Dell’autonomia dell’azione umana

autonomia

(Nota GdS. – La domanda è: “Può uno Spirito evoluto essere ateo, in Terra?” La comunicazione risale al 1967)- (Nota posta originariamente a piè pagina, – Nota del curatore).

A. – Si può indubbiamente generalizzare, tenendo presente che non ha nessun valore l’etichetta teorica di ateo o credente. A parte il fatto che hanno valore soltanto le opere, proprio in linea di principio. In ogni caso non significa molto essere ateo o credente, almenché noi non prendiamo queste cose al limite; per credente un vero credente e per ateo un vero ateo, cose queste già molto difficili a trovarsi. Quindi, già le etichette di ateo e di credente sono etichette di comodo. Dire se sia dunque più interessante un’esperienza al limite, in una fede assoluta oppure in una non fede assoluta, quindi in un ateismo assoluto, è molto difficile.

Sarei nell’imbarazzo per la risposta perché proprio da un punto di vista utilitaristico, per lo Spirito (in base alla sua esperienza) potrebbe essere più interessante l’esperienza di ateo. E lo potrebbe, proprio tenendo presente il fine che ha l’anima quando deve venire in Terra.

In fondo, in Terra lo Spirito viene per conoscere la materia, la materialità, per approfondirla. Ora, non c’è alcun dubbio che l’esperienza di un ateo integrale, autentico, gli consenta proprio questo approfondimento, tenendo presente che la sua eventuale mancanza di fede in Terra non se la ritroverà dopo. Cioè, è una questione di tempo, di posporre il tempo della fede. Dato il fatto certissimo che, una volta morti, tutti gli uomini dovranno credere, vogliano o non vogliano. Cioè che è un fatto inevitabile il credere. Quindi, il comportamento di un ateo nel corso della vita ha un’importanza relativa. Quello che invece ha sempre una maggiore importanza sono le esperienze che l’uomo fa, la maniera con cui le fa, le opere che svolge: queste saranno giudicate, sia che egli sia ateo, che credente. Il fatto di essere ateo o meno non priva l’individuo di un suo preciso dovere di socializzazione, di fraternità, di essere insomma un uomo in mezzo ad altri uomini fratelli. Fratelli comunque sia, che egli li veda in Dio o che li veda nella materia, perché il concetto di fratellanza resta integro, in fondo, sia materialisticamente che spiritualisticamente.

D. – Se egli è credente le sue colpe sono maggiori?

A. – Se egli è credente le sue colpe sono maggiori. Ma, vedete, anche qui dobbiamo intenderci, credente sì, ma in che cosa? In fin dei conti non basta, per avere certe responsabilità, credere in maniera generica. Bisogna credere, ma anche capire quello che Dio vuole attraverso la legge. Ora, la maggior parte di quelli che presumono di credere non sanno in realtà quale comportamento adottare. Perché le parole che si usano sono anch’esse generiche. Fare del bene, fare la carità. Ma che cosa è il bene? Cosa è la carità? Come si deve fare questo bene? Quali sono i suoi limiti? Ora, tutte queste cose l’uomo non le sa. Una credenza generica dunque non è una vera e propria assunzione di responsabilità, cioè quella che si pone allorquando l’individuo sa quello che deve fare e quello che non deve fare.

In realtà, non è possibile neppure codificare queste norme, tranne che in linea generica. E poiché ogni individuo è diverso dall’altro, ogni norma dev’essere applicata diversamente. Dunque un’esatta conoscenza di quello che la legge di Dio veramente vuole (non per sé, ma per voi, per noi) questa conoscenza l’uomo non ce l’ha. Indubbiamente, però, il credere in Dio comporta certe responsabilità maggiori di chi non crede affatto, questo è chiaro. Così come un individuo materialista, il quale compie certe azioni perché devono essere fatte, inquantoché ogni individuo va aiutato, assume un merito maggiore perché non lo fa in vista di un premio da ricevere in un’altra vita, ma lo fa esclusivamente perché sente di compiere questo dovere sociale. Da questo punto di vista certe esperienze in un ambito materialistico possono essere molto più efficaci che non quelle in ambito spiritualistico, è logico. Ma, d’altra parte, tutta questa è una materia molto elastica, e quindi non si possono assolutamente stabilire norme a priori.

D. – Non mi sembra che sia esatto dire che nell’ambito materialista possa sussistere l’idea della fratellanza. L’idea della fratellanza è un’idea universale di carattere spirituale e quindi si può essere materialista apparentemente, ma se si ha l’idea della fratellanza in fondo si è già fuori della materia.

A. – Non sempre si può dire questo, vedete. Per esempio, prendiamo un paese in cui l’ideologia dominante sia una ideologia materialistica e quindi atea. È chiaro che in un paese materialista possiamo trovare, per esempio, delle opere sociali, delle leggi sociali, le quali veramente mirino a portare del benessere alle popolazioni. Dunque, anche questo è un principio di fraternità, in fondo, che si adotta. Cioè, qualcuno, lo Stato, le leggi, quello che sia, stabiliscono che certe cose vanno fatte in maniera che tutti gli individui possano beneficiarne. Ora questo, indubbiamente, è un’ispirazione di fraternità, nel ragionamento dell’uomo.

D. – Ma è sempre un’istanza di carattere spirituale, conosciuta o sconosciuta che sia. Sembra il caso di quegli Spiriti che in Terra non credono, ma che hanno già una certa maturità.

A. – Vedete, allora devo chiarire. La differenza, indubbiamente, tra una ideologia materialistica e un’ideologia spiritualistica praticamente dovrebbe stare in questo. Dal mio punto di vista, ben s’intende, non so poi quello che possiate fare voialtri. Dunque, secondo il punto di vista materialistico l’individuo è solo materia, però, come materia, ha determinate necessità, determinati bisogni e risponde a certe sollecitazioni, col dolore e col piacere, come individuo materia, come individuo sociale.

Da un punto di vista spiritualistico l’uomo è visto anche come essere materiale ma che possiede un’anima, cioè a dire reagisce in base a delle norme di morale, di etica, imposte, riconosciute o avallate da enti religiosi i quali come tali, credono in Dio e nel sovrannaturale. Ma una società, indubbiamente, va governata sia da un punto di vista materialistico e sia da un punto di vista spiritualistico. La società che avete voi, società latina, quindi cristiana, cattolica, è una società che ha delle leggi che sono materiali, materialistiche e non spiritualistiche. Perché la stessa esistenza e lo stesso codice civile e penale sono codici materialistici. Cioè, sono gli stessi codici che possiamo trovare in un paese ateo e materialistico, inquantoché l’individuo è riguardato non come anima ma come un essere materiale che vive in una società di uomini fatti di materia, di materia e mente. La questione “mente”, evidentemente, è presente anche da un punto di vista materialistico, perché non è che l’ateo neghi l’esistenza della mente e i bisogni psicologici dell’uomo, è chiaro. La sola differenza è che l’uomo è considerato fine a se stesso, senza una presenza spirituale.

Ora, dunque, da un punto di vista di amministrazione, direi così, della specie umana, uno stato dev’essere materialistico, lo deve se vuole soddisfare certi bisogni della società, per esempio, dando lavoro, organizzando il lavoro e via di seguito. Dove subentra l’elemento spirituale? Qual è la reale differenza che esiste poi tra un ente materialistico e un ente non materialistico. La sola importantissima differenza sta in questo: laddove l’uomo è visto soltanto come materia, esso viene evidentemente interpretato come materia-macchina, cioè uomo-macchina, uomo-lavoro, uomo-produzione e come tale è ruota, è parte di un ingranaggio. Dove invece esiste un’interpretazione spiritualistica dell’uomo, l’uomo non è riguardato soltanto come uomo-macchina ma come uomo-macchina più le istanze di natura spirituale, autonoma e indipendente, in base alle quali istanze all’uomo dev’essere applicato il principio della libertà. La differenza è in questo. Perché all’uomo-materia, materialisticamente inteso, non può essere data la libertà, perché non deve essere data. Perché la libertà sarebbe una cosa inutile, non avendo egli una natura spirituale. Perché un uomo senz’anima è indubbiamente un uomo-animale e l’uomo-animale può essere tenuto legittimamente in gabbia, come di fatto voi fate per le bestie che avete. La questione è tutta qui.

L’uomo che non ha anima, che non è un uomo spiritualizzato, non può averla la libertà. E non può averla perché non gli spetta, perché è qualcosa di cui non saprebbe che farsene, inquantoché è solo materia e come tale non può godere, non può fruire di questa libertà. Per tutto il resto, poi, da un punto di vista economico-umano si tratta d’interpretazioni che non c’interessano.

Ora, indubbiamente, noi e voi sappiamo che l’essere umano ha un’anima, avendola deve essergli data questa libertà. La quale libertà è l’unica cosa che uno stato può dare all’individuo, riconoscendo implicitamente in quest’uomo un bisogno di natura spirituale che egli deve esprimere o può esprimere. se vuole, nella liceità. Questa è la differenza che porrei.

Ora veniamo alla questione della fraternità. Voi dite che la fraternità non ha senso, perché sarebbe sempre un fatto utilitaristico. Il fatto utilitaristico però, in fondo, l’abbiamo visto anche nell’Universo. L’Universo materiale, la materia, in fondo è così. È un principio talmente diffuso in tutto l’Universo che noi possiamo chiamarlo”utilitaristico”, e possiamo sublimarlo chiamandolo di “fraternità”.

Tuttavia è chiaro che a voler essere rigorosi la fraternità la intendiamo solo quando è spontanea, quando è ragionata, quando è interpretata come tale. Quando essa ammette un principio d’amore essa è la vera, autentica fraternità.

Ma esistono molte sfumature di questa fraternità e quindi può esserci una fraternità anche senza amore come è, in fondo, nelle leggi dello stato. In esse non c’è amore, indubbiamente, il codice non ama nessuno e nemmeno il legislatore ama qualcuno, ma comunque lo stesso legislatore è in fondo un uomo il quale ha un’anima e, a un certo momento, sente l’esigenza di stabilire certe leggi che siano leggi umane, quindi fraterne. Da questo punto di vista, direi, torniamo indietro in questo ragionamento. Cioè, voglio dire che l’uomo è portato alla fraternità. Materialista o non materialista, l’uomo tende alla socializzazione, a creare una società in cui gli individui possano andare d’accordo tra di loro. Questo poi è il fine di tutte le ideologie, almenché la gente non sia impazzita, non sia paranoica. Qualunque legislatore in qualunque paese, materialista o non materialista, non desidera altro che la pace del suo popolo, dei suoi simili, e se non la desidera vuol dire che è un paranoico. Quindi da questo punto di vista credo che non ci siano dubbi.

D. – Penso che proprio sul piano della realtà terrena quello che è avvenuto è anche sostanzialmente diverso. Cioè, in effetti, quella del materialismo è un’etichetta che si è voluta assumere anche per essere più liberi di agire contro elementi che si ritenevano, in gran parte, giustamente negatori di una giustizia sociale sanamente intesa, e questi elementi coincidevano in gran parte proprio con una religione ormai venduta al potere. Secondo me questa è stata la premessa necessaria…

A. – La decadenza dei valori spirituali in un determinato paese, decadenza capace di portare a una rivoluzione anche contro i valori spirituali, è una responsabilità che va addossata esclusivamente alle Chiese operanti in quei paesi, le sole responsabili di questo decadimento spirituale. Ora, poiché mi pare che, sia pure allusivamente voi vi riferite all’Europa Orientale nel fare questo discorso vi dirò che, indubbiamente, se in quel paese vi fosse stata una Chiesa sana, onesta, una Chiesa veramente Chiesa, gli stessi rivoluzionari sarebbero rimasti credenti, perché una rivoluzione la si può fare benissimo continuando a credere in Dio, non è affatto necessario che una rivoluzione abbatta Dio che non c’entra con i responsabili di determinate situazioni. Ma se la rivoluzione è stata portata contro Dio o, per meglio dire, contro i rappresentanti di questo Dio, la responsabilità non poteva essere che di questi rappresentanti.

D. – In senso paradossale si potrebbe dire che gli stessi rivoluzionari erano forse più religiosi della stessa Chiesa.

A. – Soprattutto perché agirono nell’intento di portare il benessere nel paese. Cioè secondo ideali che non hanno bisogno di Dio. Parlo al limite. Sono ideali che nascono da necessità urgenti del popolo, quindi ideali che si affermano con o senza Dio. Da un certo punto di vista io sostengo l’autonomia della Terra nei confronti di Dio, per quello che riguarda certe esigenze e certe necessità delle singole zone della Terra. È chiaro che per risolvere certi problemi di zone depresse della Terra, io ammetta l’indipendenza e l’autonomia dell’uomo, la sua emancipazione nei riguardi di Dio e quindi anche la necessità di operare in maniera coattiva in certe zone depresse della Terra per riportarle a una giustizia, per riportarle al lavoro.

Io, vedete – e su questo concordano molte alte entità – con questa mia interpretazione sostengo che l’ingerenza di Dio in certe questioni della Terra deve essere minima (Nota GdS: Per Dio, qui s’intendono le sue leggi), inquantoché questo risponde a un principio di libertà. Vedete, l’uomo, l’umanità, più che l’uomo (perché qui il singolo non conta più), è stata creata da Dio, ma Egli ha dato a questa umanità, il maggior dono che potesse dare, ed è proprio in base a questo principio di libertà che noi sentiamo il bisogno di portarlo al limite. Una libertà che non significa affatto allontanamento da Dio ma che è, anzi, una ricerca continua di Dio, emancipata da Lui, distaccata da Lui, affinché essa diventi più coerente, più stabile. (Nota del curatore: questi ultimi periodi evidentemente di riferiscono agli Spiriti nella loro condizione incarnata che – di fatto – costituisce l’umanità. Solo nei loro confronti vale infatti l’atto emanativo da Dio, poiché l’uomo proviene dalla natura materiale terrena. Deve essere inoltre tenuto presente che in base al principio di libertà e del trasferimento che Dio ha posto in atto di tutti i suoi attributi trasferibili Egli non interviene mai direttamente).

Una ricerca che non si avvalga dello stesso Dio, che non provenga dalla nostra esistenza spirituale, dal nostro bisogno, di avere un padre, perché dobbiamo cercarcelo da noi, e quindi non chiediamo a Dio di mostrarsi e non vogliamo che Egli ci guidi in questa ricerca, perché Egli ci ha già dato tutto. Ci ha dato l’intelligenza, la volontà, ci ha permesso di acquisire la conoscenza più vasta, ha dotato ciascuno di noi di grandi poteri che aumenteranno man mano che saliamo nell’evoluzione, ci ha dato la possibilità di capire gli errori, di valutare. Cosa dobbiamo più chiedere a Dio? Noi non vogliamo niente da Dio! Vogliamo che Dio ci lasci questa libertà, in maniera che ciascuno di noi possa cercarselo, questo suo Dio. Quindi è in base a questi principi universali che noi desideriamo per l’umanità la massima libertà. Ma sappiamo che l’uomo è debole. E infatti ciascuno di voi si cerca un Dio minore, un Dio minimo. Se lo cerca attraverso le sue statue, attraverso i suoi santi, e se lo cerca nelle sue preghiere, perorando continuamente per le mille miserie da soddisfare. Se lo cerca dunque in maniera banale, camminando carponi o con la lingua per terra, per invocare da Dio mille misericordie per le più banali circostanze della vita. In una maniera molto avvilente, direi quasi un po’ sporca, di cercarsi questo Dio, e certo non conforme alla dignità di uno Spirito. Alla dignità di ciascuno di voi, e di ciascuno di noi, che è sì un piccolo essere in confronto a Dio, ma non un povero essere, ricordatelo. Un piccolo, ma non un povero essere, perché ognuno di noi ha una natura divina dentro di sé, ognuno di noi è stato fatto da Dio, Dio è nostro Padre, noi siamo figli di Dio. Dunque dignità dello Spirito e umiltà in questa ricerca, ma soprattutto dignità, inquantoché Dio non crediate che vi apparirà, semplicemente commosso dalle vostre banalità quotidiane. Dio vi apparirà se voi saprete cercarLo, e infatti l’esperienza della Terra ve lo dice.

Voi lo cercate e vi sembra di non trovare mai niente, voi chiedete e vi sembra che nessuno vi risponda. E com’è possibile rispondervi? A questo livello? Con quello che voi chiedete, com’è possibile? Ma ponetevi in un’altra luce, e allora lo troverete questo Dio, lo troverete e veramente capirete la Sua grandezza, la Sua potenza; allora veramente vi sentirete piccoli davanti a questo Dio, ma non poveri. Piccoli nella vostra dignità di figli che guardano e amano questo Padre.

Dunque, è una questione di misura, di saper portare questo rapporto con Dio su di un equilibrio che è difficile, ma che una volta trovato è un equilibrio che non si perde più, un equilibrio che veramente dà la pace e dà l’amore. Perché è un riconoscimento della vostra stessa natura, è il riconoscimento di Dio. Perciò è importante che la Terra affronti certi problemi da sola. Invocare Dio può essere utile, naturalmente, ma Dio non ha legami con la Terra da questo punto di vista. Non ha legami e non fa nulla per la Terra, è questo che io dico può essere deludente e sconsolante, ma la storia dell’umanità lo conferma che è così, ed è inutile illudersi dietro le parole; è così.

Se Dio volesse intervenire (non dico se potesse, perché Egli può tutto, naturalmente) se Dio volesse intervenire sulla Terra, se Egli avesse questa pietà, (come dite voi) verso la Terra, allora non permetterebbe certo che avvenissero le guerre, con la gente che muore così, come formiche calpestate; non permetterebbe certo agli innocenti di morire uccisi dagli assassini, di essere rapinati e sgozzati per le strade, non lo permetterebbe, e allora vuol dire che se queste cose avvengono e Dio non interviene, deve essere così. Dio non interviene perché non deve intervenire, e non deve intervenire in base al ferreo principio che ognuno di voi è venuto sulla Terra liberamente, che si è scelto queste esperienze liberamente, e dunque, dal momento che ve le siete scelte, non state dunque a impetrare grazie che non potete avere perché siete voi che non le volete, nessuno non vuole darvele, siete voi che non le volete, siete voi che ve le siete scelte, dunque che cosa cercate ora? Voi dite: ma io non ricordo di averle scelte! Ma cosa importa che tu non ricordi? Chi sei tu che non ricordi? Tu che non ricordi non sei niente, sei una materia che non può ricordare, ma chi è dentro di te – la tua anima – lo sa bene che questo deve avvenire.

E dunque se deve avvenire perché mai Dio dovrebbe intervenire a impedirti questa esperienza che è indispensabile, che è per il tuo bene? Ecco dunque perché Dio non interviene: perché non deve intervenire!

I grandi movimenti della Terra, dunque, i grandi scontri, le guerre: sono esperienze di intere popolazioni che necessitano di certe esperienze. sono cose necessarie per il progresso della civiltà. Viste nella loro dimensione storica sono ingiuste, indubbiamente, sono sbagliate, non dovrebbero avvenire, ma avvengono perché le anime che sono in Terra non sono tutte dello stesso valore, sono esperienze connesse le une con le altre, intrecciate, necessarie le une alle altre, compenetrate, e quindi è fatale che, in una gran massa di morti, ci siano anche i morti innocenti. Voi dite: muoiono i bambini, gente indifesa… Non esistono bambini! Devo rispondervi. da un punto di vista universale non esistono bambini. Io, in questo momento vi rispondo da un punto di vista universale, non come Spirito che, naturalmente, ha pietà del bambino e può piangere con voi (Nota del curatore: La cosa può avvenire ovviamente per Spiriti ancora molto vicini all’ambito terreno, ma in effetti questa condizione “emotiva” è completamente superata in un ambito evolutivo avanzato). Dal punto di vista della legge universale, ferrea legge, devo dire: non esistono bambini, perché gli Spiriti non sono bambini; è bambino un corpo, ma non esiste realmente un bambino, non esiste un vecchio, non esiste un giovane, ed è appunto per questo che la morte non ha età quando giunge! Esiste soltanto un’anima che deve svolgere quelle esperienze e quando le ha finite – avrà dieci o cinquant’anni – è finita, non c’è più niente da fare: è finita l’esperienza. Sarà apparentemente crudele tutto questo, ma non lo è poi tanto, perché si tratta di fatti che avvengono in un tempo che è limitato e che è immerso in un tempo universale. Cioè sono piccoli episodi.

Voi non avete nessuna compassione dei vostri figli quando li mandate a scuola e non vi viene in mente che per 5 o 6 ore costringete quei poveri bambini a star fermi in un banco di scuola, dove non si possono muovere, non possono parlare, soggetti a una disciplina. Non vi fanno pena? No, non vi fanno pena, anzi voi imponete loro quella disciplina, quello studio. Perché? Perché è per il loro bene. Supponete allora che la vita sia lunga soltanto 6 ore invece di 60 anni. Non accade la stessa cosa? La vostra anima s’impone di restare 60 anni ferma, inchiodata in un banco di sofferenza e non può muoversi che entro certi limiti, entro certe linee è ferreamente obbligata a una disciplina umana e spirituale che dura 60 anni. ma è per il vostro bene, così com’è per il bene di quel bambino se resta inchiodato 6 ore in un banco di scuola. E dunque è solo una questione “tempo” che voi potete fare. Sono lunghi 60 anni? No, non sono che 6 ore, è la stessa cosa, posto che il tempo non c’è ed è convenzionale… Io credo di aver finito. Forse sono andato un po’ fuori tema…

D. – Anche altre volte ci hai detto dell’inutilità della preghiera. Il Cristo disse la stessa cosa, però poi esortò il popolo a pregare e gli indicò la preghiera che tutti conosciamo1, non solo, ma Egli stesso poi pregò il Padre.

A. – “Il Cristo ha recitato quella preghiera, ma non intendeva dire che si trattasse di una preghiera insostituibile, era una esemplificazione. Comunque quella è una preghiera che tende a mettere l’uomo con le braccia aperte davanti al cielo, a invocare una protezione per la vita. L’uomo è istintivamente portato a chiedere protezione, aiuto da qualche cosa, da qualche altro. Cioè ha bisogno di afferrarsi a qualcosa. Non dimentichiamo una cosa: che anche per tradizione l’uomo, fin da piccolo, è abituato ad aggrapparsi a qualcuno: alla madre, tanto per dire. Quindi ha bisogno durante tutta la vita di sentirsi questa madre vicino, a tal punto che anche nel matrimonio, in fondo, spesso opera una scelta che è sostitutiva della madre. In fondo, l’uomo finisce col trovare, in un certo ordine familiare, che la propria moglie ha qualcosa in comune con la madre, che la sostituisce e, viceversa, la donna nei riguardi del marito ricerca un po’ questa prosecuzione, di maternità o di paternità protettiva.

Quando è con la moglie l’uomo si sente protetto, quando è col marito la moglie si sente protetta. Parlo di marito e moglie, ma intendo uomo e donna, indipendentemente. Effettivamente, l’uomo, quando si tratta di fatti che superano l’evento umano, si aggrappa a qualcosa che è più in là, e si aggrappa ai santi, si aggrappa a Dio, si aggrappa a tutte queste cose. Poi, ottenga o non ottenga, questo dipende dalla sua fede perché, ecco, la fede riesce a operare i miracoli, cioè è l’uomo che da solo si provoca certe cose…

1 Il riferimento è ovviamente al “Padre Nostro” riportato in Matteo 4, 9-13 e in Luca 11, 2-4 e non presente nei Vangeli di Marco e Giovanni. Probabilmente il finale della frase si riferisce alla preghiera fatta al Padre dal Cristo nel Getsemani di cui Matteo 26, 39-42 e riportata anche dagli altri evangelisti. – Nota del curatore.