D. – Vi sono dei momenti in cui l’uomo ha bisogno d’isolarsi per un certo arco di tempo, in un certo senso per rafforzarsi nei confronti dello “stress” o della “routine” della vita quotidiana. Vorrei sapere in che misura ciò possa essere utile.
A. – Io non parlerei di distacco nel senso di periodi. Io direi che il distacco deve diventare una componente naturale della propria mentalità, della propria coscienza. Cioè, non distaccarsi nel senso di andarsene, per esempio, su di una montagna, per sei mesi o per un anno, ma distaccarsi in senso psicologico, in senso mentale. E quando io dicevo che non dovete rifiutare il mondo così com’è intorno a voi, non intendevo nemmeno dire che dovete guazzarvi dentro. Dovete viverlo e controllarlo nello stesso tempo, in maniera da passare attraverso tutte le esperienze, per viverle e portarle dentro di sé, cioè per distaccarvene, appunto, perché nel momento in cui interviene l’atto critico interviene anche il distacco. Ci si mette freddamente di fronte all’esperienza, come può mettersi un chirurgo davanti al corpo del paziente di cui deve fare una diagnosi fredda e precisa. E così deve fare l’essere umano: una diagnosi fredda e precisa di se stesso e del mondo, non rifiutando il mondo ma semplicemente valutandolo in rapporto a se stesso.
Per poter fare questo, però, l’uomo deve conoscere anzitutto alcune norme essenziali. Cioè deve giudicare, ma in base a quale criterio? Il giudizio implica una visione morale del problema. Quale tipo di moralità deve entrare in questo giudizio? Se io giudico una certa cosa che ho fatto, oppure che hanno fatto gli altri, oppure che ha fatto la società, oppure se giudico una situazione sociale, da quale punto di vista culturale, storico, morale, io do questo giudizio?
Bene, io direi a questo punto che non è molto importante che il giudizio sia un giudizio corretto, perché l’uomo, come tale, giudizi assoluti non può darne, non riesce a darne perché non possiede tutta la verità, ma ne possiede una piccola parte che può ampliare attraverso lo studio, la riflessione, la meditazione; quindi si tratterà sempre di un giudizio che risentirà innanzitutto della carne, della materia. E dunque non ha tanta importanza la precisione del giudizio, quanto l’atto critico, il porsi di fronte al mondo con l’atteggiamento critico – critica interiore – di valutazione. Questo è importante.
Vedete, le scelte sbagliate come valore si possono assimilare alle scelte esatte, perché non è tanto importante il tipo della scelta, ma la realtà in sé. Io dissi una volta: preferisco un ladro, un assassino, a un uomo che non faccia niente, perché almeno il ladro, l’assassino, può vivere nel mondo e può avere i suoi rimorsi, le sue cadute, i suoi pensieri, le sue riflessioni. Cioè è un essere vivo, che vive la sua esperienza, sbagliata, sbagliatissima, ma che la vive, rispetto a un uomo il quale vegeta soltanto, in Terra (L’esempio è naturalmente al limite, per ragioni dialettiche. – Nota GdS.).
Questo cosa vuol dire? Vuol dire che hanno importanza le azioni, gli atti, le decisioni, le valutazioni, e cioè il porsi costantemente in alternativa con il mondo, affermando la propria individualità e ritrovando in questa individualità dei giudizi e dei valori morali che bisogna cercare di perfezionare sempre più. È in questo senso dunque che intendevo vivere il mondo.
D. – Ma spesso ciò è veramente molto difficile in alcuni campi come per esempio nella politica. Tu più di una volta ci hai detto: “Non ha importanza da che parte state, basta che operiate una scelta in buona fede”. Ma quando tu dici in buona fede…
A. – Questo è però un giudizio di natura individuale che non può riguardare il giudizio collettivo di tipo storico, intendiamoci bene.
D. – Tu dici di seguire un’opinione in buona fede, ma in buona fede significa credere in un’idea. Ora, quando si arriva a una certa consapevolezza non si può credere in assoluto in un’ideologia e in un’altra, no. In fondo, c’è da credere più negli uomini che nelle ideologie, perché queste si dimostrano tutte sbagliate e tutte esatte, a seconda… A questo punto come si fa a militare, per esempio, per un’ideologia politica quando si è convinti di ciò che ho detto? Diventa molto difficile.
A. – Ma, sulla Terra, suppongo che ci siano molti campi di attività per l’uomo, che non siano esclusivamente quelli politici. Perché, se a un certo punto un uomo non sa assolutamente cosa pensare in senso politico, non se ne occupa e si occupa invece di filosofia, di poesia o di letteratura, o semplicemente del proprio lavoro artigianale.
Non è necessario che tutti gli uomini si mettano a far politica.
D. – Perlomeno nei paesi a sistema democratico è necessario, perché bisogna pure votare…
A. – Bene, io suppongo che quello che tu dici significa che, a un certo punto, bisogna nominare il capo del proprio stato, o una serie di rappresentanti del popolo. Questo è accaduto anche nei secoli passati, in tante circostanze. In quel caso, quando assolutamente non si ha un’ideologia politica, cioè quando non si sa assolutamente cosa scegliere, bisogna scegliere gli uomini e non l’ideologia, oppure basarsi sul giudizio di persone che si stimano, che si hanno in grande considerazione, e ci si accoda agli altri. Cosa vuoi farci, è una questione di vita pratica alla quale non ci si può sottrarre. Semmai questo diventa un altro problema: gli uomini non dovrebbero essere in condizione di non saper scegliere e la scuola dovrebbe offrire immediatamente delle alternative o delle possibilità di risolvere anche questi problemi.
D. – Ma tu pensi, per esempio, che esista un’idea politica migliore delle altre?
A. – Non in senso generale. Ogni ideologia politica è contemporaneamente un’ideologia economica la quale va adattata caso per caso, sulla Terra, a seconda delle situazioni delle singole parti della Terra stessa o dei singoli stati. Ciò che può andar bene per voi, può non andar bene per un altro stato; bisogna tener conto di tanti fattori: storici, di civiltà, di cultura, di situazioni economiche, di situazioni di fatto delle popolazioni. Quindi non si può assolutamente dire che un’ideologia va bene per tutta la Terra. Questo non è mai accaduto e non accadrà mai!
D. – Ma certi partiti non sarebbero neanche da escludersi perché, talvolta, certe ideologie possono integrarsi…
A. – Questo sarebbe un po’ come la ricerca della trasformazione del piombo in oro. Sarebbe una gran bella cosa e in teoria sarebbe anche attuabile ti dirò.
D. – Ma io direi che ogni uomo deve fare il proprio esame di coscienza…
A. – Appunto. È quello che rispondevo alla domanda iniziale, cioè il porsi in un certo isolamento per dare certi giudizi. Un esame di coscienza. Esame di coscienza che voi non fate mai, oppure che fate molto sommariamente. Io vi suggerivo una norma pratica: almeno una volta alla settimana state un’ora con voi stessi e fate l’esame di tutta la vostra settimana e dite: “Cosa ho fatto di bello o di brutto in questa settimana? Cosa ho pensato, qual è la situazione del mondo, come devo interpretarla, da quale parte devo stare o dovrò stare?
D. – Un certo studioso sta cercando di risolvere un problema lasciato aperto dalla cultura marxista, cioè il rapporto tra struttura e sovrastruttura, e fa riferimento a uno stato del nostro subcosciente. Vorrei sapere, in che misura è accettabile questa teoria?
A. – Guardate, io devo dire una cosa con molta lealtà. È vero che allorquando c’è stata la dittatura, nel mondo c’è sempre stata una larga parte delle popolazioni che ha sofferto enormemente. Senza riferirmi ai vostri tempi o alle vostre ultime generazioni, di dittature ve ne sono state sempre; da quelle degli imperatori romani, da quelle dei faraoni d’Egitto in poi, e quindi diciamo che sulla Terra si è sempre verificato questo: che un monarca, un’ideologia, una nazione o un gruppo hanno avuto nelle mani il potere assoluto, che una volta era potere di vita e di morte. Quando il monarca diceva: giù la testa, la testa veniva tagliata senza appello.
I tempi sono cambiati, l’uomo ha conquistato un’emancipazione personale, vi è stato l’avvento della tecnica, l’avvento della civiltà compresa negli ultimi duemila anni, e l’uomo di oggi non è più l’uomo di una volta, l’uomo del tempo dei faraoni o del tempo di Roma. Ma poniamoci questa piccola ma grave domanda: è veramente cambiato tanto “dentro” quest’uomo? Bisogna fare allora una distinzione. Quanti uomini ci sono stati sulla Terra che potrebbero vivere liberamente? Uomini capaci di poter vivere rispettando gli altri, democraticamente, umanamente, e quanti invece per poter vivere in una società hanno bisogno che ci sia un codice penale, altrimenti per la strada ruberebbero e rapinerebbero e offenderebbero la famiglia e lo Stato, le istituzioni, continuamente?
Io credo che a voler essere generosi il codice penale frena solo il cinquanta per cento dell’umanità e in certi momenti della storia o in certi momenti della civiltà, la percentuale scende enormemente. Non parlo di delitti in senso materiale o di sangue, ma si contravviene alle norme della società anche rubacchiando, frodando, spingendo gli altri, sorpassandoli con l’astuzia, con la malignità, con l’egoismo. I piccoli trucchi della vita, per farsi largo, rasentano spesso il codice. Ciò c’è sempre stato, d’accordo, ma il fatto che ci sia ancora è significativo. Ma l’aspetto della tua domanda era un altro. In realtà, gli uomini attualmente si sentono “dentro” veramente liberi o avvertono la necessità di essere guidati perché da soli non saprebbero far niente?
D. – Ma, il punto è questo; se io accetto un certo tipo di umanità tanto vale non combattere certe battaglie, tanto non si produce niente…
A. – No, vedete, adesso non vorrei che una mia risposta diventasse pericolosa. Però io credo che la risposta sia ovvia, e però anche ovvia una conseguenza. Badate bene: è chiaro che c’è una larga parte delle popolazioni, dell’umanità che è, anche da un punto di vista culturale, in una condizione molto bassa. Cioè, non è emancipata nel senso sociale, in senso economico e in senso culturale. Non essendo emancipati, questi strati delle popolazioni non possono autogovernarsi, hanno dunque bisogno di qualcuno, di qualcosa che, sovrastandoli, dia loro la sicurezza della guida. È cioè un’umanità bambina che pur essendo cresciuta ha bisogno di qualcuno che la prenda per mano. E poiché, in genere, allorquando esistono depressioni economiche, sociali, a esse si accompagnano spesso depressioni culturali, talvolta depressioni morali, è necessario che colui che guida tenga il polso ben forte nella propria mano, altrimenti, come i fanciulli, l’umanità guizza, sfugge, cade, si rovina e fa cadere gli altri.
Cioè, sembrerebbe inevitabile a un certo punto una guida più severa, che poi diverrebbe la famosa dittatura di cui si diceva. Però, a questo punto, a questa constatazione che è purtroppo la constatazione della situazione dell’umanità in genere, bisogna opporsi. E l’opposizione però si fa non accettando una situazione di fatto, oppure dormendoci sopra. Quello che bisogna fare è migliorare questi complessi sociali. Intendo dire che la presenza della dittatura in alcuni momenti storici può anche essere utile, purché essa lasci il posto alla democrazia, via via che le popolazioni si emancipano.
La dittatura dovrebbe agire semplicemente come può fare un buon padre il quale educa con dolce severità i figli, finché questi non hanno la capacità di muoversi da soli. Ma è chiaro che questo è un concetto utopistico, perché sulla Terra non riesce ad accadere una cosa del genere. Come, in fondo non riesce ad accadere nemmeno in seno alle famiglie. Il padre che ha educato con dolce severità i figli, pretende di stargli dietro anche se hanno 40 anni. E se in pratica questo accade anche nelle famiglie, come si può pretendere che poi non accada in una società più vasta, dove gli interessi sono economici e grandi e dove, naturalmente, il rapporto non è tra padri e figli, ma è tra estranei?
Ecco le difficoltà. E allora per superare queste difficoltà bisogna cogliere il momento giusto in cui una larga parte della popolazione è riuscita almeno a capire questo, e purtroppo le dittature possono essere capovolte soltanto da moti rivoluzionari, perché da un punto di vista pacifico è impossibile, e nessun capitolo della storia vi dirà mai che i dittatori abbiano abbandonato volontariamente il campo per instaurare una democrazia. C’è solo qualche rarissima eccezione. Dunque, come vedete, la situazione è la stessa. È questa e non si può mutare. Però rinunciare è male perché il principio della libertà è un principio di ordine universale.
Lo Spirito, vedete, è libero. Dio non fa sentire mai il peso della legge e dell’autorità. Lo Spirito è libero. Però egli sa anche che quando viene sulla Terra è per metà prigioniero. Se poi gli si toglie anche quella mezza porzione di libertà diventa completamente schiavo, e questo non è giusto. L’uomo è già schiavo dei propri pensieri, di se stesso, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti. D’altra parte, è un problema di cultura, non si può avere autocoscienza se non si hanno gli elementi mentali e culturali per giudicarla, questa coscienza. Oppure sarà un giudizio molto empirico che non avrà poi valore pratico dal punto di vista sociale.
D. – I partiti al governo, anche se di ideologie opposte, dovrebbero alternarsi perché, in fondo, il potere corrompe se stesso e gli uomini…
A. – Il potere e il successo rovinano gli uomini. Intendiamoci esistono molti tipi di dittatura, perché anche in un paese democratico può esistere la dittatura, se si pensa a quella che può essere una dittatura di tipo economico, per esempio. Colui che ha denaro indubbiamente agisce sempre in una certa misura nei confronti di colui che non ne ha. Chi dà lavoro è sempre colui che dà lavoro, mentre l’altro che lo riceve deve obbedirgli. Cioè esistono varie forme di dittatura anche in un paese democratico. Perché tu, che insegni in una scuola subisci una dittatura. E quale dittatura? I programmi che t’impongono di far studiare ai tuoi allievi. Questa è una forma di dittatura. Intendiamoci bene; la libertà assoluta è antisociale, sia ben chiaro. Perché se ognuno di voi che insegna in una scuola si mettesse a insegnare quello che gli passa per la testa, evidentemente la società avrebbe, direi, un soprassalto, perché si disarmonizzerebbe. Quindi esistono delle forme di dittatura che sono inevitabili.
Sono le dittature educative, per così dire, in genere, cioè quelle che in sé consentono i germi e le intenzioni del bene, e dunque bisogna accettarle perché fanno parte del gioco della vita, del gioco sociale e non si possono eliminare. È però chiaro che una dittatura autentica si configura in senso anzitutto economico. Colui che non ha niente è sempre schiavo perché dipende da colui che ha tutto, e finché vi sarà questa situazione si dovrà sempre parlare di dittatura anche se uno stato è democratico, perché appunto ha nel proprio seno delle opposizioni.
D. – Penso che questo sia inevitabile. Prendiamo in esame l’indole della persona umana. Se noi diamo uno stesso pezzo di terra a cento persone, noi vedremo che ognuno la lavorerà in modo e con impegno diverso, per cui, dopo un certo tempo, si sarà ristabilita una certa differenza tra di loro; uno avrà di più e un altro avrà di meno, e colui che non avrà nulla finirà col rubare a chi ha, o comunque dipenderà da colui che avrà lavorato di più.
A. – Anzitutto il tuo è soltanto un esempio teorico, perché sulla Terra non si è mai verificato che ogni uomo abbia avuto il suo pezzo di terra. Essendo teorico la conclusione è soltanto discorsiva. Però devo ugualmente darti ragione, perché ciò si verifica o si verificherebbe. Cioè tu dici, in fondo, che anche tra quelli che ce l’hanno già la terra, si verifica tutto questo: chi la lavora di più e chi di meno. Naturalmente il sogno utopistico di vedere tutti quanti sollevati dalla miseria può darsi che un giorno possa effettuarsi. Ma io non dico tutti quanti – almeno in una prima fase – diciamo almeno più della metà, diciamo almeno secondo una certa equiparazione di giustizia, un certo livellamento, per quanto possibile; poi, si capisce, chi riesce a coltivarla meglio, la terra, otterrà di più e chi peggio otterrà di meno, ma almeno dovrà imprecare soltanto contro se stesso e quindi già si sarà fatta almeno giustizia.
Dunque voi vorreste sapere, alla fine, che cosa si dovrebbe cercare di pensare per cercare di capire qual è la parte più giusta e qual è quella meno giusta. Io direi che, come sempre, sta dalla parte del giusto chi sta dalla parte dei poveri. È un principio cristiano, naturalmente. Chi sta dalla parte dei poveri, dalla parte di colui che comanda, sta sempre in una posizione più ambigua, perché sta dalla parte di coloro che opprimono.
Questo non significa che esistano buoni e cattivi da tutte le parti. Ma io direi che, in linea di principio, l’uomo deve stare dalla parte di coloro che soffrono di più. E allora bisogna fare una verifica. Esiste una parte che soffre? Se soffre perché patisce ingiustizie sociali, religiose, economiche ecc., bisogna stare con essa.
Voi mi direte che dalla parte delle ingiustizie vi sono tutte le ideologie, perché nessuna sembra stare ufficialmente dalla parte dei prepotenti, ma che tutte le ideologie si ispirano al benessere del popolo, alla pace del popolo. Tutti quanti dicono la stessa cosa. Ma vi sono ideologie già collaudate e ideologie non collaudate; allora bisogna studiarsele e vedere storicamente che cosa hanno prodotto, tenendo presente la situazione in cui operavano. Non bisogna fare l’errore di sovrapporre le ideologie ai vari stati, perché ogni stato ha una storia a sé che non può essere identificata con quella di un altro. Voi non potete applicare nel vostro paese l’ideologia di un altro stato, il sistema economico di un altro stato, perché avete un’altra impostazione territoriale, geografica, economica, e dunque ciò che va bene per un altro può non andar bene per voi. È come la famiglia. Riportatevi sempre al concetto di famiglia, perché uno stato è una grande famiglia; le leggi, i principi che vigono in una famiglia possono essere completamente diversi dai vostri e, pur sembrando più giusti, applicati alla vostra famiglia possono non funzionare più perché siete voi che siete fatti diversamente. Diciamo che, in fondo, sulla lunga distanza, ciascuno finisce col crearsi l’ideologia che merita o ha saputo meritarsi. Ma questo è soltanto un giudizio pesante.
D. – Un filosofo diceva che ogni popolo ha il governo che si merita…
A. – Sì, però questa è un’affermazione un po’ brutale. Molte volte il popolo non è in condizione di meritarsi niente, né il bene né il male, perché, appunto, subisce e non agisce, non ha alcuna possibilità d’azione, ma subisce soltanto quello che fanno gli altri. Portare tutti all’autocoscienza sarebbe una gran bella cosa, ma ciò implica dei pericoli che le classi dominanti cercano di evitare, per questo l’ignoranza ha sempre fatto comodo a tutti.
(Pagina bianca non numerata di fine fascicolo. – Nota del curatore.)