PRESENTAZIONE.
Questa è la ripresa – approfondita, scarnificata fino all’essenziale – del discorso sulla dicotomia di principio esistente tra la vita umana (soprattutto come fatto sociale) e l’esistenza spirituale. Le prassi per raggiungere e conquistare le “esperienze” sono diverse, ma il fine è sempre sostanzialmente quello: la conoscenza dell’esistente. Nell’iter umano e sociale la mira è offuscata, sovente distorta, quindi più faticoso e “doloroso” il cammino; nel “mondo spirituale” la mira è precisa, lineare, soprattutto libera e lucidamente consapevole.
Segue una delle ultime registrazioni sul tema sempre più di attualità della violenza, sullo sfondo della politica. Ci sembra questa, un’analisi breve, ma sicura, centrata; diremmo, come sempre equanime e razionale.
GdS
L’EVOLUZIONE, E LE DIVERGENZE TRA LE LEGGI UMANE E LE ESIGENZE DI ESPERIENZA DELLO SPIRITO.
D. – A che è dovuta la “sensazione” particolare, se così si può chiamare, che lo Spirito prova nel passare da un livello di evoluzione all’altro?… Così com’è indicato nella tua teoria “dei coni rovesciati”… (Vedi “Rapporto dalla Dimensione X, Ed. Mediterranee, Roma 1973-78, in cui nel cap. 10, pag. 262 e segg. viene resa in forma geometrica la prassi evolutiva dello Spirito. L’argomento è comunque perfettamente intelligibile anche in questa sede. – Nota GdS.).
A- Naturalmente bisogna considerare questi piani figurati e c’è da dire che ogniqualvolta si verifica un reale avanzamento dello Spirito, quando egli ha coscienza che in lui si sono sommate altre esperienze, che si è manifestata una dilatazione della propria area strutturale, quando lo Spirito ha coscienza razionale di tutto questo, egli percepisce questa situazione di equilibrio, e noi diciamo con il vostro linguaggio che questo sembra corrispondere a un fatto “emozionale”.
In realtà si tratta della presa di coscienza del proprio stato, sempre riferito a se stesso. Intendiamoci, lo Spirito non pensa così “sono migliore di un altro, sono più avanti di un altro”. Questa competitività in realtà non esiste per lo Spirito: è, diciamo un prender nota della propria situazione che corrisponde poi oggettivamente a una migliore disponibilità nei confronti della realtà che gli è intorno.
Ora tutto questo, voi, lo capisco bene, potete chiamarlo felicità, gioia, piacere o beatitudine, a seconda dei casi. Io dico che non è niente di tutto questo, pur essendo qualcosa. È sempre una presa di coscienza intelligente e razionale; lo Spirito riconosce in se stesso il segno di Dio, in qualche modo avverte che questo equilibrio è uno stato di benessere: è questo ciò che si verifica in lui. Non si tratta, dunque, di salti, si tratta di una serie di conseguenzialità per cui lo Spirito giunge nient’altro che a uno stato di quiete, come dissi una volta, e questo stato di quiete, a qualunque livello evolutivo, corrisponde a quello che voi chiamereste felicità.
D. – In definitiva, in un certo qual senso lo Spirito si verrebbe a trovare come quando noi ci prefiggiamo una mèta, la raggiungiamo e ci sentiamo soddisfatti, mentre nello stesso tempo ce ne prefiggiamo altre, e così via. Cioè man mano noi ne siamo soddisfatti, ne siamo contenti…
A. – Solo che contentezza e soddisfazione sono emozioni umane, mentre dovete trovare qualcos’altro per quanto riguarda lo Spirito.
Noi parliamo di quiete per intendere uno stato di equilibrio, uno stato in cui lo Spirito trova se stesso, ed è un momento di sospensione, se così si può chiamare, un momento nel quale lo Spirito non agisce, ma contempla, verifica se stesso, il proprio patrimonio conoscitivo.
D. – È proprio perché consideravo lo Spirito avulso dai sentimenti umani che io mi meravigliavo che un qualcosa lo potesse agitare, portandolo fuori della razionalità, cioè questo andare tranquillo, quieto della conoscenza, in avanti, sempre costante…
A. – Sì, ma si tratta di termini, di parole…
D. – Eppure, in un vecchio scritto che abbiamo trovato tra le carte di Francesco (Il riferimento e a uno dei primissimi partecipanti alle sedute, già defunto alla data della seduta. – Nota del curatore.) si dice, per esempio, che lo Spirito, quando ha fatto del male, si autopunisce, quindi prova grandissimo dolore. In questo egli viene aiutato dagli spiriti maestri, dagli spiriti elevati, a perfezionarsi, a rimediare al passato, a trovare la via della perfezione. Si parla di un “dolore”, quindi se c’è il dolore esso è qualcosa di simile al nostro. O mi sbaglio?
A. – Naturalmente sapete che quando dico “dolore”, non intendo il dolore umano, non intendo quindi una reazione psicologica o fisica, ma intendo uno stato di disquilibrio, d’insoddisfazione, la coscienza dell’errore, la valutazione dell’errore.
Ora non si tratta mai di un dolore parossistico, si tratta soltanto d’una reazione a una serie di azioni più o meno sbagliate che il soggetto ha effettuato. È sempre da intendersi così.
Può darsi che io usi talvolta queste parole, questi termini, questi aggettivi: io li uso insomma per far capire. In passato li ho usati molto in questa direzione perché non avevo altro modo per farmi intendere da chi mi ascoltava.
D. – Ora passiamo a un altro aspetto, che può sembrare pessimistico. Non possiamo non pensare che in Terra, a livello umano, la possibilità di acquisizione di nuove qualità, di nuove conoscenze reali di tipo spirituale vi siano, ma che siano anche assolutamente imprevedibili. Cioè voglio dire che per quello che riguarda l’uomo, la vita di un uomo, il suo livello evolutivo rimane più o meno stabile in quei pochi anni in cui è in Terra, salvo poi naturalmente elaborare le sue eventuali esperienze e a fare quindi un consuntivo per poter andare avanti. E vedevo in questo anche una remora, un ostacolo alla diffusione delle nuove idee, un ostacolo al progresso effettivo. Oltretutto, poi, c’è da dire ancora che quello che ci viene detto, quello che sentiamo dai grandi spiriti di qua e di là della materia, deve filtrare attraverso tutte le strutture che sappiamo e che condizionano l’uomo; cioè non è mai un discorso diretto allo Spirito, ma è un discorso fatto all’uomo, cioè al suo cervello, alla sua psiche ecc.
Questi sono due ordini di difficoltà estremamente grandi, secondo me, e che darebbero ragione appunto del fatto che il progresso in Terra è estremamente lento, a prescindere naturalmente dalla strada propria che segue la civiltà secondo i condizionamenti biologici e fisici propriamente detti.
A. – Certo, le difficoltà sono grandi e gravi. Per questa ragione tutto quanto concerne la vita dopo la morte è rimasto patrimonio delle dottrine mistiche e spirituali, le quali si basano appunto sulla fede: si crede oppure non si crede.
So bene quale difficoltà offra la materia, la resistenza dell’uomo, il limite dell’uomo che è fatto in un certo modo, e giustamente tu dici che nel corso di una vita egli non riesce mai a evolversi al punto tale da comprendere tutto l’arco della conoscenza…
D. – O da accorgersene in modo concreto…
A. – D’altra parte, c’è però da obiettare che sulla Terra esiste un dislivello spirituale, una disarmonia spirituale per cui avete esseri umani spiritualmente mediocri e altri invece spiritualmente più evoluti, indipendentemente dall’uso “sociale” di questa spiritualità. Cioè, vi sono potenzialità disarmonicamente distribuite che potrebbero dare ulteriori frutti. In ogni caso, sia ben chiaro, la separazione tra questa e l’altra vita esiste indubbiamente. Il compito dell’uomo non è tanto quello di dimostrare l’esistenza di Dio o l’esistenza dello Spirito (questo può anche avvenire, può anche essere utile, può servire) quanto quello di preparare, di collaborare affinché la Terra possa essere sfruttata sempre meglio dagli spiriti che verranno. La dimostrazione o la certezza dell’esistenza di Dio o dello Spirito non sono fondamentali ai fini della conoscenza. Io ve l’ho ripetuto molte volte e continuerò a dirlo: voi tutti, crediate o meno oggi a Dio o allo Spirito, sarete costretti comunque a credervi dopo la morte. E tutte le teorie, tutte le ipotesi salteranno, non avranno più alcun valore, alcun peso1. Dunque, poiché questa vostra vita è comunque limitata a pochi anni di esistenza sulla Terra, da un punto di vista pratico non convien troppo inseguire, allo stato delle cose impossibili conquiste, quanto di accontentarsi di provvisorie tappe, perché queste potranno non essere risolutrici, ma saranno enormemente utili agli esseri spirituali che vengono via via sulla Terra. Noi, cioè partiamo da un programma né minimo, né massimo, ma medio: quello che ci interessa è offrire una Terra, una “località sociale” che possa essere utilizzata ai fini spirituali.
Perfezionando dunque in qualche modo le strutture umane è possibile consentire anche allo Spirito di vivere meglio l’esperienza ed effettuare certi programmi. Perché poi, vedete, la cosa importante è modificare l’uomo o la società; non è tanto importante alzare le bandiere con i motti, perché le bandiere servono soltanto a creare ombra tra il Sole e la Terra, qualunque sia la bandiera, con qualunque motto (Noi diremmo “slogan”. – Nota GdS.).
Lo Spirito non sa che farsene di queste cose: l’esperienza dello Spirito, voi lo sapete, è l’esperienza che deve svolgersi sulla Terra secondo le modalità della materia. Ora le ideologie, anche di natura religiosa, una delle quali potrebbe essere quella dell’assunzione di una verità come”Dio esiste” (e lo si potrebbe dimostrare senza ombra di dubbio) non ha un senso: ha senso operare, non credere. La credenza, lo abbiamo detto, è un fatto di fede. Credere per credere, fede per fede, tanto vale tenervi le religioni che avete. La questione è che bisogna incidere e modificare il rapporto tra l’uomo e gli altri uomini, ed eventualmente dell’uomo nei confronti dei principi generali dell’Universo; per potersi collocare in una dimensione che sia nella dimensione generale del cosmo, per capire la propria posizione nell’ambito della struttura universale, con i propri difetti e i propri errori, con i propri malanni oppure no. Questo è il senso dell’intelligenza applicata alla vita. Tutto il resto può servire teoricamente, perché la ricerca teorica può un po’ alla volta spostare quei termini di definizione dell’uomo che dicevamo e cioè capire qualcosa di più.
Non dico dunque di non tentare l’avanzamento, ma il solo avanzare trascinandosi dietro uomini-cariatidi non serve a niente: è come portarsi un esercito di morti. L’esercito dei vivi è invece composto da coloro i quali stanno al proprio posto e sanno perché ci stanno. Il tempo della verità assoluta, cioè della conoscenza integrale di come stanno le cose tra la vita e la morte, è un tempo che verrà dopo.
I nostri tentativi servono per formulare alcuni principi dai quali ricavare nuove norme di comportamento sulla Terra, ma da soli questi principi non valgono niente, anche perché i principi – voi lo sapete – vengono interpretati secondo l’evoluzione dello Spirito. La verità assoluta non esiste: esiste una verità la quale è tale in assoluto, ma non è la “verità assoluta”. Ogni frammento che si scopre e si chiarisce certamente è la verità: è un pezzo del mosaico di un’”altra” verità più grande e più vasta. E questo è, diciamo, il vostro destino di esseri viventi e, come tali, dobbiamo necessariamente soggiacere a quel principio generale che è il principio divino, variamente interpretabile anche questo, ma attraverso il quale in ogni caso noi acquistiamo la coscienza precisa della nostra posizione, del nostro ”essere” in questo Universo.
Questo non deve gettare ombre o perplessità su quella che è la ricerca teorica: dico semplicemente che la ricerca teorica, come ogni buona filosofia, può anche non servire perfettamente a niente e le mie parole possono restare parole al vento.
È importante invece agire in conformità di questa verità la quale si apre un po’ davanti a voi, e “agire” significa modificare il proprio comportamento interiore. Anche questo può rappresentare un atto di fede, lo capisco; c’è chi potrebbe dire: “ma noi potremmo trovarci a seguire un certo comportamento e potrebbe ugualmente non esserci nulla dopo, perché il comportamento sembra scaturire da certi principi teorici. Saltati quelli, salterebbe anche il tipo di comportamento”. No! È in questo che vi sbagliate. Vedete, le cose che più o meno avete appreso valgono anche se non esistesse l’altra vita, perché alcune conseguenze logiche servono a farvi vivere meglio sul piano umano, cioè sono indipendenti da una fede.
Questo perché? Perché abbiamo avuto sempre la massima cura nel non separare mai nettamente la natura animale dell’uomo dalla natura spirituale. E non potevamo farlo. Saremmo caduti nell’utopia più assurda, quella proprio di tipo religioso che vuole eliminare completamente tutto quanto è materiale dall’uomo come se l’uomo sulla Terra fosse rappresentato dal suo Spirito.
In realtà è proprio esattamente il contrario: è lo Spirito che è rappresentato in gran parte dal suo corpo finché siete vivi: la prova l’avete nel fatto che questo vostro Spirito non compare quasi mai nella pratica dell’esistenza e lo dovete semplicemente dedurre, ricavare, oppure accettare per fede; ma così come siete fatti, tutto sommato, potreste anche non averlo lo Spirito. Non siete riusciti neppure a tirar fuori una teoria decente che desse ragione dell’esistenza di questo vostro Spirito. Questa è la verità cruda, perché di fronte a questi problemi è inutile trincerarsi dietro grosse ipotesi di tipo religioso: io credo oppure non credo.
Va bene: si può credere e non credere, ma bisogna convenire senz’altro che le teorie di cui stiamo discutendo tratteggiano un uomo-animale dietro il quale c’è lo Spirito, ma che, ai fini del suo funzionamento, potrebbe anche non esserci. Noi sappiamo che non è così; riusciamo anche ad aggiungere qualche spiegazione del perché non è così, ma oltre questo punto voi non potete andare se non balbettando, per poi continuare la ricerca con maggior chiarezza. Ma anche raggiunta una maggiore chiarezza essa vi servirà solo a convertire quelli che non credono, ma ai fini del funzionamento dell’uomo non cambierà assolutamente niente. Cioè voi, sì, potete persuadere la gente: “Guarda, c’è pure un’anima. Va bene, e cosa ne dobbiamo fare di questo corpo? Niente”. Le cose continuano esattamente così.
Ora, se teoricamente c’è una strada che si può proseguire lo si deve fare.
La modifica del comportamento è pure utile affinché dentro di voi nasca o si sviluppi, secondo i casi, un diverso atteggiamento, un nuovo essere che collochi se stesso nella giusta posizione nei confronti dell’Universo e dell’umanità. E questo significa vivere meglio, significa liberarsi di una serie di guai, significa forse raggiungere, secondo alcuni, una dose di maggiore freddezza nei confronti delle emozioni, ma voi sapete bene che le emozioni sono la rovina dell’uomo e che gli uomini a causa delle emozioni si creano una quantità di dolori. Se riusciste a dominare di più le emozioni, e soprattutto a cancellare quelle che sono assolutamente inutili (che sono veramente macigni sulla testa dell’uomo) vivreste anche più felicemente. Vivere più felicemente significa vivere più intensamente.
Naturalmente si vive intensamente anche soffrendo, sennonché accade che spesso chi soffre dimentica la finalità della sofferenza e si porta soltanto un peso sulla testa senza saperlo riconoscere, cioè avvertendo l’oppressione ma non riuscendo ad alzare gli occhi per vedere sopra cosa c’è. Questo vuol dire portare un peso passivo. E la maggioranza degli uomini si porta questi pesi passivi che non sa riconoscere. Ora, in un certo senso, vivere felicemente significa avere coscienza della propria gioia di vivere, vivere con gioia la propria esistenza. Questo non elimina una serie di guai, naturalmente, ma li riduce d’intensità; una maggiore superficialità nei confronti degli pseudo-problemi finisce col diventare anche un padroneggiamento di essi e della propri esistenza, significa sapere ogni momento che si fa una cosa deliberatamente e volontariamente e che non la si subisce. Voi non fate altro che subire per tutta la vita, e come reagite a tutto questo? Con le sofferenze, con i dolori. Voi non vi proponete mai attivamente nulla, e quando ve lo proponete è semplicemente perché è un programma superficiale. La questione è che – ritorniamo al punto come altre volte – voi non programmate la vostra vita, non programmate la soluzione dei vostri problemi, le vostre esperienze.
Non è facile programmare queste cose, naturalmente, lo so bene. Nella condizione in cui siete, più o meno quasi da schiavi in un certo senso, è molto difficile programmare l’esistenza. Il vostro margine di libertà è talmente piccolo che veramente non so come potreste fare, se non attraverso un atto di pulizia delle vostre sovrastrutture, della vostra interiorità, cercando di osservare il mondo con una luce nuova negli occhi. Questo osservare il mondo secondo una luce nuova può diventare anche una cosa difficilissima: non è questione di volontà, si tratta di aver chiara la questione della vita, cioè di sapere che le esperienze sono fatti dai quali ci si può liberare quando si sono accettati, per passare oltre. Se le esperienze si subiscono e si portano sulle spalle con l’autocommiserazione, esse resteranno sempre lì come macigni. La questione di scrollarsi le esperienze può essere effettuata solo a patto di programmare alcune cose della propria vita: di avere alcuni obiettivi e di tentare di raggiungerli a tutti i costi. Gli obiettivi possono essere piccoli o grandi, non ha importanza, sono obiettivi, punto e basta. Valgono elettivamente per ciascuno di voi, ma anche così la vita degli altri è sempre in funzione della vostra. Ricordatevi che sulla Terra siete una collettività, ma che come esseri spirituali siete e sarete eternamente soli, voglio dire che ciascuno risponde in proprio alla legge di Dio, che ciascuno è un essere solo con la propria intelligenza e la propria struttura. Questo è il principio di individualità dello Spirito. Qui, sulla Terra, siete una collettività, siete legati gli uni agli altri da diritti e doveri, per cui ciascuno muove un passo semplicemente se questo passo è accettato dagli altri. Da noi, invece, muovete tutti i passi che volete, non c’è nessuno che debba accettarli o rifiutarli: siete solo voi a valutare l’opportunità di fare un passo, o dieci passi, un passo a sinistra o a destra, cioè non esiste controllo se non all’interno dell’azione e non potete superare i vostri limiti, questo è implicito. Ma qui sulla Terra non superate proprio niente: vi muovete sgarbatamente, cioè ogni volta che vi muovete fate una quantità di guai. Questo perché non soltanto voi non avete le idee nette, ma anche perché neppure coloro che vi sono attorno e che dovrebbero giudicare, subire o agire su di voi hanno le idee chiare. Avanzate confusamente e in questa confusione perdete di vista programmi, passato e presente e vivete letteralmente alla giornata aspettando che gli altri si muovano per decidere la vostra contromossa in base ai loro movimenti. Questa tattica che può andare bene in guerra va piuttosto male sulla Terra. Le conseguenze sono quelle che voi sapete: non vi amate tra di voi, non vi rispettate, siete pronti a danneggiarvi, siete pronti a derubarvi gli uni con gli altri, cioè ad avanzare sempre buttandovi in avanti come se si trattasse di un combattimento.
Questo è il risultato di tutta un’educazione sbagliata nel campo della morale, della famiglia, della società; vi guardate come se foste dei nemici e cercate di guardare di sottecchi per cercare di carpire i segreti degli altri. Questo è in un certo senso il vostro male, questo è quello che veramente frena la libera espansione dello Spirito, che lo riduce schiavo di tutta quella complessa situazione che vi dicevo, e naturalmente ciò riduce di colpo il programma spirituale. Lo riduce perché con tutte le sue buone intenzioni, appena giunge nel corpo (cioè sulla Terra) lo Spirito si trova immerso o letteralmente sommerso da questa situazione che egli stesso poi finisce col mantenere avendo un cervello-strumento costruito con i medesimi materiali della Terra. Dunque egli si riduce a essere uno schiavo di questo corpo verso il quale stenta a inviare dei segnali, dei messaggi, segnali e messaggi che vengono naturalmente camuffati, se non addirittura distorti quando arrivano alla coscienza. In quella maniera il mondo, letteralmente bocconi, attende una precisa e improbabile salvezza da un evento o da un fato che nessuno sa ben definire e che la religione invoca col nome di Dio, ma che la realtà esclude perché questa salvezza deve venire esclusivamente dalla Terra, essendo vostri i guai che avete combinato. Ora, ecco che di fronte a tutta questa apparente drammatica situazione voi pensate a Dio, pensate allo Spirito.
Sì, il fine è quello, lo Spirito, certamente, e l’abbiamo detto: è lo Spirito che ha motivi per venire sulla Terra, ma perché egli possa manifestarsi, perché possa anche essere “catturato”, se vogliamo usare questa parola, voi dovete fare come coloro che avendo un tesoro sepolto devono cominciare a scavare e devono scostare le radici, togliere gli alberi, pulire il terreno, discendere in profondità, pian piano, per fare spazio e tirare fuori la cassa del tesoro. Come potete sperare di tirare fuori questo Spirito se lo avete letteralmente sommerso con tutto ciò che vi ho detto prima? Lo Spirito è completamente estraneo per sua struttura a questo marasma della vita, della mente umana, a questa situazione abnorme, assolutamente assurda, e si è infossato, è letteralmente sprofondato, completamente coperto dai rifiuti della vostra vita – perché si tratta di rifiuti dell’Universo in questo vostro modo di comportarvi e di vivere, si tratta proprio dei rifiuti più abbietti che possano esserci, perché assolutamente inutili, assolutamente illogici, irrazionali. Ora, completamente sommersi, voi volete tirare fuori Dio da questi rifiuti: è un’operazione francamente impossibile. Com’è possibile tirarLo fuori da questa sorta di assurdità in cui vi trovate (e non da ora; anzi ora ne state un po’ risalendo) quando si tratta di un altro piano di esistenza? Dio e lo Spirito sono in un’altra condizione, a un altro livello: è come se voleste paragonare un artista con un imbrattatele, o uno che strimpella su di una corda con un musico eccezionale. Non potete dunque parlare di due cose che sono completamente all’opposto l’una dall’altra.
Ecco che allora la tua domanda iniziale appare perfettamente lecita, ma essa deve entrare in questa comprensione della realtà.
Sì, certo, chi ha mente più chiara, mente meglio orientata continui la ricerca, ma le difficoltà sono queste: siete voi la difficoltà. Vedete, qualche volta mi è stato detto: “ma come, tu Andrea, oppure Dio, oppure, che so, il Cristo o tanti altri grandi che sono stati sulla Terra, non siete riusciti a darci una certezza, a dimostrazione che, per esempio, Dio esiste e tutte queste belle cose”, quasi come se la colpa fosse nostra. In realtà la colpa è soltanto vostra. Io non dico che, liberato l’uomo da tutti questi pesi, si possa poi tranquillamente dimostrare tutto: no! Voglio dire che allora si potrà ricominciare in maniera più lucida. Ora dovete andare per tentativi e questi tentativi passano attraverso la materia. Devo dire anche che per una questione tattica dovete usare anche la materia. Non è un consiglio giusto, semmai è un consiglio saggio. Non è giusto consigliare questo, è soltanto saggio, cioè è utile adoperare queste tecniche che io definirei di smantellamento. In altri termini, si può demolire una casa fatta di pietra usando le pietre.
D. – Io lo chiamerei “materialismo funzionale”.
A. – Diciamo che le pietre lanciate con violenza contro una casa di pietra finiscono col demolirla. È in ogni caso la doppia funzione dell’oggetto, e questa doppia funzione diventa un elemento tattico che poi si può definire elemento di chiave metodologica per aprire una certa porta. In ogni caso la situazione è questa e, ripeto, è una situazione che presenta anche delle punte di ottimismo, rispetto al passato dell’umanità; cioè oggi siete francamente in una situazione migliore. Siete nella situazione che precede l’esplosione, in ogni caso, e questo è una cosa già positiva.
Vorrei dire ancora una cosa: si potrebbe chiedere il perché di questa situazione così confusa che non si può eliminare. Perché lo Spirito naturalmente ha così degli ostacoli…
… Ma, vedete, lo Spirito – l’ho detto altre volte – bene o male le sue esperienze le fa lo stesso: forse le fa più male che bene, certamente, ma perlomeno ne fa una parte; ma dovrà tornare più volte, questo è l’inconveniente. Sarà costretto a intensificare quantitativamente le esperienze, ma in una maniera o nell’altra egli le porta ugualmente a termine. Capisco, si può dire che non è una questione di velocità, che gli spiriti non sono in gara per l’evoluzione. Questo è vero, devo però dire che lo Spirito ha un’evoluzione che generalmente è costantemente accelerata e che i rallentamenti, operando delle decelerazioni, diventano un elemento perturbatore, un’interferenza. Noi, da un punto di vista generale, universale, definiamo interferenza il passaggio sulla Terra con i difetti che abbiamo detto.
Dunque, l’eliminazione delle interferenze è un fatto che riporta all’ordine l’evoluzione costantemente accelerata dello Spirito. Naturalmente, il “costantemente accelerata” non si verifica sempre, considerata l’autonomia e la libertà dello Spirito, ma voglio dire che la struttura dello Spirito tende per propria natura a un cammino costantemente accelerato.
D. – Cosa intendi per “costantemente accelerato”?
A. – Una progressione uniforme.
D. – Un moto uniformemente accelerato, insomma.
A. – Sì. E se potesse realizzarsi anche sulla Terra sarebbe meglio.
D. – Facendo esperienze di qualunque tipo…
A. – Esatto. Infatti noi non consideriamo le esperienze negative o positive, ma le consideriamo esperienze e basta. Io dissi una volta: preferisco colui che diventa un delinquente a colui che non fa assolutamente niente. In un certo senso l’uomo deve tendere all’ordine, naturalmente, al cosiddetto bene, se vogliamo, chiamiamolo così. Ma non conta tanto questo quanto l’intensità, lo sforzo, l’attenzione nel realizzarsi e realizzare. Questo conta. L’abulia è la cosa più riprovevole perché rallenta completamente lo Spirito: l’abulia è antispirituale. L’abulia completa, il vivere un’esistenza completamente vegetativa senza nulla effettuare è veramente riprovevole. Ma colui che in qualche modo affronta l’esistenza soffrendo, piangendo, logorandosi; colui che pensa, riflette, medita, ragiona e magari sbaglia, quegli certamente è altamente apprezzabile, qualunque possa essere poi il risultato che raggiungerà. I risultati in fondo non contano, le esperienze non si stratificano secondo i risultati, ma secondo lo sforzo fatto per raggiungere un risultato. Il risultato una volta raggiunto è un obiettivo che diventa naturale, acquisito, e che non dà più le emozioni che invece danno la lotta e il cammino per raggiungere l’obiettivo (Qui la parola “emozione” non va intesa secondo il metro umano, ma come reazione, ripercussione interna, tale da inviare un qualificato “segnale” allo Spirito. – Nota GdS.).
D. – Però, a livello individuale, è umanamente il risultato che conta; esso è comunque positivo, se c’è.
A. – A livello individuale… Però esso può essere completamente negativo sul piano sociale, sul piano della vita.
D. – Ma questo non ha importanza.
A. – Non ha importanza. Il fatto è però che voi perseguite i risultati; cioè raggiunto il risultato non v’importa con quali mezzi l’avete fatto… (Cioè si tende a “vivere” per il fine e non per l’esperienza che dà la lotta per il suo raggiungimento. – Nota GdS.).
D. – Perché perseguiamo solo i risultati esteriori.
A. – Quelli mondani, convenzionali. Invece è la lotta che dà ricchezza interiore…
D. – Quindi l’itinerario spirituale non ha nessun segno, né positivo né negativo?
D. – Sarebbe così molto utile riuscire a individuare il proprio programma spirituale, dato che lo Spirito programma le incarnazioni…
A. – Conoscere il programma dello Spirito?
D. – Cioè averne conoscenza nelle grandi linee.
A. – Sì, ma non si può. Non potete conoscerlo, dovete ritrovarlo da voi stessi.
D. – La meditazione può essere utile in questo caso?
A. – La meditazione motivata, la meditazione finalizzata. La meditazione fine a sé stessa invece no, non serve a niente. La meditazione finalizzata, sì: cioè, se con la meditazione analizzi te stesso e conoscendo te stesso riconosci quello che vali, quello che puoi fare, quello che potresti fare e non fai, quello di cui hai ancora bisogno. La meditazione serve a riscoprirsi, a chiarirsi, ma dev’essere finalizzata a un programma, a una aspirazione, a una mèta. Se diventa una pura meditazione nel nulla non serve proprio a niente. La meditazione nel nulla, per esempio di tante dottrine antiche, per mio conto non valeva niente, non serviva a niente, ed è così anche il discorso sull’estasi, il meditare per poi sdoppiarsi e contemplare l’altro mondo. Per contemplare l’altro mondo avrete tutto il tempo che viene dopo la morte, quindi non c’è ragione di modificare la vostra vita per questo.
Io vorrei richiamarvi proprio al fatto che la vita non deve essere modificata, altrimenti perché sareste venuti sulla Terra? Sareste rimasti spiriti. Ma no, voi venite sulla Terra e appena ci siete volete subito proiettarvi nell’altro mondo. Non c’è senso: la vostra vita è tanto breve che dovete sfruttarla qui fino in fondo. Il resto verrà dopo: la morte è un fatto sicuro, quindi dopo avrete certamente tutto il tempo che volete. Questo vale per chi ci crede e per chi non ci crede, naturalmente, perché è la stessa cosa. Chi non ci crede non troverà niente nell’estasi, né niente dopo, qualora non esistesse niente; chi ci crede troverà dopo ed è inutile perdere il tempo della vostra vita.
Se si parla invece di meditazione finalizzata il discorso è diverso: essa diventa un’autoanalisi, un autoriconoscimento, e questa è una cosa che dovrebbe essere fatta sempre dirò, per riconoscere i segni della propria vita, le cose che si collegano alle proprie vocazioni spirituali e umane.
D. – Ma la causa di questa distorsione della finalità della vita non può essere attribuita a noi, a questa generazione o alla precedente…
A. – Infatti nessuno vi dà colpe individuali per tutto questo; nessuno di voi è responsabile. Non si può accusare proprio nessuno. Tuttavia diciamo che nella logica dell’evoluzione, delle strutture sociali nate e sviluppatesi in un certo modo si sono avute delle conseguenze più o meno fastidiose, se non vogliamo usare il termine “deleterie” nei confronti dell’evoluzione dello Spirito. Ma nessuno è chiamato a rispondere di questo, nessuno, salvo nei casi particolari e individuali di responsabilità personali nei confronti del genere umano. Ma anche in questo caso sapete bene come poi si articola la legge di Dio nei confronti di tutti.
Vedete, quello che ho detto non suona assolutamente come accusa di tipo personale nei confronti dell’umanità. In fin dei conti l’umanità è costituita da spiriti che vivono dietro un corpo, se vogliamo, quindi le responsabilità, se ci sono, sono a livello spirituale, cioè di coloro che sono vissuti sulla Terra e hanno seminato più o meno male; ma anche questi esseri, in fondo, erano le vittime a loro volta di situazioni precedenti che hanno trovato sulla Terra. Quindi diciamo che per propria natura, avendo finalizzato la Terra a esperienze, a scopi non strettamente biologici, l’avventura della psiche in una materia che ha leggi proprie doveva svolgersi in maniera migliore, ma proprio perché la psiche non è sottoposta alla legge biologica si è creata la dicotomia e, in un certo senso, si è condotto il cammino della psiche a un ordine confuso. La materia in sé stessa, come vedete, ha continuato imperterrita ad andare avanti per suo conto. I disagi si sono avvertiti soprattutto a livello psichico, dove appunto l’intelligenza non è riuscita a organizzare una materia così vasta perché la stessa intelligenza è stata malamente sfruttata al punto da determinare delle situazioni conflittuali tra gli stessi esseri umani.
D. – A parte il fatto che per queste ragioni l’intelligenza stessa non riesce a esprimersi completamente.
A. – Diciamo che l’intelligenza stessa ha voluto usare in qualche modo la legge generale della materia che è una legge in fondo egoistica, mentre la legge universale della materia, invece, è altruistica, anche se la finalità, in fondo, è sempre egoistica. La materia uccide altra materia, per la sopravvivenza a tutti i costi.
Vedete, talvolta, quanto stenta a morire un uomo. Eppure è proprio questo che si è verificato: cioè che sfruttando una legge generale dell’istinto biologico la psiche umana si è imposta, ed è così che sono nate le leggi, gli uomini che hanno dominato altri uomini e via di seguito, determinando tutto uno scompenso nello sviluppo del comportamento e dell’atteggiamento umano. In ogni caso, ripeto, non si può chiamare nessuno responsabile. Diciamo che è proprio la forza spirituale intelligente, qual è da una parte lo Spirito e la psiche dall’altra, si è adattata in maniera imprecisa alla legge naturale della materia. Questo adattamento, di tipo ibrido, ha generato le situazioni che sappiamo.
D. – Comunque ora i “responsabili” sono in gran parte da voi.
A. – Nel senso che sono morti?
D. – Nel senso che sono spiriti tornati al loro mondo.
A. – Sì, ma nessuno poteva fare molto di più in definitiva. La situazione resta però quella che è, e va additata o perlomeno va tenuta presente nelle sue caratteristiche. È quindi inutile trincerarsi dietro le forme: la situazione brutalmente era ed è questa (In definitiva – e si è tornati sull’argomento con l’Entità Andrea – la ragione degli scompensi risale fondamentalmente all’inevitabile conflitto esistente ontologicamente tra la logica delle cose della materia – di cui anche la psiche umana fa parte – e quella delle cose spirituali, per cui si potrebbe dire che le esperienze che lo Spirito ha deciso di fare in Terra sono il frutto di un “rischio calcolato”. – Nota GdS.).
D. – Mi sembra però difficile trovare oggi il bandolo della matassa.
A. – Certo, non è facile capire dove comincia la falla. Intanto diciamo che vi sono anche falle a livello individuale, tanto per cominciare, e che sono di molti, non diciamo di tutti, ma della gran parte.
1 Il tema dell’esistenza di Dio ci riporta sempre al cosiddetto pari (scommessa) di Blaise Pascal, per la quale è comunque utile credere all’esistenza di Dio, in quanto l’uomo ne può trarre grande giovamento, speranza, consolazione, forza ecc. Diversa la cosa riguardo allo Spirito in quanto esso è individualizzato nell’uomo, ed essere consci della sua esistenza rende molto più consapevoli del valore delle esperienze in senso proprio spirituale. La conoscenza dell’esistenza dello Spirito diventa allora fondamentale e certamente degnissima di essere perseguita. Lo stesso spiritualismo si basa su questa certezza. Che l’esistenza di Dio e dello Spirito sia inoppugnabile nel post-mortem non inficia la ricerca e il dialogo terreno che agiscano in questo senso. Inoltre la visione globale dello Spirito e quella dell’uomo sono necessariamente diverse proprio in forza delle enormi diversità che rappresentano i due piani di esistenza. – Nota del curatore.