(La comunicazione nel testo originale appare autonoma, non compare cioè una domanda specifica riguardo al tema trattato. – Nota del curatore.)
A. – … L’antico motto di Delfo è naturalmente ancora valido, perché il “conosci te stesso” non riguardava evidentemente la materia, questo lo sapete: quindi la Biologia, la Fisica e tutte le altre discipline collaterali possono indubbiamente illuminare appieno sulla struttura dell’essere umano, come’è fatto, come si evolve, nasce o muore; ma non dirà mai – la disciplina scientifica – come l’uomo è fatto in quella parte non visibile che si esprime attraverso la parte visibile.
Ed è dunque su questa parte invisibile che si indirizza il significato dell’oracolo di Delfo. Perché è soltanto la conoscenza interiore, profonda, di sé stessi che può consentire di risalire ad altri misteri, e quindi di conoscere l’Universo e Dio (come io completo l’oracolo di Delfo…).
Naturalmente, non è che la conoscenza della materia non possa essere altrettanto necessaria in certi casi, perché si può avere una conoscenza completa e quindi maggiore di sé stessi, conoscendo anche la maniera in cui si è fatti. Però, poiché quello che interessa sono i significati al di là della coscienza, profondi, misteriosi echi che si muovono in quella struttura organica, è soltanto attraverso un ripensamento di sé stessi, una rimeditazione di sé stessi, che si può risalire a tutto l’Universo, e perché?… Perché ciò di cui siete fatti “dentro” corrisponde, come struttura e qualità, a ciò di cui è fatto l’Universo spirituale: così come naturalmente, ciò di cui è fatta la materia vostra propriamente detta corrisponde in qualche modo anche a certe leggi di carattere più universale.
Si vuol dunque dire che, attraverso l’analisi degli aggregati, dei complessi organici e spirituali, si può risalire alle idee primarie, quindi a una conoscenza completa e approfondita. Io non aggiungerei una virgola all’iscrizione di Delfo, che è quanto mai attuale anche ai vostri tempi, anzi, soprattutto ai vostri tempi, dove la meditazione resta un fatto affidato soltanto alla buona volontà. È chiaro che, dunque, il problema della volontà non c’entra quasi per niente, inquantoché conoscere completamente tutta la struttura materiale non vuol dire risolvere completamente il problema. (In questo punto la parola “volontà” si riferisce a un ipotetico, volontario controllo dei fenomeni del corpo. – Nota senza riferimento.).
La struttura materiale non è altro che una lampada che si accende o, se volete, un apparecchio che come i vostri (quelli che usate in queste sedute), registra e può ritrasmettere. ma la voce che porta la verità, o che porta la conoscenza entro il vostro apparecchio, non nasce da esso, nasce da qualcos’altro dal di fuori; nasce cioè da un’idea che non è connaturata e che non è legata in alcun modo al vostro apparecchio di registrazione.
Il vostro corpo non è che un apparecchio di registrazione di suoni e immagini, in qualche modo collegati ed elaborati, perché dentro esiste e vive qualche cosa che, a tutto il complesso delle idee, dà una significanza morale, dà cioè un certo carattere, una certa marcatura spirituale. Questo “qualcosa” non appartiene al vostro corpo: s’inserisce in questo circuito perché è un circuito che rende possibile questo tipo di trasmissione, ed è esattamente – il vostro corpo – una copia di uno dei vostri apparecchi di registrazione la cui conoscenza non può dirvi assolutamente nulla su ciò che è la marcatura delle idee che verrà poi a farsi quando la “voce” parlerà… Questo è il problema!…
D. – Sull’utilità, allora, di conoscere sé stessi.
A. – Ma il conoscere se stesso, vedete, riguarda quasi esclusivamente lo Spirito che è incarnato, perché esso non si riconosce più una volta che si trova col corpo! Ed ecco che, attraverso la rimeditazione, l’essere umano può ritrovare il significato della vera Realtà che ha dentro di lui. È in questo senso, in questa direzione, che va interpretato…
D. – Sulla necessità della volontà, accenno ai vincoli materiali, al proprio DNA. (DNA = Acido desossiribonucleico, costituente base degli elementi ereditari nell’uomo e negli altri animali. – Nota senza riferimento.).
A. – Ma cosa vuol dire essere il proprio DNA? Guardate, io sono perfettamente d’accordo sul fatto che l’uomo è vincolato al suo DNA. Naturalmente, il problema non si sposta di un millimetro da quello che io ho sempre detto, e cioè che lo Spirito plasma in qualche modo il proprio corpo, cioè il corpo in cui andrà a vivere, perché quel corpo, dovendogli servire per un certo tipo d’esperienza, deve essere “marcato” in un certo modo.
Per poter essere facilitato, lo Spirito si sceglie il tipo di famiglia che in qualche modo gli offre la garanzia che il corpo possa aver bisogno di modificazioni, non sostanziali, ma parziali. Quindi, in un certo senso, esiste un rapporto tra il tipo di esperienza che lo Spirito vuole fare e il tipo di corpo scelto, il quale – affinché siano fatte quelle determinate esperienze – bisogna che sia “vestito” da quel DNA e da quel tipo di geni ereditari che andranno poi a marcare certi caratteri ecc. ecc.
Quindi, da questo punto di vista, il problema spirituale resta completamente in piedi e non viene minimamente toccato dalla ricerca scientifica. Ora il problema è anche un altro… ma guardate che il problema esiste anche senza il DNA, perché avendo detto che lo Spirito si organizza il corpo come vuole, è inevitabile che un corpo così costruito diventi schiavo dell’idea primaria dello Spirito, schiavo – in qualche modo – dell’evoluzione dello Spirito.
Dobbiamo quindi parlare di corpo che è in qualche modo schiavo dello Spirito, non dobbiamo parlare mai di Spirito schiavo, anche se – tuttavia – posso ammettere che durante il corso della vita lo Spirito è almeno schiavo della propria evoluzione. Perché se l’è scelta. Una volta che se l’è scelta, lo Spirito, bene o male, deve seguire il tracciato, non direi controvoglia, perché è stata una sua scelta, ma egli deve comunque passare per quelle tappe obbligate che lui stesso ha predisposto e in cui sta la sua autentica libertà!
Però, una volta nato, la libertà diventa molto, molto relativa; non soltanto perché è tenuto a rispettare le tappe che si è prestabilito, ma – in secondo luogo – perché essendosi messo in un corpo che è così fortemente vincolato biologicamente, lo Spirito non può interferire su di esso, una volta che esso è venuto a luce e si è costituito; e non può interferire per due ragioni; la prima perché il corpo è costituito biologicamente e, direi, rafforzato da quel DNA, da certi geni ereditari, da certi tipi familiari ecc. ecc., e sia perché lo Spirito – non dimentichiamolo! – cade in un tipo di sonno al momento della nascita, dal quale si risveglia più o meno tra i 15 e i 20 anni… Cioè, il risveglio completo dello Spirito coincide con la maturità del cervello, quindi lo Spirito fino a quell’età praticamente è nient’altro che un simbolo che va avanti così, per forza d’inerzia, perché non è completamente risvegliato. E non potrebbe esserlo – questo è fatto a giusta ragione – perché uno Spirito totalmente risvegliato non saprebbe che farsene di un corpo che è invece ancora addormentato, nel senso di un cervello non completamente sviluppato e autonomo (il limite è chiaramente spostabile).
Ora la volontà in tutto questo dove sta? Molte volte voi avreste la volontà di fare certe cose, ma vi manca la libertà interiore, la possibilità di scelta. Dentro di voi non vi risolvete mai a fare una determinata cosa, magari per tutta la vita! Quindi perché tutto questo? Perché, probabilmente, in questi casi non si tratta di un’esperienza che dovete fare. Ne avvertite la volontà sul piano umano, sul piano cerebrale, psichico, ma qualcosa non funziona; non scatta dunque quel “relé”, quella molla capace di darvi la spinta che vi porti in quel tipo di esperienza, sia per ragioni di carattere spirituale, ma anche – magari – per ragioni di carattere ambientale, educativo ecc. ecc.
Ma io vorrei rispondere una volta per tutte, francamente e obiettivamente a questa questione della libertà e della volontà, e vorrei dire questo: che in effetti voi non ce l’avete tanta libertà, questa è la verità, e devo dire anche per fortuna, finché siete in vita, perché, vedete, siamo noi, noi e voi, Spiriti, a provocare questo e ne siamo soddisfatti.
Noi, probabilmente, non riusciremmo a concludere in Terra alcuna esperienza se avessimo una libertà totale, ma il fatto di non averla e di essere obbligati a ciò che abbiamo deciso prima è per noi una garanzia: perché noi, prima di nascere, lo sappiamo bene che se non vincoliamo il corpo in un certo modo, sapendo di non poter più intervenire dopo su di lui, noi non avremmo nessuna sicurezza di fare una vita utile, un’esperienza utile. Chi ci potrebbe dare questa garanzia? Una volta addormentati in un corpo che ha tutti i limiti e tutti i difetti possibili,
quale garanzia potremmo noi avere di venire in Terra e di svolgere il ciclo che ci siamo preposti? (Qui sarebbe stato necessario inserire in maniera funzionale tutto ciò che riguarda le funzioni specifiche dello Spirito-Guida, si rimanda pertanto – quale essenziale integrazione – ai Capitoli 5 e 7 di “Analisi del Rapporto tra lo Spirito e gli strumenti della sua manifestazione umana” – 1972. Capitoli che trattano questo tema che è in stretta relazione all’argomento qui riportato. – Nota del curatore.)
Allora dobbiamo prendere certe cautele. La prima è quella di svincolarsi il corpo, di condizionarci il corpo in un certo modo, perché non ci giochi dei brutti scherzi o, comunque, fatto in modo che, se dovesse giocarci qualche scherzo, esso potrebbe essere agevolmente sopportato. e allora noi sappiamo in partenza che un corpo così fatto da noi, non diventerà mai qualcos’altro, perché gli è impossibile. L’esperienza non lo consente, non lo permette, e non ci interessa fare un altro tipo d’esperienza. La libertà è dunque relativa, essa è relativa soprattutto dal punto di vista spirituale: voi non potete produrre spiritualmente più di quanto non sia nell’ambito dell’evoluzione del vostro Spirito, evoluzione combinata con certe possibili tendenze a livello inconscio…
D. – Sulla inefficacia di conoscere sé stessi.
A. – Guardate, no, perché ciò si riallaccia a un altro aspetto della vita, ed è questo: lo Spirito, con tutti questi vincoli, o condizionamenti, non strettamente fisici (cioè con una certa elasticità) si crea un orientamento; ma non è che esso si crea precisamente nel senso che, per esempio, a 20 anni farò questo, a 22 scatterà quest’altro, a 40 quest’altro ancora. No, questo no! Lo Spirito pone alcune tappe fisse, non riferite al tempo; tappe come esperienze. Queste esperienze poi s’ingloberanno nella vita e si manifesteranno come potranno (qualche volta non si manifestano!), ma lo scopo principale della vita resta un altro. Non quello di fare quelle esperienze in particolare, ma di conoscere e di fare l’esperienza della materialità; attraverso la quale si può giungere in mezzo a esperienze del tutto particolari.
In altri termini, le esperienze sono soltanto il pretesto per raggiungere in qualche modo alcuni ulteriori aspetti della materialità. Allo Spirito non interessa nient’altro, come per esempio decidere di fare il medico, l’avvocato, il contadino, il fabbro; non gl’interessa questo! Gli interessa soltanto – giunto a un certo grado d’evoluzione – stabilire quale esperienza sarà la ulteriore e più utile per approfondire in Terra la materialità, cioè l’altra faccia dell’Universo!
Ora tutto questo in Terra lo deve fare intelligentemente. E perché? Perché lo Spirito non ha alcun’altra possibilità di fare queste esperienze se non attraverso il corpo, altrimenti non si incarnerebbe; se la farebbe dal di fuori questa esperienza. Perché è costretto a vivere in Terra? È costretto a viverci perché solo attraverso questa serie di “relé”, di “attrezzature” biologiche, le esperienze della materialità sono in grado di trasformarsi in esperienze spirituali? E come si trasformano in esperienze spirituali? Ecco il punto di Delfo!… Soltanto, cioè, interpretando le esperienze che si fanno, inglobandole nella propria personalità, facendole giungere al fondo di sé stessi, cioè facendole giungere allo Spirito.
E come può un’esperienza giungere allo Spirito? Quando l’individuo ingloba l’esperienza, cioè compia quella “appercezione”, direi con termine filosofico, quella “digestione” dell’esperienza; e per poterla “digerire” bene, deve capirla bene e per capirla bene deve conoscere bene se stesso. Se non conosce bene se stesso l’esperienza gli resterà esterna, non potrà digerirla profondamente.
Perché “conoscere sé stessi”? Non certo per un capriccio, perché io infatti vi avrei risposto tagliando corto alla domanda. Avrei detto: effettivamente è inutile che in Terra uno conosca se stesso. Lo Spirito ci può pensare anche dopo a conoscere se stesso! Qual è lo scopo di farlo in Terra? Non viene certo in un corpo per conoscere se stesso Spirito, dal momento che lui, Spirito, sa bene quello che è! Non ha bisogno di riconoscersi proprio in Terra; che ci verrebbe a fare? A perder tempo?! No, lo Spirito, in Terra, tenta quanto più è possibile di non occuparsi di problemi spirituali, perché di questi problemi spirituali ha tutto il tempo per occuparsene dopo! Esso vuole soltanto cercare un collegamento possibile tra il Materiale e lo Spirituale; quindi ecco l’esperienza della materialità.
Non perché la materialità gl’interessi in sé, in quanto tale, perché lo Spirito sa di appartenere a un mondo spirituale, di fronte al quale c’è un altro mondo che gli è congeniale e che in esso vive: è la Realtà esterna a lui. Questa Realtà esterna è l’altra faccia dell’Universo, cioè l’Universo non spirituale, la Realtà propriamente detta che è simile in sostanza allo Spirito, ma che dello Spirito non ha l’individualità e la personalità.
Lo Spirito vuole conoscere questa esistenza che è intorno a lui, perché lui sa di esistere anche perché esiste una Realtà la quale è un Principio, ed essendo un Principio è una cosa reale. E com’è fatta questa Realtà di Principio? È fatta anche di alcuni aspetti chiamati Energia, chiamati Materia, cioè l’aspetto, “il precipitato”di Dio, in altri termini, la parte che si coagula, la parte che è indipendente da Dio e che invece dipende da lui, Spirito, e questa parte, egli Spirito, la deve conoscere, analizzare profondamente, perché analizzandola profondamente lo Spirito finisce con l’avere un’idea sempre più chiara di sé, della propria individualità, e cioè riesce a centrare bene il proprio “io”. Lo capisce, lo intende come indipendente, e ciò gli dà una maggiore autonomia, un maggior benessere o, se volete, una maggiore conoscenza, che è poi quel tipo di pace di cui tanto si parla e di cui ho detto una volta: la pace dello Spirito non è uno stato di beatitudine e di felicità! Lo Spirito che è in pace, non è lo Spirito che sorride, o ride, o ridacchia, per così dire, ma lo Spirito che è in pace è colui il quale ha coscienza della validità della propria esperienza, del proprio “io” e della propria conoscenza. Quando ha queste cose dentro di sé, queste cose sono la pace!
Quando le cose sono state decise dallo Spirito, voi non avete la volontà di rinunziarvi, perché è proprio qui che la volontà non scatta e non può scattare, però non tutte le cose che vi capitano sono state previste dallo Spirito; molte ve le preparate voi! Lo Spirito, in fondo, non fa altro che scegliersi un paio di occasioni sulla Terra. Intendiamoci bene, non è che si organizza le giornate una dietro l’altra! No, lo Spirito non vuole fare altro che un paio di esperienze; tutte le altre non soltanto non gli interessano, ma sono un po’ la corona preparatoria perché si svolgano quei fatti salienti, e in queste esperienze così accessorie la libertà ce l’avete. Non l’avete per i fatti fondamentali, ma per i fatti accessori voi l’avete.
Voglio dirvi anche una cosa: che voi avete completamente capovolto il rapporto; per voi le cose accessorie sono diventate le cose importanti e quelle fondamentali, al contrario, sono diventate – non dico le banali – ma i fatti inevitabili, il Fato e il Destino. Voi siete riusciti a fare in modo da far diventare importanti le cose che allo Spirito non interessano, e cioè il sistema di vita, la vostra morale, le vostre remore, le vostre inibizioni, sono – come dire – il pane quotidiano della vostra vita, è vero; per voi sono diventate cose importanti, voi vi giudicate quasi per queste!
È possibile che a un certo punto un’esperienza spiacevole (per voi, s’intende!) decisa dallo Spirito venga saltata? È possibile insomma che alcune esperienze fisse, decise dallo Spirito, non vengano fatte per una qualche ragione? Sì, è possibile che certe esperienze cessino o non si producano.
Quand’è che l’esperienza cessa? Per esempio, io qualche volta ho sentito dire (l’ho sentito da voi, magari me lo avete chiesto!), mi avete chiesto aiuto per qualche guaio che vi è capitato, o se non me l’avete chiesto sarà stata vostra intenzione chiedermelo; e se non lo chiedete a me lo chiedete ai vostri santi, alle vostre croci, alle vostre icone; comunque, in ogni caso, chiedete a qualcuno l’aiuto. Naturalmente abbiamo stabilito – entro certi limiti, non sempre però è così – che i fatti veramente importanti della vita sono stati decisi dallo Spirito (quelli veri, non quelli che credete importanti!).
Una volta che è scattato l’evento, vi è possibilità di fermarlo? Si può fermarlo in un modo a voi completamente sconosciuto, direi. In realtà un evento, per spiacevole che sia, si ferma accettandolo: e perché si ferma? Perché nel momento in cui voi lo accettate (lo accettate veramente, s’intende!) scatta quel “passaggio d’esperienza” tra la materia e lo Spirito. Lo Spirito viene saziato, per così dire, dall’esperienza; la causa che l’ha determinato si ritira, l’effetto sparisce.
E in realtà, voi vedete, deve essere così, perché il rapporto tra l’esperienza e lo Spirito si svolge attraverso la via psichica. Quando si allenta la tensione psichica, e l’esperienza viene accettata, si verifica veramente come un prodigio. D’altra parte, questo non soltanto lo dicevano gli antichi yogi, ma risponde a una sua logica interiore. L’esperienza
stessa della vita lo dimostra. Coloro i quali accettano la sofferenza non sono più infelici. Coloro i quali credono di accettarla, la sofferenza, ma se ne lamentano sempre, non la fanno cessare mai! È detto in Terra: “ogni guaio chiama un altro guaio!”. Non è una cosa inesatta, perché vi è un’alimentazione di carattere psichico, spirituale.
In realtà quando voi vivete allegramente (dicevano i santi di vivere sempre con gioia, frate Francesco lo diceva…) le cose vanno meglio. Bisogna vivere con gioia, accettare con gioia. Non è un modo di dire! Non è crearsi una suggestione! È guarirsi da una malattia: sociale, spirituale, fisica, qualunque essa sia… Accettare, non nel senso supino e passivo che hanno potuto insegnarvi e cioè “accettare la pena e ringraziate Dio”!; non è così naturalmente, qui non c’è nessuno da ringraziare. Ma accettarla con coscienza, con intelligenza: evitarla anche, la pena, se è possibile: non bisogna sguazzare nel dolore, nient’affatto! Però è chiaro che il dolore si supera soltanto affrontandolo, con la ragione, e quando interviene la ragione su di un dolore, interviene la coscienza del dolore e la coscienza diventa quella esperienza spirituale che lo Spirito cercava…
È quello il momento in cui scatta la libertà (di fronte alla vera esperienza), perché è il momento in cui lo Spirito aspetta, diventa vigile e si manifesta in maniera più chiara a livello dell’inconscio. È come se lo Spirito “aprisse gli occhi” e si avvicinasse per ascoltare, per sentire: quello è il momento giusto! Sono cose di cui voi non vi accorgete, non le avvertite, non siete nemmeno educati, devo dire, a giungere a questo tipo di ragionamento, ad affrontare il dolore a viso a viso. Non siete abituati a questo, perciò finite talvolta per portarvelo tutta la vita, senza darvene mai una ragione.
Nessun Spirito viene in Terra per soffrire. Lo Spirito cerca una serie di esperienze, le quali, probabilmente fatte piuttosto male, porteranno come conseguenza il dolore. Una volta che interviene il dolore, che è un’aggiunta integrativa dell’esperienza, lo Spirito deve affrontarlo, con i mezzi della ragione, capirne l’importanza, collegarla con se stesso, eventualmente giustificarla: fatto questo il dolore è superato! Lo si supera di fatto, perché – come dire – è come una psicanalisi interiore che si fa e si guarisce automaticamente da tutto questo.
D. – Sul caso di un mutilato a una gamba.
A. – La menomazione se la porta dietro per tutta una vita, perché la gamba non gli ricresce, però il mutilato può giungere a un punto tale da non sentirla più la mancanza di una gamba. E sarà come se fosse nato con una gamba sola, visto che non esiste nessuna legge nell’Universo che stabilisce essere fatti gli uomini di due gambe, due braccia ecc. Si è nati con due gambe perché le circostanze biologiche l’hanno voluto; avreste potuto nascere, per esempio, con tre gambe e una coda e non ci avreste trovato nulla da ridire, così come non trovate nulla da ridire sul fatto che qui gli uomini nascono bianchi e nascono neri in Africa! Nel momento in cui lui supera l’esperienza, cioè la “digerisce”, capisce l’utilità di tutto questo, ne guarisce interiormente e quindi non avvertirà più la menomazione. Non avvertendo la menomazione, non avrà più importanza che egli abbia due gambe o abbia una gamba, perché non esiste alcuna differenza tra un uomo che abbia due gambe e uno che ne abbia una. Non esiste nessuna differenza, se non magari la difficoltà che un altro può fare una bella corsa e lui non può farla. Ma che importanza ha, visto che vi sono tanti uomini che hanno due gambe e camminano sempre piano durante la vita!?
Non si tratta di un’ingiustizia! Il mutilato deve pensare che la vita non è eterna, che le gambe non gli servono per pensare, e continuando di questo passo egli non può invidiare gli altri che guariscono, anche perché deve sapere che se gli altri guariscono, perché si tratta di un tipo diverso di guaio, è perché certamente hanno un’esperienza diversa. E che importa avere due gambe o una gamba qui, quando non è questa la vita che conta, e che lo Spirito non ha gambe, e che nell’Universo non avrà più menomazioni? È qui che si crea la giustificazione del proprio stato, contemperando le esigenze della vita umana con la prospettiva di un’altra vita. E non ha importanza, dunque, vivere un certo tempo con una gamba, perché non serve a niente averne due… Tutto è naturalmente poggiato sulla conoscenza, sulla maturità, è logico…
Quando dico vivere intensamente ho detto tutto e avendo detto tutto ho veramente detto TUTTO!
Non escludo dall’esperienza umana niente, proprio perché (e lo abbiamo già detto) lo Spirito vuole inserirsi nella Materialità per capirla, studiarla e quindi superarla; ma per superarla, naturalmente, bisogna conoscerla.
Bisogna cercare di fare tutto il possibile in maniera da vivere pienamente la vita, in maniera cosciente e intelligente, si capisce; altrimenti viverla senza usare la ragione e le qualità morali che uno ha, diventa un’esperienza del tutto inutile, soltanto valida sul piano umano…