D. -Ritieni che oggi la medianità sia in diminuzione?
A. – La medianità è sempre stata una dote molto rara, di pochi individui rispetto alla massa. In media l’avete tutti e non credo che vi sia stata una diminuzione, non mi risulta. Anche perché, in fondo, questa medianità, sia pure a un grado lieve, è sempre esistita, perché entra a far parte del “perispirito”, cioè a dire proprio dell’elemento di contatto tra Spirito e corpo. (Il termine “perispirito” risale alla terminologia del XIX sec. nel momento della nascita dello spiritismo, quando fu usato principalmente da Allan Kardec. In questo particolare contesto Andrea designa le energie di tipo bio-elettrico o bio-elettromagnetico che collegano il corpo al complesso animico. In altro contesto lo si definirà anche “cordone”, ma di fatto “esso nasce da un rapporto di forze”. – Nota del curatore.). È indispensabile che ci sia una certa energia di un certo tipo che è poi un’energia di tipo medianico, anche se non assume le forme più spiccate della medianità.
D. – Facevo questa riflessione giorni fa, pensando a ciò che veniva espresso nelle tragedie greche, per esempio, come senso dell’infinito, senso della Divinità, del fato…
A. – Cioè come presenza di un oltretomba…
D. – … Come fato nella forma ideologica della tragedia, e quindi come se ci fosse in modo potente una presenza, cioè una Divinità che facesse da ponte effettivo…
A. – Sì, capisco quello che vuoi dire. Indubbiamente voi sapete che l’ambiente conta molto. Cioè, in un certo ambiente si sviluppano certe facoltà, e direi che certi spiriti si procurano certe facoltà al momento di nascere per svolgere meglio la propria esistenza in quell’ambiente. Ora, certo, nell’antica Grecia era sviluppatissimo il culto dei morti, il culto degli dei, un culto, in fondo, rivolto costantemente all’aldilà, tanto, che la vita terrena era condizionata dall’aldilà.
Ciò era anche un po’ dovuto, naturalmente, ai tanti ciarlatani che tenevano banco per uno pseudo contatto tra gli dei e gli uomini, tra il regno dei morti e il regno dei vivi; un po’ a questa mistica diffusa a tutti i livelli della popolazione e un po’ anche, diciamolo, a una certa ingenuità di fondo della popolazione greca che accettava un po’ supinamente, ma con molta fede e buona volontà, la volontà degli dei. Il guerriero prima di partire interrogava la pitonessa di turno, la sacerdotessa la quale faceva il bello e il cattivo tempo. L’oracolo era ascoltato costantemente, giorno per giorno, ora per ora, e da tutto questo nasceva la poesia, la tragedia che era ispirata a quell’ambiente. Il poeta portava dentro di sé quel mondo e lo rispecchiava.
D. – È il problema metafisico della vita che non si ritrova neanche nel Medioevo, quando per converso, sotto l’influsso mistico del cristianesimo, c’è un distacco dalla vita terrena, però in una forma diversa, forse più mistica ma con un peso minore del lato metafisico. Con una visione diversa, voluta, come una suggestione…
A. – Ecco, la differenza tra la Grecia e il Medioevo è enorme sotto tutti i punti di vista. Nella Grecia anzitutto vi era libertà, cioè a dire le popolazioni, gli uomini, credevano in buona fede, con amore, amavano gli dei, le sacerdotesse; non vi erano, per esempio, imposizioni di dottrine, di dogmi e via di seguito. Nel Medioevo, proprio nel periodo più oscuro, si è avuto una vera e propria coercizione, con una religione che praticamente soffocava nel sangue ogni possibile rivolta, con una casta un po’ oscura, la casta sacerdotale che agiva alle spalle e dentro la coscienza dell’uomo in maniera anche subdola.
Nella Grecia tutto questo non c’è stato. La spontaneità del greco verso la problematica metafisica non la si può ritrovare nel Medioevo, siamo quindi già nel periodo di involuzione anche delle religioni. Periodo di involuzione che continuerà più o meno con lo stesso ritmo quasi fino ai giorni vostri.
D. – Ho appunto la sensazione che un contatto col divino, un senso così profondo del metafisico, non si sia ancora raggiunto, o che si sia perso definitivamente dalla Grecia a oggi.
A. – Sì, si è perduto. Ora, bisogna anche tener conto che in un certo ambiente si incarnano certi uomini. Così la Grecia ha avuto i suoi grandi artisti, i suoi grandi filosofi, i suo grandi cantori e poeti perché lì vi era tutta la convenienza di incarnarsi per svolgere un programma spirituale, perché Atene si era tutta votata alla elevazione dello Spirito, dopo che avvenne la scissione con Sparta. La Grecia di Atene si dedicava esclusivamente alla elevazione spirituale.
D. – È per una questione ambientale che in India molti riescono a ricordare vite precedenti? (Nella risposta il Maestro Andrea allarga l’area geografica non solo all’India ma anche al Tibet e al Lamaismo buddhista equiparandoli per importanza in senso ambientale. – Nota del curatore)
A. – Naturalmente, anche lì abbiamo un caso simile, ma con una problematica un po’ sfalsata, diversa. Anche lì i grandi Lama, i grandi Maestri, i grandi Tibetani si sono avuti perché l’ambiente era adatto a che s’incarnassero certi spiriti i quali, naturalmente, in un ambiente più evoluto finivano anche col ritrovare dentro di sé certe tracce più antiche, certi ricordi reincarnativi, anche perché venivano educati così fin da bambini, fino dall’età di 5-6 anni. Insegnano loro la posizione del loto, certi tipi di meditazione, e il bambino cresce con un animo predisposto, in cui non si è insinuato il dubbio, o gli elementi di una società distraente che porta ad altre esigenze. E così il bambino ritrova nella meditazione certi ricordi, certi filoni, certe memorie.
D. – Ma forse gli spiriti che lì s’incarnavano sono anche propensi a ripetere l’incarnazione a breve scadenza, perché ricordano le persone ancora viventi con le quali erano vissuti nella vita precedente.
A. – Sì, accade anche questo, tuttavia non è una norma. Vorrei però dire questo; in certe zone le incarnazioni finiscono sì con l’essere più ravvicinate, ma questo risponde anche a un’altra esigenza, al fatto cioè che certe esperienze di tipo umano avvengono molto lentamente. Si tratta di Paesi molto poveri, molto arretrati e lo Spirito può avere necessità a tornarci più volte per completare certe esperienze. A un certo punto, vedete, non basta aver raggiunto una certa comprensione spirituale in un ambiente che è particolarmente predisposto, perché lo Spirito magari dovrà poi tornare per mettere alla prova ciò che ha raggiunto in situazioni difficili, per esempio. Cioè, voglio dire, è facile diventare un mezzo santo vivendo in casa di un santo, poi bisogna vedere fuori di quella casa che cosa succede, così come è facile perdersi in mezzo a gente perduta.
D. – Una nostra incarnazione è, come dire, più proficua di un paio di incarnazioni di persone che vivono in meditazione, ma con una vita non molto attiva?
A. – Bene, non si può però tirare una somma in questo modo, è molto difficile poter fare un paragone. Certo una vita molto intensa che ha affrontato molte situazioni può diventare proficua, poi tutto dipende dalla maniera con cui l’individuo tira le somme dentro di sé, come compie quelle esperienze. In ogni caso c’è più possibilità di sbagliare da parte vostra, se si voleva sapere anche questo, perché gli ostacoli sono maggiori.
D. – Ma ciò porta naturalmente a una maturazione?…
A. – Naturalmente, però i vostri sono errori maggiori; anche quantitativamente ne fate di più, voi dunque dovete riscattare una serie di errori che vi impegnano per un tempo più lungo nell’aldilà, prima di ritornare.
Uno Spirito che vive in India fa invece errori molto minori, perché le occasioni sono minori. Egli dunque li estingue più presto, ma deve venire in Terra più volte. Tutto sta a vedere se conviene venire più volte o meno. Però, vedete, alla fine il conto torna, si pareggia. Tutto questo, raffrontato lungo l’arco di alcuni secoli di esperienze, tra andate e venute, in sostanza può non equivalersi come numero di incarnazioni, ma qualitativamente si ha equivalenza.
D. – Ritenevo che per riscattare certe colpe si ritornasse sulla Terra…
A. – Sì, per alcune sì, anche se molto si può riscattare da disincarnato. In ogni caso, tra un’incarnazione e l’altra finisce con l’intercorrere sempre un certo tempo maggiore, non fosse altro perché lo Spirito deve rendersi conto degli errori compiuti, e lo fa lentamente (Al di sotto di un certo livello evolutivo, s’intende. – Nota GdS.), come anche di ciò che conviene fare per pareggiare il conto.
D. – È un riscatto fatto di meditazione, penso, e non di altro, perché le esperienze che si fanno qui ritengo non abbiano nessun riscontro con ciò che si può fare nell’aldilà…
A. – È una meditazione, ma è anche sofferenza, osservazione, un seguire gli uomini, per esempio, un vivere accanto alla Terra per verificare certe esperienze su altri che magari stanno facendo gli stessi errori, controllarli; quindi non è soltanto meditazione. Poi, in ogni caso, vedete, la meditazione dello Spirito è una meditazione di tipo attivo, non di tipo passivo, cioè per meditazione voi non dovete intendere necessariamente quella di uno Spirito che stia lì immobile a pensare ai suoi guai. In fondo, anche verificare l’esperienza degli altri è una maniera di meditare. Quindi, non meditazione, astratta e passiva, ma come lavoro attivo di ordine spirituale.
D. – In media quante incarnazioni occorrono per raggiungere un certo livello evolutivo?
A. – Che s’intende per un certo stadio?
D. – Per superare il ciclo terrestre.
A. – Questo varia da Spirito a Spirito, dal tipo di esperienze che ha fatto, dalla maniera come le ha fatte. Direi che per lasciare completamente il ciclo terrestre uno Spirito debba almeno avere sulle venticinque-trenta incarnazioni, tra brevi e lunghe. Qualche volta si raggiungono le cinquanta, così come alcune volte possono essere sufficienti venti incarnazioni per raggiungere il livello di un’anima molto evoluta che non ha più bisogno di venire in Terra.
Per anima molto evoluta non bisogna fare il confronto per esempio, né con un Cristo, né con un San Francesco, perché sono anime venute in Terra per particolari missioni, che non avevano necessità di venire in Terra, per cui quelle incarnazioni non sono state il completamento di un ciclo. Cioè voi con trenta incarnazioni non diventate come San Francesco.
D. – Ma per compiere venticinque-trenta incarnazioni quanti secoli occorrono?
A. – La media di una vita è di settant’anni e tieni presente che tra un’incarnazione e l’altra passano in media settanta-ottant’anni. È una media molto approssimativa perché alcune volte passano anche duecento anni, quindi fai pure il conto. Però vi sono delle alternanze, vi sono periodi lunghi in cui lo Spirito vive soltanto nell’aldilà e abbrevia così le incarnazioni. Ma ripeto che non è un conto che si possa fare facilmente. D’altra parte, vedete, il confronto dell’evoluzione tra molti spiriti non si fa mai nello spazio di quindicimila-ventimila anni, ma si fa in un periodo molto più lungo. La nostra concezione non è temporale, naturalmente, e anche questo ha la sua importanza.
Per voi dodicimila anni sono molti, per noi non rappresentano niente, non esistono cioè come dodicimila anni. Quindi certe esperienze si fanno prima o dopo, c’è chi sceglie una via che è apparentemente più lenta rispetto alla Terra, e questo non significa niente. Poi, tra noi non vige il concetto di Spirito più evoluto e meno evoluto nel senso di organizzazione societaria in cui l’uno sia più in alto e l’altro più in basso. In pratica, per noi non esiste chi sia indietro e chi sia avanti, esiste naturalmente chi ha di più, chi ha maggiore conoscenza e chi ne ha minore, ma questa maggiore conoscenza non è un riconoscimento che differenzia uno Spirito dall’altro, è nient’altro che una constatazione pura e semplice. Il termine di “società spirituale” non si adatta alla vostra idea di società.
D. – Ma uno Spirito riconosce sempre chi sa di più?
A. – Sì, lo riconosce istintivamente e sa che si tratta di uno Spirito che qualitativamente gli è maggiore, però non esiste una controparte che glielo dica o che si faccia riconoscere per tale, cioè una gerarchia in cui qualcuno obbedisce a un altro, questo non esiste. È un rapporto spontaneo, tranne casi particolari, come quando certe leggi vengono infrante o si tenta di infrangerle, dato appunto la libertà dello Spirito.
A uno Spirito che dovesse venire in Terra con l’intenzione, per esempio, di distruggerla. se ciò non è previsto e non deve accadere perché è contrario all’evoluzione della Terra, a quello Spirito verrà impedito di incarnarsi. In questo caso uno Spirito a lui superiore agirà in maniera tale da vietargli di scendere in Terra, facendo uso di un suo diritto e di una sua forza spirituale, perché uno Spirito superiore ha la forza di intervenire spiritualmente, mettendo in condizione di non poter agire, ma sempre attraverso la legge di Dio (Si tratta sempre dell’interpretazione di Principi e leggi universali immesse dalla emanazione di Dio nell’ambito dello Spirito, il quale le riconosce come tali. In questo caso l’ipotetico Spirito andrebbe a violare lo stesso fondamentale Principio evolutivo, rappresentando la Terra un ambito d’esperienza spirituale. In questo caso Andrea ha chiaramente fatto un esempio limite. – Nota del curatore.). In questi casi particolari forze superiori possono agire.
D. – Ma questo significa ammettere un’introspezione assoluta nella mente delle entità, quindi non esiste la possibilità di tenere riservati i propri pensieri…
A. – Non esiste, perché i pensieri di ciascuno di noi sono pensieri universali, cioè io non ho pensieri che un altro non possa supporre, o cose da nascondere, questo è il punto. Che significa la riservatezza? Riservatezza, cioè segreti, idee che un altro non deve conoscere?…
D. – Come fa uno Spirito a sapere che l’altro ha certe intenzioni?…
A. – Uno Spirito, non può incarnarsi senza che abbia uno Spirito guida, tanto per cominciare, e la guida è uno Spirito a lui superiore, uno Spirito saggio. Tuttavia può darsi che la guida non possa agire, che non abbia la capacità o la forza spirituale per agire. In questo caso viene evocato uno Spirito maggiore. Bisogna tener presente che gruppi enormi di spiriti sono guidati da Entità superiori le quali ne sono responsabili. Cioè, tutti gli spiriti che s’incarnano e la Terra stessa, sono guidati da un’Entità superiore che è responsabile di tutti i processi evolutivi che avvengono nella sua orbita. (Questo denota l’enorme e fondamentale importanza del piano spirituale quale “intermedio” tra la Divinità e la creazione materiale, ciò annulla ogni immanenza o presenza diretta della Divinità, realtà che le religioni non hanno mai avuto interesse a riconoscere per l’enorme impatto che esso avrebbe sul “controllo” religioso e anche politico degli individui e delle stesse masse. – Nota del curatore.). Ma è uno Spirito che non fa mai pesare la sua presenza, che interviene solo in casi eccezionali.
D. – In che misura ciò è riscontrabile?
A. – La Terra segue, come dire, un certo programma. In una certo qual modo gli spiriti che via via vengono in Terra assicurano anche una certa evoluzione della civiltà. Così si inseriscono nella vita della Terra spiriti i quali per certe particolari inclinazioni ed esperienze da fare la qualificano in un certo modo. Tutto ciò avviene secondo un ordine più o meno prestabilito. A un certo punto può darsi che intervengano spiriti i quali per la loro presenza massiccia, se venissero in Terra, potrebbero deviare in maniera non prevista l’andamento della civiltà. A tutto ciò presiede uno Spirito evoluto, uno Spirito di grandissima esperienza il quale equilibra queste incarnazioni, badando che la legge sia sempre applicata in un certo modo. Se egli dovesse malamente interpretarla o commettere errori di valutazione, egli ne sarebbe responsabile. Perché questa, per lui, finisce col costituire un’esperienza come un’altra. Cioè, egli fa l’esperienza di guidare la Terra, quindi è responsabile di tutti gli errori che si possono commettere, errori di valutazione soprattutto. Non si può pensare – a quel livello – a errori voluti, ma a errori dovuti a cattiva interpretazione della legge, oppure di supervalutazione di se stesso nei confronti della legge, o a tante altre ragioni spirituali.
L’errore è previsto a qualunque livello di evoluzione, proprio perché ogni Spirito ha il libero arbitrio, ha la libertà, ed è una libertà intelligente, dell’intelletto e dunque essa gli consente anche di sbagliare, perché se egli non potesse sbagliare non sarebbe neppure libero. Ogni volta, insomma, lo Spirito applica la sua intelligenza, fa un’analisi della situazione, la valuta. Valutarla significa poi dedurre certe cose che lo porteranno a certe decisioni, e in questo egli può anche sbagliare.