D. – Qual è la differenza, sul piano morale, tra Socrate, Giordano Bruno e Galilei, stante il fatto che i primi due hanno accettato la condanna a morte senza ritrattare e Galilei invece ha ritrattato le sue affermazioni? Evidentemente vi saranno state delle ragioni profonde del comportamento di Galilei. Quali possono essere state queste ragioni? Poi c’è anche da chiedersi: è sempre stato giusto spingere le cose all’estremo limite pur di rimanere fermi su di un principio, anche se questo si ripercuote negativamente sugli altri?
A. – (L’Entità Andrea qui necessariamente riformula la domanda secondo basi più logiche e coerenti di quanto non siano state poste nella domanda, la quale presenta chiaramente delle lacune di fondo. – Nota del curatore.). Cioè, è doveroso spingere agli estremi la perseveranza nelle proprie idee anche quando tale spinta comporta la morte? C’è, insomma, una sorta di eroismo nel sostenere il proprio credo? Risponderò, sebbene, in linea di massima, gli esempi siano puramente casuali: soprattutto il caso di Socrate, il cui esempio è perlomeno infelice, e quello di Giordano Bruno. In realtà, la morte di Socrate è stata storicamente intessuta di leggenda. La storia non sa come e perché morì Socrate. L’esempio dunque non è pertinente. Dirò ancora di più: la critica più raffinata mette in dubbio che Socrate sia esistito e, dal punto di vista della storia, della filosofia, è sembrato a tutti che Socrate non fosse altro che una invenzione di Platone. Egli lo avrebbe inventato per mettergli in bocca certi enunciati, procedendo secondo quel classico metodo filosofico che è la filosofia ateniese degli enunciati filosofici impostati sotto forma di dialogo. Quindi, dal punto di vista propriamente storico Socrate non può essere preso come esempio.
Questo per sgombrare il campo da una pregiudiziale importante. Che poi Socrate sia esistito o meno non è oggetto di questa domanda. Comunque resta il fatto, come esempio. Cioè a dire, supponiamo, secondo una tradizione non storica, secondo una tradizione mitica, che Socrate sia morto perché ingerì un veleno, che Giordano Bruno si sia spento sul rogo e che Galileo Galilei abbia evitato la morte o la tortura, o il carcere a vita, perché all’ultimo momento ritrattò. Al famoso processo del Sant’Uffizio egli pose l’abiura verso quanto aveva sostenuto scientificamente. La cosa c’interessa quindi sotto il profilo morale.
Anzitutto muterò l’accostamento. Non so se lo abbia fatto il buon M., o se lo abbia fatto l’autore di qualche testo che egli sta leggendo. Comunque stiamo sul piano morale, e su tale piano non si può rapportare un filosofo a uno scienziato, tanto per cominciare. Galileo Galilei fu soprattutto uno scienziato. Socrate e, in un certo qual modo, Giordano Bruno, furono dei filosofi. Socrate, che sia esistito o meno, fu un filosofo nel termine più vasto e profondo della parola e se vi si celasse Platone non ha ora rilevanza.
Socrate e Galilei non soltanto furono profondamente diversi ma, soprattutto, vissero in momenti storici diversi. La questione del momento storico è importante. In un giudizio critico non è possibile fare paragoni tra Socrate e Galilei; le condizioni della realtà storica, politica e religiosa dell’epoca di Galilei erano profondamente diverse da quelle dell’epoca di Socrate. Ora, la questione è che le condizioni di una realtà storica, politica, economica, religiosa, formano in un certo qual modo la personalità sociale dell’individuo, creando promesse e conseguenze sul piano delle applicazioni morali. La morale è una soltanto, è chiaro, e in un certo qual modo diventa eterna lungo l’arco della storia, ma a questa moralità si dà e si deve dare naturalmente un’interpretazione che non ne modifichi la sostanza, ma ne modifichi l’applicabilità. E questo perché un individuo possa sentirsi inserito nel momento in cui vive. Ora le condizioni storiche dell’epoca socratica erano completamente diverse da quelle dell’epoca di Galilei. Tanto per cominciare non esisteva una Chiesa precostituita sulla rivelazione, di fronte alla quale invece si trovò Galileo, in un momento particolare che era quello dell’Inquisizione, che colpì lo stesso Giordano Bruno.
Nel giudizio reale, uno scienziato che si trova ad aver coscienza del momento del tutto peculiare e provvisorio di una scienza in embrione, ha il diritto di mettere a repentaglio la sua vita per certi principi scientifici da lui propugnati ma che ancora non sono stati sottoposti al giudizio della prova e della verifica? Come accadde a Galileo Galilei? Cioè a dire, gli enunciati che facevano parte di una serie di scoperte, movimenti del sistema solare, sostanzialità materiale del Sole, per esempio, consistenza delle nebulose, avvicinamento dell’angolo ottico attraverso i primi cannocchiali, i primi telescopi, tutto ciò non era stato verificato quando Galileo fu chiamato in giudizio. Galileo poteva aver sbagliato, cioè a dire la sua sicurezza personale, non era garanzia presso se stesso. Galileo ne era persuaso, il tempo ha dimostrato che aveva ragione, ma allora egli era persuaso di una ragione che non era obiettiva, cioè a dire non era una ragione riconosciuta dagli stessi suoi colleghi del tempo, e le obiezioni che gli venivano mosse non erano state da lui stesso ancora del tutto risolte. Ora, si trattava di decidere se sostenere delle ipotesi scientifiche non ancora leggi sicure, oppure perdere la vita; in questo caso egli non avrebbe poi potuto proseguire i suoi stessi studi. Badate, questa linea di difesa non è provvisoria, ma bisogna aggiungervi un altro elemento ancora più importante: le valutazioni di coscienza che uno scienziato fa di fronte a ipotesi scientifiche non hanno e non possono avere lo stesso valore di enunciati o di credi filosofici. Il credo filosofico ha un valore interiore che trascende l’ipotesi scientifica e acquista una funzione dogmatica, una funzione filosofica che è implicitamente religiosa. Per esempio, si può dire (e un filosofo può dirlo) che Dio esiste oppure che non esiste.
L’affermazione del filosofo non si basa sempre su di una serie di linee, ma queste ipotesi, queste impostazioni filosofiche nascono anzitutto da una profondissima convinzione che può essere soggetta a verifica o meno, e che è un credo, una verità, e comunque – sia pure sbagliata – una presenza di natura spirituale che invade l’individuo fino alle radici e lo coinvolge, sia dal punto di vista cerebrale che dal punto di vista della sua personalità psico-spirituale. La convinzione diventa fede nella propria idea. Non si può verificare la stessa cosa nello scienziato. Lo scienziato non può avere una fede dogmatica, ma essa deve essere legata alla provvisorietà delle soluzioni e delle leggi che egli stesso trova. Lo scienziato sa bene che una legge non è mai definitiva, che una scoperta non è mai l’ultima, che altre scoperte sono insite nel principio che egli ha presente, e la scienza ha dimostrato come ciò si perfezioni, si ragguagli, si precisi ulteriormente col passare dei secoli. La filosofia no. La filosofia è rivestita di un carattere perenne; il carattere perenne è dato dalla funzione dogmatica che possiede un credo il quale, sistemato entro una certa metodologia, diventa cardine, elemento di fede con una sua struttura a carattere religioso, e l’idea filosofica assume così l’aspetto di una rivelazione trascendente che investe l’individuo fino alle radici.
Per un principio filosofico si può morire, perché è un principio di fede che ha la stessa forza d’urto di un principio religioso. Per un principio scientifico non vale la pena di morire, per una serie di ragioni che si possono esporre: la fede è un fenomeno intimo non sempre verificabile, quasi mai verificabile, ma esso può contenere una fortissima carica etica; per questa forza etica l’individuo si batte fino alla morte. Perché nella carica etica c’è un aggancio notevolissimo con la società, con il bene inteso in senso sociale, con l’ordine, con la parità, con l’amore, con principi che comunque assumono un aspetto sociologico, ma che possiedono sempre una carica innovatrice, stabilizzatrice di ordine morale. E la morale è una leva formidabile che può condurre alla morte. La scienza non possiede questo carattere direi quasi sacro.
Prima di tutto, la scienza è una forza che opera in un complesso di uomini i quali si servono non della fede ma della ragione, del cervello. Il cervello non è puntualizzabile, in quanto cosa, in un individuo, ma in un numero talvolta grande di individui. Ciò significa che un’azione scientifica può essere legata a un uomo, ma che è ripresa da un’altro. La morte di uno scienziato non segna la fine della scienza, ma segna niente altro che la fine di un uomo. La morte di un fondatore di religione, la morte di un principio morale legato all’uomo può avere vari significati ma, certo, l’azione filosofica, spirituale o religiosa di un uomo è legata a lui, e muore, finisce o si stabilizza con lui. Esempio: il Cristo, tanto per dirne una, Maometto ecc…
La morte di Cristo che cosa ha segnato? La fine di Cristo, la fine del Vangelo, non fine come estinzione del principio ma fine della parola evangelica. Cioè, materialmente, il libro del Vangelo si è chiuso a pagina “x” e non lo si può più continuare. In duemila anni nessuno ha aggiunto altre pagine al Vangelo, ma si è proceduto all’interpretazione, all’applicazione di quelle pagine. Il Vangelo è finito, si è circoscritto con Gesù Cristo. Come la filosofia di Giordano Bruno che è finita, che si è circoscritta. Si sono avute magari altre enunciazioni filosofiche, non so: lo spiritualismo o il positivismo hanno continuato entro una certa metodica, ma certi enunciati si sono chiusi, per cui si dice: qui incomincia e qui finisce Giordano Bruno, qui finisce e qui incomincia Gesù Cristo, ma non si dirà mai qui comincia e qui finisce la medicina, pensando, non so, a Ippocrate o a qualcun’altro, perché c’è una continuità tra gli uomini di una stessa disciplina.
La scienza non è legata all’uomo, ma ha una sua forza autonoma, così come la filosofia ha una sua forza autonoma, ma non quella filosofia. Cioè, quella impostazione metodologicamente originata in un certo modo è metodologicamente chiusa da un certo limite. Poi ci sono le Scuole, si sa, ci sono i discepoli i quali possono coltivare, possono rovinare anche, ma in ogni caso si tratta sempre di qualcosa di diverso. I discepoli non riproducono mai il Maestro. Il Maestro nel senso filosofico è una guida spirituale. Per queste cose si può morire, talvolta si deve morire come è morto Bruno, come è morto Cristo; si deve morire, ma per la scienza no, non si può chiedere a uno scienziato di morire. Lo scienziato può dire: “Benissimo rinuncio, rifiuto, va bene, avete ragione voi”. Che cosa conta? Chi ha capito il valore e il significato della scienza sa che se c’è una verità nella materia quella verità altri la riprenderanno.
Poi, nell’epoca scientifica iniziata, per così dire, da Galileo, si sapeva che in quel momento essa era provvisoriamente legata alla negazione da parte dell’Inquisizione. Ma Galileo sapeva bene che altri lavoravano nella stessa sua corrente, sapeva bene che altri avevano abbracciato le sue dottrine. A cosa gli avrebbe giovato la morte? Altri avrebbero poi propugnato le stesse cose. Se lui fosse morto altri le avrebbero ripetute. Perché legarsi alla morte? Questo, come ragionamento, come impostazione generale della questione. Se poi mi si chiede se Galileo ebbe paura. Bene, guardate, non c’è uomo che non abbia paura e che non abbia avuto paura davanti alle tremende torture dell’Inquisizione. Sarebbe quindi sbagliato presentare Galileo come un uomo che, davanti al tribunale del Sant’Uffizio, si mostrò con cuore fermo, a un ritmo normale, sarebbe davvero puerile e sciocco supporre che egli, uomo, non abbia temuto la morte in quei terribili momenti.
Certo, Galileo ebbe paura. Galileo non era un guerriero, non era nato per combattere su di un campo di battaglia, per restare impavido davanti ai nemici, era un uomo come tanti altri. Certo che ebbe paura, come ebbe paura Gesù Cristo davanti alla croce. Perché non doveva allora averla Galileo che non era certamente all’altezza di un Gesù Cristo? Ma – si dice – Giordano Bruno non ebbe paura. Non è vero. Ebbe paura anche Giordano Bruno, ma egli aveva un’altra fede che Galileo non poteva e non doveva avere, anche perché il suo era un altro destino. E chi non ha paura di morire bruciato? Se vedete il fuoco di una candela davanti alle vostre dita voi le ritraete impauriti. Certo che tremò, Giordano Bruno tremò. Ma questo che significa? Non significa niente: aveva fede in se stesso, nelle proprie idee, potevano essere sbagliate o meno, ma erano idee che avevano un contenuto morale.
C’è chi nasce con la vocazione del sacrificio e c’è chi non vi nasce. Sotto il profilo morale si può dire che l’uno è stato un coraggioso e l’altro un vigliacco. L’essere coraggiosi però non sempre è una virtù, come anche l’essere vigliacchi è a volte una dote. Si nasce coraggiosi o si nasce vigliacchi, non è colpa propria tremare oppure essere cinicamente freddo. È, direi, una costituzione della personalità, è un particolare aggiustamento di natura psichica, del sistema nervoso. C’è chi trema semplicemente a vedere un ago per iniezioni e c’è chi non trema davanti a un pugnale, non dipende dalla propria volontà. Però davanti a certe situazioni hanno tutti paura, perché l’aver paura è un dato umano.
D. – Ma quando si ha una famiglia, a parte la paura, penso che si abbiano anche dei doveri, e se si tratta di mettere a repentaglio la propria vita… Questo era il caso di Galileo e non quello di Giordano Bruno…
A. – Naturalmente, anche questo gioca un ruolo importante. La questione della famiglia ha la sua importanza. Tuttavia vi sono taluni i quali potrebbero dire che, a un certo punto, di fronte a certe verità, la famiglia non conta. Bene: in genere dicono queste cose coloro che non hanno famiglia. È molto facile parlare, bisogna trovarsi in quelle situazioni! A parte quella del dovere, è anche una questione di affetto e non bisogna dimenticare che l’uomo resta profondamente uomo. Non basta dire: il Cristo compì lo stesso sacrificio. Il Cristo, tanto per cominciare, non aveva una famiglia, tranne la madre. Ma qualcuno potrebbe ancora dire: se il Cristo avesse avuto dei figli sarebbe andato a morte lo stesso? Chi lo sa? Io non saprei dare una risposta. Naturalmente il Cristo era quello che era, probabilmente sarebbe morto lo stesso. Si dice: tanta gente muore per un ideale e ha una famiglia; è vero, ma è diverso. È diverso morire in battaglia, direi, essere colti anonimamente dalla morte; c’è sempre la speranza di sopravvivere, di non morire, mentre altra cosa è decidere volontariamente di andare a morte. Comunque ci sono gli eroi per questo, ma l’eroismo, naturalmente, non è una dote che si pretende necessariamente nella santità. E questo lo dice anche la teologia. Infatti, non è necessario che ci sia l’eroismo nella santità, anzi, quasi sempre la Chiesa riguarda con sospetto l’eroismo nella santità. Sì, può rappresentare una dote positiva; talvolta l’eroismo finisce con l’aiutare l’affermazione di certe verità, ma questo non era il caso di Galileo il quale non stava che discutendo di ipotesi o di ricerche scientifiche in cui l’elemento morale vero e proprio non aveva mai avuto modo di affermarsi come elemento autonomo. Questo è quanto io credo di poter dire su tale questione.
D. – Sul piano scientifico come potè la Chiesa opporsi a Galileo?
A. – Con un altro metodo pseudo-scientifico il quale, a sua volta, non era collaudato e comprovato, non soltanto, ma con un metodo scientifico che non aveva alcun riferimento con la teologia tomista, tanto per dirne una, o con la rivelazione evangelica. Cioè, in fin dei conti, né il Cristo, né San Tommaso d’Aquino avevano detto cose tali da far ritenere che Galileo avesse torto. Questo è un punto. L’altro punto è che, naturalmente, l’Inquisizione politica si manifestava attraverso il terrore. Questo semmai è il punto cruciale, perché Galileo poteva anche sbagliare ma, facendolo epurare, gli veniva sottratto un principio di diritto quale era la libertà di cui è depositario ogni essere umano in quanto tale. Privandolo di tale diritto la Chiesa operava una coercizione che non era di natura teologica, ma di natura politica. Questo è stato l’errore più grave della Chiesa. Ma, comunque, questi erano i tempi. la Chiesa si trovò coinvolta certamente in un processo storico più grande di lei, si trovò in una situazione che rappresentò certo un dramma per la Chiesa stessa, perché quel periodo ha dato inizio a un’epoca materialista.
Prima di allora certi problemi, o l’ateismo stesso, erano in minoranza, esistevano gli atei, ma dopo, vi fu la rivoluzione ateistica che coincise stranamente con Galileo, cioè a dire con l’inizio del movimento tecnicistico, scientifico, con l’applicazione del metodo sperimentale che era naturalmente, implicitamente, un metodo positivista e che, nella sua estensione, complicava la stessa impostazione teologica. Indubbiamente, se non vi fosse stata a quell’epoca l’Inquisizione, specialmente in Italia e in Spagna, probabilmente vi sarebbe stato un periodo positivista, perché al di là della storia del Cristianesimo, ma smorzato, meno acceso. Ma, d’altra parte, se non vi fosse stato l’avvento galileiano, seguito dall’epoca scientifica, probabilmente la Chiesa avrebbe continuato nel suo errore chissà per quanto tempo. L’epoca del terrore sarebbe continuata, invece la Chiesa si trovò poi a dover rinnegare sé stessa davanti a principi astronomici che ormai erano palesemente dimostrati.
Ignorare l’avvento della scienza avrebbe quindi significato per la Chiesa mettersi in minoranza. Cosa fece allora? Non potendo dire: abbiamo torto e avete ragione voi, adottò la politica del silenzio, che fu un altro errore gravissimo perché distaccò la Chiesa dal popolo, distacco che è avvenuto lentamente, lungo un paio di secoli. Per ripristinare il dominio della Chiesa (e siamo ai vostri giorni, naturalmente) sull’anima si dovette far ricorso a quell’altra infausta decisione del vostro terz’ultimo Pontefice con l’avvento della Chiesa mariana (Il riferimento sarebbe rivolto a Papa Giovanni XXIII, qualora si tenesse conto del brevissimo papato di Papa Luciani, ma non è univoco data la precedente forte influenza verso il culto mariano di Pio XII, e forse è proprio a questo Pontefice che ci si riferisce. In effetti si tratta di una situazione certamente più allargata e complessa, che risente anche delle apparizioni del XIX e XX secolo e della dogmatica specifica posta in essere riguardo alla figura di Maria. – Nota del curatore.), la quale ereditava in un certo qual modo quel distacco che si era verificato nella Chiesa stessa, mentre tentava di riprendere il dominio delle masse, adottando il secondo termine della natura, l’elemento femminile racchiuso nella figura di Maria, della Madonna, e anche questo non era altro che un ripiego, una decisione quanto mai sbagliata dal punto di vista storico, teologico ed evangelico, perché in tutto entrerà Maria, fuorché nell’Evangelo, naturalmente!
Quella di Maria è una figura completamente estranea al Cristianesimo. Vi sono errori di questo genere, errori addirittura di metodo. Questo per restare in una discussione puramente di metodo, senza voler minimamente negare quella che è la figura di Maria, quella che è la figura del Cristo. L’errore è di volersi legare ad altre epoche storiche perdendo di vista il carattere astorico che la religione deve avere, cioè al di sopra del tempo e delle contingenze, per non dire delle beghe politiche in particolari momenti della vita dell’umanità (Sulla questione mariana vedere “Il Cristo vero” di G. di Simone, Ed. Mediterranee, Roma, 1975, parte 3, pagg. 143 e segg. – Nota senza riferimento.).
Oggi, indubbiamente, la Chiesa non può rifiutare la scienza. Rifiutarla oggi sarebbe un errore che si pagherebbe a prezzo carissimo. Allora, voi vi trovate di fronte a una Chiesa la quale accetta la scienza, l’incoraggia, non può farne a meno. Non è una conquista della Chiesa, è una sua necessità (Di fatto l’accettazione è però fatta con molti distinguo di tipo religioso o teologico su temi come l’evoluzionismo, la fecondazione, oppure con visioni nettamente oppositive come nel caso delle pratiche contraccettive. Questo atteggiamento si è sviluppato in larga parte in prese di posizioni posteriori a questa comunicazione, e in tempi a noi molto vicini. – Nota del curatore.). È comunque un fatto positivo e necessario. Oggi la Chiesa non ha più strumenti per lottare contro la società. La società, oggi, è sfuggita al suo dominio, ma questo è un dato tuttavia pericoloso, bisogna dirlo. Nonostante gli errori politico-storici di metodo della Chiesa, il fatto che la società le sia sfuggita è un dato pericoloso, perché la società non le è sfuggita solo sul piano politico, ma anche sul piano spirituale, è questo il pericolo. Cioè a dire, l’uomo non ha saputo dissociare le due cose e ciò ha creato un materialismo il quale, negando ogni valore alla religione, ha messo da una parte i principi della religione e dall’altra quelli sociali. Questo è male, perché, pur facendo parte della società, l’individuo ha un’anima e dev’essere regolato da certi principi spirituali, che non sono sociali ma esclusivamente spirituali. Tale confusione fa anche parte delle responsabilità della Chiesa, la quale non ha costruito un’etica sganciata dalla sociologia, ma ha fatto della sua etica un modulo sociologico. Questo è un errore, perché i principi del Cristianesimo possono vivere in qualunque società politica. Sono le teoretiche politiche che non possono convivere con i principi del Cristo quando, per esempio sono materialistiche. Ma questo è un altro discorso.
D. – Prima di Galileo esisteva qualcosa di simile al cannocchiale, come qualcuno afferma?
A. – Era stato costruito un rudimentale apparecchio, un principio di cannocchiale che tuttavia non fu mai usato, non fu mai applicato per scopi scientifici.
D. – Galileo ne era a conoscenza?
A. – Sì, egli ne era a conoscenza, tuttavia il cannocchiale fu costruito indipendentemente da questo, anche se Galileo sapeva che c’era qualcosa del genere. Il suo cannocchiale fu costruito in maniera del tutto nuova e fu da lui applicato per la prima volta a uso investigativo. A me pare anche di ricordare questo: che cioè vi era questo strumento, ma non ricordo il nome di chi a quel tempo aveva fatto quella specie di apparecchio che non fu mai usato. Fu costruito questo aggeggio e fu tenuto un po’, così, perché non si sapeva bene come perfezionarlo, come precisarlo, come tararlo, e quindi è difficile a questo punto poter stabilire un’effettiva paternità dell’invenzione 1. Dal punto di vista scientifico, dal punto di vista della taratura di questo apparecchio, dal punto di vista proprio della costruzione e dell’applicazione, fu senz’altro Galileo che l’introdusse.
1 L’affermazione del Maestro Andrea è corretta in quanto verso la prima decade del 1600 vi furono diverse richieste di brevetto in Olanda per un apparecchio simile al cannocchiale. Quello che è certo è che un ottico tedesco naturalizzato olandese, tale Hans Lipperschey nel 1608 costruì una sorta di cannocchiale il cui uso non fu mai definito. – Nota del curatore.