene fatto di pensare (con le dovute differenze) all’arte come bellezza, come equilibrio, come qualcosa che addirittura va oltre l’amore. Perché cos’è la conoscenza? Non è altro che ricerca sempre più vasta di un equilibrio con la legge e con Dio.

A. – L’arte si può intendere anche come interpretazione della conoscenza della verità, una maniera di raggiungere alcune dimensioni della verità al di là della forma; quindi il rapporto che l’artista pone è tra la sua interiorità e sensibilità e l’interiorità della verità, quale appare in un certo modo, ma che in sostanza è diversa.

D. – Cioè l’interpretazione della verità come conoscenza, dato che siamo esseri finiti come spiriti…

A. – Ma essa è però legittima anche per lo Spirito. Lo Spirito procede per interpretazioni della verità, che egli raddrizza via via che procede con l’evoluzione, per raggiungere una verità piena e completa. Ma all’inizio si opera per interpretazione. Lo Spirito non lo sa quale sia la verità; sa ciò che ha raggiunto, ma ciò che gli è davanti l’intravede soltanto, l’intuisce, l’interpreta; poi lo percorre con l’esperienza e si accorge, attraverso tale verifica, se ha sbagliato o se ha intuito bene.

D. – Quindi è una conquista di equilibri relativi man mano crescenti?

A. – È una questione di sensibilità che può anche nascere da un errore di posizione; ma comunque si rivolti la questione l’errore di posizione in fondo non è mai un errore totale. Voglio dire che in qualche modo si raggiunge sempre un brandello di verità. Può darsi che non la si inquadri perfettamente, ma, intendete, voi non potete inventare niente che già non esista. Quindi, in definitiva, tutto ciò che voi pensate esiste, esiste certamente in un’altra maniera, perché voi potete pensare attraverso dei mascheramenti, ma avete sempre colpito il bersaglio. Cioè, voi, la possibilità di centrare una verità l’avete, ma spesso non ve ne accorgete, perché la verità vi appare mascherata e allora a voi sembra che stiate inventando qualcosa e che ciò, magari, sia assurdo. È probabile che voi interpretiate una realtà, ma che essa vi appaia in maniera assurda. È chiaro che tutte le vostre assurdità non sono la verità, ma in fondo c’è sempre una parte di essa…

D. – Nell’arte si possono cogliere allora facilmente delle verità particolari, mentre invece nella scienza c’è maggiore possibilità di collegare queste verità e quindi maggiore possibilità di verificare i fatti.

A. – Direi che la verifica è il principio stesso della scienza. Quindi, è chiaro: la scienza ha la possibilità di dimostrarsi continuamente; l’arte non ne ha affatto. Nell’arte, come nella filosofia ecc., cioè in tutte le manifestazioni artistiche.

D. – Mano a mano che si sale nella scala dell’evoluzione la possibilità di scelta verrebbe così a diminuire, inquantoché si riducono le incertezze…

A. – Sì, avviene una selezione.

D. – Comunque si attenuano le possibilità di scelta.

A. – Diciamo che questo si verifica soprattutto sulla Terra, perché invece dall’”altra parte” le strade si moltiplicano. Diciamo che lo Spirito ha un maggior ordine rispetto all’uomo. Lo Spirito non le affronta tutte, ma le seleziona e ne percorre poche alla volta.

D. – Questa selezione, in un certo senso, non potrebbe essere una specie di necessità?

A. – Molte volte sì, ma non sempre. La necessità c’è quando, essendo lo Spirito partito da una certa posizione ed essendosi trovato coinvolto in una serie di esperienze, deve, per compensazione o per necessità, percorrere alcune strade, diciamo obbligate, che può ovviamente scegliere, ma tale sua scelta è sempre condizionata a ciò che ormai possiede. Devi però anche pensare a uno Spirito il quale, avendo raggiunto in maniera soddisfacente una certa posizione evolutiva, si trovi nella necessità di dover ovviamente continuare. In questo caso egli non sceglie più per necessità ma per coerenza in funzione dell’evoluzione posseduta. Tuttavia esiste sempre un’ampia gamma di possibilità.

D. – Su questo argomento si potrebbe andare avanti, giacché i punti della verità sono infiniti. In effetti, volendo rappresentare geometricamente l’ascesa degli spiriti verso la conoscenza, la rappresentazione grafica non potrà mai essere una piramide, ma sarà qualcosa di veramente inconcepibile, cioè si ripartirà sempre da un punto “X”, mentre il gradino raggiunto sarà sempre un niente di fronte al numero infinito dei punti della verità.

A. – Quindi di fronte a Dio, perché in realtà quella verità così infinita solo Dio la possiede.

D. – Quindi non ci saranno mai vere scelte di fronte all’infinito.

A. – Ma le scelte sono da operarsi nell’ambito dell’esistenza dello Spirito e quindi della vita. Non nei confronti di Dio, ma nei confronti di se stesso, perché è chiaro che nei confronti di Dio una strada vale l’altra, perché qualunque strada sarà sempre a distanza infinita da Dio.

Lo Spirito, tuttavia ha un’ampia possibilità di scelta: è una scelta che nasce come diritto dell’autonomia che lo Spirito possiede e che gli è stata conferita da Dio. In altri termini, la presenza stessa di uno Spirito libero e autonomo, sia pure sempre legato alla legge, pone in atto – appunto – una questione di diritto che lo Spirito possiede nei confronti della verità e della realtà delle strade che gli si presentano. È chiaro che si tratta di uno pseudo diritto, ma in ogni caso lo Spirito possiede realmente un’autonomia.

La posizione nei confronti di Dio è una posizione costantemente ambigua in quanto lo Spirito sa bene che questo rapporto con Dio si svolge attraverso un infinito. Ma la presa di coscienza di questa chiara situazione che lo Spirito ha nei confronti di Dio, viene alquanto smorzata da un’altra constatazione che lo Spirito ugualmente compie, e cioè che la sua stessa sostanza è infinita: ciò fa nascere nello Spirito la consapevolezza dell’identità col Padre e di questo dominio che egli ha sull’Universo per il solo fatto di essere una realtà autonoma che possiede intelligenza. Questi elementi concreti e tangibili della personalità dello Spirito gli conferiscono autorità perché egli possa agire su se stesso e nei confronti delle scelte, e che possa poi, quando raggiunge determinate condizioni di evoluzione, rappresentare la legge stessa nei confronti degli altri che gli sono minori. (Non come struttura o attributi che rimangono invariati e uguali per tutti, ma solo per il livello evolutivo raggiunto. – Nota del curatore.)

Quando noi dicevamo che vi sono spiriti i quali hanno la responsabilità, il dominio, se vogliamo, su enormi masse di spiriti, a questo alludevamo. Indubbiamente le scelte direzionali nascono dall’autonomia e dall’autorità dello Spirito nei confronti degli altri spiriti. Non autorità gerarchica, ma autorità che nasce dal possesso stesso di verità universali da sfruttarsi utilmente in favore di coloro che questa verità ancora non posseggono. E qui si può aggiungere quel famoso concetto di amore: lo Spirito il quale sa, possiede un patrimonio – diciamo grande – di verità nei confronti di una massa spirituale che questa verità non possiede, e per propria vocazione tende ad alimentare questi spiriti per dare loro la possibilità di salire fino a lui e cioè di conoscere quella verità. Egli infatti sa che la conoscenza della verità arricchisce lo Spirito, lo libera dalle pastoie del cosiddetto “basso Universo”, come io lo definisco, cioè l’Universo ancora pesantemente materiato, ancora legato alle proprie strutture formali. Lo libera dunque da questo “basso Universo” e lo porta in altre condizioni spirituali. Automaticamente sorge dunque l’affermazione nello Spirito dell’autorità e della personalità di guida di altri spiriti. Che possa poi tale autorità essere confermata e avallata da spiriti più grandi di lui, è un problema marginale. Voglio dire che, come principio, come rapporto tra chi ha di più e chi ha di meno nasce dall’istinto stesso dello Spirito, il quale in quel momento ripropone l’”istinto” stesso di Dio secondo la sua natura di Essere che così ha operato nei nostri confronti, ragione per cui esistiamo. Questo atto di donazione di Dio, lo Spirito se lo porta dentro perché egli è della stessa struttura di Dio, e portandoselo dentro non può evitare di comunicarlo, di trasmetterlo agli altri. Sicché l’autorità dello Spirito evoluto non nasce da un esercizio dittatoriale o da una vocazione di guida e quindi al dominio, ma nasce da un bisogno istintivo di dare agli altri ciò che lui possiede. E come può darlo? A seconda dell’evoluzione. Già il solo fatto di mettersi alla guida di una massa di spiriti costituisce un atto d’amore, perché non si tratta di una guida che vuole affermare un principio di comando, ma che vuole affermare un principio di donazione, d’amore…

D. – La mia domanda potrebbe anche sintetizzarsi nell’espressione: “Non esiste gerarchia nella verità”? Cioè non esistono piani preferenziali?

A. – Nella verità essi non esistono, infatti. Una verità vale l’altra.

D. – Un’altra domanda potrebbe essere questa: “C’è un concetto con il quale sento un attrito a livello logico profondo. Quando parli di “basso Universo”, anche se intendi naturalmente l’aspetto spirituale di questo livello, è come se si ammettesse che nell’infinito esista un punto critico da superare…”

A. – Quando parlo di “basso Universo” intendo più precisamente quel tipo di Universo esistente che è il meno congeniale alla struttura dello Spirito. In questo senso intendo il “basso Universo”. Prendiamo la materia, per esempio: essa non è affatto congeniale allo Spirito.

D. – D’accordo. Ma allora esiste un punto critico al di là del quale gli spiriti hanno un’esistenza meno “massacrante”. E l’esistenza di questo punto critico, per quanto astratta sia, è qualcosa che non si concilia con l’infinità delle possibilità di percezione della verità. È come se si stabilisse una numerazione, un fatto quantitativo in un qualcosa di infinito che per definizione non può averlo.

(Nota del curatore: – La trattazione del tema pone estreme difficoltà sottolineate per varie ragioni anche da Andrea, vi sono limiti di tipo umano e altri che giungono addirittura ai limiti della conoscenza dello Spirito, che si esprime allora per ipotesi, anche se strettamente logiche e consequenziali. Inoltre lo sviluppo della risposta pone ulteriori grossi problemi di comprensione se non si ha una completa conoscenza dello sviluppo complessivo della dottrina di Andrea, relativamente a quelle parti che si riferiscono alla struttura dell’Universo e della genesi dello Spirito. Queste parti non sono state trattate, oppure riportate, nelle precedenti annate per cui sarà necessario aggiungere al testo numerose note di precisazione. Si è cercato di ridurre al minimo queste aggiunte, ma il testo avrebbe necessitato di ben altre esplicazioni che avrebbero creato però grossi problemi di leggibilità e compatibilità col testo.).

A. – In altri termini il cosiddetto “punto critico” segnerebbe uno steccato in un Universo che steccato non può averne essendo infinito.

Ma, vedi, c’è una cosa che devo dire: Quando si parla di Universo, anche se non soltanto dell’Universo proprio materiale, in voi si presenta subito l’immagine dell’Universo che comincia con la materia. Quando io parlo di esperienza di materialità voi pensate alla Terra o a sistemi simili, e dite: lo Spirito, più o meno, comincia le sue esperienze in questi sistemi. Altri non ne riuscite a immaginare. Esiste invece anche un tipo di Universo ancora più “materiale”.

Vedete, lo Spirito incontra un tipo di Universo che deve percorrere ed è l’Universo apparente: quello che, come dicevo, si potrebbe definire il “basso Universo”, cioè l’Universo che non è congeniale allo Spirito perché egli tende a svolgere un altro tipo di attività e non quello che la materia obbligherebbe a percorrere. Poi, a un certo punto, lo Spirito si libera da questa materia, acquisisce la conoscenza di questo Universo e finalmente di esso non gliene importa più niente. Ma già questo, a ben pensarci, segna un punto d’inizio di questo Universo, cioè sembra che esso cominci con la materia e che poi, a mano a mano, questa materia diventi più rarefatta, sia in senso mentale e sia in senso di esperienza. Lo Spirito se ne libera e veleggia tranquillo nel regno della pura spiritualità dove non ci sono più esperienze materiali.

È un discorso estremamente difficile da farsi, perché in effetti l’Universo non comincia con la materia, è chiaro. O affermiamo il concetto d’infinito, oppure l’infinito se ne salta. D’altra parte voi sapete anche che lo Spirito nasce dall’interiorità di Dio e che prima esisteva, ma in potenza (In altri termini lo Spirito “prima” della sua emanazione esisteva ab-aeterno in Dio. – Nota del curatore.). Ma tra questo esistere in potenza e l’esistere come realtà unitaria, quanto tempo è passato? Cerco di rifare la domanda in un’altra maniera: tra il momento in cui lo Spirito è potenziale in Dio, e il momento in cui viene “partorito” da Dio, cioè creato Spirito, c’è un tempo o perlomeno un percorso? Insomma, che via ha seguito prima di diventare uno Spirito? Perché voi non potete pensare che Dio sia un essere definito e che la creazione dello Spirito corrisponda a un “parto” vero e proprio, cioè che lo Spirito sia uscito da qualche parte e che Dio possegga una specie di finestra dalla quale espelle gli spiriti come attraverso uno stampo. Perché può darsi che la vostra immaginazione vi abbia portato a tanto.

D’altra parte io stesso ho parlato sempre così. Ma è una cosa che dovremmo tentare di discutere perché la domanda di G. è giusta. Come la mettiamo con questo eventuale punto critico che dividerebbe in due l’Universo? E questo Universo, nella sua parte “inferiore” ha un punto dove finisce? Poiché di fine non si può parlare, ma si deve parlare di infinito (Implicitamente questo passaggio conduce direttamente al concetto di Universo filosofico; uscendo quindi da ogni concetto umano, fisico, astronomico o anche metafisico in senso classico, assumendo questo Universo uno degli attributi fondamentali della Divinità quale l’infinitezza. – Nota del curatore.), è probabile che in questa genesi dello Spirito vi siano ancora cose che non sappiamo bene, o che non abbiamo chiarito bene. Anzi, certamente ve ne sono. Intanto resta ben ferma l’estensione del concetto di infinito, diciamo “anteriore” per farvi capire. Cioè c’è un infinitamente piccolo, non soltanto un infinitamente grande. Ma l’infinitamente piccolo – io vi ho detto una volta – che stranamente voi non riuscite a capirlo. Mentre invece una immagine enormemente grande voi riuscite a capirla. Se voi prendete un cono col vertice in basso, voi potete immaginare che esso si allarghi sempre più. Riuscite a immaginarlo. Ma provate a immaginare il vertice di questo cono che invece si rimpicciolisca, sempre più. Non potete riuscirci. Perché? Non potete riuscirci per una quantità di ragioni, ma io mi limiterò a segnalarvi solo quella di ordine spirituale, per quello che ci interessa (Qui Andrea in un certo senso si stacca dal concetto di infinito universale e tratta concetti paralleli attinenti allo Spirito, in questo senso è fondamentale non mescolare le due realtà, lo stesso Andrea richiama all’estrema difficoltà della trattazione sul piano pratico e concettuale. – Nota del curatore.). Uno Spirito non può ridursi mentalmente al di là della sua stessa realtà di pensiero. Questo significa che voi potete pensare a uno Spirito che tornando indietro si riduca sempre più sino a diventare piccolissimo, senza però superare il limite oltre il quale egli non potrebbe più pensare, perché quel limite sarebbe invalicabile. Nel momento in cui non può pensarsi più, oltre quella grandezza, non può seguitare a retrocedere (Il punto è di difficilissima comprensione perché il concetto di “grandezza dimensionale” non è applicabile allo Spirito. il quale non ha ovviamente dimensioni; questa parte probabilmente va letta in senso simbolico-intuitivo relativamente alla sua struttura, ma apparentemente mancano dei passaggi-chiave di tipo dialettico qui presumibilmente impossibili da sviluppare. – Nota del curatore.). Ma perché lo Spirito stesso è impossibilitato a fare questa operazione? Io ho soltanto un’ipotesi che nasce da una constatazione; il ritorno indietro all’infinito, segnerebbe per lo Spirito il ritorno in Dio. Sarebbe questa una possibilità di riassorbimento in Dio che non può verificarsi. Il ritorno indietro segnerebbe universalmente la morte, cioè l’annullamento dello Spirito. Poiché lo Spirito è stato emanato da Dio, il suo “tempo di origine” (Evidentemente il concetto di “tempo” e qui puramente simbolico poiché la genesi dello Spirito deve necessariamente avvenire in un ambito atemporale e aspaziale. – Nota del curatore.) andrebbe segnato soltanto in rapporto agli altri spiriti e non in rapporto a Dio. Mentre un ritorno indietro lo ricondurrebbe esattamente nel “luogo origine” (Anche per questo punto valgono le considerazione fatte nella precedente nota riguardo alla aspazialità della genesi dello Spirito. – Nota del curatore.) con una precipitazione finale nell’infinito. Ma questa é soltanto una considerazione. Ce n’è anche un’altra: il “ritorno” dovrebbe essere svolto parallelamente a una spoliazione dello Spirito. Egli dovrebbe ridursi anche nei contenuti mentali di conoscenza e di verità, perché ogni regressione significherebbe per lo Spirito ritornare a una posizione mentale e spirituale antecedente.

Quindi lo Spirito dovrebbe spogliarsi di ciò che possiede (In senso di acquisizione evolutiva complessiva. – Nota del curatore.) e questa spoliazione continua lo ridurrebbe un’altra volta a zero (Cioè nella sua condizione di “tabula rasa” che lo Spirito ha nel “momento” della sua emanazione da Dio. Il concetto sarà ampliato da Andrea più avanti. – Nota del curatore.). D’altra parte la questione della spoliazione è perfettamente naturale, perché lo Spirito dovrebbe rientrare in dimensioni (Qui il concetto non è dimensionale in senso di grandezza spaziale ma sempre riferito a livelli evolutivi acquisiti. – Nota del curatore.) a lui inferiori, che ragionevolmente deve avere ormai superato, e questo ritorno indietro lo porterebbe a un annullamento, a una cancellazione di ciò che possiede. È chiaro, qui non potrebbe trattarsi di un inganno e cioè di un ritorno puramente immaginario: qui si tratterebbe di un ritorno autentico. E lo Spirito questo non può farlo: qui, ancora una volta, vi può essere una supposizione – Dio (e questo lo sappiamo per certo) non può annullare ciò che ha creato. Egli Dio deve anche aver stabilito che non potranno mai sorgere, nell’eternità, condizioni nell’ambito della legge che potrebbero condurre a un ritorno e a un annullamento (Cioè la creazione-emanazione dello Spirito deve necessariamente avere i caratteri irrevocabili dell’eternità. – Nota del curatore.).

Se ribaltiamo la questione, vedremo che per quanto riguarda l’infinitamente grande le cose somigliano all’infinitamente piccolo, ma non sono esattamente così. Vorrei subito fare una precisazione: e cioè che io uso i termini infinitamente grande e infinitamente piccolo solamente per comodità. In realtà, per quanto riguarda l’infinito, non si parla di infinitamente piccolo e di infinitamente grande. È soltanto quando vogliamo teorizzare che usiamo questi termini separatori per capirci, soprattutto perché voi non potete assolutamente capire, perché l’infinito in un certo senso vi è vietato, non potete afferrarlo (L’infinito è un attributo della Divinità impossibile a comprendersi da parte dell’uomo in quanto realtà finita e materiale. – Nota del curatore.). Per l’infinitamente grande, invece, c’è un problema ed è che l’allargamento non porta mai a rinuncia, perché si tratta di un’aggiunta costante che lo Spirito compie su se stesso per un accrescimento continuo che nell’infinito è perfettamente comprensibile.

Io vorrei dire anche che questa questione dell’infinitamente piccolo esiste soltanto in sede teorica e che in sede pratica essa non si può porre all’infinito. Tuttavia nell’Universo visibile la questione di grandezza può ancora una volta porsi, perché non c’è alcun dubbio che un aggregato di particelle è più grande di una particella singola. Quindi, in realtà, una questione di grandezza si pone. Ma questo ci porta a una conclusione sulla quale io sono perfettamente d’accordo anche con altri, e cioè che c’è una parte dell’Universo che lo Spirito non percorre e che esiste soltanto per naturale estensione dei principi. E non la percorre perché lo Spirito, nel momento dell’emanazione, è uno Spirito ridotto, è uno Spirito con limitate possibilità, con nessuna conoscenza, pur essendo sempre un essere intelligente. E la sua struttura, la sua natura, non potrebbero entrare in contatto con forme a lui estranee e totalmente non congeniali. La struttura dello Spirito è tale dunque che egli non potrà percorrere tutto l’Universo, in senso dimensionale, in senso spaziale; ciò però non ne esclude la conoscenza. Voglio dire semplicemente che è impercorribile da un punto di vista spaziale, perché non interessa percorrerlo e perché vi è troppa differenza tra le due strutture: quella dello Spirito e quella dell’Universo formale. (In altri termini gli estremi oppositivi dell’Universo non rivestono interesse proprio per questa loro condizione estrema, ricostruibile e connotabile senza percorrerla. – Nota del curatore.)

Vi sono realtà dell’Universo la cui conoscenza viene assunta dallo Spirito senza che egli le percorra tutte. È come la questione dello Spirito sulla Terra: non deve fare tutti i mestieri che esistono per poter avere una conoscenza totale; non è affatto necessario. Altrimenti egli dovrebbe tornare migliaia di volte.

D. – Quello che io ho chiamato punto critico, caratteristica di una certa sezione dell’infinito, è allora valido solo riferito allo Spirito come individualità finita. Nell’Universo stesso, nell’infinito, esso non esiste obiettivamente. Quindi questo “basso Universo” non è basso in sé ma lo è come qualità, come sostanza per lo Spirito.

A. – In fondo è un po’ una definizione di comodo, un modo d’intendere un certo tipo di esperienza.

D. – C’è una questione un po’ difficoltosa da superare che riguarda la vita infinita dello Spirito. Cioè, esiste un’altra domanda che mette in crisi tutte le nostre solite categorie: che ne era di noi nell’eternità anteriore? Torniamo cioè al discorso sull’emanazione anche se non vogliamo parlare di tempo. Riferita allo Spirito in sé, come elemento finito, un’eternità anteriore c’è stata, di preesistenza in Dio; quindi, dal nostro punto di vista logico umano, in questa eternità doveva per forza verificarsi il “momento” dell’emanazione e qui si ricomplica naturalmente tutta la questione temporale.

A. – Che cosa ne era di noi prima? Noi eravamo e non eravamo.

D. – Io non parlo della condizione mia, mi riferisco all’eternità anteriore, cioè alla possibilità temporale infinita di essere qualcosa di diverso. e anche qui abbiamo un momento critico, sostanzialmente parlando, cioè quello del passaggio dal non essere autocoscienti all’essere autocoscienti.

A. – Soltanto che questo si svolge in Dio.

D. – Si svolge in Dio, ma per ogni Spirito è un punto diverso, direi. E sono punti che si snocciolano all’infinito: dall’eternità anteriore all’eternità ulteriore.

A. – Noi diciamo dall’eternità di Dio all’eternità oggettiva individuale, reale dello Spirito. Perché poi, vedete, la questione di essere in Dio o fuori di Dio è una questione puramente dialettica. Noi continuiamo a stare in Dio. E questa è anche una cosa difficile da capire (Qui Andrea. si riferisce a quanti ragionano in termini convenzionali e non hanno le corrette e conseguenziali conoscenze filosofiche sulla Divinità, poiché se esse sono patrimonio dell’individuo il tema diventa logico e quasi scontato. – Nota del curatore.). Il punto è che noi stiamo in Dio e non lo sappiamo. È come stare nel ventre della balena e non saperlo. Sembra che non ci siamo, e invece ci siamo. Il fatto di esserci, vedi, annulla proprio la questione dello spostamento, dello spazio e del tempo tra l’essere in Dio e fuori di Dio. Cioè, in realtà noi non ci siamo mai mossi da Dio: è questo il punto!

D. – Abbiamo solo cominciato a prendere coscienza.

A. – Sì. Così lo stesso Universo fa parte di Dio, è qualcosa di Dio. E come se noi stessimo camminando nel cervello di Dio, praticamente, e dunque la stella, il Sole, l’Universo non sono altro che singole cellule che compongono Dio (Qui l’immagine è ovviamente simbolica, figurativa, non sostanziale o direttamente strutturale. Il tema potrebbe avere connotazioni di tipo panteistico ma il concetto di Andrea espresso in altre comunicazioni qui non ancora riportate ne differisce notevolmente. – Nota del curatore.) Questo vi porta a concludere che Dio in sé è una forza che esprime qualcos’altro al di fuori di noi. Mentre noi siamo in questa mente di Dio, nella quale Egli ci conserva e ci lascia autonomi (Il concetto si riferisce solo e necessariamente allo Spirito e non riguarda l’uomo. L’autonomia è comunque relativa e trova i suoi limiti negli stessi attributi di Dio che non è stato possibile trasmettere per non intaccare la stessa struttura fondamentale della Divinità. Anche questo tema è stato trattato in altre parti. – Nota del curatore.). È all’esterno (se si può parlare di un esterno) che Dio manifesta la totalità della Sua intelligenza.

Noi, in questo momento siamo come dei virus. Voi camminate con indosso chissà quanti virus, cellule, batteri, ma al di fuori c’è l’unità che è il vostro corpo. Così al di fuori di tutti noi c’è ancora questa unità di Dio. Ecco che non avendolo mai abbandonato, contemporaneamente Egli non ha mai abbandonato noi. Il prendere coscienza è avvenuto in qualsiasi momento e continua ad avvenire. Si tratta. come capite, di immagini enormi, grandiose, perché veramente è senza limite, immensa, questa mente di Dio in cui noi siamo, in cui siamo disposti in una maniera logica e giusta; così come le cellule del vostro cervello; e tutto, vedete, si riproduce poi nella stessa maniera. L’Universo materiale, il corpo umano, le cose dunque del Cielo e della Terra non differiscono mai in maniera evidente tra di loro, perché il principio informatore è sempre lo stesso (I microcosmi nel macrocosmo. – Nota GdS.). E tutto si riproduce e si manifesta con somiglianze che lasciano intendere questa unità di guida; la nostra stessa precisione; la legge esatta, precisa dell’Universo; i rapporti giusti, equilibrati tra le singole parti dell’Universo, sono nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo. L’equilibrio tra un sole e i suoi pianeti è lo stesso di quello che esiste tra le cellule. E tutto riconferma l’unità della legge.

D. – In tutto questo Universo all’insegna dell’infinito a me pare che alla fine ci sia una contraddizione in termini logici. Cioè, esiste per lo Spirito stesso un momento zero che è costituito dall’inizio del suo stato di coscienza.

A. – Ma, vedi, i momenti-zero per quanto riguarda la coscienza sono continui nell’Universo, perché anche quando passi da una fase di conoscenza a un’altra c’è un momento zero, c’è un momento in cui tu prendi coscienza di una verità che prima non possedevi.

D. – Non è la stessa cosa del punto critico dalla non coscienza assoluta.

A. – Ecco, vedi, anzitutto il passaggio dalla non coscienza assoluta a quella relativa avviene gradatamente. Diciamo che lo Spirito non acquista coscienza di se stesso istantaneamente, ma diciamo che raggiunge questa coscienza attraverso un’elaborazione della propria struttura, per cui finisce col ritrovarsi con questa coscienza. Quindi un momento assolutamente zero non c’è, c’è solo una lenta gradualità nell’assunzione di questa coscienza…

1 Si tratta del mistico indiano Sri Ramakrishna che visse a Calcutta nel XIX sec. (1836-1886), ebbe molti illustri discepoli come Swami Vivekananda e il Maestro Mahasaya e altri meno noti. Fu considerato il padre del rinascimento spirituale dell’India, e nel XX sec. – tramite il Maestro Mahasaya che era professore di lettere – furono pubblicate numerose opere dedicate al suo pensiero e al suo insegnamento, che per molti aspetti – come si evince qui anche dalla domanda e risposta presenta punti molto controversi, tipici di una certa visione dell’ascetismo e della cultura indiana. Cfr. Il Vangelo di Sri Ramakrishna, (secondo Mahendra Nath Gupta – Maestro M.), Paternò (CT), Ed. Vidyananda, 1984. – Nota del curatore.