Perfezione della sostanza e perfezione della conoscenza nello Spirito

spirito

(“Comunicazione” del marzo 1960. – Nota senza riferimento. – Nel testo posta originariamente a piè pagina. – Nota del curatore).

D. – Perché Dio non ha creato lo Spirito già perfetto, risparmiandogli l’incarnazione?

A. – Anche questo è un vecchio problema, molte volte affrontato, molte volte discusso, che comunque ha sempre lasciato, devo dire, qualche sorta di dubbio o di perplessità, perché sembra impossibile – da parte umana – conciliare una sovrana, eccelsa bontà di Dio, con i disquilibri propri della vita sociale e, dal punto di vista dell’essere umano, con le sue sofferenze, i suoi disagi, le sue lotte continue, da quando nasce a quando muore.

In realtà, però, se poniamo di fronte a Dio l’essere umano incarnato, e lo poniamo, questo essere umano, con tutte le sue limitazioni, è evidente che il conto non torna e non torna, logicamente, perché è troppo grande la differenza tra un infinito assoluto e un essere limitato qual è l’individuo vivente. L’uomo, con i suoi dolori, le sue sofferenze, con un’anima incarnata, ma comunque sofferente, sembra troppo lontano da questo Dio definito di misericordia, di grandezza, di bontà ecc.

In realtà, Dio poteva creare uno Spirito perfetto? Ma la perfezione voi la riguardate sotto un punto di vista falso. La perfezione che Dio avrebbe dovuto dare allo Spirito, avrebbe dovuto essere per voi una infinitezza interiore e, soprattutto, una serie di capacità tali da indurre questo Spirito, anche da incarnato, a eliminare da sé il dolore: tutto il discorso si riduce a questo. Dio avrebbe dovuto eliminare il dolore assegnando a questo Spirito, tra le mille facoltà, tutte quelle capaci di superare in Terra gli ostacoli, di vincerli. Anzi, per meglio dire, di non affrontare affatto gli ostacoli.

Guardate, bisogna distinguere, evidentemente, la Terra in sé, per quello che può dare, la natura per quella che effettivamente è, e l’umanità vivente nella natura per quella che è. Non c’è alcun dubbio che l’uomo, dal suo punto di vista elementare, non si trovi affatto davanti agli ostacoli e che gli ostacoli nascano nell’uomo stesso. In ogni caso, non è la Terra come abitacolo, non è insomma la natura come circondario dell’uomo che provoca o che origina gli ostacoli, ma è l’uomo che li ritrova in sé, nella sua smania di salire, di modificarsi, di ergersi al di sopra di qualche cosa, e di se stesso e sugli altri. È nella lotta che l’uomo crea nella vita, non sempre per la vita. L’uomo, allontanandosi dall’estremamente semplice e dal necessario, crea gli inviluppi, i tentacoli nei quali si rigirerà dopo inutilmente e dei quali tentacoli assegnerà a Dio la responsabilità. Tuttavia una cosa è da considerarsi obbiettivamente e cioè che, comunque vadano le cose, è evidente che l’uomo in Terra nasce almeno con elementi costituenti la sua essenza tali da indurlo a originare quel caos che poi combina e non c’è alcun dubbio che tutto questo ha un significato spirituale. Se è vero che l’essere umano vivente si diversifica dalla bestia, se ne diversifica per alcuni caratteri che sono principalmente quelli atti a organizzarsi in un particolar modo, corrispondente alla propria intelligenza, alle proprie capacità, alle proprie tendenze, ai propri istinti. Ora, se queste tendenze esistono e se, in conseguenza di queste, l’uomo si trova inviluppato nei meandri di quello che egli stesso fa, in fondo, questo ha un significato spirituale.

L’anima è perfetta dal punto di vista universale, noi non possiamo infatti dire: l’anima è imperfetta e per raggiungere la perfezione deve passare attraverso il calvario del dolore. L’anima è perfetta! La perfezione non dobbiamo però intenderla a uso umano o con mentalità umana. Perché se così intendiamo la perfezione essa ci sembrerà non esistente. In realtà, la perfezione dell’anima o dello Spirito, per meglio dire, è una perfezione che riguarda la sostanza e non la forma. La disposizione della forma è quella che poi dà il dolore, la lotta ecc. Questa disposizione nasce dall’uso che l’essere fa dei poteri che gli sono stati conferiti: l’intelligenza, la libertà, la volontà, la capacità ecc., e da quest’uso nasce il concetto di forma. Con l’adeguamento al mondo delle idee circostanti e alla realtà circostante, è nel modo con cui egli Spirito interpreta questa realtà, in conseguenza della libertà che origina dentro di sé i traumi spirituali, che vengono chiamati dolore, in Terra, accentuati evidentemente per il concorso della materia.

Intendiamoci, se noi affermiamo che Dio è infinito, eterno e assoluto, possiamo dire che Egli ha conferito alla sostanza costituente lo Spirito i Suoi attributi. Lo Spirito è dunque eterno, infinito, assoluto, da un punto di vista diverso da quello che può intendersi per Dio, ma è comunque eterno e infinito, il che vuol dire sempre che, tra l’infinito eterno di Dio, e l’infinito eterno dello Spirito, nel mentre esistono termini di somiglianza, esistono però anche “infiniti” invalicabili. E questo deriva dalla stessa struttura infinita degli elementi costituenti lo Spirito e da quelli costituenti la Sostanza divina. Dio, infinito ed eterno, nella sua sostanzialità non ha potuto che conferire nell’atto creativo, ossia nel passaggio dall’Idea all’Atto, gli attributi suoi medesimi, dando allo Spirito caratteri infiniti ed eterni. E non poteva essere altrimenti, perché ciò che da Dio deriva è infinito ed eterno, come Egli è infinito ed eterno nella sua Realtà. Ora, posta la questione su queste basi, è evidente che questo Spirito, trovandosi in una posizione carente e confluente verso quella divina, non poteva

che dar vita a una sua propria libertà. Dio, se ha creato lo Spirito, ha creato contemporaneamente l’”ente” Spirito, e non è possibile dissociare le due cose: o lo Spirito è stato creato e allora ha una sua personalità, è un essere personale infinito, eterno, immortale direste voi; oppure Dio non gli ha conferito la personalità e il problema cade da sé.

Ma se Dio ha conferito una personalità bisognava pure che a questa personalità desse il principio di individualità e che l’individualità e la personalità agissero poi nel prosieguo dell’eternità, secondo direttive particolari, intime, scaturite proprio come conseguenza logica del concetto di personalità che è tale quando ammette in sé il principio di Libertà. Che poi quest’anima viva secondo una certa dirittura, ossia secondo uno schema, direi quasi geometrico, della legge universale, questo è un altro discorso. Ciò non toglie che dentro questa intelaiatura universale lo Spirito si muova secondo una certa libertà.

Ora, il fatto che lo Spirito abbia ricevuto da Dio (e sia tale proprio per questo conferimento) individualità e personalità, una personalità la quale vive una sua vita propria, anche se, per la natura stessa della sostanza tende a Dio, questo non poteva essere disgiunto dall’uso che di tale libertà lo Spirito avrebbe fatto. E la libertà, associata all’intelligenza, intanto può essere considerata soltanto quando ha la facoltà di poter liberamente interpretare, di poter liberamente agire, secondo un proprio indirizzo valutato o valutabile in base a esigenze varie e molteplici, esterne e interne. Ora, se togliamo allo Spirito la libertà, è evidente che gli togliamo l’attributo fondamentale: un essere che non è libero non è un essere, non è altro che un punto, una pietra in mezzo alle pietre, non ha una sua individualità, non può evidentemente essere intelligente. D’altra parte, io non potrei definire intelligente, per esempio, questo apparecchio che trasmetterà poi la mia voce, in quanto esso riproduce fedelmente, come un’eco. (Nota del curatore: Il Maestro si riferisce con ogni probabilità al registratore in funzione nella seduta.).

In pratica, lo Spirito, se non dovesse manifestare da sé quanto è stato liberamente concepito e assimilato, null’altro sarebbe se non un amplificatore. In realtà, uno Spirito “amplificatore” cessa di essere Spirito e diventa nient’altro che un’energia che agisce come un elemento di ponte, quindi non avrebbe alcuna ragione di dirsi Spirito. Siccome noi parliamo di Spirito di un essere intelligente, di un essere eterno, di un essere che aspira a Dio, di un essere che vive, che soffre, che si tormenta, che lavora, ebbene questo Spirito è uno Spirito intelligente e per essere intelligente deve essere uno Spirito libero. Lasciamo andare se questa libertà è proporzionata al suo valore spirituale, a quella che è la qualità, la sintesi della qualità che ha dentro di sé; egli comunque si muove, sia pure in uno schema, con una sufficiente libertà e questo gli assicura la possibilità d’interpretare il mondo obbiettivo secondo una diretta ispirazione dal mondo soggettivo, creando quindi dei rapporti molteplici di scambio. Ma questa libertà che è nello Spirito dimostra l’esistenza dell’essere in sé.

L’individualità?… Com’è possibile disgiungere l’individualità dalla personalità? Un essere è individuale in quanto è uno, nel suo genere. In realtà, mancando il principio d’individualità, avremmo un principio d’identità tra gli Spiriti, il che annullerebbe la personalità: un essere è personale quando è unico nel suo genere.

Un essere è individuale quando è unico nel modo di manifestare questa individualità, ossia la personalità, donde se è possibile disgiungere, su di un piano puramente dialettico, le due forze, su di un piano unitario – qual è quello della concezione che dello Spirito deve aversi – non è più possibile farlo. E dunque l’individualità finisce con l’essere una caratteristica fondamentale della personalità.

Ma la personalità e l’individualità non sono concepibili se non esiste un modo di manifestarle. Ecco dunque la necessità dei caratteri intelligenti. Ma, l’intelligenza, la personalità e l’individualità, non potrebbero che decadere se non esistesse il principio della libertà, e il principio della libertà nell’intelligenza, nella personalità e nell’individualità, resterebbe un elemento statico se non sussistesse la molla della volontà, ossia l’attitudine dinamica, l’attitudine, forzata o meno che sia, caratteristica della sostanza spirituale, che tende a un divenire, ossia che è un moto. Dal punto di vista universale il moto rappresenta l’energia; dal punto di vista dello Spirito rappresenta la molla della volontà. Senza questa dinamicità, senza questo moto, lo Spirito finirebbe con l’essere un elemento statico e il tutto crollerebbe.

La necessità della concomitanza di queste forze porta alla conclusione che questo complesso così originato da Dio, perfetto nelle sue caratteristiche, perfetto nei suoi ingranaggi, è, tuttavia, un elemento direi quasi vergine. Qui entra nel discorso un’altra considerazione: questo elemento chiamato Spirito, Dio doveva necessariamente costituirlo vergine? Non poteva dargli già tutta la sapienza?

Vedete, supponiamo che Dio avesse dato tutta la sua sapienza a questo Spirito, dicendo quindi nel gergo vostro che lo avrebbe fatto “felice”. Potrei intanto obbiettare che sarebbe una ben magra felicità quella acquisita così, senza alcun onere, senza alcun lavoro, senza alcun merito. In realtà, non so se lo Spirito avrebbe dovuto, in quel caso, sentirsi degradato, oppure veramente felice. È una considerazione importante, ma tralasciamola. Noi abbiamo detto che Dio non poteva che conferire taluni caratteri. Se Dio avesse invece conferito a questo Spirito anche gli attributi di infinito, di eternità ecc., e se gli avesse conferito anche gli altri attributi della potenza, della sapienza, della saggezza, Dio avrebbe creato un altro se stesso! non c’è alcun dubbio! Egli non avrebbe fatto altro che trasferire in una immagine tutto se stesso. Ora, che cosa sarebbe avvenuto? Egli avrebbe creato nient’altro che un numero infinito di dei della sua potenza, e non solo della sua potenza, ma anche della Sua tendenza, con le Sue caratteristiche. Egli non avrebbe fatto altro che moltiplicare se stesso. E quale sarebbe stato il senso di questa moltiplicazione? Nessuno! In realtà, lo Spirito sarebbe sempre stato sottratto alla creazione, infatti, in quel caso non avremmo potuto più parlare di creazione di anime, ma solo di “moltiplicazione” di Dio. Era dunque necessario che gli esseri creati, onde poter riconoscere i segni di una felicità, conquistassero questa felicità, e onde poter riconoscere i segni di questo equilibrio universale, questo equilibrio conquistassero. Fu dunque necessario, da parte di Dio, che gli Spiriti – questi esseri creati – potessero avere poi nozione di Lui, per essere felici di questa visione, creandoli inferiori?

Certo, se Dio avesse moltiplicato se stesso non potremmo parlare di creazione, ma di moltiplicazione di Dio. Che esistano un Dio, due dei, tre dei, tutti uguali tra di loro, badate bene è un non senso. Un Dio infinito più un altro Dio infinito, eterno, buono, intelligente, caratteristiche tutte della stessa potenza, che cosa ci dà? Ma, infinito più infinito dà infinito. Dio infinito più Dio infinito uguale a Dio infinito. In realtà, essendo sempre Dio a rappresentarsi in modo infinito e costante, attraverso una scissione della sua Realtà, noi avremmo constatato (per assurdo, noi non l’avremmo più constatato, evidentemente, perché non saremmo stati creati) che questo Dio non avrebbe fatto altro che specchiarsi in se stesso. Ma quale assurdità c’è in questo discorso? È che, in realtà, Dio – se vuole – entro di sé proietta se stesso. Voi praticamente vi guardate allo specchio, l’immagine che è nello specchio è la vostra immagine. Se voi chiudete gli occhi non riuscite forse a rappresentarvi idealmente? Non vedete voi stessi, con gli occhi chiusi? Vi vedete certamente. Ora, Dio non ha necessità di operare una moltiplicazione stabile, direi quasi, e statica di se stesso, in quanto Egli si ritrova in potenza e in caratteri infiniti ed eterni, in ogni singola particella costituente la Sua sostanza. Questo comunque è un altro discorso più complesso ed è inutile che l’affrontiamo.

Dico ora questo: che la necessità da parte di Dio era di creare, non degli dei identici a se stesso, ma degli esseri intelligenti i quali potessero avere tutte le caratteristiche utili a risalire verso di Lui e, nel contempo, avere a disposizione tutto quanto poteva essere necessario per acquisire giustamente e logicamente caratteristiche di natura universale, per potere in qualche modo rendersi compiutamente utili sul piano dell’economia universale. Poteva Dio farli già felici e farli partire da quella felicità per conquistarne magari un’altra più grande? Che ne sapete voi? In realtà, voi giudicate sul piano della Terra. Che ne sapete voi se non siete già felici in Spirito e vi torturate, oggi, semplicemente perché non avete saputo o voluto riconoscere i segni di una vita equilibrata e tranquilla, e vi lasciate predare dalla materialità che vi circonda? In fin dei conti, scusatemi, non è forse proprio attraverso la sofferenza, attraverso gli ostacoli, attraverso le umiliazioni, che voi vi accorgete degli errori, che vi accorgete di un altro mondo che vi circonda, che vi accorgete di tante necessità spirituali, che riparate ai vostri errori? Non è forse questa la molla per capire?

Lo stesso accade al vostro corpo. Se voi non aveste un sistema nervoso il quale permettesse, quando un organo è affetto da malattia, di rivelare questa malattia attraverso il dolore, morireste senza avere neppure l’opportunità di capire di che cosa siete veramente morti. Il vostro corpo non è altro che un rivelatore e il sistema nervoso attraverso il dolore, vi dice: quest’organo è ammalato. Se non aveste il dolore ve ne accorgereste dell’organo ammalato? No di certo. E cosa succederebbe allora? Quell’organo vi porterebbe a morte. E invece no, avendo il dolore voi correte ai ripari, prendete le medicine, oppure cambiate sistema di vita, cambiate alimentazione. Ecco, è un segnale d’allarme, il dolore del vostro corpo. Nel segnale d’allarme dello Spirito è anche il dolore. È un dolore spirituale che vi dice: alt, stai sbagliando!

Vorreste eliminarlo questo segnale d’allarme? E dove andreste a finire? Quando gli uomini sono affetti da alcune malattie come, per esempio, dalla lebbra o da altre, e perdono la sensibilità, che succede? Sono essi fortunati? Dovrebbero essere chiamati fortunati, essi non soffrono più, si sono desensibilizzati. Ma no, essi sono ammalati gravi, possono morire da un momento all’altro senza accorgersene, perché la soglia del dolore è stata distrutta. Ebbene, vorreste altrettanto per il vostro Spirito? E quale elemento avreste per capire i vostri errori se non esistesse questo segnale d’allarme che scatta dentro di voi? Vedete, non è soltanto la fede che deve condurvi a questo. Partite da una constatazione umana. Se il corpo quando è ammalato vi dà una sofferenza materiale, quando la sofferenza non è materiale, ma è di natura mentale e spirituale, vuol dire allora che ammalato è lo Spirito. Per analogia ne deriva questo.

Se eliminassimo anche questo dall’uomo sareste veramente delle vele sperdute nel mare, senza alcuna bussola: il dolore è la bussola, vi dà la direzione giusta, vi fa rettificare gli sbagli. Ora, tutto questo, lungi dall’essere una pena per l’uomo, è invece una cosa molto utile. Il dolore vi dà la possibilità di capire l’errore, di rifare il cammino, di riparare, perciò vi diciamo: ben venga il dolore, quando deve venire. Esso infatti non è necessario, voi potreste anche non soffrire. Se soffrite è sempre perché avete sbagliato, avete sbagliato voi, non hanno sbagliato gli altri; voi non pagate le sofferenze degli altri. Dio non obbliga a soffrire, Dio non ha stabilito, attraverso la sua legge, di farvi soffrire, no, Dio ha fatto una legge armonica, perfetta; ha creato questi Spiriti e ha detto: <<Vivete in questa legge, se sbagliate soffrite, ma siete voi stessi che vi create la sofferenza, non ve la do io, ve la create perché – sbagliando – vi accorgete di essere su di una falsa strada, e basta accorgersene per soffrire di questo sbaglio che riduce e rallenta, in qualche modo, la vostra pace e il vostro cammino…>>.

D. – Ma quello che ci avete detto è conoscenza terrena o è conoscenza acquisita in una condizione speciale?

A. – Anzitutto, rivolgendoti a me, ti rivolgerai col tu, preferibilmente.

In secondo luogo dirò questo: la conoscenza che dimostro non è poi affatto eccezionale, non ho detto niente di difficile e anzi ho tralasciato a bella posta alcuni passaggi complessi, altrimenti non mi avreste seguito completamente.

La maggior parte della conoscenza, per quanto riguarda il mondo extra-terreno, è stata acquisita oltre la vita, è evidente, la vita mi è servita a inquadrare certi problemi, l’altra mi è servita per perfezionare le conclusioni, per verificarle, per ampliarle, per completarle. Dalla vita si può acquisire molto, moltissimo, se si sa usare anche un po’ di Spirito e non ci si abbandona alla materia, ma oltre la vita si ha la possibilità di perfezionare, di capire gli sbagli, d’impostare le questioni in un altro modo: è un lavoro di revisione totale di quello che si credette in vita. Tutto quello che, naturalmente, può essere impostazione tecnica, di cultura specifica, è riportato dalla vita, perché mentre nel nostro mondo si acquisisce la sapienza (e dipende sempre dall’evoluzione), la perfezione dei concetti, la visione più ampia, quelli che invece sono elementi culturali e che entrano nell’impostazione del dialogo, non vengono acquisiti in un’altra vita, anzi, al contrario, si perdono. Da noi non ci si parla in questo modo, non si dialoga, per esempio, coi vocaboli, con i riferimenti tecnici, filosofici, storici, no, questo non viene più usato. È una saggezza scarna che riguarda l’essenziale. Nella mia conversazione attraverso il sensitivo, si crea una immedesimazione nella forma e allora si riprende un po’ l’aspetto umano, quindi anche i modi di dialogare, i caratteri che rientrano un po’ nella cultura d’impostazione tipicamente umana. Voi non potreste altrimenti seguirmi se dovessimo soltanto esprimerci secondo i termini scarni dell’essenziale, non potreste seguirmi: il discorso ha bisogno di essere diluito in una forma culturale, parlata, per essere seguito>>.